LUISS Guido Carli Istituto di Studi Giuridici – Facoltà di Giurisprudenza Via Parenzo, 11 - tel. 06/85225.810 OSSERVATORIO COSTITUZIONALE Seminario su: I MUTAMENTI COSTITUZIONALI IN ITALIA NEL QUADRO DELL’INTEGRAZIONE EUROPEA Incontro del 14 gennaio 2000 sul tema “Cittadinanza europea e rappresentanza” (introdotto dal prof. Antonio Lòpez Pina) Resoconto redatto dai dott.ri Giuseppe Allegri ed Elisabetta Canitano Bollettino n. 1/2000 Il calendario e i resoconti delle iniziative dell’Osservatorio Costituzionale sono reperibili sul sito Internet dell’Università Luiss Guido Carli (www.luiss.it). Per informazioni e comunicazioni: e-mail: [email protected] Realizzato nell’ambito della ricerca di rilevante interesse nazionale cofinanziata dal Murst (1998-1999) 1 SERGIO PANUNZIO, dopo aver presentato il Prof Lòpez Pina, ordinario di Diritto costituzionale nella Università Complutense di Madrid e titolare nella stessa Università della Cattedra Jean Monnet di Cultura giuridica europea, gli dà la parola per introdurre la riunione sul tema del Principio di sussidiarietà come limite all'esercizio di competenze nell'Unione Europea. ANTONIO LÒPEZ PINA inizia la sua relazione sottolineando che la costruzione dell'Europa è l'affanno di questo periodo. In particolare il problema consiste nel sapere quale possa essere nell'ordine politico in costruzione, per via delle mutate circostanze, la distribuzione formale del potere pubblico, quali il suo significato e il suo fine. Attraverso il conferimento di attribuzioni tassative, gli Stati membri hanno riconosciuto alla Comunità il potere di esercitare determinate competenze sovrane. Quindi, l'invocazione assoluta del principio delle competenze limitate (art. 5 TCE ) potrebbe esporre all'abbaglio di ritenere che con esso si risolverebbe automaticamente la questione delle competenze tra la Comunità e gli Stati membri. Lòpez Pina osserva che ovviamente non è così, e questo spiega l'accordo tra gli Stati per inserire il principio di sussidiarietà nel Trattato di Maastricht (art. 3 B TCE). La questione di fronte alla quale ci si trova attualmente è che tale decisione politica non ha risolto il problema; anzi, la sua rilevanza ha determinato una ulteriore complessità nell'esercizio delle competenze. Per questo motivo, ci si incontra oggi a Roma presso la LUISS; motivo per cui Lòpez Pina invita a ringraziare il legislatore di Maastricht! Il dato di fatto sul quale l’introduttore dell’incontro invita a riflettere è che nell'esercizio delle competenze trasferite alla Comunità, si va incontro a conflitti normativi e ad incertezze che possono turbare. Come spiegarli? Innanzitutto, le limitate e specifiche attribuzioni conferite alla Comunità per l'esercizio di determinate competenze al posto degli Stati, non frenano la natura dinamica di una Comunità Europea funzionalmente integrata e orientata ad obiettivi. La Comunità risponde all'obiettivo di unificare i mercati e le politiche nazionali, allo scopo di integrare gli importanti compiti che fino a ieri spettavano agli Stati. Pertanto, le norme sulle competenze del diritto comunitario sono orientate non a materie oggettive ma alle funzioni. Competenze delineate in maniera indeterminata, e interpretate teleologicamente al servizio dei fini della Comunità, portano di conseguenza ad un continuo incremento, "di soppiatto", dei poteri degli organi comunitari -, con l'effetto simultaneo di barriera o limite per l'azione legislativa degli Stati membri. Quanto più funzionali e indeterminate saranno le norme dei Trattati, tanta più incisività 2 avrà questo processo continuo di espansione del diritto comunitario e delle conseguenti barriere per il legislatore nazionale. In particolare Lòpez Pina ci tiene a sottolineare che l'incremento delle competenze della Comunità, l'espansione incontrollata del diritto comunitario, lo svuotamento del patrimonio di competenze degli Stati membri e la conseguente residualizzazione del diritto nazionale, hanno provocato malessere nelle società europee. Successivamente, la consacrazione giuridico-positiva del principio di sussidiarietà a Maastricht ha dato luogo a una logica divisione di opinioni: - secondo alcuni, il principio di sussidiarietà è l'architrave dell'ordine federale futuro in Europa (risoluzione della Conferenza dei Presidenti dei Laender, del 20-21.XII.1990). Il principio di sussidiarietà deve controbilanciare l'erosione delle competenze degli Stati membri e, quindi, lo svuotamento dei compiti e delle competenze del Bundestag (BVerfG, NJW 1993, 3047/3057). Il Bundesrat non avrebbe accordato il suo consenso al Trattato di Maastricht, senza una consacrazione del principio di sussidiarietà –, in base alla richiesta dei Presidenti dei Laender tedeschi del 7.VI.1990. - altri invece (Pierre Pescatore, 1995), mentre dubitano che il principio di sussiediarietà possa realmente risolvere alcun problema, preconizzano che esso riporterà "all'anarchia" degli Stati nazionali. Il principio di sussidiarietà collocherà la cura degli interessi generali dei cittadini europei - che con tanto sforzo si era riusciti ad articolare istituzionalmente - nuovamente in mano agli interessi centrifughi e incontrollati degli Stati membri. Considerato che il dibattito si sta svolgendo in una forma inusuale rispetto alle consuete regole di interpretazione costituzionale, Lòpez Pina considera che è probabilmente arrivato il momento di riflettere ad alta voce, in qualità di giuristi, sulla problematica del principio di sussidiarietà. A tal fine, il relatore tenterà di rispondere a tre domande: la prima, sulla natura giuridica del principio di sussidiarietà; la seconda, sulla sua rilevanza costituzionale; la terza, sul suo controllo giudiziale. In questa prima parte della introduzione Lòpez Pina analizza il principio di sussidiarietà nel diritto positivo, partendo dalle previsioni normative, visto che è previsto in vari passaggi dei Trattati dell'Unione e della Comunità. L'art. 5 TCE stabilisce la portata ed il contenuto di tale principio. In base al tenore della disposizione, l'applicazione del principio presuppone che si tratti di ambiti che non sono di competenza esclusiva della Comunità. In tali ambiti di competenze concorrenti, la Comunità interverrà unicamente se e nella misura in cui gli obiettivi dell'azione prevista non possono essere realizzati in maniera sufficiente dagli Stati membri e possono invece, in ragione delle dimensioni o degli effetti dell'azione in questione, essere realizzati meglio a livello comunitario. 3 Lòpez Pina ricorda quindi che il principio di sussidiarietà è inoltre menzionato nel Preambolo del Trattato sull'Unione: "decisi a portare avanti il processo di creazione di un' unione sempre più stretta tra i popoli dell'Europa, in cui le decisioni siano prese il più vicino possibile ai cittadini, conformemente al principio di sussidiarietà". Secondo l'art. 2 TUE, "Gli obiettivi dell' Unione saranno raggiunti secondo le disposizioni del presente Trattato, alle condizioni e secondo i tempi previsti e nel rispetto del principio di sussidiarietà, come definito nell' art. 5 del Trattato costitutivo della Comunità Europea". Pur non essendo espresso letteralmente, il principio di sussidiarietà si trova, inoltre, alla base della normativa sulla cooperazione intergovernativa in materia di Giustizia e Affari Interni: art. 34.2 TUE: "Il Consiglio disporrà e sosterrà …… la cooperazione per il raggiungimento degli obiettivi dell' Unione. A tale fine, per iniziativa di qualunque Stato membro ……". In "linguaggio palatino" Lòpez Pina osserva in particolare che l'art. 5 TCE definisce, destinatari, oggetto, presupposti e strumenti d' azione: - destinatari del principio di sussidiarietà sono gli organi comunitari nell'ambito dei rispettivi compiti e competenze; specialmente, quando esercitano la potestà normativa. - oggetto del principio di sussidiarietà sono le misure e le forme di azione degli organi comunitari nell'ambito delle competenze concorrenti riconosciute dal Trattato. A differenza di un’asse di competenze che distribuisce orizzontalmente i compiti pubblici, il principio di sussidiarità opera verticalmente; in altri termini, le competenze già esistenti saranno esercitate unicamente in determinate circostanze. Il principio di sussidiarietà non inerisce, quindi, tanto all'attribuzione delle competenze, quanto al suo esercizio. E' evidente che nel caso del principio di sussidiarietà, non si tratta nè di limitare l'applicazione di norme di immediata e diretta applicabilità del Trattato, nè di distribuire le competenze tra la Comunità e gli Stati membri: il suo oggetto è, così, solo il corretto esercizio delle competenze. Il principio di sussidiarietà dovrà servire, più che altro, in relazione all'esercizio delle competenze già esistenti, per salvaguardare l'equilibrio federale nell'ordine politico comunitario (BVerfG, 1993; Everling, DVB1, 1993; Mitteilung der Kommission an den Rat und an das Europaische Parlament vom 27.10.1992). Tale principio