Memoria Forum alla Corte Costituzionale

ECC.MA CORTE COSTITUZIONALE - ROMA
MEMORIA
(Camera di Consiglio del 14 gennaio 2003)
QUESITO N. 139 Reg. Ref.
Giudizio di ammissibilità della richiesta di referendum popolare per l’abrogazione parziale
della legge 10 marzo 2000 n. 62 intitolata “Norme per la parità scolastica e disposizioni sul
diritto allo studio ed all’istruzione”.
Giudizio iscritto al N. 139 del Registro Referendum.
---------Il Forum delle Associazioni Familiari, in persona del suo Presidente e legale rappresentante p.t.
dott.ssa Luisa Capitanio Santolini (C.F. 96305450585), rappresentata e difesa dal prof. avv. Aldo
Loiodice e presso il suo studio elettivamente domiciliata in Roma alla Via Ombrone n. 12 pal. b,
in virtù di mandato a margine del presente atto,
si costituisce
nel giudizio di ammissibilità della richiesta di referendum popolare per l’abrogazione parziale
della legge 10 marzo 2000 n. 62 intitolata “Norme per la parità scolastica e disposizioni sul diritto
allo studio ed all’istruzione”, per illustrare le ragioni in virtù delle quali si ritiene che la richiesta
referendaria in esame venga dichiarata inammissibile; si intende chiarire, infatti, che il quesito è
privo sia dei requisiti di univocità, chiarezza e omogeneità che di quegli ulteriori tratti che
rendono genuina l’espressione del voto popolare; trattasi, peraltro, di richiesta riferita a
disposizioni legislative rispetto alle quali la giurisprudenza di codesta Ecc.ma Corte non ammette
il referendum; in particolare, il quesito incide su norme a contenuto costituzionalmente vincolato
o, comunque, costituzionalmente obbligatorio (con riguardo alla disciplina della parità
scolastica, al ruolo delle famiglie ed al principio di sussidiarietà) ed inoltre incide su norme
rientranti tra quelle previste dall’art. 75, co. 2, Cost. (con riguardo alla legge di bilancio ed alle
leggi di esecuzione dei trattati internazionali posti a base dell’Unione Europea).
PRELIMINARI PROCESSUALI
Questa difesa richiama l’orientamento di codesta Ecc.ma Corte favorevole a consentire, in sede
di giudizio ammissibilità dei referendum (v. sentenze nn. 31, 36, 39, 41, 42, 43, 45, 46, 47 e 49
del 7.2.2000), la presentazione di memorie provenienti da soggetti diversi dalle parti,
ammettendone, altresì, l’illustrazione in Camera di Consiglio; e ciò al fine di allargare la gamma
di argomentazioni potenzialmente rilevanti al fine del decidere in un procedimento come quello
in esame che, non giudicando su posizioni soggettive di parte, naturalmente tende a far valere i
limiti oggettivi dell’ammissibilità del referendum risultanti dalla Costituzione così come tracciati
dalla giurisprudenza relativa.
Il Forum delle Associazioni Familiari invoca, pertanto, i principi processuali riconosciuti da
codesta Ecc.ma Corte a presidio dell’ampiezza cognitiva del giudizio di ammissibilità e richiede,
in conseguenza, che venga presa in esame la presente memoria e che sia ammessa l’audizione del
difensore del Forum in Camera di Consiglio.
PREMESSE SUL QUESITO
A) La legge sulla parità scolastica n. 62 del 10.3.2000 fissa i diritti e gli obblighi delle scuole non
statali (private e degli enti locali) che chiedono la parità; intende, con la sua disciplina,
assicurare alle scuole paritarie piena libertà ed ai loro alunni un trattamento scolastico
equipollente a quello degli alunni delle scuole statali.
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La stessa legge avvia un minimo di normativa sul diritto allo studio ed all’istruzione, dando, sotto
questo profilo, attuazione anche all’art. 31 Cost. in ordine alle agevolazioni da assicurare alle
famiglie per l’adempimento dei compiti relativi all’istruzione rispetto ai quali i genitori hanno il
dovere ed il diritto di provvedere (art. 30 Cost.); infatti, nel comma 9 dell’art. 1 della legge, è
previsto un piano straordinario di finanziamenti alle regioni “da utilizzare a sostegno della
spesa sostenuta e documentata dalle famiglie” per l’istruzione.
