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ALLEGATO
Le schede degli spettacoli
Prima “Rosa”: gli “istituzionali”
Spettacoli nei quali figurano i grandi nomi della tradizione teatrale nazionale, che hanno luogo nei teatri più
antichi della città e propongono un approccio classico al linguaggio teatrale, che gli studenti possono più
facilmente riconoscere come affini alla loro esperienza di spettatori.
MOLTO RUMORE PER NULLA
di William Shakespeare
regia Giancarlo Sepe
martedì 14 gennaio, Teatro Eliseo
Come la maggior parte delle commedie shakespeariane Much Ado About Nothing sviluppa due vicende
parallele: la relazione continuamente sfuggente tra Hero e Claudio, tra complotti, desideri e inganni, e quella
tra Beatrice e Benedick che non è altro che un pretesto per una serie di dialoghi brillanti e arguti. Sullo
sfondo dei rapporti tra i personaggi risiede la parola, vera protagonista del dramma, quel “rumore” che si
propaga dalle voci umane e le prescinde, dirigendole e intrecciandole nei fili della scena. È il legame sottile
tra la verità e la finzione, tra il teatro e la vita, che Shakespeare continua a raccontarci. E sulla base di
questo testo “già scritto”, come dice lo stesso regista, Giancarlo Sepe, si misura la creatività contemporanea,
in una messa in scena “en plein air”, ambientata in una comunità gipsy tra balli, canti e parole.
BALLATA DI UOMINI E CANI
di e con Marco Paolini
Venerdì 30 gennaio, Teatro Argentina
La vertiginosa affabulazione di Marco Paolini parte alla ricerca di uno dei geni indiscussi della narrativa di
sempre, Jack London. Al centro del viaggio c'è il complesso rapporto tra uomo e natura, “per parlare del
senso del limite oggi: in una cultura che ha fatto, e continua a fare, del "no limits" uno dei propri slogan, dove
a parlare di "senso del limite" si rischia la derisione, ci sembra che Jack London acquisti un valore in più
anche per questo suo non giudicare la natura e le conseguenze del proprio agire in rapporto ad essa”. Così
Paolini stesso presenta questo progetto, che intreccia vari racconti dello scrittore americano, scovando
gioielli nascosti e lasciandosi guidare da uno dei titoli più significativi, To build a fire, da London pensato
originariamente come romanzo per ragazzi e poi riscritto, modificandone il finale, e pubblicato nel 1910 nella
versione divenuta celebre. La sopravvivenza è il tema che intreccia, in una narrazione sincopata e visuale, le
vicende di un uomo, di un cane e, va da sé, del Grande Nord.
IL GIUOCO DELLE PARTI
di Luigi Pirandello
regia Roberto Valerio
Martedì 4 marzo, Teatro Eliseo
La vicenda della commedia è nota; i soliti tre: il marito, la moglie, l’amante. Il marito, Leone Gala, s’è
separato amichevolmente dalla moglie; egli continua ad essere ufficialmente il marito; ma vive per conto
proprio in una casa che è quasi un romitaggio. Ogni sera tanto per salvare le apparenze, passa dal portinaio
della signora, domanda se c’è niente di nuovo e se ne va. La moglie fa due cose: si prende, o continua a
tenersi, un amante preso in precedenza, e si annoia. Si annoia perché è libera, sì, ma in fondo la sua libertà
è relativa. E’ una libertà che il marito le concede e ciò la irrita. Se almeno il marito si disperasse per essere
lontano da lei! Se almeno fosse geloso! Ma no, egli è tranquillo; egli s’è vuotato d’ogni sentimento; è ormai
uno spettatore del mondo. Scritta nel 1918 e portata in scena per la prima volta da Osvaldo Ruggero, Il
giuoco della parti è una delle più importanti commedie di Pirandello e Leone Gala è la più compiuta
incarnazione della poetica de L'umorismo, basata sul riconoscimento e sullo smascheramento delle finzioni
sociali e personali.
