RELAZIONE SUL PROGETTO DI FORMAZIONE DEL PERSONALE COINVOLTO NELLA CONDUZIONE DEGLI ORFANOTROFI E DELLA CASA-FAMIGLIA PER RAGAZZE ADOLESCENTI A SCUTARI (GIUGNO 2004) QUADRO GENERALE IN CUI SI INSERISCE L’INTERVENTO Nel contesto socio-culturale albanese il termine della scuola dell’obbligo previsto a 14 anni rappresenta, agli occhi della comunità e delle normative vigenti, l’ingresso se non all’età adulta, ad un’età di sufficiente maturità e autonomia dell’adolescente. La scuola perde la sua funzione di agenzia di socializzazione primaria e, soprattutto negli ambienti più poveri, i giovani vengono considerati in grado di contribuire al mantenimento proprio e della famiglia. Nel caso degli orfani o dei minori abbandonati dalle famiglie d’origine, la normativa locale prevede che, raggiunta questa età, essi vengano dimessi dagli orfanotrofi e l’assistenza pubblica, che fino a quel momento si era occupata di loro, si riduce notevolmente, limitandosi prevalentemente a fornire un supporto abitativo (convitti). Tuttavia al momento delle dimissioni dagli orfanotrofi gli adolescenti, soprattutto quelli istituzionalizzati dalla nascita, non sono assolutamente in grado di compiere percorsi di autonomia e inserimento sociale indipendente. Esiste una vasta letteratura1 che da ormai 50 anni conferma che crescere negli orfanotrofi comporta un processo di deprivazione che connesso a gravi ritardi nello sviluppo sociale, affettivo e cognitivo. Questi ritardi comportano un’inadeguata scolarizzazione per cui i bambini, pur frequentando scuole normali, sanno a malapena leggere e scrivere. Allo stesso tempo presentano disturbi del comportamento a volte così severi da rendere difficile il loro adattamento, obbligandoli spesso ad una marginalità sociale. Per questi adolescenti, già sottoposti ad una forte emarginazione sociale, si verifica un notevole divario tra ritardi evolutivi accumulati e la maturità necessaria ad inserirsi nei normali contesti relazionali e lavorativi. Per queste ragioni e molti di loro finiscono per cadere vittime di circuiti malavitosi, coinvolti in attività illegali in Albania o all’estero (in Italia l’Albania è al primo posto fra i paesi di provenienza dei minori non accompagnati2). In questo quadro, l’apertura di case famiglia rappresenta una importante risposta (nel breve e lungo periodo) per 2 ordini di motivi: - per i/le minori inseriti/e rappresenta l’opportunità di un percorso educativo individualizzato attraverso cui acquisire maggiori strumenti e tutele per inserirsi nel mondo adulto. 1 Cfr Emiliani F. (2004), “Deprivazione da istituzionalizzazione precoce e attaccamento: non è ‘roba vecchia’. In Psicologia Clinica dello Sviluppo, n°2. 2 Fonte: elaborazione Censis su dati Ministero Welfare al 30/09/03- Comitato per i minori stranieri/Iprs - dal punto di vista de servizi per l’infanzia costituisce un primo passo verso un auspicabile processo di de-istituzionalizzazione che va esteso alle fasce di età più basse per ridurre il più possibile le carenze dovute alla deprivazione istituzionale. Perché ciò si verifichi è necessario che le esperienze avviate risultino positive in termini di: - capacità d produrre concreti miglioramenti negli utenti; - apprendimento da parte degli operatori (e conseguente capacità di diventare a loro volta agenti di cambiamento) di una specifica modalità di lavoro basata sul lavoro di gruppo, l’osservazione di comportamenti e dinamiche relazionali, la formulazione di obiettivi e progetti educativi individualizzati, in netta contrasto con le modalità di lavoro tipiche delle grandi istituzioni. L’intervento portato avanti dalla prof.ssa F. Emiliani e dalla dott.sa L. Palareti ha visto una prima fase di lavoro nell’ottobre ’03 e complessivamente si è declinato su due versanti: A. un lavoro di formazione, rivolto a quanti operano in orfanotrofi, case famiglia o contesti analoghi, sullo sviluppo cognitivo, sociale ed affettivo nell’infanzia e nell’adolescenza, con particolare attenzione ai fattori di rischio e protezione inerenti la crescita in istituto (prevalentemente svolto nell’ottobre 2003); B. un lavoro di formazione e supervisione rivolto alle operatrici della casa famiglia aperta alla fine del 2003 con 7 adolescenti dimesse