La legge contiene una disciplina attuativa, sul piano costituzionale, non solo delle disposizioni
menzionate, ma anche dei principi relativi alla parità scolastica. Al tempo stesso, essa si
conforma a quanto richiesto dal nuovo testo del Titolo V nell’art. 118, ultimo comma,
segnatamente in tema di sussidiarietà. Si adegua, infine, ai principi di libera concorrenza, di
libero mercato e di mobilità nelle prestazioni dei servizi stabiliti nei trattati dell’Unione Europea,
assicurando l’istituzione di un sistema nazionale di istruzione che permetta l’espansione
dell’offerta formativa (comma 2), aprendosi alla partecipazione di tutti i soggetti operativi
qualificati che, non solo italiani, ma anche di provenienza europea, intendano concorrere alla
realizzazione delle finalità che la legge stabilisce.
A tal fine la legge disegna un sistema di prestazione dei servizi articolato, pluralistico e
concorrenziale; individua le famiglie come soggetti operativi nella scelta, in quanto impone, nel
secondo comma, che le istituzioni scolastiche non statali siano “coerenti con la domanda
formativa delle famiglie” ed assegna alle famiglie un ruolo fondamentale facendosi carico della
rilevanza che le spese di istruzione acquisiscono nell’ambito dello svolgimento dei compiti
familiari inerenti all’istruzione ed all’educazione dei figli.
B) Tale quadro normativo viene fatto oggetto di una richiesta referendaria sicuramente
contraria all’art. 75, secondo comma, della Costituzione, e ai principi affermati in materia da
codesta Corte.
Avuto riguardo all’oggetto ed al contenuto del quesito referendario (ovvero, se si vuole, all’atto
ed alla struttura della richiesta referendaria), il Forum delle Associazioni Familiari ritiene,
pertanto, che la richiesta referendaria debba essere dichiarata inammissibile per i seguenti
MOTIVI
I.
EQUIVOCITA’, AMBIGUITA’, CONTRADDITTORIETA’, CARENZA DI
CHIAREZZA E DI OMOGENEITA’ DEL QUESITO REFERENDARIO SOTTO I
PROFILI: A) DELLE FINALITA’ PERSEGUITE e B) DELLA DISCIPLINA
RISULTANTE DALL’EVENTUALE ABROGAZIONE REFERENDARIA.
A) Il Comitato promotore del referendum ha ritenuto di proporre l’abrogazione del primo
comma dell’art.1 limitatamente alla esclusione delle scuole paritarie private dal sistema
nazionale di istruzione.
Nel secondo e terzo comma, però, le scuole paritarie private restano ammesse, riconosciute e
disciplinate a tutti gli effetti.
Questa circostanza determina una fondamentale equivocità ed ambiguità della domanda
referendaria; infatti, essa vorrebbe realizzare un sistema nazionale di istruzione affidato alle
scuole statali ed agli enti locali, espungendo dal primo comma dell’art. 1, attraverso la c.d.
tecnica del ritaglio, le scuole paritarie private. Non si comprende, però, che senso abbia tale
esclusione atteso che resta vigente l’intera disciplina dei commi 2, 3, 4 e 5, la quale comporta una
obiettiva inclusione delle scuole paritarie private nel sistema formativo dettando i requisiti, gli
elementi ed i caratteri che rendono le scuole paritarie titolari di un servizio pubblico di
istruzione offerto alle famiglie in maniera coerente alla loro domanda formativa.
Non risulta, perciò, chiaro l’obiettivo che si intende perseguire, attesa la contraddizione tra
l’assoggettamento delle scuole private alla disciplina paritaria e la loro esclusione dal sistema
nazionale di istruzione definito dal comma 1; si determina, così, una carenza di chiarezza che
osta alla libera e genuina espressione del voto popolare a causa dell’equivoco in cui viene indotto
l’elettore. In sostanza, non è chiaro il senso di un quesito referendario che interviene su una
disposizione, quale quella del primo comma dell’art. 1, il cui oggetto è la definizione del sistema
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nazionale d’istruzione, sì da espungerne le scuole paritarie private, lasciando al tempo stesso
sussistere i successivi commi dello stesso articolo, dai quali la definizione stessa trae sostanza e
contenuto.
B) Alla contraddittorietà ed equivocità del quesito, si aggiunge anche la mancanza di
omogeneità, con riguardo alla prevista abrogazione della disciplina relativa al sostegno riservato
alle famiglie (comma 9) e di quella relativa all’ utilizzo di prestazioni volontarie o a contratto del
personale docente (comma 5).