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CIRCO EQUESTRE SGUEGLIA
di Raffaele Viviani
regia Alfredo Arias
Martedì 25 marzo, Teatro Argentina
«Davanti alla casa in cui abitavo con i miei genitori, si estendeva un terreno abbandonato dove un giorno
arrivò un circo molto povero, senza nemmeno il tendone, ma solo stoffe rattoppate. Al centro si innalzavano i
pali con i trapezi. Dall’esterno si potevano vedere, senza pagare, i volteggi di poveri acrobati. Qualche
animale triste passeggiava senza comprendere questo paesaggio di desolazione. L’orso, la zebra e il
dromedario asciugavano le loro lacrime sotto un sole opprimente che bruciava questa Pampa urbana». Si
tratta di uno dei tanti ricordi d’infanzia del regista argentino Alfredo Arias, che realizza uno spettacolo su
Circo Equestre Sgueglia, uno dei testi più noti di Raffaele Viviani. I lavori di Arias uniscono l’interesse per la
spettacolarità del musical alla passione per il teatro en travesti, il grottesco e la maschera: tutti elementi che
si prestano brillantemente all’allestimento di Circo Equestre Sgueglia. Ambientato tra baracconi, giostre e
trapezi, il dramma si snoda attraverso le alterne vicende della famiglia proprietaria dell’omonimo circo,
metafora universale di un mondo povero e precario.
PORNOGRAFIA
di Witold Gombrowicz
regia Luca Ronconi
Mercoledì 9 aprile, Teatro Argentina
Con Pornografia di Witold Gombrowicz Luca Ronconi affronta ancora una volta la realizzazione scenica di
un’opera non teatrale. Il Maestro resta fedele alla parola, al testo dell’autore: non si tratta, infatti, di una
sceneggiatura del testo, ma di una trasposizione, di una lettura analitica del romanzo attraverso gli strumenti
che sono quelli del teatro, a partire dagli attori.
Nel pensiero del regista il tema-chiave del romanzo è quello che lo stesso Gombrowicz ha enucleato: "due
signori di mezza età restano affascinati dall’incontro con un ragazzo e una ragazza e si stupiscono della
relativa indifferenza dei due, mentre loro immaginano le infinite potenzialità erotiche di questa coppia". Ad
una prima analisi si potrebbe pensare solo ad un rapporto tra vecchi e giovani, ma la relazione che s’instaura
tra queste persone, da una parte Witold e Federico e dall’altra i giovani Carlo e Enrichetta, è molto più sottile
e profonda, e assolutamente non generazionale. In realtà i due protagonisti mettono in atto una vera e
propria aggressione alla giovinezza altrui, che è tutt’altra cosa. Assistiamo al tentativo di trasformare quella
giovinezza o perfino di distruggerla.
Seconda “Rosa”: gli “emergenti”
Spettacoli che hanno luogo in spazi teatrali moderni, non necessariamente ubicati nel centro storico, dedicati
alle compagnie emergenti o ai giovani talenti del teatro o ad artisti giunti a teatro passando per altre
esperienze, che propongono un teatro meno legato alla tradizione classica.
IL RITORNO A CASA
Di Harold Pinter
Regia: Peter Stein
15 gennaio, Teatro Palladium
Harold Pinter scrive "Il ritorno a casa" nel 1964: è uno dei primi testi della maturità artistica del drammaturgo,
la cui opera inizia in quegli anni ad essere riconosciuta a livello internazionale. Il dramma, caustico e feroce,
racconta il disgregamento di legami familiari fondati sull’ipocrisia e sulle cancrene che dolori ed esperienze
interne ed interiori hanno maturato nel tempo. Fattore scatenante è, appunto, il ritorno a casa di Teddy, dopo
anni di lontananza. L’uomo porta con sé la moglie Ruth, unico elemento femminile in un universo di uomini. Il
suo arrivo avrà effetti sconvolgenti e per certi versi inaspettati: accolta come elemento estraneo verso cui
sfogare la propria misoginia, Ruth viene accettata e inserita in un gioco al massacro in cui appare allo stesso
tempo come vittima e carnefice: sarà il marito Teddy ad andarsene da solo.
