4. Wagner e la nona sinfonia di Beethoven, il tempo

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Sebastiano Lava – Via al Fiume 23b – 6596 Gordola
Storia della musica – La nona di Beethoven dagli occhi di Wagner
La nona di Beethoven dagli occhi di Wagner
Indice
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
Introduzione
Wagner e la direzione
Wagner e la Nona sinfonia di Beethoven, l’amalgama orchestrale
Wagner e la Nona sinfonia di Beethovem, il tempo
Cosa insegna ai musicisti di oggi quanto Wagner ci ha tramandato?
Bibliografia
Ringraziamenti
Appendice (contiene i frammenti di partitura originale, allegati A e C, e i relativi righi con le modifiche di
Wagner relativi ai due passaggi considerati, allegati B e D)
1. Introduzione
La musica, in quanto arte, sgorga dall’anima, dal cuore. L’intelletto non è altro che un tramite, un mezzo attraverso cui
il codice percepito dal cuore viene filtrato in un linguaggio comprensibile dalle orecchie e dalla stessa mente.
Sostengo questo portando ad esempio un semplice paragone con la letteratura: se la poesia è una forma d’arte, l’articolo
di giornale è un testo che ha tutt’altro scopo (argomentativo) e che necessita di una chiara elaborazione prettamente
intellettuale. Ora, la poesia, come si sa, è veicolo di sensazioni –percepite dalla parte di cervello che si occupa appunto
delle emozioni, quella parte che talvolta chiamiamo anima, talvolta cuore-. Queste sensazioni parlano all’anima, dopo
essere state decodificate dall’intelletto. La stessa identica situazione è riproposta nell’arte di cui ci stiamo occupando: la
musica.
Ora, nella musica c’è la contemporanea presenza di due figure: quella dell’ascoltatore (l’osservatore) e quella
dell’interprete (che è anche ascoltatore e che quindi ha un duplice ruolo). Queste due figure nella pittura, nella scultura e
nella letteratura di regola coincidono ma in musica, data probabilmente la complessità del linguaggio, sono nella
maggior parte dei casi distinte. È quindi compito dell’esecutore scegliere l’interpretazione. Egli deve basare la sua
cernita sui propri gusti e sulla propria sensibilità, dato che non conosce le aspettative del suo pubblico e che detiene il
privilegio – chiamiamolo così – di poter essere nel contempo attore e spettatore.
Siccome l’interprete esegue l’opera di qualcun altro, di un genio compositivo, deve agire con grande rispetto verso colui
che ha scritto la musica. Ciò non deve però assolutamente significare che l’esecutore non possa aggiungere del proprio
alla sua interpretazione: ne risulterebbe una versione molto fredda, distaccata e per questo priva di interesse ed utilità.
L’interprete ha quindi il dovere di leggere con sapienza e apertura di cuore lo spartito e di trovare un’interpretazione
convincente. Ora, alcuni elementi – quali i ritardandi e gli accelerandi, i crescendi e i diminuendi, alcuni altri segni di
dinamica –, anche se non scritti nello spartito, vengono sentiti naturalmente dall’interprete e nascono direttamente e
spontaneamente dal suo cuore. Altri sono meno evidenti, e lo stesso interprete si chiede quale possibilità scegliere
all’interno di una forchetta che la sua anima gli suggerisce. È questo il caso del tempo, di alcune indicazioni di dinamica
e di agogica, oltre che – per il direttore d’orchestra – della strumentazione. Inoltre talvolta un certo controllo su ciò che
l’interprete “sente” naturalmente da parte di una coscienza intellettuale non è sempre inadeguato, sebbene non si debba
mai soffocare la fantasia artistica di un musicista, ma semmai incanalarla nella giusta strada.
Sotto questo profilo delle scelte interpretative (oltre che sotto l’aspetto di mera difficoltà tecnica per raggiungere
l’auspicata e necessaria precisione), la Nona sinfonia di Beethoven rappresenta un brano di grande difficoltà per i
direttori d’orchestra, dalla sua creazione ai giorni nostri.
Per questo motivo molti sono i direttori che hanno più volte cambiato versione della Nona e diversi sono quei direttori
che, o per aiutarsi a trovare qualche risposta o per giustificare le loro scelte o ancora per dare consigli ai loro colleghi ed
ai loro allievi, hanno lasciato delle testimonianze scritte sulla loro idea dell’interpretazione di questa opera sinfonica.
Fra questi abbiamo Richard Wagner, che propone una versione ben lontana da quella che oggi viene eseguita dai
direttori “autenticisti”.
Ho per questo ritenuto interessante mettere a confronto questi due approcci all’interpretazione profondamente diversi
ma anche sentitamente vicini, cercando di capire quale sia realmente il più rispettoso del compositore, della musica e
dell’interprete, ritenuto che il margine di opinabilità ha pur sempre una certa ampiezza.
