ASSEMBLEA DIOCESANA DELL' A.C. Discorso di chiusura di Mons. Vescovo A conclusione di questa giornata ricca di grazia e di carità, di luce e di fede, di mutuo conforto e di edificazione, la mia riconoscenza a Dio e a tutti voi, principali strumenti della ricchezza di doni che caratterizzano questo giorno: grazie al Vicario Vescovile per l'A.C. e l'Apostolato dei laici, al Presidente Diocesano, alla Giunta diocesana, agli Assistenti Ecclesiastici diocesani, vicariali e parrocchiali, a tutti i soci e simpatizzanti. Nel punto ormai di far ritorno alle vostre case con il proposito rinnovato di vivere un cristianesimo non di comodo, ma di dono e di servizio nell'attuale momento storico «cristiani 1968», quante cose avrei da dirvi! Consentitemi alcune riflessioni sul tema: Azione Cattolica - in piena atmosfera con la celebrazione centenaria. Ho davanti a me il discorso del Papa nell'udienza generale del 14 febbraio di quest'anno. Credo che, per segnalare esattamente il posto dell'A.C. nella comunità diocesana, non si debba guardare anzitutto all'A.C. e poi al di fuori di essa; ma che si debba partire dalla comunità diocesana, e in essa individuare anzitutto il posto di ciascuna persona, e di ciascun gruppo che liberamente e spontaneamente intenda costituirsi in essa per il servizio della comunità. Qui credo di dover qualche parola a proposito dei cosiddetti gruppi spontanei. Non dubito che anch'essi possono essere suscitati dallo Spirito Santo, e che in essi per lo più Egli già operi, non solo per la rettitudine di intenzione di coloro che li costituiscono, o per il servizio alla Chiesa che essi si prefiggono, ma anche per il compito che, certo al di là delle previsioni degli uomini, il Signore sembra anche ad essi assegnare: di recuperare cioè in tutta la sua chiesa i carismi da Lui sempre distribuiti tanto largamente, e che oggi, veramente in modo nuovo, sembra voler risuscitare. Il Papa parla dei gruppi spontanei nel Suo discorso del 14 febbraio: è descrizione precisa e rispettosa, è affermazione di fiducia, e attesa di una loro collaborazione verso la grande e somma causa del Regno di Dio. Penso utile aggiungere le seguenti osservazioni di un mio confratello, a proposito della varietà di associazioni tra i cattolici in generale, e dei gruppi spontanei in particolare. Sono un bene da una parte; appare infatti che lo Spirito soffia dove vuole e che l'unità non è sposata all'uniformità; nei gruppi si impegnano spontaneamente parecchi, che non sarebbero entrati in altre associazioni: in essi si cercano ed esperimentano metodi nuovi, più conformi ai tempi moderni. D'altra parte, si resta perplessi di fronte ad alcuni pericoli: che vengano sprecate nell'esagerata molteplicità energie preziose; che vi sia talvolta in essi evasione più che impegno. Un coordinamento delle forze, una pastorale organica sono pure necessari. Come attuarli in questa proliferazione straordinaria? Come impedire che molti lavorino nello stesso piccolo campo, mentre altri campi restano del tutto incolti? Facile poi far nascere gruppi nuovi; ma difficile farli vivere e progredire. E finalmente, sta in agguato il pericolo che i gruppi spontanei si isolino dalla comunità, formando piccoli circoli chiusi, che si atteggiano ad élites con mentalità alquanto ristretta e talora in contestazione con la Gerarchia. Queste parole non significano e non vogliono significare condanna e neanche riserva; vogliono soltanto ricordare a tutti gli amici che in queste associazioni o gruppi intendano operare, che ogni forma associativa merita credito, se risponde allo spirito del Vangelo e serva veramente a costruire la chiesa nell'unità del dialogo e dell'opera: poiché nella «Chiesa» alfine, tutti ci dobbiamo raccogliere, per ritrovarci veramente nell'unità cristiana. Del resto, la stessa Azione Cattolica non si può forse chiamare, in un certo senso, da non equivocare, gruppo spontaneo? Sì, nel senso che, se ai Pastori è doveroso proporla, ai laici è libero aderirvi. E' appunto ciò che il Papa stesso ha