Si tratta di disposizioni che potrebbero tranquillamente continuare a sussistere, nonostante la
caducazione di quella che prevede l’inserimento delle scuole private paritarie nel sistema
nazionale d’istruzione. Aggiungasi, quanto al sostegno alla spesa sostenuta e documentata
dalle famiglie, che esso concerne sia le scuole statali e degli enti locali che quelle private. Non
risulta, dunque, in alcun modo chiaro quale sia la ragione di proporre all’elettore una sorta di
danneggiamento delle famiglie congiuntamente alla richiesta di formale esclusione delle scuole
paritarie private dal sistema nazionale. L’obiettivo della riduzione del sistema nazionale di
istruzione ad un monopolio pubblico viene così associato, in modo del tutto eterogeneo, alla
soppressione del sistema di aiuti alle famiglie, quali che siano le scuole frequentate.
La confusione emergente dalla contraddittorietà e commistione degli aspetti sottoposti
all’elettorato rende il quesito privo di quegli elementi di univocità e chiarezza e, soprattutto,
omogeneità che sono indispensabili ad assicurare all’elettore una libera scelta di adesione o di
contrarietà rispetto al quesito stesso (v., da ultimo, Corte cost. sent. n. 39 del 2000).
La verità è che siamo in presenza di almeno tre quesiti. A parte quanto si dirà in prosieguo circa
l’improponibilità sul piano sostanziale di un quesito referendario concernente l’espunzione delle
scuole private dal sistema nazionale di istruzione, va considerato che alcuni elettori, desiderosi
di dichiararsi contrari alla normativa riguardante le scuole private, potrebbero volere tuttavia che
le famiglie vengano aiutate nei loro compiti di istruzione e di educazione (o viceversa). Analoghe
considerazioni possono farsi per il quesito concernente le norme sulle prestazioni volontarie o a
contratto del personale docente. In conclusione, l’elettore, chiamato a pronunciarsi su una
pluralità di domande eterogenee, si trova nell’alternativa di prendere tutto o di escludere tutto,
non risultando, perciò, “libero di esprimere valutazioni autonome e anche potenzialmente
divergenti” (Corte cost., sent. n. 39 del 2000).
C) Tale confusione viene altresì aggravata dalla parte del quesito che intende eliminare gli
stanziamenti di bilancio che, come è evidente, non si riferiscono solo alle scuole private ma
riguardano anche le altre scuole. Anche per questo aspetto la contraddittorietà e la confusione
risultano ictu oculi, trascendendo la volontà del comitato promotore che parrebbe invece soltanto
quella di rendere inservibile, inagibile ed inutilizzabile la disciplina sulla parità; con conseguenze
inaccettabili anche per le ragioni che si esporranno al punto successivo.
II) INCIDENZA DEL QUESITO REFERENDARIO SU DISPOSIZIONI LEGISLATIVE
COSTITUZIONALMENTE VINCOLATE OVVERO COSTITUZIONALMENTE
OBBLIGATORIE SOTTO I PROFILI: A) DELLA DISCIPLINA DELLA PARITA’, B)
DEL RUOLO DELLE FAMIGLIE e C) DEL PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETA’.
A) L’art. 33, co. 4, della Costituzione ha ad oggetto specifico la disciplina della parità e pone a
carico del legislatore, che intenda fissare diritti ed obblighi delle scuole paritarie, l’obbligo
costituzionale di assicurare, oltre che la piena libertà (ai loro alunni), anche un trattamento
scolastico equipollente.
Si determina, cioè, una legislazione costituzionalmente vincolata o, quanto meno,
costituzionalmente obbligatoria in tema di parità.
La disciplina legislativa statale non può collocarsi al di sotto di un livello minimo di garanzia
della equipollenza tra le scuole non statali e quelle statali.
L’equipollenza non è assicurata soltanto dalla legittimazione a rilasciare titoli di studio aventi
valore legale, perché, attualmente, il rilascio di tali titoli di studio è consentito anche alle scuole
legalmente riconosciute (non paritarie).
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Il livello di rilevanza delle scuole paritarie attiene a tutta una serie di profili tra i quali la
condizione di piena competitività con le scuole non statali. In altri termini, il trattamento
scolastico equipollente richiede che gli alunni delle scuole paritarie possano avere un
riconoscimento non solo del titolo di studio, ma anche della provenienza e della qualità del
servizio di istruzione ricevuto che non possa in alcun modo essere considerato deteriore o
inferiore rispetto a quello proveniente dalla scuola statale.