Prima di cominciare il lavoro vero e proprio intendo premettere una puntualizzazione riguardo al metodo che seguirò. È
mio desiderio procedere in modo induttivo, ovvero da un caso particolare (quello di alcuni accorgimenti che Wagner
propone riguardo all’interpretazione della nona sinfonia di Beethoven) ad una regola generale relativamente
all’approccio che Wagner suggerisce ai musicisti di avere nei confronti della lettura e della scelta dell’interpretazione di
un pezzo.
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Per fare ciò mi servirò delle proposte che Wagner avanza riguardo a due passaggi della nona di Beethoven, ovvero
quello delle battute 138-145 del primo movimento e delle battute 93-101 (e seguenti). In realtà occorre precisare che
Wagner propone anche altre interessanti proposte riguardo la partitura della nona, che però non considero in quanto
questi due passaggi, uniti al discorso del “tempo giusto”, sono a mio avviso più che sufficienti per trarre le conclusioni
che esporrò in parte cammin facendo (ovvero nei punti relativi all’amalgama orchestrale e al tempo) e in parte
nell’ultimo punto: “Cosa insegna ai musicisti di oggi quanto Wagner ci ha tramandato?”.
Cominciamo dunque a muoverci verso quest’ultimo punto, procedendo con ordine, ovvero dall’inizio: dal rapporto che
Wagner aveva con la direzione d’orchestra.
2. Wagner e la direzione
Wagner prendeva molto sul serio il lavoro di direttore d’orchestra. Non riteneva che questo compito fosse marginale o
che l’unico scopo del fare il direttore fosse quello di raccimolare soldi o conquistarsi prestigio (come invece, a sua detta,
era il caso di alcuni direttori tedeschi a lui contemporanei). Egli lo dimostra nel suo scritto Über das Dirigieren, in cui
critica aspramente i direttori d’orchestra tedeschi, additandoli come incapaci e come responsabili del decadimento delle
esecuzioni fornite dalle “nostre benemerite orchestre tedesche”.
In particolare Wagner critica la mancanza di autorità di buona parte dei direttori a lui contemporanei e la loro mancata
serietà di lavoro. Scrive Wagner che era abitudine seguire la lettura e l’esecuzione tradizionale, sebbene non piacevole e
addirittura, usando le parole di Wagner, sbagliata, non corretta.
Ciò era dovuto principalmente alla mancata individuazione del tempo corretto, criterio fondamentale per Wagner e su
cui mi chinerò più approfonditamente in seguito, e alla troppo poca o del tutto assente considerazione dell’equilibrio
timbrico e dell’amalgama (sia timbrico che dinamico) orchestrale. Scrive Wagner: “la vecchia figura del Kappelmeister
molto spesso […] non riconosce la necessità di un ampliamento del numero degli strumenti ad arco in modo da
controbilanciare l’aumento degli strumenti a fiato e l’uso complesso che di essi si fa ai giorni nostri” i.
Questa breve citazione, oltre a evidenziare tre importanti aspetti del romanticismo musicale (ovvero l’evoluzione
tecnica degli strumenti a fiato, la loro maggiore considerazione ed impiego nell’ambito orchestrale e la sempre
crescente attenzione rivolta al colore dell’orchestra che, ampliata, permette sempre nuove possibili combinazioni
timbriche), attesta quanto stesse a cuore a Wagner il fatto di trovare il giusto equilibrio timbrico e dinamico fra le varie
sezioni orchestrali e anche fra ogni singola voce per rapporto alle altre. È questa una sensibilità tipica del romanticismo
e che Wagner dimostrò bene nelle proprie opere, in cui attestò di possedere grande capacità e maestria
nell’orchestrazione, estremamente raffinata e curata.
Anche in veste di direttore, Wagner non sottovalutava l’aspetto timbrico dell’orchestra e si preoccuopava da vicino
affinché tutte le voci (e non solo quelle più acute e quelle più gravi) fossero eseguite correttamente, con le note giuste e
l’intonazione esatta. Ciò è attestato dalla critica che Wagner rivolge ai direttori e alle orchestre tedesche a lui
contemporanee riguardo all’usanza di trascurare la parte di secondi violini e di viole. Egli scrive: “Un’altra abitudine,
riguardante la scelta degli archi, ha portato conseguenze deleterie. Vengono sacrificate sia la parte per i secondi violini
che la parte per le viole, senza che nessuno si preoccupi delle conseguenze. La viola, con rare eccezioni, è di norma
sostituita da violinisti malfermi o decrepiti musicisti di strumenti a fiato che abbiano anche pratica con uno strumento
ad arco. È raro vedere un buon violista, capace di eseguire gli eventuali a solo” 1.
3. Wagner e la nona sinfonia di Beethoven, l’amalgama orchestrale
In particolare, concentrandoci sul tema che intendo qui sviluppare, ovvero sulla nona sinfonia di Beethoven, Wagner
propose alcuni ritocchi relativamente al passaggio compreso tra la battuta 138 e la battuta 143 del primo movimento.