dall’orfanotrofio (prevalentemente svolto nel giugno 2004). A) Dopo l’esperienza di ottobre e la visita agli orfanotrofi avevamo preparato materiale didattico e audiovisivo sui centri per la prima infanzia in Italia e all’estero (in particolare sull’esperienza di Loczy, a Budapest, come esempio di organizzazione istituzionale idonea alle esigenze di sviluppo dei bambini) con l’intenzione di renderlo disponibile e fruibile dal personale dell’orfanotrofio che ospita bambini da 0 a 3 anni, nella consapevolezza che questa fascia d’età è la più delicata e quella su cui si innescano le problematiche evolutive più severe. Il materiale preparato si presta ad un lavoro formativo sistematico con un personale motivato a coinvolgersi in questo impegno. Di fatto, nella settimana di giugno in cui siamo state presenti a Scutari era in corso una discussione fra il comune di Scutari e il ministero su un progetto di ristrutturazione che prevede la chiusura dell’orfanotrofio, sostituito da un centro residenziale per non più di una decina di bambini ed un centro diurno adiacente. Su questo progetto siamo state coinvolte in una riunione con la vice sindaco della città che esprimeva perplessità e difficoltà rispetto alla chiusura dell’orfanotrofio. A nostro parere il progetto è molto interessante in quanto persegue una prospettiva de-istituzionalizzazione e vediamo molto utile, in questa eventuale fase di trasformazione, il lavoro di formazione che avevamo predisposto. Tuttavia, non essendo stato possibile incontrare il personale dell’orfanotrofio che in quei giorni aveva le visite dei funzionari del ministero, abbiamo coinvolto la direttrice del Centro Donna, presso il quale c’è un asilo per la prima infanzia. Occorre dire che il Centro Donna è un punto di riferimento piuttosto interessante a Scutari in quanto fulcro di iniziative, attività educative e di assistenza gestito da donne della città. Alla direttrice abbiamo quindi mostrato, spiegato e lasciato il materiale audiovisivo, nell’ipotesi che la mediazione del Centro Donna possa favorire un lavoro di formazione con le operatrici che riteniamo molto fruttuoso. B) Nel complesso il lavoro di supervisione della casa famiglia si è proposto 3 obiettivi: 1) promuovere una capacità di lavoro in gruppo, con il raggiungimento di obiettivi comuni pur partendo dalle diversità di tempi, ruoli e modalità di relazione che gli adulti coinvolti nel progetto intrattengono con le minori. 2) Aiutare a costruire progetti individualizzati su ciascuna minore, partendo da un’analisi delle problematiche psicologiche presentate e da un’osservazione dei comportamenti espressi. 3) Introdurre strumenti di verifica che aiutino le operatrici a guidare nel tempo il proprio lavoro. Nella pratica, l’attività di supervisione svolta a Scutari dal nei giorni 15, 16, 17 e 18 giugno ’04 si è basata sul lavoro svolto in precedenza (e coordinato da Francesca Giuliani e da Gladiola Sava) di lettura da parte nostra dei diari giornalieri dei primi mesi di avvio della casa famiglia e sulle informazioni relative alle storie di vita delle ragazze. La lettura dei diari scritti in albanese dalle educatrici e tradotti per noi da Gladiola Sava ci ha permesso di comprendere il clima relazionale realizzatosi fin dall’inizio all’interno della casa, le dinamiche più importanti nelle relazioni fra educatori e con le minori ospiti e, infine, le problematiche più rilevanti che ciascuna ragazza riportava. Sulla base di questo primo lavoro abbiamo messo a punto schede di rilevazione dei comportamenti manifestati da ciascuna adolescente in riferimento alle seguenti aree: cura di sé, capacità relazionali, socializzazione all’esterno della casa famiglia, rispetto delle regole di comportamento interne alla casa famiglia, autocontrollo dell’aggressività, acquisizione di abilità cognitive, rendimento scolastico (vedi strumento allegato). La seconda fase di lavoro è stata realizzata da Gladiola Sava che, durante la sua permanenza a Scutari nel maggio ’04, ha compilato, con ciascuna educatrice o adulto coinvolto nell’andamento della casa famiglia 3, una scheda per ciascuna ospite di per un totale di 42 schede. 