L’inserimento delle scuole paritarie private nel sistema nazionale di istruzione ha appunto la
finalità di proclamare l’assoluta equipollenza di trattamento nel servizio di istruzione degli alunni
tra le scuole private e quelle statali.
L’esclusione delle scuole private dal sistema nazionale determina una categoria di scuole
paritarie di livello inferiore che incide sulla equipollenza di trattamento; si avrebbe, cioè,
giuridicamente, una differenza di rilevanza legale del servizio di istruzione che non sarebbe più
reso nell’ambito di un sistema nazionale, ma al di fuori di esso, con la conseguenza che gli alunni
di queste scuole non potrebbero usufruire della piena equipollenza che doverosamente viene
stabilita, dall’art. 33 co. 4, come oggetto imprescindibile di una legislazione che detti la parità
delle scuole non statali.
Il quesito referendario non esclude la permanenza della parità, ma la riduce in termini tali da
violare l’obbligo di equipollenza di trattamento scolastico; si avrebbero due sistemi, uno
pubblico a rilevanza totale ed uno privato dichiarato paritario ma non equipollente costituente un
sistema separato oggetto di disciplina e di controllo ma senza che possa attingere allo stesso
livello di trattamento delle scuole statali; il che costituisce inadempimento all’obbligo
costituzionale previsto dall’art. 33, co. 4.
Né in contrario si può invocare il terzo comma dell’art. 33 Cost. laddove stabilisce la clausola
secondo cui non vi devono essere “oneri per lo Stato”. Tale disposizione – oltretutto da
reinterpretare alla luce del principio di sussidiarietà contenuto oggi nel quarto comma dell’art.
118 Cost. – non può essere invocata per svuotare di contenuto il diverso principio della parità
scolastica, espresso nel successivo comma dello stesso articolo.
Si consideri, invero, che le scuole paritarie svolgono un servizio pubblico sgravando lo Stato dei
relativi oneri e si può attingere tale convinzione dall’esame dei dati riguardanti le scuole private
per confrontarne i costi per lo Stato rispetto a quelli sostenuti per le scuole statali.
L’appartenenza o meno delle scuole private al sistema nazionale di istruzione non si riferisce in
alcun modo al profilo del finanziamento. Ma attiene solo alla equipollenza di trattamento
scolastico che, in tanto sussiste, in quanto i soggetti erogatori del servizio scolastico siano inclusi
in un medesimo sistema ed in una medesima disciplina, tale da legittimare appunto
l’equipollenza di trattamento per gli alunni con conseguente mobilità da una scuola paritaria ad
una scuola statale e correlata valutabilità dei titoli non solo ai fini legali ma anche ad altri fini,
nella medesima misura, senza possibilità di invocare appartenenze o estraneità al sistema
nazionale di istruzione. L’eliminazione della frase riguardante le scuole private dal primo
comma incide quindi in maniera diretta sui profili di equipollenza derivanti dalla natura paritaria
delle scuole non statali.
Ne emerge, in questa direzione, una carenza di attuazione costituzionale e, quindi, tramite
l’abrogazione, l’eliminazione di un atto a contenuto obbligatorio se non addirittura a contenuto
vincolante.
L’inammissibilità del quesito referendario si profila, quindi, anche con riferimento agli aspetti
della disciplina costituzionale della parità scolastica.
B) Analoghe osservazioni si possono svolgere per quanto riguarda la carenza dei requisiti di
ammissibilità del quesito derivanti dalla cancellazione del ruolo delle famiglie nella disciplina
dettata dalla legge n. 62/2000.
Il quesito referendario non chiede di eliminare l’espansione dell’offerta formativa (primo
comma) né di escludere che debba tenersi conto della domanda formativa delle famiglie
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(secondo comma), tuttavia esclude dal nono comma la destinazione alle famiglie degli importi
necessari a sostenere le spese sopportate dalle famiglie stesse.
In altri termini, con l’eventuale abrogazione proposta, lo Stato verrebbe ad adottare un piano
straordinario di finanziamento alle regioni che riceverebbero fondi non più utilizzabili per le
famiglie.