Egli aveva infatti notato che nell’espressivo che ha inizio alla battuta 138 del primo movimento appunto, il flauto ha la
tendenza ad offuscare e coprire la voce dell’oboe, che ha – a detta di Wagner – la melodia principale: il tema. Il famoso
compositore (nonché grande ed apprezzato direttore) scrive: “Chi può affermare di aver mai percepito con chiarezza il
contenuto melodico di questo passaggio nelle nostre esecuzioni orchestrali?” ii. Egli continua poi dicendo di essere stato
illuminato dal pianista e compositore Franz Liszt (“con il suo geniale acume”2) a proposito della corretta resa di questo
passaggio, nella sua elaborazione pianistica della nona di Beethoven. “In essa egli non considera il flauto, che dà
principalmente disturbo (dal momento che questo si fa carico della prosecuzione del tema dell’oboe all’ottava
superiore), ma ritraspone la continuazione del tema all’ottava bassa. Così facendo preserva da ogni fraintendimento le
originali intenzioni del compositore”2.
E arriviamo qui a un punto saliente, forse il più importante, di questo primo aspetto che ho deciso di trattare – quello dei
cambiamenti nelle parti al fine di ottenere il perfetto amalgama orchestrale. Ora, Wagner dimostra, scrivendo così, che
il fine che si propone di perseguire non è unicamente di ottenere un’interpretazione bella e piacevole, ma proprio quello
di seguire “le originali intenzioni del compositore” iii, che –trattandosi del Maestro Beethoven (come Wagner lo chiama
in Über das Dirigieren)- ha sicuramente scritto un’opera che, se letta ed eseguita correttamente, è di per sé bella (nel
senso più alto del termine) e piacevole all’ascolto. Vedremo meglio nel prossimo punto (Wagner e la nona sinfonia di
Beethove, il tempo) quale criterio principe per comprendere quale sia l’intenzione del compositore Wagner segua, per
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ora basti sapere che – per via dell’influenza di un’interpretazione della nona del direttore Habeneck – questo criterio è il
canto della melodia.
Per Wagner infatti la limpidezza della melodia è fondamentale. Egli scrive: “Diese Deutlichkeit beruht nun, meines
Frachtens, auf nichts Anderem, alsa auf dem drastischen heraustreten der Melodie” iv.
Ebbene, seguendo questo criterio, Wagner propone ai direttori d’orchestra di “conservare la parte del flauto nei suoi
tratti fondamentali, e di lasciarla fedele al profilo melodico, e di incaricare l’interprete (lo strumentista) di contenersi
nelle sfumature più forti, così come nelle nuances espressive, nei confronti dell’oboe, poiché noi, prima di tutto,
dobbiamo poter seguire quest’ultimo come predominante”2. Wagner riteneva infatti eccessivo eliminare del tutto il
flauto o trasporlo come raddoppio dell’oboe all’unisono v, per cui è sufficiente – secondo Wagner – provvedere a questi
accorgimenti.
In realtà però Wagner non esaurisce qui il suo discorso, ma prosegue indicando come diretta conseguenza di questo
ragionamento l’esigenza di cambiare la partitura modificandola in modo tale che alla battuta 143, dopo il SIb, il flauto
non salti al LAb dell’ottava superiore, ma continui la scala discendente trasponendo di un’ottava verso il basso l’intera
battuta 143 (eccetto la prima nota)vi. Risulta così che il flauto, di fatto, raddoppia l’oboe, ma solo nella battuta 143, e
non in tutto il passaggio. D’altra parte, in considerazione della sensibilità nei confronti del timbro e dell’equilibrio
timbrico, spostare una voce un’ottava sotto in maniera che ne raddoppi un’altra, eseguita con un altro strumento, non
equivale ad eliminarla, ma riveste un significato particolare e suo precipuo.
Non si tratta dunque di una modificazione lieve e trascurabile, specialmente all’ascolto: l’orecchio percepisce una bella
differenza tra un flauto all’ottava alta, che risulta essere lo strumento che suona più acuto di tutta l’orchestra, e un flauto
che raddoppia l’oboe. È forse proprio per questo che Wagner non ha voluto raddoppiare l’intero passaggio da battuta
138 a battuta 143.
Inoltre, alla fine di questo passaggio che termina a battuta 143, Wagner propone un’altra modifica. Egli infatti tra
battuta 144 e 145 suggerisce di aggiungere alla partitura un crescendo che porti al forte della battuta 146. Wagner
scrive: alle battute 144 e 145 “gioverebbe pertanto un crescendo ben delineato e poi ben chiaro per arrivare
all’espressione con la quale possiamo affrontare finalmente i dolorosi accenti della successiva parte cadenzata”2. Non si
tratta qui di cambiare o aggiungere delle note, ma siamo in ogni modo di fronte a un cambiamento della partitura, un
cambiamento oltretutto di una certa importanza, considerate l’attenzione romantica verso i segni espressivi e la cura che
Wagner dava a questi segni nelle proprie composizioni.