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"Sin da quando ho visto la prima londinese, quasi 50 anni fa, ho desiderato mettere in scena Il ritorno a
casa. È forse il lavoro più cupo di Pinter, che tratta dei profondi pericoli insiti nelle relazioni umane e
soprattutto nel rapporto precario tra i sessi. La giungla nella quale si combatte è, naturalmente, la famiglia.
[…] Come sempre nei finali di Pinter tutto rimane aperto. L’immagine finale mostra la donna imponente, con
gli uomini frignanti e anelanti ai suoi piedi e nessuno sulla scena e nell’uditorio saprà quello che può
accadere.” Peter Stein
QUARTETT
di Heiner Müller da Pierre Choderlos de Laclos
regia Valter Malosti
Martedì 18 febbraio, Teatro Piccolo Eliseo Patroni Griffi
Del romanzo epistolare di De Laclos, Le relazioni pericolose, si erano visti felici adattamenti cinematografici
diretti da Miloš Forman e Stephen Frears. Ma aveva già debuttato in teatro la versione riscritta da Heiner
Muller, il maggior drammaturgo tedesco novecentesco dopo Bertolt Brecht. L'intricata trama di seduzioni e
tiri mancini che lega due nobili e crudeli libertini, il visconte Valmont e la marchesa di Merteuil nella Francia
pre-rivoluzionaria ha per Muller un colore ancora più crudo, brutale, pieno di humour nero, in cui la prosa si
spinge, nella raffinatezza, persino oltre la poesia. Il moralismo si mischia con l'immoralità che tenta di
condannare, alla scoperta – squisitamente adatta alla forma teatrale – delle più profonde tenebre dell'anima,
riscrivendo il romanzo epistolare di Laclos per due soli personaggi che ne interpretano quattro: Valmont e
Merteuil si scambiano i ruoli e impersonano a turno le loro vittime. Con questa regia, Valter Malosti, uno dei
più affermati artisti della scena italiana (in scena con la pluripremiata attrice Laura Marinoni) punta, dichiara,
alla “percezione sensuale del testo, trovando radici nella sua dimensione pre-verbale, nel suono oltre che,
naturalmente, nel mistero dei corpi”.
GIULIO CESARE
di William Shakespeare
Regia di Andrea Baracco
21 gennaio e/o 2 febbraio, Teatro Vascello
Nel Giulio Cesare Shakespeare mette in scena una società in via di estinzione (quanta lungimiranza!), una
società colta esattamente nell’attimo terminale del proprio crollo, una società vittima del suo fallimento
intellettuale, spirituale e politico.
Shakespeare disegna una Roma livida e ferocemente allucinata dove sullo sfondo, al di là dei colli e dei
monumenti, compaiono le nitide sagome di avvoltoi e di famelici cani rabbiosi pronti a scagliarsi con
insaziabile violenza addosso a corpi mal conciati dal crollo fisico e nervoso.
Perché l’universo onirico è così presente nel testo in questione? Di che materia sono fatti i corpi dei
personaggi che in quell’universo sembrano vivere? In quale luogo nasce la violenza arbitraria? Dove trova il
suo terreno fertile? Shakespeare sembra suggerirci che la violenza incondizionata è l’unico strumento che la
collettività è in grado di utilizzare per uscire dalle proprie crisi, dai propri disequilibri e crolli nervosi;
aggregarsi per commettere delitti e assassinii contro colui o coloro che vengono, a torto o a ragione, reputati
i responsabili della crisi stessa. Siamo davvero certi che l’antico meccanismo del “capro espiatorio” sia
soltanto un lontano ricordo dalle società arcaiche? Andrea Baracco
QUI E ORA
Di Mattia Torre
Regia Mattia Torre
28 febbraio, Teatro Ambra Jovinelli
Qui, in una periferia di una grande città e Ora in un tempo quasi immobile: "Due scooter di grossa cilindrata
subito dopo l’impatto: il primo ribaltato, idealmente conficcato a terra, il secondo irriconoscibile, un disastro di
lamiere ancora fumanti. Un incidente importante, spettacolare. A terra, a pochi metri l’uno dall’altro, due
uomini sulla quarantina; il primo immobile, potrebbe essere morto, l’altro piano muove un piede, a fatica si
alza. E anche il primo apre gli occhi. Avrebbero bisogno di aiuto, ma non lo avranno; avrebbero bisogno di
cure, ma i soccorsi non arriveranno prima di un’ora e mezza. Intorno a loro, per loro, niente e nessuno...".