A parte la contraddittorietà che concerne anche il permanere nel comma 9 delle condizioni
reddituali delle famiglie (il che sottolinea il profilo di inammissibilità già denunciato al punto I),
sta di fatto che con il comma 9 la legge n. 62/2000 ha inteso dare applicazione agli artt. 30, co. 1
e in particolare 31, co.1, nel principio concernente l’aiuto alle famiglie con misure economiche
relative all’adempimento dei compiti delle famiglie stesse; anche l’abrogazione eventuale del
sostegno alle famiglie verrebbe a creare un vuoto in un punto che è costituzionalmente
obbligatorio e cioè quello che concerne l’agevolazione alle famiglie prevista dall’art. 31 Cost.
Il Forum delle Associazioni Familiari deve denunciare che la legge sulla parità non attua
completamente le esigenze di doveroso aiuto alla famiglie nei suoi compiti di educazione e di
istruzione dei figli, tuttavia, nella legge 62/2000, vi è il contenuto minimo di agevolazione per
le famiglie in ordine al compito di istruzione dei figli.
L’abrogazione del riferimento alle famiglie quali destinatarie dei benefici determinerebbe il
venir meno del contenuto minimo di agevolazione che l’art. 31 impone di prevedere; si
tornerebbe ad un ordinamento carente dello strumento minimo di attuazione dell’art. 31 Cost.
Anche questo aspetto mette in luce, al di là dell’equivoca e contraddittoria formulazione del
quesito, la sua inammissibilità con riguardo alla natura della disposizione di cui si chiede
l’abrogazione.
C) Anche il principio di sussidiarietà stabilito nell’art. 118, ultimo comma della Costituzione,
viene a ritrovarsi privo di uno strumento legislativo indispensabile per la sua attuazione. L’ultimo
comma dell’art. 118, infatti, stabilisce che Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e
Comuni “favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento
di attività di interesse generale”.
L’abrogazione dell’aiuto alle famiglie e della piena equipollenza di trattamento si pongono in
contrasto con l’obbligo di favorire l’autonoma iniziativa dei cittadini e determinano un aspetto di
inattuazione costituzionale del principio di sussidiarietà.
In altri termini, la legge n. 62/2000 attua ed applica il principio di sussidiarietà, sicché
l’abrogazione del ruolo delle famiglie e l’esclusione delle scuole private dal sistema nazionale,
anziché favorire l’autonoma iniziativa dei cittadini, determina un ostacolo alla capacità
imprenditoriale scolastica dei privati con evidenti carenze di attuazione costituzionale ed
eliminazione di un testo legislativo costituzionalmente obbligatorio sotto il profilo della
sussidiarietà.
Anche questo aspetto mette in luce l’inammissibilità del quesito proposto.
III) INCIDENZA DEL QUESITO REFERENDARIO SUGLI EFFETTI
DI
OPERATIVITA’ DELLE LEGGI INDICATE NELL’ART. 75, CO. 2, COST. SOTTO I
PROFILI: A) DELLA LEGGE DI BILANCIO e B) DELL’ESECUZIONE DEI
TRATTATI INTERNAZIONALI RELATIVI ALL’UNIONE EUROPEA.
A) Il quesito referendario in esame chiede anche l’abrogazione dei commi 13 e 15 che
costituiscono disposizioni inerenti gli stanziamenti iscritti nelle unità previsionali di base del
bilancio statale.
Si tratta, come è evidente, di una richiesta modificativa di disposizioni apparteneneti alla legge di
bilancio.
E’ inammissibile che tale scelta venga effettuata dal corpo elettorale poiché l’art. 75, co. 2, Cost.
impedisce l’inserimento del voto popolare nei processi decisionali di scelta relativi agli
stanziamenti di bilancio.
La richiesta abrogativa, peraltro, oltre ad essere contraddittoria e confusa perché elimina
stanziamenti che riguardano non solo le scuole private ma anche quelle degli enti locali, attinge a
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livelli di modificazione della legislazione non consentiti in sede di deliberazione referendaria,
giacché non ci si limita a proporre l’abrogazione di previsioni di spesa, ma di disposizioni che
incidono sulle modalità di copertura della spesa che residua a carico del bilancio dello Stato,
espungendo i criteri puntualmente previsti nell’ultima parte del comma 15 dell’art. 1.