Wagner poi non ferma qui il suo discorso, ma ritiene utile e necessario apportare anche un’altra modifica alla partitura
di Beethoven. Si tratta sempre del medesimo passaggio, ma questa volta non più della battuta 143 bensì della battuta
139. Lo strumento “indagato” è l’oboe. Wagner ritiene che la sincope con cui questo strumento comincia la battuta 139
non segua l’andamento melodico (egli scrive infatti: “Volessimo noi modificare perciò la seconda battuta dell’oboe in
modo che, analogamente alla quarta battuta, continui l’andamento melodico” 2). Di conseguenza l’artefice del teatro di
Bayreuth propone di “ritoccare” la musica di Beethoven sostituendo la croma posta sul mi bemolle (la nota al centro
della sincope semplice della battuta 139) con un mi bemolle seguito da un sol, ognuna di queste due note del valore di
una semicroma. La prima semiminima della battuta 139 risulta quindi essere composta da una quartina di semicrome, di
cui la prima legata all’ultimo sedicesimo della battuta 138.
Sempre relativamente a queste due battute 138 e 139 Wagner suggerisce poi di, “per attribuire al passaggio intero […]
un’espressione giusta che richieda l’attenzione dell’ascoltatore, ottenere delle nuances, anche grazie al supporto di un
tempo controllato (contenuto), sebbene in fin dei conti si tratti di nient’altro che della propria descrizione di
Beethoven”2.
Questa frase ci ricollega all’argomento che toccherò nel punto seguente, ovvero la concezione wagneriana di tempo
giusto e dell’importanza rivestita dalla scelta del tempo sulla qualità di tutta l’interpretazione.
Prima però di passare a questo pur appassionante argomento (appassionante proprio perché tocca da vicino l’esperienza
di ogni esecutore che si trovi a scegliere la velocità a cui eseguire un brano), è mio desiderio ricordare che Wagner
propone delle interessanti osservazioni e ritocchi per quanto concerne il secondo movimento della nona di Beethoven,
lo Scherzo. Essi riguardano le battute 93 e seguenti di questo movimento.
Anche qui Wagner parte da un problema di chiarezza. Egli ritiene di non aver mai sentito con limpidezza la melodia
eseguita dai legni nelle esecuzioni delle orchestre tedesche. Polemicamente scrive: “Ich rufe einen Musiker auf, mit
gutem Gewissen zu behaupten, dass er diese Melodie jemals in Orchesteraufführungen deutlich gehört habe, ja, ob er
sie nur kennen würde, wenn er sie nicht aus der Lektüre der Partitur oder aus dem Spiele des Klavierauszuges sich
entnommen hätte?”4 e successivamente spiega il motivo per cui questo tema è nascosto, dando la “colpa” (se di colpa si
può parlare) agli archi: “In unseren üblichen Orchesteraufführungen scheint man noch nicht einmal zu dem
nächtsligenden Auskunftsmittel, dass ff der Streichinstrumente beträchtlich zu dämpfen, gegriffen zu haben, denn so oft
ich noch für diese Symphonie mit Musikern zusammenkam, fuhr hier Alles mit der wüthendsten Stärke hinein.”.
Anche qui, come per la modifica proposta riguardo le battute 138-143 del primo movimento, Wagner ritiene che il tema
sia coperto. In questo caso Wagner identifica il tema con la voce dei legni, infatti, chiedendosi se la modifica da lui
proposta sia sufficiente, scrive: “Es wäre nun zu versuchen, ob die hier angedeutete Verstärkung der Noten des Thema’s
genügte”. Egli utlizza quindi il termine “tema” e non “voce dei legni”. Ma qual è la proposta concreta che Wagner
porta? Ebbene, per risolvere questo problema di offuscamento del tema dei legni (Holzbläser), propone questa
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soluzione: “Auf diese Auskunftsmittel war ich selbst jedoch von jeher verfallen, und ich glaubte hiervon genügenden
Erfolg versprechen zu dürfen, sobald ich auf die Wirkung der Anstrengung verdoppelter Holzbläser rechnen konnte.
Die Erfahrung bestätigte aber meine Annahme nie, oder nur höcht ungenügend, weil immer den Holzblasinstrumenten
eine schneidige Energie des Tones zugemuthet blieb, die ihrem Charakter wenigstens im Sinne der hier angetroffenen
Zusammenstellung, stets zuwider bleiben wird. Ich wüsste, sobald ich jetzt diese Symphonie wieder einmal aufzuführen
hätte, gegen das unläugbare Übel des in Undeutlichkeit, wenn nicht in Unhörbarkeit Verschwindens dieses ungemein
energischen Tanzmotives, kein anderes Abhilfsmittel zu versuchen, als die Zutheilung einer ganz bestimmen
thematlichen Mitwirkung wenigstens an die vier Hörner”4. Wagner propone quindi di raddoppiare la linea dei legni con
i potenti ottoni, più specificamente con i corni in re e in si bemolle vii. In questo modo è ben difficile che i pur possenti
archi in fortissimo riescano a coprire completamente la melodia ora suonata da flauti, oboi, clarinetti, fagotti, corni. È
così risolto il problema della limpidezza della melodia, che può ora essere percepita chiaramente dall’ascoltatore e
quindi può essere riconosciuta anche da chi non ha accesso alla partitura.