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Nonostante vivono la stessa situazione di pericolo e difficoltà i due continuano a riconoscersi come nemici e
allora Qui e Ora sembrano essere il tempo e lo spazio dove il cinismo e la sfiducia nell'altro e nelle istituzioni
si mescolano al senso di inadeguatezza, di vuoto sociale trasformando tutto in un disastroso impasto di
violenza e tensione.
Qui e Ora è una denuncia ma anche un invito a cambiare dal basso e' il teatro che "... può e deve,
militando, lanciare grida disperate, esorcizzare fatti terribili, e lanciare taciti giocosi inviti alla concordia..."
LA TEMPESTA
di William Shakespeare
Regia di Valerio Binasco
Giovedì 13 marzo, Teatro Vascello
"Questo è il primo spettacolo di un gruppo di Artisti che ha deciso di sfidare i tempi bui - dice Binasco - per
fare grandi classici con pochi soldi. Ho l’onore e la fortuna di guidare questa grandiosa ensemble, e di
condividere con loro i giorni della ricerca e delle prove. Non sappiamo dove stiamo andando, ma siamo certi
che non ci fermeremo. La Tempesta è una tempesta, e si deve ballare o affondare. Amen. Ci chiameremo
Popular Shakespeare Kompany. La nave ha un nome, adesso. E una meta. Si va."
A proposito di questo spettacolo, che vedrà nel ruolo del protagonista (Prospero) lo stesso regista, Binasco
afferma: "La Tempesta è uno dei testi più misteriosi e affascinanti del teatro mondiale. Gran parte del suo
fascino dipende proprio dal suo mistero…", commenta lo stesso Binasco nelle note di regia: "Cercare il
bandolo della matassa è inutile; è molto meglio puntare dritti al cuore della matassa, e perdersi. Qual è il
cuore de La Tempesta? Per me è un dramma (malinconicamente) giocoso sulla fine della civiltà, sulla fine
della vita e sulla fine delle cose in generale.
FRIDA KAHLO. Il ritratto di una donna
testo e regia Alessandro Prete
Venerdì 11 aprile, Piccolo Eliseo Patroni Griffi
Lo spettacolo prende spunto dalla straordinaria ed intensa vita vissuta da Frida Kahlo. Prenderanno vita
sulla scena sei dei suoi celebri quadri, attraverso sei storie di sei donne diverse tra loro. Filo conduttore delle
storie saranno i simbolismi rappresentati nei quadri stessi. Ad ogni gesto delle sei protagoniste corrisponderà
una pennellata sullo sfondo. Ad ogni storia conclusa corrisponderà quindi un quadro compiuto. Vedremo
Frida Kahlo per come la conosciamo solo all’inizio, come introduzione ai quadri e alla fine come
celebrazione di un’eredità che la stessa pittrice vuole lasciare alle donne. Non vedremo rappresentata una
biografia realistica della pittrice, ma altresì, racconteremo la donna, in ogni luogo, in ogni spazio ed in ogni
tempo, fino a raggiungere l’idea di Frida Kahlo intesa come icona femminile.
LA SCUOLA
di Domenico Starnone
regia Daniele Luchetti
Venerdì 4 aprile, Teatro Ambra Jovinelli
Era il 1992, anno in cui debuttò Sottobanco, spettacolo teatrale interpretato da un gruppo di attori
eccezionali capitanati da Silvio Orlando e diretti da Daniele Luchetti. Lo spettacolo divenne presto un cult,
antesignano di tutto il filone di ambientazione scolastica tra cui anche la trasposizione cinematografica del
1995 della stessa pièce che prese il titolo La scuola. Fu uno dei rari casi in cui il cinema accolse un
successo teatrale e non viceversa.
