Dalla terza di raccolta Myricae* (1894) di Giovanni Pascoli
Lavandare
Forma metrica: Madrigale con rime, composto di due terzine e una quartina di endecasillabi. Schema: ABA CBC DEDE.
Nella campagna autunnale si leva la voce delle” lavandare” che accompagna con il canto la loro fatica; un canto che rimanda, solo accennandolo, alla partenza
di un amore, al passare del tempo, a lungo atteso ritorno…come sempre in Pascoli, la descrizione di un dato di realtà si carica di significati e corrispondenze
simboliche.
Parafrasi
Lavandare
Nel campo mezzo grigio e mezzo nero
resta un aratro senza buoi, che pare
dimenticato, tra il vapor leggiero.
E cadenzato dalla gora viene
lo sciabordare delle lavandare
con tonfi spessi e lunghe cantilene:
Il vento soffia e nevica la frasca,
e tu non torni ancora al tuo paese!
quando partisti, come son rimasta!
come l’aratro in mezzo alla maggese.
Il titolo della raccolta *Myricae è spiegato da
un'epigrafe che adatta un verso di Virgilio "piacciono
gli arboscelli e le umili tamerici" (arbusta iuvant
humilesque myricae), tamerici che sono piccoli arbusti
adatti a simboleggiare una poesia semplice.
Nel campo mezzo arato e mezzo no (mezzo grigio e mezzo nero: la metà grigia è quella non
ancora arata, mentre la metà nera è quella in cui la terra è stata rivoltata dall’aratro) rimane un
aratro abbandonato (senza buoi) che sembra dimenticato, nella nebbiolina (vapore: dà
l’impressione di un fumo che sale dal terreno).
Il ritmo cadenzato (rima con dimenticato del v.3 – rima interna – e indica il ritmo monotono e
sempre uguale del lavoro delle lavandaie) proviene dal fossato (gora) dove le lavandaie
sciacquano nell'acqua i panni (lo sciabordare – onomatopea e rima interna -are) con frequenti
(spessi) colpi sordi (tonfi) e lunghi canti popolari (lunghe cantilene – spessi-tonfi/lunghecantilene: chiasmo, sostantivo-aggettivo/aggettivo-sostantivo):
[In questa strofa (vv.7/10) Pascoli riprende quasi per intero il testo di un canto popolare
marchigiano.] il vento soffia e dai rami le foglie cadono come fiocchi di neve (vento soffia e
nevica la frasca - chiasmo), e tu non fai ritorno al tuo paese! Quando partisti sono rimasta
abbandonata come l’aratro in mezzo al campo non arato (come....aratro: similitudine; maggese:
campo lavorato in maggio e lasciato poi a riposo perché possa tornare ad essere fertile).
Dai *Canti di Castelvecchio (1903) di Giovanni Pascoli
Nebbia
Forma metrica: 5 strofe di 6 versi ciascuna: 4 novenari vv.(1,2,3,5)+ 1 ternario(v.4) + 1 senario (v.6). Il ritmo è cantinelante. Schema: ABCbCd. Il primo verso
di ogni strofa è sempre lo stesso (anafora): Nascondi le cose lontane, sottolinea il valore di invocazione del poeta.
In questi versi la nebbia – anche se qua e là connotata nella sua realistica entità di fenomeno atmosferico – è assunta a simbolo di un atteggiamento esistenziale,
e di una visione del mondo; essa assume il significato di elemento di separazione tra il poeta e la realtà, di difesa del nido (altro simbolo fondamentale
nell’ideologia pasco liana), di esclusione dalla lacerante contingenza storica.
La prima edizione dei
*Canti di Castelvecchio è
del 1903, l’ultima che
comprende ampliamenti e
del 1912. Nella raccolta
sono ripresi e
approfonditi i temi di
Myricae, ma ha
particolare incidenza il
tema del nido famigliare
e delle memorie
autobiografiche
compaiono anche diversi
componimenti di
impianto narrativo
Opere in sintesi
Myricae
Canti di Castelvecchio
Primi e nuovi poemetti
Odi e inni
Carmina
Temi /simboli
Il nido
Affetti famigliari
Opera in prosa
Il fanciullino cioè un
testo di poetica in cui
l’autore descrive il poeta
e il suo modo di
concepire la poesia.
Nebbia
Nascondi le cose lontane,
tu nebbia impalpabile e scialba,
tu fumo che ancora rampolli,
su l'alba,
da' lampi notturni e da' crolli,
d'aeree frane!
Nascondi le cose lontane,
nascondimi quello ch'è morto!
Ch'io veda soltanto la siepe
dell'orto,
la mura ch'ha piene le crepe
di valerïane.
Nascondi le cose lontane:
le cose son ebbre di pianto!
Ch'io veda i due peschi, i due meli,
soltanto,
che danno i soavi lor mieli
pel nero mio pane.