Questo ritocco però interviene a modificare in modo importante la partitura di Beethoven, ed è interessante come
Wagner giustifichi questo cambiamento non con una modesta e umile spiegazione soggettiva (del tipo: “tengo a far
sentire il tema dei legni e mi dispiace offuscarlo con quello che è per me l’accompagnamento degli archi; di
conseguenza faccio risaltare questo tema raddoppiandolo con i corni) ma con un’autoritaria argomentazione che va
nella direzione di avvicinare il più possibile l’intenzione del compositore 3 (“sebbene in fin dei conti si tratti di
nient’altro che della continuazione della propria descrizione di Beethoven” 2). Non dobbiamo però pensare che Wagner
si ponga al di sopra di Beethoven, correggendo la sua strumentazione, in quanto nel saggio Über das Dirigieren mostra
in più punti (che adesso, per esigenze di sintesi, non elenco) una grande e profonda ammirazione nei confronti del
compositore della nona. Semplicemente a Wagner sta profondamente a cuore seguire non tanto le note del compositore,
quanto il suo pensiero (“der Gedanke Beethoven’s”4), e di conseguenza propone un approccio alla lettura
completamente diverso da quello che di solito ci viene insegnato nei conservatori, che è semmai aderente a quello dei
direttori “autenticisti” oggi di moda.
Ora, non tocca a me giudicare quale dei due metodi sia corretto, ma ritengo tuttavia necessario esprimere la mia
opinione. Premesso che non ho nessuna motivazione degli attuali direttori filologi, devo ammettere che le
argomentazioni avanzate da Wagner sono solide e meritano attenzione. In fin dei conti è logico e naturale pensare di
seguire il pensiero del compositore, piuttosto che il segno che questo pensiero ha lasciato sulla carta. Infatti la notazione
non è altro che un sistema comunicativo, nato a poco a poco e continuamente perfezionatosi, a seconda delle esigenze
che la musica richiedeva. Il secolo appena conclusosi, con tutte le direzioni che la musica ha preso, ci ha insegnato
quanto in realtà la notazione non sia un oracolo da ammirare quanto piuttosto un mezzo comunicativo che può e deve
essere modificato a seconda delle esigenze. Peraltro quanto operato per esempio dai compositori di musica aleatoria (e
mi riferisco qui alla creazione di un sistema diverso di segnare graficamente la musica, che ha evidentemente influenze
nel modo di leggerla e di suonarla) non è nella sostanza diverso da quanto sempre accadde nella storia della notazione
“tradizionale”. Non si è forse perfezionato il sistema di indicare il ritmo quando la complessità polifonica ha richiesto
maggior precisione nell’insieme delle varie voci? Non si sono forse introdotti numerosi e sempre più variegati segni di
espressione e di dinamica nel corso del romanticismo?
Questi esempi servono a dimostrare come in realtà la notazione non sia un oggetto quasi sacro da onorare e ammirare,
ma un mezzo comunicativo (che sorpassa i confini del tempo) tra compositore ed esecutore, esattamente come lo
strumento musicale ha questo nome di “strumento” in quanto è uno strumento comunicativo tra l’interprete e il
pubblico. Di conseguenza il principio di fedeltà al testo cresciuto nell’ottocento non è da seguire troppo alla lettera. Del
resto il fatto che uno dei maggiori compositori romantici si permetta di modificare una partitura ci insegna che la fedeltà
al testo romantica non corrisponde all’attaccamento al rigo (talvolta quasi morboso) dei filologi contemporanei. È
questo un punto importante, che merita a mio avviso seria considerazione. Ritornerò su questo argomento nell’ultimo
punto.
Il fatto che il pensiero e l’approccio di Wagner alla lettura (della nona, in questo caso) non siano leggeri, frivoli o
assurdi, ma che al contrario siano frutto di un profondo ragionamento e di una maturata crescita emotiva, è attestato dal
fatto che grandi direttori del passato hanno raccolto l’eredità che Wagner ci ha lasciato in qualità di direttore d’orchestra
e di attento teorico della direzione a proposito dell’interpretazione della musica.
Infatti le modifiche alle battute 138-145 furono adottate da Weingartner, Mahler e Mengelberg, sebbene con qualche
differenzaviii, mentre le proposte wagneriane relativamente alle battute 93 e seguenti dello Scherzo furono seguite da
Mahler, Weingartner e Strauss e l’indicazione del problema sollevato da Wagner fu considerata da Mengelberg,
Toscanini, Furtwängler, Walter, Klempererix.
In conseguenza dell’approccio di Wagner alla lettura, anche il concetto del “seguire il tempo” viene proposto in maniera
differente da quella a cui siamo oggi perlopiù abituati. Abbandoniamoci dunque al problema del tempo.