Questo aspetto accresce l’ambiguità globale del quesito referendario e pone in luce anche
l’equivocità delle finalità da esso perseguite, collocandosi in contrasto con specifiche
disposizioni costituzionali che impongono contenuti legislativi e anche con la natura delle leggi
attingibili con voto abrogativo popolare.
B) Va ricordato, infine, che la giurisprudenza di codesta Ecc.ma Corte è stata sempre sensibile
agli effetti di carattere internazionale ed europeo che possono derivare dalla votazione
referendaria (si richiamano, da ultimo, le sentenze n. 31/2000 e n. 41 /2000 che hanno dichiarato
inammissibili i relativi quesiti referendari).
Non è il caso di rammentare come il vincolo internazionale europeo sia stato espressamente
sancito dall’art. 117 comma 1 del nuovo Titolo V della Costituzione, perché è sufficiente
richiamare l’art. 75 comma 2 per comprendere che una azione legislativa di carattere abrogativo
non può ridurre l’operatività dei trattati internazionali che l’Italia ha ratificato e che ha deciso
doverosamente di eseguire.
Nel caso specifico l’abrogazione parziale della legge n. 62/2000 produrrebbe, esattamente, tale
antigiuridico effetto.
L’eventuale e denegata ipotesi di decisione d’ammissibilità del quesito referendario, infatti,
configurerebbe una di quelle misure vietate dal Trattato sulla Comunità europea (Tce) perché
produttiva del “rischio di compromettere la realizzazione degli scopi del presente Trattato”. (art.
10, comma 2, Tce) con connessa violazione di numerosi principi e disposizioni di rango
comunitario.
Tanto il Trattato sulla Comunità europea (Tce) quanto quello sull’Unione europea (Tue) - e loro
successive modificazioni- alla luce della giurisprudenza della Corte di Giustizia, impongono,
agli stati membri, infatti, il rispetto di alcuni principi fondamentali che sarebbero
irrimediabilmente lesi se si aprisse la strada al referendum abrogativo de quo.
Trattasi, in particolare, del principio di uniforme applicazione del diritto comunitario il cui
corollario è il principio di non discriminazione fra i cittadini dell’Unione rispetto all’esercizio dei
diritti loro riconosciuti e/o assegnati dall’ordinamento comunitario e quello di effettività dei
Trattati e della produzione derivata il cui corollario è quello “dell’effetto utile” della
normativa comunitaria.
A difesa dell’intera struttura comunitaria vi è la norma di cui all’art. 10 del Tce che impone agli
stati membri ed a tutti i loro organi (si vedano, fra le tante sentenze della Corte di giustizia sul
punto, quella del 9 marzo 1978, causa 106/77 o quella del 10 aprile 1984, causa 79/83), l’obbligo
di adottare “tutte le misure di carattere generale e particolare atte ad assicurare l’esecuzione
degli obblighi derivanti dal presente Trattato….di facilitare la Comunità nell’adempimento dei
propri compiti…di astenersi da qualsiasi misura che rischi di compromettere la realizzazione
degli scopi del presente Trattato”.
In caso di abrogazione parziale della legge n. 62/2000 il combinato disposto dei principi
surrichimati, degli obiettivi in materia di sistemi di istruzione, del diritto di stabilimento, del
diritto alla libera circolazione dei lavoratori, delle regole concernenti il corretto meccanismo di
funzionamento del mercato ed in particolare il sistema di concorrenzialità che deve vigere fra gli
operatori dello stesso settore imprenditoriale, subirebbe una grave quanto inaccettabile lesione.
Se ne vede la ragione in primis relativamente alla politica sociale in materia di sistemi
d’istruzione.
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A norma dell’art. 2 Tce, “La Comunità ha il compito di promuovere nell'insieme della Comunità,
………. un elevato livello di occupazione e di protezione sociale, il miglioramento del tenore e
della qualità della vita, la coesione economica e sociale e la solidarietà tra Stati membri”.
L’art. 136 Tce (titolo XI, politica sociale, istruzione; formazione professionale e gioventù)
conferma i suddetti obiettivi, stabilisce che essi sono compito tanto della Comunità quanto degli
stati membri (al secondo comma) precisando che gli Stati membri “ritengono che una tale
evoluzione risulterà sia dal funzionamento del mercato comune, che favorirà l'armonizzarsi dei
sistemi sociali, sia dalle procedure previste dal presente trattato e dal ravvicinamento delle
disposizioni legislative, regolamentari e amministrative”.. nel rispetto, per quanto riguarda le
scuole, del “contenuto dell’insegnamento e dell’organizzazione del sistema di istruzione” (primo
comma dell’art. 149 Tce) attesa la necessità di rispettare e favorire “il pieno sviluppo delle
culture degli stati membri” (art. 3, lett. q).