Nascondi le cose lontane
Che vogliono ch'ami e che vada!
Ch'io veda là solo quel bianco
di strada,
che un giorno ho da fare tra stanco
don don di campane...
Nascondi le cose lontane,
nascondile, involale al volo
del cuore! Ch'io veda il cipresso
là, solo,
qui, quest'orto, cui presso
sonnecchia il mio cane.
Parafrasi
Nascondi le cose lontane (non solo i particolari lontani del
paesaggio ma, metaforicamente, anche i ricordi dolenti del
passato), tu nebbia sottile/immateriale (impalpabile) e di un grigio
pallido (scialba – pallida, smorta), tu fumo che ancora
scaturisci/emergi (rampolli) all’alba, tu assomigli a un fumo che si
ha con lampi notturni e da crolli di frane nel cielo (crolli d'aeree
frane: la metafora rende il frastuono dei tuoni durante il temporale
notturno, visti come frane che crollano nel cielo). Nascondi le cose
lontane e per me nascondi il passato lontano che mi ricorda la
morte dei miei cari. Che io veda solo la siepe di questo orto (la
siepe dell’orto: rappresenta il confine tra il nido famigliare e il
minaccioso mondo esterno - Enjambement), il muro (mura – muro
di cinta) che è pieno di crepe piene di valeriane (piante medicinali
con potere sedativo). Nascondi le cose lontane: cose ubriache di
pianto! (ebbre di pianto - metafora) Che io veda solo le piante che
danno le dolci marmellate (mieli = frutti per ottenere marmellate metafora - Solo le piccole cose domestiche possono dare gioia) per
il mio pane nero (pel nero mio pane – metafora per riferirsi alla
dolorosa esistenza del poeta). Nascondi le cose lontane che
pretendono che io le ami ancora e che mi dicono di andare!
(proprio come un bambino, il poeta sente la necessità di
rinchiudersi in un nido e sfuggire ai pericoli della vita, rifiutando
persino di "andare" ed "amare") Che io veda solo quella strada
bianca (bianco di strada - la strada che conduce al cimitero) che
un giorno (quello della morte) dovrò percorrere accompagnato dal
suono lento (stanco – perché suonano a morto) delle campane (don
don - onomatopea). Nascondi le cose lontane, nascondile, sottraile
al cuore che vorrebbe ritornare al volo ad esse (involale al volo del
cuore - Enjambement). Che io veda solo il cipresso (è simbolo di
morte) e solo quest’orto vicino al quale (cui presso - anastrofe)
sonnecchia il mio cane.
Eugenio Montale
Da ricordare…il correlativo oggettivo, il
tema del male di vivere, il tema del varco...
Genova 1896- Milano 1981
Da Ossi di seppia 1920-1927. La poesia è qui essenziale ed evoca ricordi di persone amate e perdute.
Cigola la carrucola
(Da Ossi di seppia)
Cigola la carrucola del pozzo,
l’acqua sale alla luce e vi si fonde.
Trema un ricordo nel ricolmo secchio,
nel puro cerchio un’immagine ride.
Accosto il volto a evanescenti labbri:
si deforma il passato, si fa vecchio,
appartiene ad un altro...
Ah che già stride
la ruota, ti ridona all’atro fondo,
visione, una distanza ci divide.
Scelte metrico-stilistiche.
La struttura dei quattro periodi è bilanciata
sintatticamente: i primi due corrispon-dono ai primi
quattro versi, che contengono l’affiorare del ricordo; gli
altri due occupano due versi e mezzo ciascuno ed
esprimono lo scomparire del ricordo. I primi due
periodi hanno carattere descrittivo; nel terzo l’uso della
prima persona (Accosto) mette in rilievo l’io lirico; nel
quarto compare l’interlocutrice (ti; visione). I primi tre
periodi iniziano con un verbo (Cigola... Trema...
Accosto) e i primi due verbi sono posti prima del
soggetto. I versi sono attraversati dalla trama delle rime
perfette (secchio / vecchio, ride / stride / divide) e
imperfette (fonde / fondo). A fine verso prevalgono suoni
aspri (pozzo, secchio, labbri, vecchio, stride), e vi sono
anche assonanze• (Cigola... carrucola... stride... ruota).
La spezzatura dei versi 7 e 8 esprime la distanza che c’è
tra noi e il nostro passato e l’impossibilità di riviverlo.
La ricerca di un varco nel passato
Stride la carrucola del pozzo, mentre l’acqua portata in
superficie dal secchio sembra fondersi con la luce che la
colpisce. Su di essa affiora un ricordo, si delinea
l’immagine tremula e sorridente di una persona amata.