4. Wagner e la nona sinfonia di Beethoven, il tempo
Per Wagner è fondamentale, per ben comprendere un’opera e di conseguenza per darne un’interpretazione corretta,
individuare il tempo giusto. Egli scrive infatti: “Ritorno in continuazione sul problema del tempo perché […] questo è il
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Storia della musica – La nona di Beethoven dagli occhi di Wagner
punto sul quale definitivamente diviene chiaro se un direttore si renda conto o meno di ciò che sta facendo sul podio”1.
E non solo, egli aggiunge che “È essenziale […] che il tempo sia tenuto in considerazione quanto il tessuto tematico” 1.
A proposito della nona di Beethoven, Wagner racconta di come fosse rimasto deluso delle interpretazioni che aveva
sentito in gioventù ai “celebri Concerti del Gewandhaus di Lipsia” 1 (ricordo qui che Wagner nacque a Lipsia), che “non
venivano per nulla diretti, erano semplicemente eseguiti sotto la guida del Kappelmeister Mattaei, primo violino di quel
tempo”1. A causa di queste deludenti interpretazioni della nona (che pur sembrando “un ostacolo insormontabile” 1 era
“considerato un punto d’onore”1 dare ogni anno), Wagner abbandonò “completamente lo studio di Beethoven per
qualche tempo”1.
Da questa “crisi” relativamente alle opere di Beethoven Wagner fu tolto dal direttore d’orchestra francese FrançoisAntoine Habeneck (Mézières, Ardenne 1781 – Parigi, 1849) alla guida dell’orchestra del Conservatorio di Parigi.
Wagner scrive infatti: “Il più profondo insegnamento fu per me sentire a Parigi, nel 1839, l’orchestra del Conservatorio
provare la Nona Sinfonia. Fu come se mi avessero tolto un velo dagli occhi; compresi definitivamente l’importanza di
una corretta esecuzione ed il segreto di una buona interpretazione. L’ochestra aveva imparato a cercare in ogni battuta
quel melos beethoveniano che era completamente sfuggito alla nostra pur valida orchestra di Lipsia. L’orchestra del
Conservatorio di Parigi cantava la melodia: questo era il segreto”1. Il merito di Habeneck fu quello di provare la Nona
“fino a che il nuovo melos di Beethoven non venne compreso e correttamente reso da ogni membro dell’orchestra” 1.
Wagner dà merito anche alla “Scuola Italiana”, rilevando che “I musicisti francesi, per la maggior parte,
appartengono alla Scuola Italiana, la cui influenza su di loro è stata decisiva. È là, dalla Scuola Italiana, che essi hanno
appreso ad avvicinarsi alla musica per il tramite del canto. Per i Francesi, oggi, suonare uno strumento significa saperlo
far cantare bene. E […] quella superba orchestra, cantò la Sinfonia.”1. Wagner però spiega anche come si possa riuscire
a “cantare” un brano: “La possibilità di ben cantare una sinfonia deriva dal fatto che il suo “vero tempo” è stato
compreso”. Ma come si trova il giusto tempo? La risposta è circolare, ma non elusiva: “Habeneck […] trovò il giusto
tempo poiché costantemente fissò l’attenzione della sua orchestra sul melos della Sinfonia. L’intuizione del melos è la
sola guida al tempo giusto da tenere nell’esecuzione”1.
Se dunque il tempo è essenziale (Wagner dice anche che “La prima qualità di un direttore consiste nella sua
abilità di trovare sempre il giusto tempo d’esecuzione. Dalla scelta di tempi da lui compiuta possiamo capire se abbia o
meno compreso il brano”1 e che “il giusto tempo d’esecuzione comporta un’espressione ed un frasegio corretti, e di
converso, da parte del direttore, la scelta appropriata di fraseggio ed espressione comporterà la scelta esatta del
tempo.”1), il canto e l’individuazione del melos (ovvero della melodia, della linea melodica) sono fondanti, in quanto la
comprensione del tempo deriva proprio dal saper cantare il brano: “i nostri direttori molto spesso sbagliano nel trovare
il giusto tempo perché non sono in grado di cantarlo” 1.
Il segreto sta quindi nel liberarsi dalla rigidità del tempo metronomico x in favore della sensibilità musicale propria di
ognuno, che permetterà al musicista di cantare il tema e, di riflesso, di individuare il giusto tempo. Gli verranno in aiuto,
delle solide conoscenze formali tali da permettergli quella “scelta appropriata di fraseggio ed espressione” che comporta
“la scelta esatta del tempo”1.
Sempre proseguendo sulla linea del dare importanza al melos e alla chiarezza della melodia nell’esecuzione
(“Deutlichkeit des Vortrages”4), Wagner intavola (in Über das Dirigieren) un lungo discorso sulle modifiche del tempo
all’interno di un brano. Non mi è possibile citare tutte le riflessioni che Wagner propone al riguardo, in quanto mi
dilungherei eccessivamente. Tuttavia, è mio desiderio sintetizzarle brevemente e trascrivere alcune interessanti
riflessioni di Wagner.
