COME LA CHIESA INFLUISCE NELLA SOCIETÀ Da “Servizio della Parola” del settembre 1984 Giuseppe Ruggieri Interdipendenza fra chiesa e società In primo luogo va subito precisato che chiesa e società non possono essere circoscritte come due realtà dai confini nitidi. La chiesa è nella società. Ma questo equivale a dire che non si da soltanto l'influsso della chiesa nella società, ma che la società spesso «impone» e «predetermina» le risposte del corpo ecclesiale. Questo vale soprattutto per quelle società nelle quali il cristianesimo è, a vario titolo, la religione in cui si riconoscono gruppi culturalmente egemoni. Lareligione infatti assolve ad una funzione sociale importantissima che è quella della fondazione e della giustificazione dei gesti necessari all'identità e alla sicurezza della società stessa. Così quando il cristianesimo si è posto, nella tarda antichità, come la religione dominante dell'impero romano, in sostituzione dell'antica religione pagana, esso ha abbandonato l'atteggiamento negativo verso alcuni comportamenti e verso alcune attività prima considerate incompatibili con la fede in Gesù crocifisso e risorto, ma necessario alla sussistenza della società. È esattamente dopo la pace costantiniana che Lattanzio (il quale prima era su posizioni contrarie), Ambrogio ed Agostino pongono le basi della dottrina della guerra giusta. E lo stesso Erasmo giustificava la guerra contro i Turchi, ma non tra cristiani. Si può certamente dire che in questo modo la chiesa ha influito nella società, nella formazione di una certa mentalità, ma bisogna tener presente come sia ultimamente la società stessa che in questi e in casi analoghi «demanda» alla chiesa questo stesso influsso. Contemporaneità di influssi diversificati In secondo luogo va precisato che parlare di un influsso della chiesa al singolare è oltremodo indeterminato. Il corpo ecclesiale (come il corpo sociale) è una realtà quanto mai complessa, all'interno della quale i vari soggetti non sono facilmente riducibili ad una sola modalità d'influsso. Un esempio concreto per tutti: nella chiesa fiorentina degli anni sessanta si pensi alle varie forme di impatto sull'opinione pubblica, sulla formazione delle coscienze e sui comportamenti collettivi, che furono date dal vescovo, da un prete come don Milani, da alcuni gruppi di intellettuali progressisti, da preti e parrocchie «tradizionali», da preti e parrocchie con spinte innovative (come nel caso di don Mazzi e di don Rosadoni), dalla testimonianza di un La Pira ecc. È inevitabile allora che il nostro discorso in questa sede, non potendo estendersi alla considerazione storica, l'unica in qualche modo adeguata all'argomento, debba limitarsi alla individuazione di alcuni modelli ideali. Questi non rappresentano la descrizione esaustiva dei comportamenti di differenti tipi di chiesa, ma solo la delineazione di tendenze che, a volte, si possono ritrovare inestricabilmente intrecciate nella stessa chiesa. E nemmeno la totalità dei modelli sarà ricoperta dalla nostra enumerazione. Il modello religioso Una precisa modalità di influsso vicendevole tra chiesa e società si ha quando la chiesa si identifica storicamente con quell'insieme di valori religiosi e morali che stanno a fondamento di una vita sociale ordinata e regolata. Le previsioni sulla fine dell'età religiosa si sono dimostrate infondate e recenti inchieste hanno mostrato come anche la società guida dell'Occidente abbia il suo «Dio d'America». Quando le chiese accettano questa funzione o addirittura la ricercano, tendono di fatto a porsi come luogo in cui si elaborano quei punti di riferimento di cui l'esistenza, individuale e collettiva, ha bisogno per fondarsi, per giustificare le proprie scelte, per difendersi da tutto ciò che costituisce un pericolo alla propria integrità fisica e spirituale. Ad esempio, i sacramenti della iniziazione cambiano allora il loro referente: non più riti e simboli della unione al Cristo, ma riti che accompagnano il cammino della vita umana: la nascita, la crescita, la socializzazione, la morte, l'aldilà. Così ancora si sviluppa in questo tipo di cristianesimo la tendenza alla costituzione di un patrimonio etico-ideologico distinto dall'evangelo il quale viene ad essere relegato nel mondo di alcuni «perfetti» (vocazioni straordinarie ecc.). Ne è un esempio l'affermazione di alcuni episcopati che recentemente hanno affermato come la vocazione alla nonviolenza può essere la strada di alcuni cristiani individualmente, ma non della chiesa tutta. Importante è, in questo modello, sottolineare come non si tratti solo di un modello legato al «potere». Negli strati popolari, «socialmente» cristiani, c'è una tortissima richiesta di questa funzione che spesso si scontra con la volontà più attenta alle esigenze della purezza evangelica di alcuni operatori pastorali e da luogo a conflitti quotidiani ed estenuanti nella normale prassi pastorale delle parrocchie. Queste infatti, proprio per la loro identificazione alla istituzione cristiana, sono il luogo in cui si scontrano le tendenze tipiche del modello «religioso» con quelle legate alla sostanza