Quando il poeta accosta il volto a quelle labbra
femminili che crede di vedere, muove la superficie
dell’acqua e fa svanire l’immagine; il cigolio della
carrucola riconduce la visione al fondo oscuro del
pozzo. La lirica presenta l’andamento di un racconto
all’apparenza molto semplice ma dal significato
simbolico complesso. Tutto è effimero, vuole dirci
Montale, non riuscia-mo a trattenere nella memoria
neppure i volti amati e gli istanti di gioia: essi sono solo
un barlume, un’illusione che si spegne, rifluendo nella
profondità dell’inconscio. Il concetto astratto
dell’irrecuperabilità del ricordo è espresso dal po-eta
attraverso immagini concrete: il volto femminile che si
deforma e invecchia allude al fatto che il passato si
modifica nella nostra memoria, si diventa più vecchi; il
ritorno della visione in fondo al pozzo indica che quel
ricordo si allontana definitivamente. Il verso 5 divide la
lirica in due parti e segna il momento dello «scacco», in
quanto contrappone al volto che si avvicina (la
speranza) le labbra che svaniscono (il tentativo vano).
La circolarità della lirica è scandita dal movimento di
risalita (Cigola la carrucola) e di ricaduta (Ah che già
stride), corrispondente a illusione e delusione.
Nella terza strofa Montale insiste nel sottolineare
che egli non ha dimenticato pur essendosi rotto il
rapporto tra lui e la ragazza (definita come
irrequieta e vivace); l’immagine della banderuola
posta sul comignolo, la quale dovrebbe indicare la
direzione mentre in realtà gira senza mai fermarsi,
è un’altra metafora per indicare lo smarrimento
provocato dall’inesorabile fuga del passato. Il
poeta tiene ancora oggi un capo di quel filo dei
ricordi ma la casa, il ricordo della casa, si
allontana sempre di più nel tempo (il cui scorrere
impietoso è simbolicamente rappresentato dalla
banderuola che gira sul tetto). Ormai il poeta tiene
un capo di un filo che non porta a nessuno e da
nessuna parte: ella, la ragazza del ricordo, è
chiusa in chissà quale solitudine (come il poeta,
del resto) e non è presenta nell'oscurità della casa
(diroccata) dei doganieri, dove il poeta si trova.
Nell’ultima strofa il poeta afferma che la speranza
di incontrare nuovamente la ragazza svanisce
sempre più e lui non sa quale sia il modo per
uscire da questo ricordo perché continuamente si
forma e poi si infrange come l’onda che si forma e
poi si rifrange sulla scogliera. Il varco è qui? si
chiede il poeta. L'uscita che porti fuori dal rovente
muro d'orto che non ha aperture e non è possibile
scalare perché in cima ha cocci aguzzi di
bottiglia? Forse è qui il segreto per uscire dalla
solitudine, penetrare il mistero dell'esistenza e
delle cose? Ma può concludere solamente
ribadendo il dubbio assoluto su quale sia il vero
significato dell’andare e del restare, della vita e
della morte. Commento
La poesia appartiene alla raccolta "Le Occasioni"
e il tema del tempo e del ricordo è sviluppato in
quattro strofe, due di cinque versi e due di sei,
alternate. I versi sono liberi ma in prevalenza
endecasillabi.
Il componimento nasce dal ricordo dell’incontro
con una giovane, che rimane tuttavia
indeterminato e assume essenzialmente un
significato simbolico tanto che è del tutto superfluo
conoscerne le circostanze reali. Anche la casa dei
doganieri, posta sulla riva del mare e
abbandonata, è più un luogo che appartiene alla
memoria del poeta che non un luogo reale.
Ciò che davvero conta è frattura fra il poeta e la donna,
così come fra il presente e il passato: lei non ricorda, è
lontana per sempre, forse morta mentre la casa l’attende
desolata, senza speranza di rivederla.
Nel presente dunque il poeta è solo e ricorda, nel disperato
tentativo di non lasciar fuggire il passato, di dare senso
alla vita recuperando un legame, una possibilità di
comunicazione che invece sfugge.
Nella poesia molte sono le immagini che esprimono
smarrimento e negatività: la bussola impazzita, il calcolo
dei dadi che non torna, la banderuola che gira senza pietà.
E intanto il tempo fugge, inutilmente il ricordo cerca di
trattenerlo e il poeta sente che tutto si allontana: la casa,
la donna che resta sola lontana da lui. La conclusione è
perciò negativa: l’orizzonte in fuga dell’ultima strofa
corrisponde infatti all’allontanarsi della verità e la rara
luce della petroliera rappresenta solo un barlume che non
illumina l’esistenza.
Eppure il poeta intuisce che c’è la possibilità di cogliere il
senso delle cose, che forse qui c’è un varco che conduce
oltre il muro della solitudine e dell’incomprensione; ma
l’ansiosa domanda Il varco è qui? resta senza risposta.