detto nel citato suo discorso del 14 febbraio: «I Pastori ben sanno, dice il Papa, che, se ai laici è libero l'appartenervi o no (l'A. C. è un movimento di volontari), è obbligo loro di conservarla e di promuoverla. Non è fenomeno caduco che ha fatto, come si dice da alcuni, il suo tempo; è organo ormai integrativo della struttura ecclesiale, ed è di tale importanza nelle presenti contingenze storiche che sarebbe fallace giudizio tenerlo in mediocre considerazione». E' chiaro quindi in quale unico senso si può auspicare che l'A.C. ridiventi gruppo spontaneo. Non nel senso di indifferenza al fatto che l'A.C. esista o non esista nella diocesi, nel vicariato, nella parrocchia; non nel senso che essa non sia da proporre come un fine di crescenza nella Chiesa; ma nel senso invece che l'A.C. non può nascere o vivere di imposizione, non può nascere o vivere su base di quadri, né solo per imperativo di tradizione, ma per una vivacità di grazia.. Ed eccoci allora a scoprire la specifica ragione dell'A.C. Il nostro pensiero corre alle note descritte dal Concilio. A questo riguardo, vi prego di osservare che non è che il Concilio nel descrivere l'A.C. nel decreto sull'Apostolato dei laici, si sia preoccupato di vedere come era in questo momento la situazione storica dell'A.C. e, volendone assicurare ad ogni costo l'esistenza, abbia cercato di analizzarne la natura e ne abbia fissato infine le quattro note. E' esattamente il rovescio. I Padri del Concilio si sono occupati anzitutto (n. 16) del concetto più vasto dell'apostolato dei laici, inteso come un dovere inerente ad ogni battezzato, al punto da dire che chi non lo svolge non può considerarsi cristiano, perchè è un membro che non vive attivamente nel corpo. Poi considerano l'apostolato nelle forme più comuni, quelle cioè che ogni persona esercita quotidianamente nel suo ambiente secondo il suo temperamento e le sue preferenze (n. 17); considerano poi la molteplicità delle forme associative (n. 18/19); finalmente avvertono che, a servizio di un apostolato che si inserisca direttamente, non più nel singolo ambiente a preferenza del cristiano, ma nella missione della Chiesa come tale, cioè come comunità, il libero associarsi dei laici può assumere in tal senso e a tal fine, caratteristiche specifiche (n. 20). Se i laici si propongono un fine apostolico globale, cioè quello stesso, e tutto quello della Chiesa come tale; se intendono attuarlo secondo il modo loro proprio, portando la loro esperienza e assumendo le proprie responsabilità; se lo esercitano uniti, a guisa di un corpo organico per meglio esprimere la comunità della Chiesa; se agiscono in cooperazione diretta all'apostolato svolto dalla Gerarchia, e perciò seguendo le sue indicazioni: essi danno vita a un certo tipo di associazione, a cui il Concilio conviene di mantenere il nome di A. C., da tempo consacrato a designare tale modo di agire apostolico. Se si osserva questo tipo di associazione descritto dal Concilio - ed è l'A. C. - non si fa che scoprire un modo intenso e necessario e particolarmente significativo, di vivere la legge fondamentale della pastorale, che è quella di essere una sola comunione nell'esercizio di tutti i ministeri e carismi, mediante la collaborazione tra Gerarchia e laicato. Non è un modo esclusivo né privilegiato; è un modo che può sgorgare solo da una profonda vita interiore, e che sarà sempre aperto a tutti e a tutto. Non sarà un gruppo chiuso nella Chiesa; ma per definizione un gruppo giustificato solamente, perchè è a servizio della Chiesa-comunione e della Chiesa-missione. Ed ecco allora un'altra constatazione: l'A.C. sorge in una comunità cristiana come frutto spontaneo, ma immancabile e necessario, della sua maturità; non vi è cioè alcun dubbio che la vitalità dell'A.C. è segno di Chiesa matura ed esige una Chiesa matura: una chiesa locale, una comunità parrocchiale, che viva intensamente la sua realtà di comunione e di missione, una chiesa aperta dinamicamente alla possibilità di lievitare la storia secondo