dovrà preservare l'identità nazionale degli Stati e far sì che essi mantengano un proprio patrimonio di competenze. Dipenderà soprattutto dall’azione pratica del Consiglio, quale legislatore comunitario, la misura in cui il principio di sussidiarietà sarà capace di fare fronte all'erosione delle competenze statali e allo svuotamento dei compiti e delle competenze dei Parlamenti nazionali. La necessarietà di una determinata regolamentazione dipende dalle valutazioni 4 degli organi coinvolti nell'esercizio della potestà normativa. Spetta agli Stati in seno al Consiglio Europeo invocare il principio di sussidiarietà. Perciò, il Consiglio Europeo di Edimburgo ha stabilito che la Commissione, il Consiglio e il Parlamento Europeo ne debbano tenere conto nelle proposte e nelle risoluzioni e debbano in ogni caso motivare se le condizioni richieste dal principio di sussidiarietà sono soddisfatte. La Commissione ha riconosciuto inequivocabilmente che l'onere della prova grava sugli organi della Comunità; intanto, in materia esistono accordi interistituzionali. Lòpez Pina, sottolineando la centralità dell'art. 5 TCE che positivizza il principio di sussidiarietà, ricorda che non lo si deve leggere come una norma ordinaria del Trattato, solo da interpretare e applicare; ma piuttosto tale disposizione normativa eleva il principio di sussidiarietà a parametro, intendendolo come principio generale, in ogni occasione in cui si applicano le norme del Trattato che abilitano la Comunità ad agire. Presupposto per l'effettiva applicazione del principio di sussidiarietà è, in primo luogo, che si tratti di attività in un ambito non di esclusiva competenza della Comunità. In questo modo, il Trattato introduce un concetto di competenza inesistente nelle anteriori versioni del diritto comunitario originario, che neanche il Trattato di Amsterdam definisce. Ad ogni modo, anche se la Corte di Giustizia ha riconosciuto come esclusive determinate competenze della Comunità, ad esempio la competenza per la politica commerciale, la fissazione delle tariffe e del diritto materiale delle dogane, così come i ricorsi per la pesca (EuGH, Slg. 1975, 1355; Slg. 1970, 69; Slg. 1976, 1279), risulta tuttavia problematico stabilire quali materie o ambiti ricadano all'interno delle competenze esclusive della Comunità, e bisognerà interpretarlo a partire dai compiti e dagli ambiti politici di azione. Innanzitutto, Lòpez pina ricorda che il concetto di competenza non esclusiva non è univoco nel diritto comunitario; tanto più non è pacifico quando si tratti della delimitazione oggettiva delle materie. Ben possono le politiche comuni in materia agricola, di circolazione, di libera concorrenza e commerciale essere considerate come competenze esclusive; e tuttavia, nella pratica quotidiana si ricorre al principio di sussidiarietà. Nel caso della politica di libera concorrenza solo a partire da determinate grandezze la Comunità esercita i suoi poteri, mentre per quanto concerne la politica commerciale, la Comunità si basa su determinati accordi con gli Stati membri. Lòpez Pina osserva quindi che specialmente nella realizzazione del mercato interno, che avviene attraverso l'armonizzazione giuridica – essendo, questo, il principale motivo delle regolamentazioni comunitarie -, il principio di sussidiarietà risulta poco efficace. In questo caso, infatti, non ha tanto importanza se, in base all'art. 18 TCE (Trattato di Amsterdam; 8A TCE Trattato di Maastricht), la 5 competenza per il mercato interno è una competenza esclusiva e se, contemporaneamente, serve per la armonizzazione giuridica di cui all'art. 95 TCE (art. 100 A TCE versione di Maastricht), che per sua natura può solamente avere luogo sul piano comunitario. In realtà questo si spiega con il fatto che solo eliminando le differenze tra gli ordinamenti giuridici nazionali si possono raggiungere i fini del mercato interno. In parte, si promuove l'armonizzazione delle regolamentazioni nazionali per timore che gli altri Stati - la gente pensa alla Germania - mantengano le proprie regolazioni nazionali per difendersi di fronte alla concorrenza. Questo, per esempio, è alla base dell'attacco britannico contro le autorità tedesche di supervisione delle compagnie di assicurazioni (Everling, 1997). In secondo luogo Lòpez Pina sottolinea che l'art. 5 TCE definisce finalisticamente il principio di sussidiarietà. Decisivo è se al livello degli Stati membri si possono realizzare i presupposti per raggiungere i fini della misura concreta; altrimenti, si tratta di vedere se gli obiettivi dell'azione in questione si possano ottenere meglio a livello comunitario in ragione della dimensione o degli effetti dell' azione contemplata. Passando all’ultimo punto di questa prima parte della relazione introduttiva, Lòpez Pina sottolinea che il principio di sussidiarietà non opera solamente per "sbloccare" a favore della Comunità materie rientranti nell' esercizio concorrente della potestà normativa. Opera anche riguardo alla scelta dei mezzi, ovvero degli strumenti dell'azione previsti dall'art. 249 TCE. Caratterizzare la direttiva come un tipico strumento per l'esercizio del principio di sussidiarietà (vd. Kommission in Mitteilungen an den Rat und an das Europaische Parlament vom 27.10. 1991) è affermazione tanto corretta quanto incompleta. La direttiva che obbliga lo Stato membro destinatario riguardo al risultato da raggiungere, e che però, d'altra parte, lascia alle autorità nazionali la scelta della forma e dei mezzi (art. 249 TCE), è, rispetto al regolamento (art. 249 TCE), una figura giuridica con la quale se, da un lato, si può imporre il raggiungimento del fine; dall'altro lato si fa sì che l' azione della Comunità non vada oltre quello che sul piano comunitario è necessario fare per ottenere tale fine. Al momento di adottare una misura per il raggiungimento di un fine, nel caso in cui ci sia da decidere se raggiungerlo attraverso regolamento o attraverso direttiva, il principio di sussidiarietà opererà sfavorevolmente rispetto al ricorso al regolamento. A ogni modo Lòpez Pina osserva che non si deve ridurre il principio di sussidiarietà alla relazione tra il regolamento e la direttiva. Il principio di sussidiarietà opera per tutte le azioni nelle quali interviene la comunità; quindi il principio di sussidiarietà obbliga a gerarchizzare in senso contrario la relazione tra le misure previste all' art. 249 TCE ( in tale direzione procedevano le conclusioni sul principio di sussidiarietà del Consiglio Europeo di Edinburgo, del 12.12.1992). Questo significa che 6 se è sufficiente una direttiva, non c'è la competenza per ricorrere al regolamento; quando basta una decisione, non c'è la competenza per adottare una direttiva; quando è sufficiente una raccomandazione, non c' è competenza per una decisione; se infine è possibile ridursi a un parere, non c' è posto per una raccomandazione. Dal principio delle competenze limitate posto in relazione con il senso e la finalità del principio di sussidiarietà, discende un diritto di preferenza degli Stati membri di fronte ad azioni della Comunità. L'onere delle motivazioni e della prova che sussistano le condizioni per una azione sussidiaria dell'organo comunitario (art. 5 TCE) sono in capo all'organo comunitario che vuole far uso di una competenza concorrente (Commissione nella sua comunicazione al Consiglio e al Parlamento Europeo, del 27.X.1992). Bleckmann è arrivato a sostenere l'esistenza di una presunzione di competenze nell'esercizio di competenze concorrenti a favore degli Stati membri. Secondo Kirchhof, la combinazione del principio di sussidiarietà con il principio delle competenze limitate fa in modo che le tendenze centralizzatrici a favore della Comunità si invertano in senso opposto. Con queste considerazioni Lòpez Pina affronta la seconda parte della sua relazione soffermandosi sulla rilevanza costituzionale del principio di sussidiarietà, visto che il Trattato di Maastricht ha posto il principio di sussidiarietà come architrave per il successivo sviluppo della "casa europea". Esso, in aggiunta, ha valore di principio costituzionale per l' esercizio delle competenze trasferite: in questo modo la Comunità si vide arricchita di un elemento strutturale di natura federale. Certamente, la Comunità Europea o l' Unione Europea non sono uno Stato; e nessuno si azzarderà a pronunciarsi sul fatto se gli Stati Uniti d'Europa saranno la conclusione del processo di integrazione. In ogni caso, la Comunità Europea è una federazione sovranazionale (von Bogdandy, 1999), non riducibile ancora per molto a una mera alleanza internazionale di Stati. Quando si vuole che alcuni Stati si compongano in una unità superiore, ovvero, dal basso verso l'alto, e si conferiscono a tale unità sovranazionale competenze sovrane, in particolare competenze per l'esercizio autonomo, immediato e diretto dalla potestà normativa, generalmente vigono per tale delegazione due elementi giuridico-costituzionali: il principio dell'attribuzione