Il compositore e direttore di Lipsia ritiene non solo piacevole, ma addirittura indispensabile apportare le dovute
modifiche del tempo principale durante l’esecuzione di un brano. Al proposito propone numerosi esempi, che non posso
proporre in questa sede, ma per i quali rinvio il lettore interessato al saggio wagneriano Über das Dirigieren (cfr. la
bibliografia). Wagner in veste di direttore sostiene che “nella musica classica scritta nello stile più recente la
modificazione del tempo è una conditio sine qua non”1 e in qualità di compositore dichiara: “mai vengono applicate le
necessarie modifiche del tempo, sulle quali faccio affidamento come sulla corretta intonazione delle stesse note, per
ottenere un’esecuzione comprensibile”1.
Riferendosi poi ad alcuni esempi concreti, Wagner spiega come “per non disturbare la principale caratteristica, la
delicatezza, è quindi necessario frenare leggermente il tempo […], così si dovrebbe qui adottare l’estrema nuance del
tempo principale”1.
Ciononostante il tempo non può e non deve essere modificato a piacimento, in quanto “niente può essere più dannoso,
ad un brano di musica, delle nuances arbitrarie del tempo” 1. Le flessioni del tempo vanno invece fatte con un generale
senso artistico e con un’ampia e completa veduta dell’opera che si sta eseguendo, come quella che ha il maestro di ballo
dei Balletti di Vienna o di Berlino: “Qui tutto è nelle mani di un uomo, il maestro di ballo, e quell’uomo conosce il suo
lavoro. Fortunatamente, egli è in una posizione tale da poter dettare la velocità di un movimento all’orchestra, sia in
riferimento all’espressione che al tempo, e lo fa senza seguire un suo particolare capriccio, come un cantante d’opera,
ma con uno sguardo all’ensemble di tutti i fattori artistici; e così […] accade che l’orchestra suoni correttamente!” 1.
Bisogna saper comprendere, affidandosi alla propria sensibilità e alla propria musicalità, quale sia il tempo adeguato e
quali le modifiche appropriate che esso debba subire nel corso del brano. Non bisogna però spaventarsi, quando non si
sa quale possibilità scegliere. Infatti lo stesso Wagner porta un esempio in cui “questo tempo Moderato in 4/4 può
essere interpretato in molti modi: […] quattro vigorose battute in semiminime, che così esprimeranno un Allegro
veramente animato […]; o può venir pensata come una semifrase composta di due battute di 2/4, permettendo […] di
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assumere il carattere di un vivace Scherzando. Oppure, può anche essere interpretato come alla breve […] eseguito con
due battiti moderatamente lenti per battuta.”1.
È dunque indispensabile che ogni musicista sia disposto a modificare convenientemente il tempo principale “per
rendere nel migliore dei modi le opere di Beethoven e di altri autori di musica classica”1. Infatti, riferendoci
all’esecuzione dell’Egmont che Wagner diresse a Monaco, “queste modifiche semplici, ma indispensabili, produssero
una nuova lettura dell’ouverture, quella corretta” 1.
5. Cosa insegna ai musicisti di oggi quanto Wagner ci ha tramandato?
Per esigenze di sintesi, questo punto è stato scritto in maniera molto breve, telegrafica. Esso presuppone quindi la lettura
dei punti precedenti.
Wagner ci propone un approccio alla lettura della musica sostanzialmente diverso da quello cui siamo oggi abituati. È
nostra abitudine aggrapparci in modo quasi morboso allo spartito, ritenendo che esso contenga in tutto e per tutto il
pensiero e il desiderio del compositore. Wagner invece sottolinea come in realtà la notazione non sia altro che un
sistema di scrittura, e come tale abbia dei limiti imposti dalla convenzione adottata. Per riuscire veramente a penetrare il
pensiero del compositore, occorre fare capo alla propria sensibilità musicale (sostenuta e nutrita dalle conoscenze
storiche e teoriche, ma anche forse interiori, emotive, spirituali) e, laddove necessario, è perfino possibile suonare in
maniera diversa da quella scritta sulla carta, purché queste eventuali modifiche non siano fini a se stesse ma frutto di
una precisa riflessione e maturazione artistica.
L’essenziale è mai permettersi di modificare il pentagramma in maniera impulsiva e istintiva, in quanto si rischierebbe
di cadere nel dilettantismo e di non rendere il giusto onore né al brano, né al compositore, né alla musica stessa (è
quanto si verifica quando parliamo di un’esecuzione “fuori stile”). Infatti “esiste una differenza tra una lettura istintiva
ed una lettura fedele alle intenzioni del compositore. È fuor di dubbio che entrambe comunichino qualcosa, ma la
qualità di questo “qualcosa” e il vero senso del passaggio non possono essere trasmessi se non vengono suonati così
come li aveva immaginati il compositore”1, ovvero dopo un’attenta valutazione e commaturazione artistica.