dell'evangelo che, proprio nella istituzione, trova i suoi canali privilegiati: liturgia e catechesi. Il modello «cristianità» Un altro modello dei rapporti tra chiesa e società è quello di «cristianità». Si tratta di un modello che nella storia della chiesa ha assunto facce e connotazioni molto diverse. Nella sua versione moderna, dopo la Rivoluzione francese, esso ha come sua componente essenziale un giudizio storico e una ideologia dell'unità sociale dei cristiani in aggiunta a quella ecclesiale. Il giudizio storico: la società in quanto tale, ma quella moderna in particolare, lasciata a se stessa è incapace di promuovere l'autentico bene delle persone. Il mondo è «senz'anima» e sono proprio i cristiani che debbono portarvi un «supplemento d'anima». Questa animazione cristiana della società nel secolo scorso si sposava ad atteggiamenti fondamentalmente antidemocratici e antilibertari. Ai giorni nostri invece accoglie il pluralismo e i valori delle democrazie moderne. Ma, accanto al giudizio storico, è essenziale al modello di cristiani-tà l'ideologia dell'appartenenza socio-culturale. I cristiani infatti devono riproporre nella società non solo la loro identità di fede, ma una identità culturale che può andare dal partito cristiano, alle scuole cristiane, ai consultori cristiani e via dicendo. I cristiani non debbono semplicemente stare con gli altri, ma, in forza della loro specifica identità, debbono stare con gli altri (giacché si riconosce il pluralismo) ma assieme tra di loro. I cristiani sono così un gruppo tra gli altri. La fede diventa non soltanto il fondamento della comunione ecclesiale, ma altresì il cemento di un'aggregazione sociale, la «cristianità» o la «nuova cristianità». Il modello di cristianità tende a concepire la fede ecclesiale in maniera «organica» ad un progetto sociale. Inoltre questo modello ripropone la dialettica amico/nemico (sia nel gioco democratico che in quello delle nuove crociate) come alimento della propria identità credente. Il modello storico-empirico Dal modello di cristianità occorre distinguere quello «storico-empirico» dell'influsso della chiesa sulla società. È infatti evidente che il cristianesimo opera, attraverso la testimonianza dei suoi santi, attraverso la predicazione e la catechesi, attraverso la liturgia, attraverso gli scritti di quanti hanno approfondito le problematiche dell'esistenza alla luce dell'evangelo di Gesù Cristo. Questa operazione del cristianesimo non è puntuale soltanto, ma, nella successione storica, ha costituito un patrimonio di memorie, di mentalità, di punti di riferimento concreto. È ovvio che una famiglia cristiana, gelosa custode della propria fede, viva dentro un'atmosfera in cui matureranno scelte e abitudini educative che avranno un profondo influsso nella vita degli individui e della società. Ma ciò che distingue il modello «storico-empirico» dal modello di «cristianità» sta nel fatto che il patrimonio storico della fede non viene vissuto come ideologia, come forza di aggregazione sociale. Esso viene piuttosto conservato, vissuto, rinnovato nella compagnia quotidiana con tutti, senza steccati. In forza di questo patrimonio non si costituisce un partito a parte, una scuola a parte ecc. Ma si rischiano le proprie scelte assieme ai propri compagni di viaggio e si tenta di dare «con dolcezza e rispetto», senza segregazioni specifiche, la testimonianza della speranza cristiana. Un quarto modello è quello «misterico». Esso si ha quando la chiesa ripropone il mistero cristiano attraverso l'annuncio e il sacramento. Potremmo parlare anche di modello sacramentale. L'Annuncio e il sacramento ecclesiale sono forza autenticamente storica, visibile. Essi manifestano al mondo la «debolezza» e la «follia» dell'evangelo della croce, ma che sono forza e saggezza di Dio. Per grettezza e cortezza di vedute spesso questo modello viene, dagli stessi cristiani, qualificato di «spiritualista». Si ignora così la forza stessa della croce e della vita di Gesù, l'efficacia che nella società e nella storia ha avuto il francescanesimo primitivo e via dicendo. Questo modello tende a dare visibilità al mistero attraverso un annuncio e un sacramento che non sono «ecclesiasticamente» atrofizzati. Nell'annuncio dell'evangelo è contenuta ogni testimonianza della saggezza di Dio nella storia che, proprio mentre si pone, si distingue da ogni progetto umano. L'annuncio infatti non è «organico», funzionale al progetto sociale. Una sua connotazione è il carattere «escatologico», che pone cioè la «fine» di questa storia. Un La Pira che durante il conflitto vietnamita predicava una pace possibile, irriso dagli uomini del suo stesso partito, poneva «fine» alla saggezza dei politici. Ed il sacramento non deve essere ristretto alla celebrazione sacramentale, anche se questa ne costituisce il momento fondante. L'esistenza tutta della chiesa, in quanto ripropone una comunione che non sorge dalla carne e dal sangue, la riconciliazione che è stata meritata a noi dal sangue di Cristo, la pratica quotidiana della santità, dell'accoglienza, del perdono, della misericordia, è sacramento