definita delle competenze (principio delle competenze limitate), che vieta specialmente di inferire competenze a partire dalla esistenza di fini o compiti, ed il principio di sussidiarietà. Quest'ultimo serve all'esercizio di competenze normative concorrenti. A tal proposito Lòpez Pina ricorda che la Costituzione spagnola abilita al trasferimento di tali competenze: "Mediante legge organica si potrà autorizzare la stipulazione di trattati con cui si 7 attribuisca a un' organizzazione o istituzione internazionale l'esercizio di competenze derivate dalla Costituzione" ( art. 93). Senza ulteriori precisazioni, l'esercizio di competenze concorrenti da parte di organi comunitari in base al principio di sussidiarietà ha senza dubbio rilevanza costituzionale. Tanto più che fino ad ora il Tribunale Costituzionale, il legislatore e la dottrina spagnola non si sono espressi sul punto. All'estremo opposto del caso spagnolo quanto a consapevolezza della problematica, Lòpez Pina cita il caso della Germania, che considera un interesse proprio il principio di sussidiarietà: il concorso della Germania all'Unione Europea è vincolato, dall' art. 23.1 GG, a che l'Europa unita acquisisca il principio di sussidiarietà. In questo senso, il trasferimento di competenze all'Unione Europea viene condizionato costituzionalmente dall'esistenza di determinati elementi di base, tra i quali si trova il principio di sussidiarietà. Ne consegue che, da parte tedesca, si impedisce qualsiasi intento di ridurre l'efficacia pratica del principio di sussidiarietà, sia mediante un' interpretazione estensiva delle competenze esclusive della Comunità, sia attraverso un' interpretazione restrittiva della sua giustiziabilità. Quest’ultima riflessione porta Lòpez Pina ad analizzare la tematica della giustiziabilità di una azione comunitaria sussidiaria, tenuto conto che l'art. 5 TCE non ha solo il carattere di un proclama politico, poiché è allo stesso tempo una norma giuridica del Trattato; pertanto è sottomesso al giudizio della Corte di Giustizia delle Comunità, in base all'art. 220 TCE. Questo è il punto di partenza del Bundesverfassungsgericht nella sentenza sul Trattato di Maastricht; infatti il Tribunale federale costituzionale tedesco afferma che la Corte di Giustizia deve vigilare perché si applichi il principio di sussidiarietà, ma dice anche che la giurisprudenza della Corte di Giustizia è vincolata dal principio di sussidiarietà. Con tali affermazioni, il Bundesverfassungsgericht non vuole solo sottolineare la giustiziabilità giuridico-comunitaria del principio di sussidiarietà; esse evidenziano inoltre che l’assolvimento di tale compito da parte della Corte di Giustizia ha rilevanza costituzionale. Diventa perciò molto difficile rispondere alla questione di quali siano i margini del sindacato giudiziale del principio di sussidiarietà. Senza dubbio, la questione preliminare sulla natura della competenza è esaminabile giudizialmente. Bisogna anche esaminare giudizialmente se la motivazione della misura in questione soddisfa le esigenze dell'art. 253 TCE. Questa norma contiene una clausola formale essenziale (criterio di conformità formale al diritto), e serve alla trasparenza e al controllo degli atti giuridici comunitari. Tale obbligo di motivazione vale allo stesso modo nel caso di competenze concorrenti, nelle circostanze in cui l'organo comunitario che interviene pretende si diano i presupposti per una azione sussidiaria. In questo contesto, la Corte di Giustizia potrebbe chiedersi se i criteri di valutazione e di 8 motivazione della Commissione (esame comparato di efficienza) soddisfano la triplice condizione posta dall' art. 5 TCE. Lòpez Pina sottolinea che il problema centrale sta nella verifica materiale, concreta, del fatto che il fine della misura da adottare non possa essere raggiunto sufficientemente dagli Stati membri e che, di conseguenza, possa essere raggiunto meglio da un'azione comunitaria. Qui ci troviamo dinanzi a concetti giuridici indeterminati, pur se il Consiglio Europeo (Impostazione generale del Consiglio europeo di Edinburgo sull'applicazione del principio disussidiarietà, 12.12.1992 ) ha cercato di concretizzarli. La decisione sul fatto se sussistano le caratteristiche dei presupposti di fatto dell' art. 5 TCE, e sull’eventualità che la Comunità sia chiamata ad intervenire, esige una valutazione di dati e circostanze di speciale complessità, di natura politica, aperti alla discrezionalità oggettiva e politica di coloro che decidono (Hirsch, 1996). Lo stabilire se e in che misura gli obiettivi dell'azione non possano essere raggiunti in maniera sufficiente dagli Stati membri ( art. 5 TC) richiede una valutazione politica, i cui contenuti potranno sempre essere diversi. Questo accade anche con la questione relativa al “se” e “fino a che punto” si possano raggiungere meglio tali obiettivi a livello comunitario, in ragione della dimensione o degli effetti dell'azione contemplata, (art. 5 TCE): a tal proposito Lòpez Pina osserva che bisognerà giudicare secondo criteri politici, per i quali è difficile trovare parametri oggettivi. L’aspetto sul quale il relatore invita a riflettere è che sicuramente tali valutazioni varieranno tra i diversi Stati membri: infatti, presumibilmente alcuni di loro sono più “capaci” in certi ambiti, e rispetto a determinate materie sono in grado di adottare le misure necessarie; altri Stati, invece, no. In particolare, la capacità di azione è diversa a seconda che si tratti di Stati grandi o piccoli, o di Stati finanziariamente forti o deboli. E così accade che agli Stati membri con maggiori capacità di intervento è vietato invocare il principio di sussidiarietà, poichè altri Stati membri sono privi di tale capacità. Questo non risulta tanto dal testo dell'art. 5 TCE, quanto dalla solidarietà comunitaria, che in maniera simile alla lealtà comunitaria è un principio cardine della Comunità. Da quanto finora esposto sulla natura del principio di sussidiarietà, Lòpez Pina ne fa conseguire la necessità di riconoscere agli organi comunitari una ampia discrezionalità nel suo apprezzamento. Tale discrezionalità del legislatore comunitario, concerne la tanto discussa questione della giustiziabilità. Al momento di esaminare gli atti giuridici, la Corte di Giustizia dovrà tenere conto del rispetto del principio di sussidiarietà, però potrà solo sindacare una violazione dei limiti della discrezionalità. 9 Generalmente, la Corte di Giustizia ha evitato di sostituire con il suo giudizio la discrezionalità degli organi; e non dovrà neanche farlo quando si applicherà il principio di sussidiarietà. In questo senso, la Corte di Giustizia segue la tradizione degli ordinamenti giuridici dei paesi latini; tuttavia, anche il Bundesverfassungsgericht riconosce discrezionalità al legislatore quando non interviene sui diritti fondamentali. Analogamente al principio di proporzionalità, il principio di sussidiarietà esige una ponderazione delle misure da adottare, e richiede che la regolamentazione della Comunità non vada oltre la misura necessaria al raggiungimento dei fini del Trattato (Everling, 1997). Esiste un ulteriore problema, sottolinea Lòpez Pina, associato alla natura finalistica del diritto comunitario: considerata l'ampiezza, nella descrizione del Trattato, dei fini da perseguire, l'orientamento finalistico delle competenze comunitarie porta per principio ad una interpretazione estensiva. Non bisogna andare così lontano per inferire competenze a partire dall'enunciazione dei compiti: per restrittiva che sia una norma sulla competenza, la sua connessione a un fine o a compiti di ampia portata comporta una interpretazione estensiva. Per di più, l'orientamento finalistico fa si che la questione della competenza dipenda dalla valutazione sul fatto se la misura in questione favorisca l'obiettivo finale, ovvero se tale misura sia necessaria per il raggiungimento del fine. In ogni caso, si concede al legislatore comunitario un margine considerevole di discrezionalità. Questo conduce tendenzialmente, da un lato, a un ampliamento delle competenze comunitarie, dall' altro, alla non giustiziabilità dell'atto (Jarass, 1996). Su questi profili, secondo Lòpez Pina risulta interessante l'esperienza tedesca: l'art. 72.2 GG fu concepito come limite a una legislazione federale eccessiva in ambiti di competenze concorrenti. Ebbene, proprio ricorrendo alla giurisprudenza del Bundesverfassungsgericht, la clausola di necessità dell' art. 72.2 GG non ha mai potuto dispiegare tale funzione “protettrice”. La necessità di una regolazione legislativa federale fu interpretata come necessità di regolazione giuridica (attraverso il diritto) federale; dall'altra parte, rispetto alla obbligata discrezionalità del legislatore (ovvero, della istanza che dovrebbe limitare tale precetto), il Tribunale dichiarò che essa per natura non è giustiziabile, rimanendo di conseguenza sottratta all'esame del Bundesverfassungsgericht. Perciò agli occhi di Lòpez Pina l'efficacia pratica del principio di sussidiarietà dipenderà molto dall’eventualità o meno di poter sottomettere al controllo giudiziale l'esercizio di competenze attribuite in base a tale principio. La maggior parte degli studiosi ne dubita; soprattutto in considerazione del fatto che il giudizio sul se un argomento può essere affrontato sufficientemente dagli Stati membri o meglio sul piano comunitario, può essere rimesso dalla Corte di Giustizia - a giudicare dalla giurisprudenza finora resa - alla discrezionalità degli organi politici. 