In ogni modo non bisogna mai permettersi di suonare un qualsivoglia brano senza cercare di andare oltre quanto scritto
sullo spartito, nel tentativo di avvicinare il significato di quanto si suona, eseguendolo in maniera fredda e impersonale,
magari invocando esigenze di fedeltà al testo. Quando suoniamo teniamo piuttosto ben fissa la nostra mente sulle parole
di Wagner, che sono anche le mie: “preferisco avere a che fare con persone che si rivolgono alle orecchie e ai
sentimenti”1.
6. Bibliografia
·
LUDWIG VAN BEETHOVEN, Symphonie Nr. 9 in d-moll op. 125, Bärenreiter Urtext, 1999 (ristampa del 2001)
·
RICHARD WAGNER, Zum Vortrag der neunten Symphonie Beethoven’s in RICHARD WAGNER, Gesammelte Schriften
und Dichtungen, Gigel’s Musikalienhandlung, Leipzig (9. Band)
·
RICHARD WAGNER, L’interpretazione della musica (Über das Dirigieren), Pagano
·
DAVID PICKETT, A Comparative survey of rescoring in Beethoven’s symphonies in Aa. vv., Performing Beethoven,
Robin Stowell, Cambridge 1994
·
HARVEY SACHS, Direttori d’orchestra storici commentano la Nona Sinfonia di Beethoven
7. Ringraziamenti
Ringrazio vivamente e di tutto cuore i maestri Hubert Eiholzer e Massimo Zicari, che mi hanno guidato e stimolato in
questo mio lavoro. In particolare, il mo. Eiholzer mi ha suggerito il tema, indicato i testi di riferimento e mi ha aiutato
ad accedere al testo tedesco, mentre il mo. Zicari ha provveduto a tradurmi il passo più saliente del saggio di Wagner
sull’interpretazione della nona di Beethoven, che altrimenti non riuscivo purtroppo a comprendere completamente.
È essenzialmente grazie al loro prezioso aiuto che ho potuto sviluppare questo interessante e spero utile lavoro.
NOTE
i
RICHARD WAGNER, L’interpretazione della musica (Über das Dirigieren), Pagano
Sebastiano Lava, A.A. 2003-2004
pagina 6
Sebastiano Lava – Via al Fiume 23b – 6596 Gordola
Storia della musica – La nona di Beethoven dagli occhi di Wagner
RICHARD WAGNER, Zum Vortrag der neunten Symphonie Beethoven’s in RICHARD WAGNER, Gesammelte
Schriften und Dichtungen, Gigel’s Musikalienhandlung, Leipzig (9. Band); traduzione italiana di Massimo Zicari
iii
Questo aspetto è proprio quell’interessante punto che avvicina, dal profilo teorico, l’approccio wagneriano
all’approccio autenticista.
iv
RICHARD WAGNER, Zum Vortrag der neunten Symphonie Beethoven’s in RICHARD WAGNER, Gesammelte
Schriften und Dichtungen, Gigel’s Musikalienhandlung, Leipzig (9. Band)
v
Wagner infatti, sempre nel suo saggio Zum Vortrag der neunten Symphonie Beethoven’s, scrive: “Potrebbe
apparire tropo azzardato e non conforme al carattere della strumentazione beethoveniana […] se si volesse eliminare
completamente il flauto, oppure riportarlo come raddopio all’unisono per rafforzare l’oboe”.
vi
vedi appendice, rigo B
vii
vedi appendive, rigo D
viii
“Wagner proposed alterations to the woodwind scoring of bars 138-45 […] of the first movement were
adopted in principle by Weingartner, Mahler and Mengelberg, all three differing in detail from Wagner and from each
other” (DAVID PICKETT, A Comparative survey of rescoring in Beethoven’s symphonies in Aa. vv., Performing
Beethoven, Robin Stowell, Cambridge 1994)
ix
“Wagner, noting how difficult it is for the important thematic material in the woodwind to be heard against
the powerful string octaves of bars 93-108 […] of the Scherzo, reccomends reinforcing the woodwind with the horns,
who are able to contribute little in Beethoven’s original. There have been different responses to this: Mahler,
Weingartner and Strauss all accepted this advice in principle, while incorporating their own minor variants; in the
recordings of Mengelber and Toscanini one can hear little else but horns; while Furtwängler managed to blend the horns
skilfully into the texture. Walter and Klemperer used Beethoven’s original scoring, but reduced the power of the
strings” (DAVID PICKETT, A Comparative survey of rescoring in Beethoven’s symphonies in Aa. vv., Performing
Beethoven, Robin Stowell, Cambridge 1994)
x
dal “più regolare e rigido dei tempi, squadrato dall’inizio alla fine!” (RICHARD WAGNER, L’interpretazione
della musica (Über das Dirigieren), Pagano)
2
Sebastiano Lava, A.A. 2003-2004
pagina 7
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