Lo spettacolo era un dipinto della scuola italiana di quei tempi e al tempo stesso un esempio quasi profetico
del cammino che stava intraprendendo il sistema scolastico.
‘Ho deciso di riportare in scena lo spettacolo più importante della mia carriera; fu un evento straordinario,
entusiasmante, con una forte presa sul pubblico’ dice Silvio Orlando. A vent’anni di distanza è davvero
interessante fare un bilancio sulla scuola e vedere cos’è successo poi.
Il testo è tratto dalla produzione letteraria di Domenico Starnone. Siamo in tempo di scrutini in IV D. Un
gruppo di insegnanti deve decidere il futuro dei loro studenti. Di tanto in tanto, in questo ambiente
circoscritto, filtra la realtà esterna. Dal confronto tra speranze, ambizioni, conflitti sociali e personali, amori,
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amicizie e scontri generazionali, prendono vita personaggi esilaranti, giudici impassibili e compassionevoli al
tempo stesso. Il dialogo brillante e le situazioni paradossali lo rendono uno spettacolo irresistibilmente
comico.
Terza “Rosa”: gli “sperimentali”
Spettacoli prodotti da enti che favoriscono la sperimentazione, che hanno luogo in teatri indipendenti o in
spazi alternativi e che si caratterizzano per la contaminazione con altri linguaggi, come la danza o il video, e
per il carattere innovativo rispetto alla forma teatrale classica.
BALKAN BURGER
di Stefano Massini
Venerdì 17 gennaio, Teatro Argot
Un’appassionata e appassionante narrazione per voce sola e musica dal vivo ambienta nella ex Jugoslavia
la storia di Rose (o Razna), chiamata così per via della pelle, «rosa come quella di un vitello da latte». Unica
femmina in mezzo a quattro fratelli in una famiglia di macellai ebrei, arricchitasi anche in tempo di guerra con
l’allevamento del bestiame e la vendita della carne: per quanto male possa andare, c’è sempre un momento
in cui un popolo si raccoglie attorno a un tavolo per festeggiare mangiando carne. Quando la Jugoslavia
erano serbi, croati, bosniaci, cattolici, ortodossi, musulmani ed ebrei, etnie di ogni colore e credo mescolate
e macinate, appunto, in un hamburger culturale che cambia sapore a seconda dei confini che traccia. Una
sorta di epopea à la Emir Kusturica porta Rose dalla deportazione alla clausura, dalla lotta di classe alla
resistenza contadina, attraverso tre matrimoni con tre diversi riti, morendo e resuscitando due volte in una
strizzata d’occhio alle vite dei santi e recitando salmi e preghiere in quattro lingue diverse. Una agile
drammaturgia contemporanea in cui il monologo si intreccia ai suoni dal vivo, mettendo in questione lingue e
linguaggi e il ruolo della memoria storica, che qui si fa racconto narrato.
LE PRESIDENTESSE
di Werner Schwab
regia: Maurizio Lupinelli
Venerdì 24 gennaio,Teatro dell'orologio
Le tre Presidentesse di Maurizio Lupinelli sono maschere crudeli, quasi clown mostruosi che parlano in un
vuoto pneumatico e, per tutta la prima parte dello spettacolo, illuminate quasi solo dalla luce di un televisore.
La seconda scena è invece ribaltata: vediamo, ma non c'è nulla da vedere perché la drammaturgia crea una
scena immaginata attraverso il racconto, ed è per questo che dalla voce naturale si passa a
un'amplificazione che avvolge intrecciando tre diverse storie inesistenti.
Il testo descrive qualcosa, a tratti disgustoso, per parlare del disgustato senso di vergogna verso chi si pone
a giudicare i buoni e i cattivi come se fosse vero, come se fosse possibile distinguere davvero e fino in fondo
i buoni e gli assolutamente puri, mettersi dalla parte della ragione, di chi 'sa'.