10 Altro aspetto sul quale Lòpez Pina si sofferma è quello della relazione tra diritto comunitario e diritto costituzionale, e quindi tra la Corte di Giustizia delle Comunità e i Tribunali costituzionali dei singoli Stati membri: infatti non si deve escludere l’ipotesi che l'esercizio di competenze concorrenti per gli organi comunitari dia luogo a interpretazioni diverse del principio di sussidiarietà tra la Corte di Giustizia e il Tribunale costituzionale di uno Stato membro, ad esempio il Bundesverfassungsgericht. Alla constatazione che, in base all' art. 220 TCE, la Corte di Giustizia deve vigilare sul rispetto del principio di sussidiarietà - ovvero, sui limiti dell'esercizio delle competenze riconosciute dal Trattato -, la sentenza tedesca oppone l’affermazione secondo la quale compete al Bundesverfassungsgericht esaminare se gli organi comunitari si sono attenuti al rispetto dei limiti delle competenze che sono state loro trasferite. Rimane dunque aperta la questione relativa a quale soggetto sia chiamato a constatare con forza vincolante se un atto giuridico della Comunità europea trasgredisce le competenze trasferite dal Trattato: la Corte di Giustizia, il Bundesverfassungsgericht o anche qualsiasi organo statale tedesco? Partendo dalla prospettiva tedesca, Lòpez Pina osserva che difficilmente si potrà sopravvalutare la rilevanza costituzionale del principio di sussidiarietà. Se ci atteniamo alla logica del MaastrichtUrteil, l’esercizio di competenze comunitarie sulla base di un’applicazione non stringente dell'art. 5 TCE, avrebbe le stesse conseguenze dell'autoassunzione delle competenze non trasferite. Tali atti giuridici - secondo il Bundesverfassungsgericht - non risulterebbero vincolanti nel territorio sovrano tedesco; di conseguenza, per ragioni costituzionali, ogni autorità tedesca potrebbe non applicarli in Germania. Per valutare se gli atti giuridici degli organi comunitari ledano il principio di sussidiarietà, il Bundesverfassungsgericht ha previsto la propria competenza. Nel particolare Lòpez Pina fa riflettere che, dato un conflitto normativo tra il diritto costituzionale e il diritto comunitario, se ci domandiamo quale Tribunale possa decidere in forma vincolante su tale scontro o contraddizione, la logica giuridica risponde che la Corte di Giustizia è chiamata a constatare la violazione del Trattato, mentre invece spetta al Tribunale Costituzionale dello Stato membro registrare la violazione della Costituzione. La Corte di Giustizia decide secondo il diritto comunitario, non in base al diritto costituzionale; i Tribunali Costituzionali giudicano secondo il proprio diritto costituzionale, non in base al diritto comunitario. Perciò, ipotizzando un atto giuridico viziato in materia di esercizio di competenze in base al principio di sussidiarietà, esso dovrebbe essere oggetto di una doppia valutazione: da un lato secondo i corrispondenti parametri del Trattato e, dall'altro, in base alla legge parlamentare di “ratifica”. Non si dovrebbe escludere che Corte di Giustizia e Corti costituzionali degli Stati membri arrivino a conclusioni discordanti sul 11 punto. In tale caso, secondo Kirchhof, la natura di "comunità di Diritto" dell’Unione Europea richiede di considerare le diverse pronunce in modo tale da risolvere la contraddizione. Secondo l'idea dello Staatenverbund, i conflitti tra le norme non si evitano nè si risolvono con lo scontro, la sovraordinazione e la deroga delle norme, ma attraverso il rispetto reciproco e la cooperazione. Il parametro giuridico della cooperazione attribuisce alla Corte di Giustizia la competenza ultima per l’interpretazione del Trattato, e assicura attraverso la Corte di Giustizia una interpretazione e applicazione del diritto Comunitario unitaria nella misura del possibile. D’altra parte le Corti costituzionali degli Stati membri hanno la responsabilità del Diritto costituzionale europeo nonché di vigilare affinché si rispetti il mandato costituzionale di applicazione del diritto. Secondo Lòpez Pina l’obbligo di cooperare (BVerfGE 89,155,175) dà una risposta innovatrice alla questione del "controllo sui controllori": sia la Corte di Giustizia che i Tribunali costituzionali hanno una responsabilità propria circa il buon esito della costruzione della Comunità Europea come comunità di Diritto. Ciò dà luogo ad un sistema di equilibrio di poteri tra la Corte di Giustizia e i Tribunali Costituzionali degli Stati membri: dal valore del diritto costituzionale come parametro ultimo per l'applicazione del diritto comunitario in ogni Stato membro, non è leggittimo inferire il dominio del Tribunale costituzionale; dalla dipendenza della Comunità Europea dai Trattati non sarebbe legittimo dedurre la supremazia della Corte di Giustizia (Kirchhof, 1998). A tal punto Lòpez Pina, ferme restando molte possibilità aperte e questioni irrisolte, prova a riassumere quanto ha fin qui sostenuto, abbozzando tre tesi come ipotetica conclusione. Con la prima tesi sottolinea che tutte le competenze sono concorrenti nel loro esercizio, fatta eccezione per la politica monetaria. Il principio di sussidiarietà ha avuto un'influenza benefica, malgrado sia una risposta insufficiente nel momento in cui c'è da configurare giuridicamente una federazione sovranazionale per l'Europa. Con la seconda tesi si afferma che la giustiziabilità del principio di sussidiarietà dipende dai limiti alla discrezionalità del legislatore. La tesi conclusiva ruota intorno al fatto che gli atti giuridici adottati dagli organi comunitari nell'esercizio di competenze concorrenti secondo il principio di sussidiarietà, sono destinati a essere giudicati da due sedi in base a diversi parametri giuridici. Concretamente, da un lato, dalla Corte di Giustizia in base al Trattato; dall'altro, dai tribunali costituzionali degli Stati membri sulla base della Costituzione e della corrispondente legge parlamentare di ratifica. Il relatore invita a considerare che se tali conclusioni contengono un messaggio, questo potrebbe essere: da una parte, una solida costruzione giuridica dell'Europa con la quale si voglia concretizzare nei Trattati le tradizioni costituzionali comuni ai nostri Stati e, quindi, la nostra idea di Diritto. In 12 materia di competenze, non sembra esserci alternativa a una distribuzione per materie obiettive tra la Comunità e gli Stati membri. Dall'altra parte, non si intravede una soluzione dogmatica nè giurisdizionale sia alla soluzione del conflitto tra disposizioni normative, sia alla diversità di interpretazione tra la Corte di Giustizia e i nostri Tribunali costituzionali. Il principio di cooperazione diviene gradualmente il nuovo paradigma del nostro tempo storico. Tuttavia, Lòpez Pina consiglia di non drammatizzare sulla situazione attuale; infatti secondo il suo punto di vista tale situazione implica sia la difesa della nostra idea del Diritto che la preservazione dei nostri Stati, ultima garanzia dei diritti fondamentali dei cittadini. Se ciò deve essere interpretato nel senso che le comuni tradizioni costituzionali ai nostri Stati non ammettono il dominio economico (Kirchhof, 1998) e la connessa relazione di sottomissione della politica al potere economico che caratterizza il Trattato di Maastricht e che ispira l'Organizzazione Mondiale del Commercio, allora il relatore sarebbe l'ultimo a negare tutto ciò. PAOLO RIDOLA prende spunto dalle considerazioni conclusive di Lòpez Pina nelle quali era sottolineata la valenza del principio di sussidiarietà quale "nuovo paradigma", a conclusione di in un quadro estremamente problematico in merito alla sua applicazione nell’ordinamento comunitario. In proposito ricorda una recente opera del filosofo del diritto Höffe, che prospetta una ricostruzione del futuro della democrazia nell’epoca della globalizzazione fondata sul principio di sussidiarietà. Tornando al tema della relazione, quindi all’art. 3B del Trattato della Comunità, osserva che il dibattito è oscillato tra due prospettive alternative: da un lato la tendenza a ricostruire la sussidiarietà comunitaria in termini di efficienza dei processi decisionali, come strumento per individuare il livello più adatto per adottare decisioni, quasi in applicazione del criterio delle economie di scala. E questa è l’interpretazione del principio di sussidiarietà sostenuta recentemente da gran parte degli economisti e degli studiosi di economia pubblica. Tuttavia Ridola sostiene che il principio di sussidiarietà