l'annunzio evangelico. L'A.C. diocesana - un segno di Chiesa e di Chiesa matura - è al servizio della chiesa locale: diocesi, vicariato, parrocchia. Il servizio che qui più ricordo e sottolineo, e che compendia molteplici attività, è la collaborazione ad attuare il Piano Pastorale Diocesano, pubblicato in questi giorni. Il Piano Pastorale del Vescovo, sta scritto nel Bollettino Dirigenti, è una proposta di mete, di obiettivi: ma con quali strumenti, con quali iniziative, e soprattutto con quali persone si potranno realizzare? Tutti battezzati, ma non tutti disponibili per un impegno associato quotidiano perseverante, generoso, entusiasta, esteso alla collaborazione interparrocchiale e diocesana. L'A.C. offre la certezza di persone disponibili alla pastorale comunitaria. L 'A.C. è disponibile, per rendere operante il piano pastorale, impegnando l'energia, l'esperienza, le idee creative dei suoi soci, per favorirne l'attuazione nell'ambito delle situazioni locali. Di questo sono grato a voi e a tutta la grande famiglia dell'A.C. reggiana. Oggi stesso abbiamo potuto vedere che cosa può l'A.C. nella comunità diocesana; quanto sia irrinunciabile e insostituibile la sua presenza e la sua forza. Solo per opera vostra, in particolare di voi, giovani, è stata possibile la celebrazione di stamane, prima in Chiesa e poi soprattutto al Palazzo dello Sport, nella sua semplicità essenziale; è stato un annunzio evangelico offerto e aperto a tutti. Che cosa potrebbe un presbiterio senza A. C.? Grazie, figlioli. Grazie, cari giovani. Sono orgoglioso di voi tutti! Con un'A. C. così ardente e pronta e aperta all'autentico spirito del Concilio, è lecito ogni ottimismo ed è doveroso ogni instancabile impegno. La nostra forza? L'Eucarestia - tema di studio, di attività e di preghiera di quest'anno. Ci accomuna il proposito di far nascere e di far convergere sempre più ogni nostra preghiera e azione nell'Eucarestia, cioè nella Parola di Dio e nella sua evangelizzazione, nella rinnovazione, secondo il mandato di Gesù, del suo sacrificio nella Chiesa per l'animazione cristiana della nostra vita e del mondo; nella comunione tra noi per far crescere tra gli uomini la comunione nella carità; nella dinamica missionaria della Chiesa, che ha nell'Eucarestia il suo centro vitale. L'apostolato, a qualsiasi livello lo si consideri, manifesta un rapporto inscindibile con il sacramento eucaristico: dalla Eucarestia parte l'energia propulsiva che lo muove; nell'Eucarestia trova la qualificazione della sua vera natura; all'Eucarestia porta, come a meta finale, le sue conquiste. La coscienza cristiana ha avvertito da sempre, che la forza propulsiva per andare nel mondo a portare il Vangelo di Cristo, deriva dall'Eucarestia. Non per nulla, nella pratica liturgica, la proclamazione della Parola tende irresistibilmente a saldarsi con la celebrazione eucaristica. Dobbiamo riconoscere all'A.C. del passato, una profonda intuizione cristiana, che l'A.C. del presente non dimentica e non dimenticherà: l'intuizione di fondare sull'Eucarestia, sulla pratica della Messa e comunione quotidiana, dell'adorazione eucaristica diurna e notturna, la preparazione, la capacità e la efficienza apostolica dei suoi membri. L'efficacia dell'evangelizzazione è proporzionale alla profondità della devozione eucaristica in cui immerge le radici. Il fatto narrato nel libro dei Numeri (9, 17) è una figura di quanto avviene nella chiesa missionaria, mandata cioè in mezzo al mondo a raccogliere i popoli, e a dirigerli verso l'eterna e beatificante dimora del Padre celeste. L'Eucarestia viaggia sempre con noi, come l'attuazione di una velata presenza di Cristo, che suscita e sostiene l'espansione missionaria. Quanto benedico l'esposizione quotidiana solenne nella Chiesa di S. Giorgio! L'Eucarestia sia sempre più il centro della nostra chiesa reggiana, soprattutto per opera vostra, e ne germini una vita apostolica, missionaria rigogliosa, che raggiunga tutti i rendenti del territorio diocesano e delle missioni reggiane.