Vercelli fra Tre e Quattrocento A cura di Alessandro Barbero SOCIETÀ STORICA VERCELLESE VERCELLI 2014 SOCIETÀ STORICA VERCELLESE Vercelli fra Tre e Quattrocento Atti del Sesto Congresso Storico Vercellese Vercelli, Aula Magna dell’Università A. Avogadro, “Cripta dell’Abbazia di S. Andrea” 22 - 23 - 24 Novembre 2013 A cura di Alessandro Barbero vercelli 2014 ABBREVIAZIONI Archivi: AAVc = Archivio Arcivescovile di Vercelli ACVc = Archivio Capitolare di Vercelli AFMT = Archivio della Fondazione Museo del Tesoro del Duomo AOM = Archivio Storico dell’Ordine Mauriziano di Torino ASAP = Archivio della Soprintendenza per i Beni archeologici del Piemonte ASAVc = Archivio Storico dell’Arcidiocesi di Vercelli ASB = Archivio di Stato di Biella ASCB = Archivio Storico Città di Biella ASCVc = Archivio Storico del Comune di Vercelli ASCVc, seguito da nome (es. G. Scutari) = Archivio Storico del Comune di Vercelli, Fondo Notarile, notaio G. Scutari ASDM = Archivio storico della Diocesi di Milano ASTo = Archivio di Stato di Torino, Corte ASTo, Riunite = Archivio di Stato di Torino, Sezioni Riunite ASVc = Archivio di Stato di Vercelli BCVc = Biblioteca Capitolare di Vercelli Fondi: Acap = Atti capitolari Ap = Atti privati AP = Atti pubblici FN = fondo notarile OSA = Archivio dell’Ospedale di Sant’Andrea OSA, P = Archivio dell’Ospedale di Sant’Andrea, fondo Pergamene PC = Protocolli dei notai camerali PD = Protocolli dei notai ducali Pubblicazioni: DBI = Dizionario biografico degli Italiani MHP = Monumenta Historiae Patriae 9 Beatrice Del Bo (Università degli Studi di Milano) ARTIGIANATO A VERCELLI: SETTORI PRODUTTIVI TRA CONTINUITÀ E MUTAMENTO (PRIMI DECENNI DEL XV SECOLO)* I settori trainanti dell’economia urbana vercellese, in particolare il tessile e la lavorazione del ferro e del cuoio, avevano superato indenni la congiuntura di metà Trecento1. La produzione tessile eusebiana non aveva, inoltre, subito modifiche radicali, come era accaduto in altre realtà della medesima area geografica, dove le manifatture tradizionali erano state indirizzate, per usare un’espressione di Rinaldo Comba, “verso una produzione di tessuti, se non proprio di lusso, almeno mediamente qualificata”2. Il mutamento del gusto e le conseguenze della crisi avevano sostenuto la domanda nel settore dell’edilizia e dei manufatti di lusso, in particolare di oggetti artistici, di oreficeria e di pellicce. Questi comparti artigianali, che offrivano chances di occupazione e di progresso sociale, si erano ampliati e rafforzati3. L’inserimento poi della città nel dominio visconteo aveva consentito ai mercanti e agli artigiani locali di accedere, sfruttandoli, ai circuiti commerciali e alla domanda generata in particolare dalla capitale del dominio, Milano. Fra l’ultimo decennio del Trecento e i primi tre del secolo successivo, quando l’egemonia politica della città fu spartita, per così dire, fra i Visconti e i marchesi di Monferrato4, la presenza economica mila* Desidero ringraziare per le preziose segnalazioni e il proficuo confronto sui temi trattati Elisabetta Canobbio e Rinaldo Comba; per la cortese disponibilità, la direttrice dell’Archivio Storico del Comune di Vercelli, Patrizia Carpo. Su questi aspetti, si veda B. Del Bo, Mercanti e artigiani a Vercelli nel Trecento: prime indagini, in Vercelli nel secolo XIV. Atti del V Congresso Storico Vercellese, a cura di A. Barbero e R. Comba, Vercelli 2011, pp. 527-552. 2 R. Comba, Contadini, signori e mercanti nel Piemonte medievale, Roma-Bari 1988, p. 129. 3 Del Bo, Mercanti e artigiani a Vercelli cit., pp. 540 sgg. Per una sintesi sulle principali tendenze della storia economica e sull’interesse della medesima alla “crescita” e alle strutture produttive, cfr. P. Malanima, Storia economica e teoria economica, in Dove va la storia economica? Metodi e prospettive, secc. XIII-XVIII, a cura di F. Ammannati, Firenze 2011, pp. 419-428. 