non ha una valenza neutrale rispetto a un sistema di valori, e quindi non può essere letto soltanto in chiave di efficienza, anche nell’ordinamento comunitario. Lòpez Pina, riferendosi all'esperienza della BRD, ha ricordato la Neue Fassung dell'art.72 della Legge fondamentale del 1994: ma proprio in questo caso, il profilo efficientistico della sussidiarietà è stato notevolmente ridimensionato con il richiamo alle condizioni di vita equivalenti e alla clausola della necessarietà. Ridola sottolinea che nell’art. 3B è contenuto non solo il riferimento al livello più adeguato rispetto al quale certe decisioni possono essere meglio assunte, ma anche al principio della necessarietà dell’intervento comunitario: ciò anche perché il principio di sussidiarietà si inserisce nella cornice dell’art. A del Trattato sull’Unione, e quindi è considerato come strumento di una 13 democrazia vicina ai cittadini. Appare poi particolarmente significativo che, nel Protocollo sulla sussidiarietà e sulla proporzionalità annesso al Trattato di Amsterdam, il principio stesso viene concepito come criterio di salvaguardia dei livelli di governo inferiori, anche a livello infrastatuale, con un riferimento importante ai sistemi autonomistici presenti all'interno degli Stati. Ridola condivide tuttavia la cautela di Lòpez Pina nei confronti delle incognite che presenta il panorama della sussidiarietà, e che derivano in primo luogo dalle incertezze sulla giustiziabilità del principio di sussidiarietà. D’altra parte la flessibilità rappresenta anche la risorsa del principio stesso, che è il motore di integrazione piuttosto che di allocazione di competenze tra enti, tra gli Stati e l'Unione. A tal punto Ridola richiama l’attenzione su un’altra incognita di notevole rilievo che si collega al rapporto fra principio di sussidiarietà e deficit democratico dell’Unione Europea; a questo proposito, egli considera prematuro affermare sia che il principio di sussidiarietà sarà uno strumento di potenziamento delle tendenze centralistiche e burocratiche dell’Unione, sia che svolgerà una funzione di allargamento della partecipazione democratica in ambito comunitario. Conclude osservando che il nodo che si dovrà affrontare in futuro è quello della procedimentalizzazione del principio di sussidiarietà; Lòpez Pina ricordava nella sua relazione introduttiva le incognite che presenta una sussidiarietà interamente affidata al ruolo delle Corti e Ridola sottolinea i limiti di una soluzione di questo tipo. Quindi appare opportuno ripensare ad una procedimentalizzazione del principio di sussidiarietà: muovendo dalla premessa che il procedimento non è solo, secondo l'interpretazione di Luhmann, strumento di riduzione della complessità, ma anche, secondo la prospettiva habermasiana, strumento di espansione della comunicazione pubblica, e quindi di costruzione di una Europäische Öffentlichkeit. Per concludere, sembra che le incognite sulla sussidiarietà possono essere riassunte intorno a due alternative: il principio di sussidiarietà come strumento di un assetto fondato su relazioni centralizzate e gerarchizzate ovvero come strumento di un processo politico articolato su più livelli; in ogni caso l’attenzione si concentrerà in futuro sul problema della procedimentalizzazione. ANTONELLO D’ATENA si sofferma sul profilo giuridicamente più rilevante della questione emerso sia dalla introduzione di Lòpez Pina che dalle considerazioni di Ridola: quello della giustiziabilità del principio di sussidiarietà. A tal proposito osserva che partendo dal punto di vista della non giustiziabiltà si giunge alla conclusione che tale principio è regolato esclusivamente dai rapporti di forza delle istituzioni politiche, viceversa se si riconosce che il principio di sussidiarietà sia giustiziabile, questo stesso principio assume una valenza giuridica. Come ha opportunamente sottolineato Lòpez Pina, è da considerare che allo stato attuale il sindacato giurisdizionale si può 14 ricollegare principalmente a due elementi: in primo luogo alla natura della competenza, in quanto il principio di sussidiarietà non opera per quelle competenze che il Trattato qualifica come esclusive e in secondo luogo alla motivazione degli atti. La prima strada può essere definita non ‘conducente’, infatti, esclusa la materia monetaria tutte le competenze comunitarie sono concorrenti e ciò comporta una obiettiva difficoltà nella costruzione di una figura della competenza esclusiva comunitaria dal punto di vista sistematico. In merito si è sviluppato un dibattito per la integrazione del Trattato e sui criteri per l’individuazione delle competenze a carattere esclusivo, seguendo una divisione per materia e non per funzione in modo da giustificare qualsiasi intervento. Per quanto riguarda l’altra strada, quella della motivazione dell’atto, che a D’Atena sembra più produttiva, la Corte di giustizia non formula indicazioni incoraggianti, altresì riconosce che la motivazione del principio di sussidiarietà non è necessaria negli atti comunitari e si preclude così lo strumento di maggiore intervento. D’Atena è d’accordo con Ridola nell’affermare che la strada maestra da percorrere è quella della procedimentalizzazione, in quanto questa può favorire la composizione dei conflitti di interesse e il raggiungimento di accordi; si consideri che il principio di sussidiarietà interviene solamente nel caso di un mancato accordo e non nel caso si raggiunga l’unanimità. D’altra parte la procedimentalizzazione consente l’emergere di elementi di giudizio che rendono meno arbitraria la valutazione della Corte di giustizia e il riferimento al testo dell’articolo del Trattato apre spazi di valutazione creando un self-restraint nel giudice, che non vuole avventurarsi nel terreno del politico. E’ interessante osservare che la Comunità si è andata orientando verso la procedimentalizzazione a partire dal Consiglio Europeo di Edimburgo del 1992, passando per l’accordo interistituzionale, giungendo infine al Protocollo allegato al Trattato di Amsterdam. In questa fase sono state elaborate delle modalità procedimentali di straordinario interesse: per esempio nel Protocollo di Amsterdam viene specificato che il procedimento deve arrivare a motivazioni, non solo quantitative, ma anche qualitative della valutazione e si è affermata la necessità di dimostrare il valore aggiunto degli interventi comunitari, nonché di compiere un’analisi dei costi; inoltre, si è andata affermando nella prassi degli uffici un’istruttoria notevolmente articolata in sette punti. L’emergere di tali elementi può fornire una trama per un giudizio alla Corte di giustizia, quindi, appare opportuno che la Corte prenda in considerazione l’esistenza di qualcosa di diverso dal generico parametro del Trattato, come ad esempio la motivazione o il procedimento. A proposito del procedimento, è da considerare che la fase delle consultazioni è lasciata completamente alla discrezione della Commissione, viceversa si stabilisce l’obbligatorietà di indicare i soggetti da consultare in relazione alle materie, così anche quella di stabilire un termine 15 per la presentazione delle osservazioni, in modo da dar vita ad un contraddittorio nella fase ascendente dell’atto che consenta un riscontro alla Corte di giustizia. ANDREA MANZELLA osserva in primo luogo che nella introduzione di Lòpez Pina viene posta giustamente una pietra tombale sull’idea di un catalogo di competenze materiali dell’Unione Europea e ritiene al tempo stesso che il modello di Stato federale o di Stati Uniti d’Europa non si addica all’Unione Europa, in quanto questa appare più che altro un’unione di ordinamenti, resa plastica e visibile da un insieme di obiettivi che si caratterizzano per la loro generalità. Si pensi all’art. 2 dell’Unione in cui si stabilisce che sia l’Unione che gli Stati sono enti a competenza generale; l’inutilità del catalogo delle competenze deriva dalla sua scarsa rispondenza alla realtà dell’attuale costruzione europea e dal fatto che si è dimostrata un’inutile forzatura il voler ricavare delle competenze esclusive da quelle generali previste dai Trattati. Nelle ventidue materie indicate nei Trattati della Comunità sono incluse delle competenze procedurali e una articolata distribuzione di compiti tra l’Unione e gli Stati, che va dalle mere raccomandazioni in campo culturale alla materia monetaria. A tal proposito Manzella non concorda con Lòpez Pina e ritiene che non si possa individuare una competenza esclusiva neanche in materia monetaria, in quanto questa riguarda anche la fissazione del cambio e la vigilanza bancaria, funzioni che, come è noto, non competono alla Banca Centrale Europea, nonché il back-ground, definito come governo economico: Padoa Schioppa ha denunciato, in merito, la solitudine della Banca Centrale Europea rispetto alla Banca Centrale degli Stati Uniti o a quella del Giappone. Muovendo da tali presupposti Manzella giunge alla conclusione che le competenze dell’Unione sono tutte concorrenti