e simbolo visibile e storico del mistero di Dio. Il modello «misterico» non è in opposizione al modello della cristianità o a quello storico empirico. Infatti in qualche modo è presupposto da essi. Ma, secondo che nelle comunità prevalga l'ideologia della cristianità o il privilegio della testimonianza, anche il modello «misterico» ne viene colorato. È chiaro infatti che l'annuncio e il sacramento in una prospettiva di cristianità tendono a orientarsi sempre più verso il modello religioso «organico» alla società (non importa se in posizione di retroguardiaconservazione o in posizione di avanguardia-innovazione). Mentre se una comunità vive prevalentemente nella prospettiva della testimonianza semplice dei cristiani mescolati ai loro fratelli nella società, l'annuncio e il sacramento tendono a orientarsi sempre più verso la dimensione escatologica, rivelativa della santità di Dio. La forza della profezia A proposito della profezia, altro modo concreto attraverso cui la fede opera nella società, forse non è giusto parlare di modello. Il modello infatti pretende fissare alcune costanti. Ma la profezia sfugge alla presa dell'uomo e della chiesa stessa. Essa implica l'irruzione della sovranità di Dio nel tempo. Ma anche la profezia è «data» alla chiesa: un don Mazzolar;, un don Milani, un Giovanni XXIII sono figure autenticamente ecclesiali. E la profezia non si concretizza solo in alcune persone determinate, ma anche in gesti e avvenimenti ai quali è difficile assegnare una paternità individuale. Inoltre essa non è sempre lineare. La vicenda dell'Isolotto nella chiesa italiana e nella società (che reagì anche nella forma del giudizio penale), al momento del suo esplodere, significò anche un giudizio profetico. Di fronte all'emergere della profezia in genere si tende a ignorare, emarginare o addirittura mettere a morte. Ma censura, emarginazione ed esecuzione sono segno che l'evangelo incide nella carne della storia. Della profezia è importante cogliere l'«oggi», la puntualità. Il monito evangelico contro coloro i quali onorano i profeti che i propri progenitori hanno messo a morte è sempre attuale. La riabilitazione «postuma» di un don Milani, un don Mazzolar;, un don Zeno sono solo segno di ipocrisia. Mentre la «censura» permanente manifesta l'oggi persistente della profezia. La censura recente da parte del magistero ecclesiastico della ingenua condanna della guerra, in ogni sua forma, che fece Giovanni XXIII nella Pacem in terris, è segno dell'attualità di quella voce profetica. Credibilità del messaggio e modello adeguato Se la chiesa oggi vuole manifestare la riconciliazione cristiana alla società dentro la quale vive, deve altresì rendersi consapevole che alcuni modelli di comportamento tendono a snaturare ciò che essa vuoi portare. Quando infatti la chiesa si costituisce prevalentemente come istituzione del bisogno religioso o come cristianità inevitabilmente vanifica la riconciliazione per un verso nello spiritualismo-ritualismo, peraltro verso la confina dentro le strettoie di un orizzonte sociopolitico limitato. Una chiesa che infatti tende a definire la propria presenza secondo contorni diversi da quelli segnati dalla croce, di fronte all'inevitabile compromissione con la saggezza di questo mondo non può che dare spessore inferiorerituale soltanto alla riconciliazione, proprio perché essa non è ancora riconciliata pienamente con l'evangelo. Il misero spettacolo durante la guerra delle Malvine, dei rispettivi episcopati dell'Argentina e dell'Inghilterra che davano sostegno morale alla guerra dei rispettivi governi, purtroppo non era compatibile con l'eucaristia celebrata in comune. È chiaro che allora la riconciliazione cristiana è totalmente vanificata e spiritualizzata. Ma ciò avviene proprio perché le chiese vivono senza libertà il proprio rapporto con la società dentro cui sono immerse. Per lo stesso motivo appare come, quando si è scelta una prospettiva di cristianità, la riconciliazione cristiana non riesca a superare la prospettiva dell'amico/nemico. Le misere pressioni fatte sui vescovi americani perché correggessero la sia pur moderata bozza di lettera pastorale sui problemi della guerra e della pace e, tra l'altro, sopprimessero il passaggio in cui invitavano a non avere una «percezione ossessiva della politica sovietica», ne sono un segno. La riconciliazione che la chiesa propone non è inferiore soltanto, non è rituale, non è politica. Si tratta invece della riconciliazione stessa finale di tutti e di tutte le cose nel Regno del Padre così come ci è stata manifestata sulla croce di Cristo che, giusto, muore fra gli ingiusti. Si tratta ancora della fraternità ritrovata da parte di quanti cercano di essere perfetti come il Padre che sta nei cieli il quale fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Perché la chiesa sia nel mondo segno e sacramento di questa riconciliazione non può che riproporre, nella libertà, questa profondità e ampiezza del mistero. Per far questo occorre eliminare soltanto tutte le aggiunte con cui abbiamo presunto di rendere più saggia la croce di Cristo. Don Giuseppe Ruggieri