Per Schwab la parola è una delle possibilità attraverso cui manifestare un disagio verso un certo paesaggio
umano che cerca il – se vogliamo usare una considerazione già fatta da Kundera – kitsch, ovvero che cerca
di negare la merda. Il nostro mondo dove al posto del valore c'è il valutato, al posto dell'uno c'è il prevalere
sull'altro, al posto del corpo come possibilità dell'anima e dunque dell'anima come questione del corpo c'è
una sorta di ipocrita negazione e privazione.
ALMA
Coreografia e Interpretazione Giorgio Rossi
Venerdì 21 febbraio, Teatro dell'orologio
Un viaggio nei sentimenti attraverso le parole di Pablo Neruda, Cesare Pavese, Alda Merini; articolato e
sostenuto nelle sue tappe dalle canzoni di Fabrizio De André, King Crimson, Death in Vegas e John Oswald.
Una danza che si nutre del corpo delle parole di grandi poeti per arrivare al corpo delle emozioni di chi
guarda e ascolta e sente. In scena libri, addosso costumi di uso quotidiano che cangiano, connotazioni e
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forme, come cambiano gli stati dell’anima e le forme del tempo. Le parole dei poeti sono affidate ad un
supporto audio. Una scelta che per alcuni snatura l’idea di teatro e dell’essere in scena, per altri rimanda,
invece, all’eco ritornante di un vento forte che persiste nell’udito, anche dopo ore ormai al riparo.“Il lavoro
verte sul contrasto e l’opposto che è in noi, e il desiderio di reagire a questa inesorabile condizione. Quando
mi chiedono che genere di danza faccio, la risposta è sempre lunga e termina comunque con l’invito a venire
a vedere, sentire, percepire l’evento nel suo compiersi perché è più vicino all’esperienza di una passeggiata
nella natura, nell’atto d’amare che alla comprensione di un concetto astratto legato ad un ragionamento
mentale. Il teatro poetico del movimento è una definizione che può avvicinarsi a ciò che tento di fare in
scena”. Giorgio Rossi
SCENE DA UN MATRIMONIO
regia e coreografia di Roberto Castello
Venerdì 7 marzo, Teatro dell'orologio
TEATRO DELL’OROLOGIO – dal 7 al 9 MARZO
in collaborazione con Festival Danza Urbana (BO) e Urban Bodies (GE) con il sostegno di Ministero per i
Beni e le Attività Culturali e Regione Toscana Una coppia di sposi in scarpe da tennis, seguita da uno strano
personaggio, scende da un autobus, offre calici di champagne ai passanti e li invita a muoversi per le vie
cittadine. I brindisi continuano finché gli sposi si immobilizzano per diventare statue malleabili nelle mani
dell’istrionico accompagnatore. Roberto Castello, danzatore, coreografo e insegnante, nel 1984 è tra i
fondatori di Sosta Palmizi. Nel 1993 fonda Aldes con cui conduce sperimentazioni tra danza, arti visive e
nuove tecnologie. Premio Ubu nel 1986 e nel 2003. Nel 2008 è tra i fondatori di Spam! rete per le arti
contemporanee.
PORTE CHIUSE
di Jean Paul Sartre
Regia Filippo Gili
Martedì 29 aprile, Teatro Argot
“Porte chiuse” non è la condizione di una stanza d’albergo, di una suite, di un inferno qualsiasi o dell’unico
inferno possibile. “Porte chiuse” è quella condizione dell’anima, ma potremmo dir dell’Io, all’interno della
quale risulta impossibile l’autosufficienza, la coscienza di un sé che non passi attraverso il terrificante
sguardo dell’altro. Terrificante. Non per qualche astratto o violento movente. Ma di per sé. Perché è
statutariamente terrificante la condizione dell’uomo, sospeso tra eterno tentativo di una autocognizione
‘essenziale’, e una fatale deriva esistenzialista: la quale esercita giocoforza, su ciascuno di noi, la pressione
costante di una esternità. Solo attraverso la quale, ahinoi, veniamo affermati, contenuti, identificati.
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