compresa quella monetaria. A proposito del principio di sussidiarietà, come ha evidenziato Ridola, sottolinea che questo funge più da motore di integrazione che da principio di allocazione. Come è stato riconosciuto nel Trattato di Maastricht e in quello di Amsterdam, nel cui protocollo sono state chiarite molte questioni in merito al principio di sussidiarietà e in particolare ne è stata riaffermata la bilateralità: nel Protocollo viene specificato che la sussidiarietà ha come fine ultimo - ricorrendo determinati presupposti - quello di ‘prendere’ competenze procedurali dell’Unione che non sono solamente quelle del art. 3B; vi sono limiti ulteriori come i diritti consolidati degli stati, il rispetto di tradizioni peculiari. D’altra parte, la bilateralità del principio di sussidiarietà, che si realizza verso l’alto e verso il basso, e la mancanza di competenze esclusive dell’Unione pongono l’accento su due questioni fondamentali che sono l’importanza del procedimento e l’interrogativo relativo a quali siano i soggetti legittimati a vigilare sul principio stesso. Attualmente si riscontrano delle forme di controllo affidate da un lato alla Commissione, che ogni anno formula un rapporto sull’Unione e 16 dall’altro al Parlamento europeo, il quale in una clausola prevede che avvengano controlli preventivi prima di giungere a decisioni conclusive. Quindi, esiste una gamma variegata di clausole di vigilanza, di forme di attenzione al principio di sussidiarietà e soprattutto di impulso alla motivazione sia da parte della Commissione che da parte del Parlamento, che forniscono materiale motivazionale alla Corte di giustizia. Manzella pone in evidenza che in merito alla Corte di Giustizia vi è una suggestione di notevole interesse del Prof. Tesauro, attuale presidente dell’Autorità indipendente antitrust, il quale ritiene che la Corte può adottare per il principio di sussidiarietà i medesimi parametri che venivano utilizzati per il vecchio art. 235. Per concludere ribadisce l’opportunità che la procedimentalizzazione e la vigilanza sul principio di sussidiarietà rimangano in un ambito europeo, affidati ad organi dell’Unione Europea; viceversa agli stati nazionali e alle singole Corti costituzionali spetta il controllo sulla valenza del principio così come è stato recepito nei diversi ordinamenti nazionali GAETANO AZZARITI, ricollegandosi alle considerazioni di Ridola e di D’Atena, manifesta alcune perplessità nei confronti dell’idea che considera la procedimentalizzazione quale unico strumento adatto a risolvere il problema della giustiziabilità del principio di sussidiarietà. Luhmann, ha giustamente osservato Ridola, era convinto che il procedimento rappresentasse lo strumento legittimo per ridurre la complessità sociale, questa interpretazione non è condivisibile, poiché, come ricordava Habermas, tale concezione comporta l’esclusione dei soggetti sociali, della dinamica politica, della complessità delle società pluraliste, che invece devono essere considerate e che si pongono a fondamento della vitalità delle nostre democrazie. Gli attuali dibattiti dei giuristi sul principio di sussidiarietà risultano avere, in fondo, una certa assonanza con il confronto che ebbe luogo tra Luhmann e Habermas: anche per il principio di sussidiarietà si tratta di valutare se esso può essere preso in considerazione esclusivamente sotto l’aspetto tecnico-procedimentale. Probabilmente seguendo la prospettiva di Habermas, non solo si dovrebbe affermare che il principio di sussidiarietà non può essere concepito solo nell’ottica della procedimentalizzazione (il che appare ad Azzariti corretto), ma anche che esso non è giustiziabile. Quest’ultima conclusione sarebbe però eccessiva, poiché sottende l’idea che la sussidiarietà sia l’espressione di un dato puramente politico o genericamente culturale, e ciò non è vero. La difficoltà di rendere giustiziabile il principio di sussidiarietà nasce invece dall’essere un principio ancora slegato da solidi e riconosciuti principi costituzionali europei. In proposito può essere utile richiamare la storica discussione sulle norme programmatiche della nostra Carta costituzionale, che si è ormai definitivamente conclusa, essendo oggi tutte le norme costituzionali giustiziabili di fronte alla Corte costituzionale; ma – è da 17 osservare - la giustiziabiltà delle norme programmatiche è stata resa possibile dal loro legame con i principi costituzionali e dalla loro collocazione nel testo costituzionale. Non può dirsi altrettanto per il principio di sussidiarietà, che rischia invece di rimanere un “valore” isolato e vuoto (“assoluto e tirannico”) nel contesto dell’ordinamento europeo. Né, d’altronde, appare convincente ritenere che il principio guida della procedimentalizzazione sia quello dell’efficienza. In proposito, riprendendo gli spunti conclusivi di Lòpez Pina, Azzariti non nasconde il suo timore nei confronti dell’interpretazione che assume la sussidiarietà come strumento per garantire l’efficienza dell’organizzazione comunitaria; in pieno accordo con Lòpez Pina, Azzariti ritiene invece che, in primo luogo, appare opportuno tutelare i diritti fondamentali dei cittadini europei (e, più in generale, dell’uomo), diritti che non si pongono in opposizione al principio dell’efficienza, ma che non possono neppure ridursi entro quest’ultimo principio. Perciò, concludendo, Azzariti ribadisce la necessità di far prevalere i principi espressi nelle Carte costituzionali degli Stati europei – oltre che nelle dichiarazioni europee ed ormai richiamati anche dai Trattati - e relativi ai diritti dell’uomo, al di là del principio di efficienza: ai primi e non al secondo il principio di sussidiarietà deve sottostare. ANTONIO LÒPEZ PINA sottolinea che nei puntuali e interessanti interventi si riscontra un denominatore comune: il considerare il principio di sussidiarietà sia dal punto di vista giuridico che dal punto di vista politico. Volendo soffermarsi soltanto sul problema giuridico e sull’individuazione degli elementi che contribuiscono alla giustiziabilità del principio, a Lòpez Pina sembrano siano orientate in questo senso anche le diverse considerazioni espresse da D’Atena sulla questione della motivazione e del contraddittorio, da Manzella sulla riforma del Trattato in favore di una distribuzione di competenze per materie, e da Ridola e Azzariti sulla questione della procedimentalizzazione. Lòpez Pina, riprendendo l’ultima osservazione di Azzariti in merito al principio di efficienza, sottolinea che tale principio non è sufficiente, ma è piuttosto da considerarsi complementare, in quanto alla base dell’Unione vi sono i valori e i principi fondanti, nonché i diritti fondamentali; e i valori dell’economia privata quali l’efficienza, l’operatività, la funzionalità, che esistono di fatto, non possono fungere da parametri esclusivi di giudizio per il diritto. Il nodo della questione si trova nel rapporto tra Corte di Giustizia e Corti nazionali che raramente viene definito in modo puntuale; solamente il Tribunale Costituzionale federale tedesco ha fatto riferimento ad un criterio teorico come il principio di cooperazione, evidenziando che vi deve essere comunicazione fra le due Corti, anche se il Tribunale Costituzionale tedesco fino ad oggi si è mostrato restio a sollevare questioni di costituzionalità presso la Corte di Giustizia nella convinzione che il riferimento ultimo della stessa Corte tedesca sia la Legge fondamentale e non il diritto comunitario, 18 principio condiviso anche da Lòpez Pina. Appare evidente la necessità di superare questa difficoltà strutturale. Lòpez Pina riferisce che è stato ospite il mese scorso presso il Tribunale Costituzionale federale tedesco e ha potuto constatare che i giudici e la dottrina, nonostante le divergenze, per la maggioranza sono legati alla sentenza di Maastricht: ciò significa che riconoscono l’esistenza di due sedi per la risoluzione dei contrasti fra norme, non individuando una soluzione né dogmatica né giurisdizionale per i conflitti. La scelta adottata dal Tribunale Costituzionale federale tedesco appare una soluzione radicale; in proposito Lòpez Pina ha proposto ad alcuni giudici tedeschi - si tenga presente che questa è la prima volta che ne fa dichiarazione in pubblico - di introdurre un sistema alternativo per sollevare le questioni di legittimità: l’idea è che sia la Corte di Giustizia ad avere l’iniziativa per la questione pregiudiziale, andando ad interpellare le Corti nazionali e chiamandole a dibattere su eventuali conflitti, e non l’inverso. Anche se i colloqui su questa nuova soluzione si sono svolti in modo informale, sembra esservi una disposizione favorevole di alcuni giudici. Per concludere questa è solamente una possibilità di risolvere il dualismo e i conflitti fra le Corti, ma attualmente è un ipotesi che va sviluppata. ANNA MOSCARINI invita Lòpez Pina a riflettere sul fatto se il principio di sussidiarietà sia effettivamente riconducibile al criterio della competenza, nel