Salve, dunque, la libertà d’insegnamento e l’autonomia organizzativa del sistema d’istruzione
(numero cicli, diversità indirizzi, autorità competenti ai controlli, ….) la Comunità ed ogni stato
membro devono operare per raggiungere gli obiettivi sociali di cui prima.
La legge n. 62/2000 dell’Italia rappresenta un contenuto minimo, nel suo impianto teorico di
principio, al di sotto del quale tale stato membro non può andare, pena un’involuzione nel
cammino che l’art. 136 Tce, già richiamato, traccia per il “ miglioramento delle condizioni di vita
e di lavoro che consenta la loro (fra gli stati membri) parificazione nel progresso….lo sviluppo
delle risorse umane…. .la lotta contro l’emarginazione”.
E ciò risulta di facile intuizione perfino alla luce di una mera interpretazione letterale del testo
legislativo de quo.
Se ne spiega il motivo.
La legge n. 62/2000 ha delineato un sistema nazionale d’istruzione in cui operano sullo stesso
piano(primo principio), le scuole statali, quelle degli enti locali e quelle istituite dai privati, di
tipo paritario, con previsione di contributi alle famiglie ed agli alunni (secondo principio),
non solo per il diritto allo studio ma anche per quello all’istruzione (terzo principio), senza
differenze relativamente al tipo di scuola frequentato (quarto principio la cui
ragionevolezza, seppur in un’interpretazione più estensiva, è presente nella sentenza n. 454/’94
di codesta Ecc.ma Corte).
Tale sistema d’istruzione, nei suoi profili di principio (attesa, allo stato attuale, l’insufficienza
quantitativa delle agevolazioni), rappresenta un nucleo essenziale dunque, al di sotto del quale
non è possibile “il miglioramento delle condizioni di vita” degli alunni e delle famiglie delle
scuole non statali, collegate ai diritti sociali scolastici nonché il miglioramento delle condizioni “
di lavoro” del personale docente e non docente delle scuole non statali, nonché la “parificazione
nel progresso”….(fra gli stati membri) anche in tale campo “e lo sviluppo delle risorse umane….
e la lotta contro l’emarginazione” atteso che in Italia le scuole non statali hanno vissuto decenni
di emarginazione sotto svariati profili ben conosciuti dagli studiosi della materia ma oramai non
più radicati nel tessuto sociale contemporaneo, salvo improvvisi e violenti “rigurgiti” antistorici
ed antidemocratici.
La nostra, infatti, è una “una società multiculturale che pone problemi di riconoscimento di
bisogni e di identità differenziate” (Onida V., Ragionevolezza e bisogno di differenza, Milano,
1994, p.255).
La richiesta referendaria per l’abrogazione parziale della l. n. 62/2000 si palesa, quindi,
inammissibile per contrarietà al combinato disposto degli articoli 2, 3, 136 e 149 del Tce.
Ma non solo.
Alla luce del diritto di stabilimento, infatti, ogni cittadino dell’Unione può aprire un’attività
imprenditoriale in uno stato membro diverso da quello di origine. “Le restrizioni alla libertà di
stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro vengono
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vietate. Tale divieto si estende altresì alle restrizioni relative all'apertura di agenzie, succursali o
filiali, da parte dei cittadini di uno Stato membro stabiliti sul territorio di uno Stato membro”(
art. 43 Tce).
Tale applicazione del principio di non discriminazione, come insegna la Corte di giustizia, ha
valenza non solo formale ma anche sostanziale.
Ne discende che un cittadino europeo, nell’esercizio di tale diritto, non può incontrare, nel paese
di nuovo stabilimento, condizioni normative sfavorevoli rispetto a quelle del paese di origine per
l’offerta dello stesso servizio, in ossequio al principio di uniformità di applicazione del diritto
comunitario, di non discriminazione fra cittadini europei e “dell’effetto utile” della normativa
comunitaria.
Nel caso specifico delle scuole, è dato incontrovertibile come, salvo che per la Grecia, la
normativa dei singoli stati membri dell’Unione preveda un pari livello di dignità giuridica fra le
scuole non statali (o non appartenenti ad altri enti territoriali) che rilasciano titoli di studio con
valore legale e le altre e forme di sussidi alle scuole e/o alle famiglie per l’offerta formativa e per
la scelta della stessa.