La realtà resta inesorabilmente la stessa, come l’onda che
si riforma continuamente uguale e il poeta resta ancora
una volta escluso dalla conoscenza: nell’oscurità della
casa della sua sera (tempo reale, del giorno e tempo
psicologica, della vita), egli non sa più chi va e chi viene.
paragonati ad uno sciame di insetti sempre in movimento).
Nella seconda strofa il poeta afferma che il Libeccio, vento
di sud ovest, soffia con violenza sulle mura della casa
ormai abbandonata da molti anni ed oggi la ragazza non è
più lieta come allora, la sua triste presenza è
probabilmente solo nel ricordo del poeta. Seguono due
metafore: la bussola è rotta e non può più indicare con
precisione la direzione; il calcolo dei punti segnati sulle
facce dei dadi non da più il risultato giusto; l’impossibilità
di affidarsi al mare e di leggere il futuro dei dadi stanno ad
indicare lo smarrimento, l’incapacità dell’uomo di dare un
senso ed una direzione precisa all’esistenza. Negli ultimi
due versi il poeta sembra certo che adesso la ragazza non
ricordi essendo la sua memoria impegnata in ricordi di
altri momenti e di altre situazioni; la memoria che come un
filo che si arrotola nel gomitolo aggiunge fatti e ricordi ad
altri fatti e ad altri ricordi. Oggi è solamente il poeta che
inutilmente cerca di rivivere quel lontano passato.
Da “Ossi di seppia” 1920-1927
Fra i temi della poesia di Montale c’è
quello della memoria, come in questa
lirica in cui il ri-cordo è la conferma
che il passato è un’illusione e che i
momenti di gioia lasciano una traccia
di solitudine e di vuoto.
La forma metrica è di endecasillabi•
Le occasioni
variamente
rimati(1928-1939). La raccolta "Le occasioni" comprende le poesie scritte da Montale fra il 1928 e il 1939 ed il primo nucleo del libro è costituito
dalla raccolta "La casa dei doganieri e altri versi", che uscì a Firenze nel 1932.
L'intero volume è diviso in quattro sezioni introdotte da una lirica intitolata "Il balcone", che fa parte della serie dei "Mottetti":si tratta di poesie di carattere
descrittivo in cui è applicata la tecinica del "correlativo oggettivo" usata molto da Thomas Eliot (si veda l'articolo relativo ad Eliot).
Il tema principale di tutta la raccolta "Le occasioni" è la figura femminile vista spesso in senso quasi religioso, salvifico e molto vicino all'immagine della donna che
avevano i poeti stilnovisti del Duecento: quasi tutte le poesie della raccolta sono in realtà delle dediche a diverse donne che hanno costituito dei punti di riferimento
importanti nella vita di Montale, ad esempio Anna degli Uberti (conosciuta in Liguria a Monterosso) oppure Irma Brnadeis, un'ebrea americana studiosa di Dante e
fuggita negli Stati Uniti dopo le leggi razziali emanate dal fascismo nel 1938.
La casa dei doganieri
(Da Le occasioni)
Tu non ricordi la casa dei doganieri
sul rialzo a strapiombo sulla scogliera:
desolata t’attende dalla sera
in cui v’entrò lo sciame dei tuoi pensieri
e vi sostò irrequieto.
Libeccio sferza da anni le vecchie mura
e il suono del tuo riso non è più lieto:
la bussola va impazzita all’avventura
e il calcolo dei dadi più non torna.
Tu non ricordi; altro tempo frastorna
la tua memoria; un filo s’addipana.
Ne tengo ancora un capo; ma s’allontana
la casa e in cima al tetto la banderuola
affumicata gira senza pietà.
Ne tengo un capo; ma tu resti sola
né qui respiri nell’oscurità.
Oh l’orizzonte in fuga, dove s’accende
rara la luce della petroliera!
Il varco è qui? (Ripullula il frangente
ancora sulla balza che scoscende ...)
Tu non ricordi la casa di questa
mia sera. Ed io non so chi va e chi resta.
La poesia indica già dal titolo l’ambientazione
del ricordo del poeta: questa casa, che è uno
dei posti di guardia della dogana situati lungo
la costa, si trova a Monterosso ed è il luogo in
cui Montale ha conosciuto una giovane
villeggiante di nome Arletta o Annetta, alla
quale egli si rivolge nel componimento, che gli
ispirò molte liriche nelle quali è presentata
come una fanciulla morta giovane. La realtà
biografica è comunque probabilmente diversa
da quella poetica: Annetta è stata identificata
con quasi assoluta certezza in Anna degli
Uberti, figlia di un ammiraglio romano nata nel
1904, la quale, fino al 1924, trascorse
regolarmente le vacanze estive a Monterosso;
dopo quella data i rapporti tra la ragazza e
Montale cessarono quasi del tutto, sebbene
Anna degli Uberti sia vissuta ancora molti anni,
fino al 1959.