senso che possa essere inteso come una specificazione del criterio di competenza. Riguardo a tale impostazione Moscarini ritiene di avanzare qualche dubbio, infatti osserva che l’idea di sussidiarietà implica la possibilità di sostituzione tra fonti diverse tutte competenti all’adozione dell’atto, perciò non essendoci competenze riservate, secondo quanto sostenuto anche da Crisafulli, si è fuori del concorso vincolato tra fonti e si è invece nell’ambito del concorso libero tra fonti, dove il principio di competenza non può essere assunto come misura di validità dell’atto, il che apre automaticamente la strada alla operatività del principio di gerarchia tra le fonti. Alla luce di questa ricostruzione Moscarini considera che per interpretare il principio di sussidiarietà, sia dal punto di vista del rispetto del Trattato sia dal punto di vista costituzionale interno, sarà probabilmente necessario fare ricorso ad una qualche idea di gerarchia tra le fonti, e non a ritenere, come comunemente si fa, che sussidiarietà significhi semplicemente attribuzione di competenze. Salvatore Alberto ROMANO riallacciandosi alla questione posta nel precedente intervento rileva come effettivamente il principio di sussidiarietà possa essere inteso come un mezzo per creare una gerarchia delle competenze di ciascuna Autorità in un’area nella quale le competenze reciproche sono indefinite, per cui non si può parlare veramente di competenza spettante a ciascun 19 potere, poiché risultano tutti tra loro concorrenti. In altre parole: il principio di sussidiarietà non serve per risolvere gli eventuali conflitti all’interno dell’ordinamento secondo la gerarchia creata dal criterio di “sussidiarietà”? Tornando al discorso sulla giustiziabilità o meno del principio di sussidiarietà, e della presunta decisiva rilevanza di tale problema in quanto soltanto la giustiziabilità del principio di sussidiarietà sarebbe in grado di rendere effettivo il principio stesso consentendo di risolvere in base ad esso i conflitti tra Stato e Comunità, Romano ritiene che si debba prendere atto che i conflitti non possono che risolversi in base al peso politico del singolo Stato, essendo inevitabile che la posizione assunta dal singolo Stato di forte peso politico, risultando maggiore rispetto agli altri, gli permette di prevalere anche rispetto alla Corte di giustizia, quale che sia la tesi giuridica in tema di giustiziabilità del principio di sussidiarietà. Alla luce di tutto ciò è evidente che il problema della giustiziabilità diventa meramente secondario; mentre per Romano - che tiene a precisare il suo non essere un costituzionalista ma di parlare come amministrativista – viene ad assumere rilevanza decisiva l’esistenza stessa del principio di sussidiarietà, l’applicazione del quale permette di essere molto flessibili nel giudicare le diverse situazioni, tenendo in considerazione tutte le peculiarità del singolo caso e non generando mai situazioni limite che possano portare alla rottura del processo di integrazione. Perciò il principio di sussidiarietà, a seconda dei momenti e delle materie, può essere interpretato (di fatto) politicamente nel senso di favorire gli Stati membri, ovvero viceversa, nel senso di ampliare la competenza europea, a vantaggio della Comunità. In questo senso la semplice esistenza del principio di sussidiarietà può essere valutata come un fattore di flessibilità, una “valvola” essenziale dell’intero sistema istituzionale comunitario. ANTONIO LÒPEZ PINA risponde con due considerazioni alle questioni poste negli ultimi interventi, cominciando con il sottolineare che il principio di sussidiarietà non opera solamente per "sbloccare" a favore della Comunità materie rientranti nell'esercizio concorrente della potestà normativa, ma opera anche riguardo alla scelta dei mezzi, ovvero degli strumenti dell'azione previsti dall'art. 249 TCE. Caratterizzare la direttiva come un tipico strumento per l'esercizio del principio di sussidiarietà è affermazione tanto corretta quanto incompleta. La direttiva che obbliga lo Stato membro destinatario riguardo al risultato da raggiungere, e che però, d'altra parte, lascia alle autorità nazionali la scelta della forma e dei mezzi (art. 249 TCE), è, rispetto al regolamento (art. 249 TCE), una figura giuridica con la quale, se da un lato si impone il raggiungimento del fine, dall'altro si fa in modo che l'azione della Comunità non vada oltre quello che sul piano comunitario è necessario fare per ottenere tale fine. Al momento di adottare una misura per il raggiungimento di un fine, se 20 c'è da decidere se raggiungerlo attraverso regolamento o attraverso direttiva, il principio di sussidiarietà opererà sfavorevolmente rispetto al ricorso al regolamento. In ogni modo Lòpez Pina esorta a non ridurre il principio di sussidiarietà alla relazione tra il regolamento e la direttiva. Il principio di sussidiarietà opera per tutte le azioni nelle quali interviene la comunità; quindi il principio di sussidiarietà obbliga a gerarchizzare in senso contrario la relazione tra le misure previste all'art. 249 TCE. Questo significa che se è sufficiente una direttiva, non c'è la competenza per ricorrere al regolamento; quando basta una decisione, non c'è la competenza per adottare una direttiva; quando è sufficiente una raccomandazione, non c'è competenza per una decisione; infine, se è possibile limitarsi a un parere, allora non c'è posto per una raccomandazione. Per quanto concerne l’interpretazione del principio di sussidiarietà come valvola di equilibrio del sistema, Lòpez Pina tiene a sottolineare che si tratta di una questione eminentemente politica, e che perciò questo criterio risulta eccessivamente vago. A tal proposito egli ricorda l’esperienza costituente spagnola, laddove si sottolineò la necessità di raggiungere un accordo anziché cercare di imporre una posizione sulle altre, vista la incapacità da parte di ciascuna forza politica di affermare univocamente il proprio disegno istituzionale: in questo senso si può sostenere che la Costituzione spagnola è al contempo rigida, ma anche aperta. Si tratta di una contraddizione solo apparente, che invece permette un’apertura nella distribuzione territoriale dei poteri, laddove assume un peso straordinario il principio dispositivo delle Comunità autonome, le quali hanno stabilito le attribuzioni delle competenze. Questa è l’evoluzione che si è affermata a tutt’oggi con il rifiuto, da parte delle autonomie territoriali, di accettare come un principio immodificabile l’esistenza di competenze esclusive spettanti allo Stato; ciononostante esistono degli ambiti di intervento esclusivo statali, che devono però esser letti alla luce dell’art. 148 Cost. spagnola, in cui si prevede l’eventualità di delegare alle Comunità autonome delle competenze statali. L’evoluzione pratica del sistema spagnolo ha visto affermarsi un’alta conflittualità in mancanza di una chiara disciplina normativa, come potrebbe essere quella del principio federale, tramite il quale si afferma la prevalenza del diritto federale su quello degli Stati federati. In tal senso il principio di sussidiarietà può essere interpretato come un passo avanti, ma non sufficiente, nella ricerca di una valvola (o clausola) di equilibrio del sistema; infatti, anche a causa della sua complessità pratica, sembra impossibile il suo utilizzo come strumento esclusivo per la realizzazione di una solida Unione europea. 21 L’Avv. BACCHETTI vorrebbe dare il suo contributo alla discussione sia in qualità di operatore del diritto (in considerazione della sua professione di avvocato), sia come cittadino (precisando a riguardo che il termine "cittadino" non va inteso in senso tecnico perché ovviamente non esiste una cittadinanza europea, ma come espressione del sentimento di appartenenza ad una comune patria ideale europea per identità culturale e storico politica), invitando a riflettere sull’effetto prodotto nell’immaginario collettivo dall’introduzione del principio di sussidiarietà (con l’art. 3 B del Trattato di Maastricht) nel processo di integrazione istituzionale dell’Unione europea; andando a valutare l’efficacia di tale principio come strumento per far progredire ulteriormente il procedimento di unificazione. In particolare Bacchetti osserva come ci sia stata, a suo parere, un’evoluzione delle istituzioni europee più lenta di quanto potesse prevedersi dieci anni fa per quanto concerne la cessione di sovranità da parte degli Stati membri agli organi comunitari; infatti egli sostiene che alla fine degli anni ’80 fosse prevedibile una maggiore assunzione di sovranità da parte delle istituzioni comunitarie (quasi a prefigurare una mutazione della Comunità europea che da organizzazione derivata potesse giungere a disporre di una propria sovranità), con attribuzione di poteri sostanziali al Parlamento europeo. In realtà le tappe successive del processo di integrazione sembra abbiano comportato quasi un regresso dell’ordinamento comunitario, specificamente