L’abrogazione parziale della legge n. 62/2000, eliminando dal sistema nazionale d’istruzione le
scuole paritarie, implicherebbe, dunque, un grave ostacolo al diritto di ogni cittadino europeo di
impiantare in Italia un’impresa scolastica o una sua filale, con la stessa dignità giuridica
riconosciuta alla sua impresa scolastica nel paese d’origine.
Tanto valga anche per il diritto alle agevolazioni finanziarie, dirette o indirette che siano.
Anche la loro eliminazione esporrebbe l’Italia ad una violazione del principio di non
discriminazione e del diritto di stabilimento, sotto il profilo sostanziale, in relazione, ovviamente,
non al quantum delle agevolazioni ma al principio dell’esistenza del diritto ad ottenerne, qualora
in altri paesi membri esita (come esiste), in ossequio, anche, al principio di sussidiarietà che
impone l’intervento agevolativo nei confronti dei privati e delle autonomie non territoriali
(famiglie, associazioni..) che esercitano i lori diritti comunitari, da parte degli enti via via più
estesi territorialmente.
In materia di diritto allo stabilimento, si precisa che l’esclusione dalla normativa de qua delle
imprese che partecipano ai pubblici poteri, non si applica alle scuole perfino statali come chiarito
dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia che si deposita.
L’abrogazione parziale della l. n. 62/2000 violerebbe anche il diritto alla mobilità geografica dei
lavoratori provenienti dalle scuole non statali (o di latri enti territoriali) degli altri stati membri,
inserite in sistemi con dignità giuridica ed economica pari alle scuole statali (o di altri enti
territoriali).
L’eliminazione delle scuole non statali dal sistema nazionale d’istruzione italiano e la privazione
delle stesse dei contributi indiretti creerebbe, infine, una situazione di mercato vietata dal diritto
comunitario.
A norma dell’art. 82 Tce la Comunità vieta agli stati membri di avere, all’interno di un settore di
mercato, delle imprese in posizione dominante.
Allo stato attuale, in Italia, le imprese scolastiche di Stato sono in una posizione dominante
rispetto al mercato del servizio scolastico.
La legge n. 62/2000 pone, in nuce, il principio della concorrenzialità fra i produttori del servizio
scolastico.
Essa prevede, infatti, i contributi alle famiglie per l’esercizio del diritto allo studio ed
all’istruzione indipendentemente dal tipo di scuola frequentato. In altri termini la sovvenzione
segue l’alunno. In tal modo il consumatore (la famiglia e l’alunno) potranno scegliere il servizio
migliore.
L’abrogazione di tale sistema eliminerebbe, in radice, la possibilità di espungere dal mercato di
tale settore tutte le anomalie presenti.e collegate alla posizione dominante delle imprese di Stato,
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che inficiano, peraltro, proprio la qualità del servizio culturale e sociale offerto, a danno
dell’interesse generale.
L’applicazione anche alla legislazione degli stati membri sia del divieto delle posizioni
dominanti come l’applicazione sia delle regole sul mercato e la concorrenza (applicabili, per
disposto letterale, alle sole imprese) è stabilita dalla stessa giurisprudenza della Corte di Giustizia
che si deposita.
Alla luce delle plurime norme comunitarie richiamate risulta evidente, dunque, che
l’abrogazione parziale della legge n. 62/2000 condurrebbe alla violazione non solo delle singole
disposizioni e degli specifici obiettivi già evidenziati ma anche dell’art. 10 del Trattato a norma
del quale gli stati membri si devono astenere da qualsiasi misura che possa mettere a rischio la
realizzazione degli scopi della Comunità.
Risulta evidente che il referendum abrogativo de quo porrebbe a rischio tutti gli scopi e gli
obiettivi sopra precisati.
Ne discende che, anche per tali ragioni, il quesito referendario sottoposto al vaglio di codesta
Ecc.ma Corte presenta evidenti profili di inammissibilità.
P.Q.M.
Si chiede a codesta Ecc.ma Corte di voler tenere conto delle osservazioni sopra esposte e di voler
dichiarare inammissibile il quesito referendario di cui al giudizio n. 139 del Registro
referendario.
Roma, lì 9 gennaio 2003
(prof. avv. Aldo Loiodice)