3 Le schede sono state compilate dalle 4 educatrici, dalla suora responsabile della casa famiglia e dalla stessa Gladiola Sava che durante quel periodo ha avuto modo, vivendo nella casa, di osservare a lungo le ragazze nelle attività quotidiane. Al suo rientro da Scutari abbiamo discusso con lei le osservazioni fatte e costruito degli schemi riassuntivi nelle quali compaiono, per ciascuna ragazza, le valutazioni espresse da ogni adulto su ciascun comportamento. Le schede riassuntive per ciascuna minore sono state restituite alle operatrici della casa famiglia ed utilizzate come punto di partenza per il lavoro di formazione e supervisione. Il metodo di lavoro utilizzato si è, infatti, posto l’obiettivo di sviluppare nelle educatrici un’attenzione specifica e selettiva nell’analisi dei comportamenti. La nostra esperienza di lavoro e formazione con educatori in Italia ci ha insegnato che sviluppare un’attenzione ai comportamenti e ragionare su essi aiuta la capacità di riflessione soprattutto per quegli operatori che hanno una scarsa preparazione teorica. In effetti, il lavoro di supervisione svolto a Scutari dal 15 al 18 giugno a partire da un confronto fra le educatrici originato dalle personali valutazioni espresse sulle ragazze nelle schede, ha permesso una profondità e una concretezza di analisi che non avrebbe potuto aver luogo senza questo supporto. Inoltre, la discussione prodotta ha permesso di formulare obiettivi da raggiungere a breve termine con ogni minore (nell’arco di tre, quattro mesi) mettendo in evidenza anche attraverso quali pratiche educative le educatrici avrebbero aiutato le ragazze a perseguirli. Il metodo adottato quindi si è sviluppato in fasi diverse ed articolato sui seguenti punti: 1) dall’analisi dei diari e delle storie personali si sono individuate le aree tematiche di osservazione e i singoli comportamenti definiti “descrittori comportamentali”. 2) Dal confronto dei punteggi dati sui singoli comportamenti per ciascuna minore da ciascuna educatrice è scaturita la riflessione che va ad individuare gli obiettivi a breve termine del processo di cambiamento. 3) Individuati gli obiettivi a breve termine si sono formulate le strategie educative da attuare da parte delle singole educatrici. 4) Le schede con i “descrittori comportamentali” sono un concreto strumento di verifica del lavoro educativo in quanto permettono, se compilate periodicamente e discusse in gruppo, di valutare i progressi fatti, riformulare gli obiettivi ed eventualmente modificare il proprio intervento. A tale proposito si propone che la studentessa Gladiola Sava trascorra due ulteriori periodi (prevedibili nell’ottobre ‘04 e primavera ‘05) nella casa famiglia in modo da fare un’osservazione longitudinale dei processi di cambiamento e fornire all’educatrice Francesca Giuliani ulteriori strumenti per proseguire nel suo lavoro di coordinamento e supervisione del progetto. Infine, una mezza giornata di lavoro è stata dedicata alla supervisione sui vissuti personali delle educatrici, con particolare attenzione ai sentimenti di coinvolgimento personale e ai rischi di burn out. Considerazioni Agli incontri di supervisione hanno partecipato le 4 educatrici, Gladiola Sava, e la responsabile del progetto Francesca Giuliani. L’assenza di suor A.M., ricoverata in Italia per problemi di salute, ha fatto sì che purtroppo il gruppo non fosse al completo; d’altro canto suor G., che provvisoriamente la sostituisce, ha preferito non partecipare agli incontri ed occuparsi delle bambine, presumibilmente per timore di sostituirsi eccessivamente alla consorella. Nonostante la diversa formazione ed esperienza, le operatrici si sono mostrate notevolmente interessate al lavoro proposto, partecipando tutte attivamente ed evidenziando buone capacità di osservazione e riflessione. Ribadiamo che l’aspetto più significativo di questo lavoro sta nel promuovere nel gruppo una capacità di lavoro in èquipe, inizialmente è apparsa molto carente. Infine, fra le attività svolte a Scutari, si è tenuto un incontro con i docenti di psicologia (e discipline affini) del locale corso universitario, al fine di valutare eventuali attività formative da svolgersi all’interno della convenzione già esistente fra l’università di Bologna e quella di Scutari. Bologna, 30 giugno 2004 prof. sa F. Emiliani dott.sa L. Palareti