se si comincia a guardare, rispetto all'originaria formulazione dell’art. 235 sui poteri impliciti, alle modifiche introdotte con l’art. 3 B del TUE e da ultimo con il recente Protocollo al Trattato di Amsterdam; infatti in questi ultimi testi si rinviene il tentativo di recupero, da parte degli Stati membri, di quelle porzioni di sovranità che avevano in precedenza devoluto alle istituzioni comunitarie. Perciò attualmente l’Unione europea non sembra più fondata sulla valorizzazione delle istituzioni comunitarie, ma appare piuttosto come una Europa di singoli Stati che si danno alcuni obiettivi tra loro condivisi al fine di raggiungerli in comune: o almeno questa è la ricostruzione secondo il punto di vista di Bacchetti, sulla quale invita il relatore a pronunziarsi. Altro punto di estrema rilevanza sul quale riflettere è la problematica della procedimentalizzazione - intesa come strumento che permetterebbe una maggiore democraticità, e al contempo maggiore efficienza, dell’ordinamento - perché l’introduzione di questo principio nel contesto dell’art. 3 B TUE genera soltanto un ulteriore livello di complessità del fenomeno a scapito della chiarezza e della semplificazione. Specificamente, se la procedimentalizzazione è da intendersi come uno strumento di garanzia, tale funzione, come la certezza del quadro giuridico, viene a perdersi dinanzi all’introduzione di concetti come la "proporzionalità" e la "necessità", data la loro ampiezza e genericità. Inoltre Bacchetti sottolinea come tutto ciò comporti una inevitabile opera di interpretazione tramite la quale si finirà sempre con il far prevalere la sovranità e i poteri 22 del singolo Stato membro, a fronte di poteri solo residuali da parte delle istituzioni comunitarie. A questo punto egli pone il quesito se non sarebbe stato più funzionale l’introduzione del principio di sussidiarietà mantenendo l’art. 235 TCE e prevedendo al contempo una sua procedimentalizzazione; visto soprattutto che la delibera ex art. 235 TCE impone l’unanimità, una garanzia insomma che si ricerchi una partecipazione di tutti i soggetti al fine di dare vita ad un accordo che non escluda alcun Paese. Da ultimo Bacchetti pone la questione se il principio ex art. 3 B debba essere inteso esclusivamente come sussidiarietà verticale tra istituzioni, ovvero se possa intendersi come sussidiarietà in senso orizzontale, che comporta la possibilità di prendere decisioni ad un livello più prossimo ai cittadini, con la conseguenza di ridurre il peso delle burocrazie statali e dare maggior rilievo alla società civile nelle scelte di interesse generale. SERGIO LARICCIA si ricollega al passo della relazione in cui Lòpez Pina afferma che il principio di cooperazione rappresenta il nuovo paradigma dei nostri tempi e considera tale espressione come un'affermazione importante e centrale dell’intera esposizione, ricordando inoltre che tale principio di cooperazione è un’espressione non del tutto nuova nei rapporti tra ordinamenti giuridici; infatti nello stesso ordinamento spagnolo è assai comune trattare il rapporto tra lo Stato e le confessioni religiose sulla base della esigenza di "cooperazione". Un aspetto rilevante sul quale si è soffermato il dibattito ha riguardato l’eventualità di qualificare la cooperazione come un principio giuridico, ovvero come un principio più afferente alla sfera politica, questione sulla quale si è discusso particolarmente anche in Italia: basti ricordare la relazione dell’allora Presidente del Consiglio Bettino Craxi quando, a proposito del Concordato del 1984, fece valere il «grande progresso di un patto di cooperazione». Questo per sottolineare che tale principio è di carattere prevalentemente politico, perché nei rapporti tra ordinamenti vige il criterio della relatività delle valutazioni giuridiche: la cooperazione è ben accetta, ma nel momento in cui si crea un conflitto di valutazioni su temi centrali (come l’aborto o il divorzio) ciascun ordinamento mantiene il proprio autonomo punto di vista; e questo approccio non può non valere anche nel rapporto tra ordinamento comunitario e Stati membri. Premesse queste considerazioni Lariccia, condividendo anche la riflessione di Lòpez Pina sulla insufficienza del principio di sussidiarietà per una progressiva evoluzione dell’integrazione europea, ritiene necessaria e ormai improrogabile l’elaborazione e l’approvazione di una Costituzione europea; come del resto notava Andrea Manzella in un recente articolo su la Repubblica, in cui sottolineava l’impegno da parte dei governi 23 europei a prendere in considerazione tale obiettivo nell’impostazione del programma da attuare nell’anno da poco iniziato. LÒPEZ PINA prima di tutto ci tiene a tranquillizzare l’Avv. Bacchetti osservando che l’Unione europea non si trova in un processo di dissoluzione: in particolare l’incidenza del principio di sussidiarietà è talmente ridotta che risulta difficile pensarlo come uno strumento che possa mettere in crisi l’intero procedimento di unificazione. Riguardo all’art. 235 Lòpez Pina, che si definisce un giurista europeo, manifesta una certa diffidenza nei confronti dei c.d. poteri impliciti, tenuto conto che questa sembra più che altro una tradizione americana. In realtà l’art. 235 era da intendersi come un’apertura nei confronti di uno scambio di competenze e relazioni tra la comunità e gli Stati membri; ma ormai, dopo la sentenza del Tribunale Costituzionale federale tedesco dell’ottobre 1993, tale disposizione è divenuta vuota dal punto di vista normativo, forse anche per un eccesso di applicazione avuto in precedenza. Ciononostante, nel momento in cui gli organi comunitari ritengano necessaria l’attribuzione di una competenza alle loro istituzioni, ciò rende possibile proporre una riforma del Trattato, tenuto conto del fatto che l’Unione europea è costituita da quindici Stati membri che possono ulteriormente accordarsi per ampliare le competenze degli organi comunitari. Attualmente l’evoluzione dell’ordinamento non sembra orientarsi nel senso della residualità delle istituzioni comunitarie, e a tal proposito Lòpez Pina svolge una considerazione di carattere non prettamente giuridico, osservando che i governi nazionali hanno troppo interesse a tutelare la disponibilità ad avere due sedi per svolgere la loro politica: una nazionale nella quale sono politicamente responsabili, e poi un'altra a livello europeo, nella quale non risultano politicamente responsabili. In tal senso tutti i governi dell’Unione hanno interesse a mantenere le due sedi, per adottare decisioni politicamente popolari nell’ambito della sede nazionale e per spostare le decisioni impopolari a livello comunitario. Questa condizione attuale delle istituzioni comunitarie risulta insoddisfacente agli occhi dei giuristi che vorrebbero mutare tale condizione rendendo politicamente responsabili sia il Consiglio europeo, che la Commissione europea; anche se agli occhi di Lòpez Pina la soluzione più appropriata sembra essere quella di estendere la cittadinanza dell’Unione europea, che attualmente rappresenta solo una caricatura. In particolare egli mostra diffidenza nei confronti di una conferenza intergovernativa che, oltre a farsi garante di interessi già previsti e tutelati, accentuerebbe la tendenza corporativa fortemente presente all’interno delle istituzioni comunitarie; e in questo contesto il principio di sussidiarietà non è lo strumento che permette una democratizzazione dell’ordinamento europeo, cosa che invece potrebbe essere realizzata tramite la 24 generalizzazione della cittadinanza europea, aspetto riguardo al quale Lòpez Pina dimostra particolare sensibilità. Rispetto alle osservazioni di Lariccia, c’è da considerare che il conflitto tra la Corte di Giustizia di Lussemburgo e il Tribunale Costituzionale Federale tedesco oltre ad essere un conflitto evidente e manifesto, risulta anche insolubile; da ciò si evince che la soluzione a questo contrasto può essere rintracciata nel tentativo di dare vita ad una Costituzione federale per l’Unione europea. Ciò non toglie che il progetto di una Costituzione per una Repubblica europea sembra un’ipotesi a lungo termine, mentre la soluzione più a breve termine Lòpez Pina la rintraccia nella già citata generalizzazione della cittadinanza, insieme con un suffragio politico universale per il Parlamento europeo; nella previsione della responsabilità politica della Commissione; nonché nella trasformazione del Consiglio europeo in una Camera della rappresentanze territoriali. La realizzazione pratica di questi ultimi passaggi è estremamente difficile, e per la loro affermazione si dovrà, nei prossimi dieci anni, assistere a molti conflitti; mentre potrebbe aprirsi una diversa e più proficua evoluzione del sistema europeo nel momento in cui si riuscisse a sviluppare completamente lo statuto politico e giuridico dei cittadini, tramite il quale questi ultimi proveranno ad affermare un’Europa diversa dagli interessi corporativi dei singoli governi nazionali. 25