4 Cfr. il contributo di Paolo Grillo in questo volume e di A. Barbero, Signorie e comunità rurali nel Vercellese fra crisi del districtus cittadino e nascita dello stato principesco, in 1 251 Beatrice Del Bo nese vi si consolidò, soprattutto dopo il 1417, quando Vercelli rientrò a pieno titolo nel dominio di Filippo Maria Visconti. La grande attenzione che questi pose alla politica economica e soprattutto il sostegno fornito alla mercatura e al commercio ebbero con ogni probabilità un impatto positivo sull’economia vercellese5. L’immigrazione anche di Milanesi fu peraltro favorita dalla politica “popolazionistica” praticata da Filippo Maria: nel 1424, per esempio, il duca emanò un provvedimento col quale si garantivano dieci anni di esenzioni fiscali a coloro che si fossero trasferiti in città, “dummodo aliquid immobile non acquirant”6. Sull’onda di tali agevolazioni, numerosi artigiani e uomini d’affari lasciarono Milano per Vercelli, dove talvolta ottennero la cittadinanza7. Tra loro si annoverano fornaciai, sellai, osti, cordai, mercanti, merciai, drappieri, tintori, fabbricanti di mole e dorerii, come il lavoratore di metalli preziosi Cristoforo di Arcore da Cairate, del quale si tratterà nei prossimi paragrafi, che divenne civis Vercellensis il 27 giugno 14238. Questo flusso migratorio non si interruppe con il passaggio della città alla dominazione dei duchi di Savoia, che anzi ribadirono le agevolazioni fiscali a favore dei forestieri, in particolare dopo l’epidemia di peste del Vercelli nel secolo XIV cit., pp. 411-511, pp. 456-464, pp. 472 sgg. 5 B. Del Bo, Mercanti e finanze statali in età visconteo-sforzesca, in Il governo dell’economia. Italia e penisola iberica nel basso Medioevo, a cura di L. Tanzini e S. Tognetti, Roma 2014, pp. 131-153; P. Mainoni, La politica economica di Filippo Maria Visconti: i traffici, l’Universitas Mercatorum, le manifatture tessili e la moneta e B. Del Bo, Le concessioni di cittadinanza nel quadro dei provvedimenti di politica economica di Filippo Maria, entrambi in Seicento anni dall’inizio del ducato di Filippo Maria Visconti, 1412-1447. Economia, politica, cultura, a cura di F. Cengarle e N. Covini, in corso di pubblicazione. 6 Riferimento a tali disposizioni si trova in ASCVc, G. Scutari, 2552/2484, cc. 77v-78r, 1428 dicembre 11: nel 1428 il vicario del podestà di Vercelli accettò in qualità di habitator Olivo di Milano che da quattro anni risiedeva a Vercelli e che vi si era trasferito proprio in virtù delle esenzioni garantite nel 1424. 7 Per un’approfondita trattazione sugli immigrati a Vercelli fra XIV e XV secolo, rinvio a B. Del Bo, Le ragioni politiche della mobilità geografica: da Milano a Vercelli, in corso di pubblicazione. 8 Il da Cairate ottenne un’esenzione dalla guardie notturne limitata a tre anni (Summarium monumentorum omnium quae in tabulario municipii Vercelensis continentur ab anno DCCCLXXXII ad annum MCCCCXLI ab incerto auctore concinnatum, a cura di S. Caccianottio, Vercelli 1868, p. 313). Sul da Cairate, si veda oltre, paragrafo 6. 252 Artigianato a Vercelli 14299, con un provvedimento di Amedeo VIII di pochi anni dopo10. 1. Le reti del credito: prestatori, “credito di categoria” e Ospedale di Sant’Andrea A sostegno di un’attività produttiva e commerciale vivace erano necessarie reti di credito a maglie piuttosto strette. Esse erano fondamentali soprattutto per gli operatori medio-piccoli, più soggetti a crisi di liquidità, considerata la mole ridotta del loro giro d’affari e la minore diversificazione degli investimenti11. A Vercelli si può individuare un gruppo di persone socialmente variegato che esercitava l’attività di prestito. Le scarse attestazioni di mutui rinvenute per gli anni qui indagati risultano spesso formalizzate presso la sede della municipalità, il Broletto, nella Camera librorum o nella Clavaria12. Tra i prestatori compaiono uomini di diversa estrazione sociale, 9 Le attestazioni della pestilenza in ASCVc, G. Scutari, 2552/2484, cc. 143v-144v, 1429 luglio 26, Larizzate, “in loco ubi per spectabilem dominum potestatem Vercellarum occurrente condolendo caso contagionis pestifere vigentis in civitate Vercellarum ius redditur”, dove si rileva l’assenza del numero di notai richiesto dagli statuti del collegio per procedere all’ammissione di un nuovo membro, a causa della peste; ivi, cc. 146v-148r, 1429 luglio 25, Lignana, in castro. La credenza di Vercelli, convocata dal podestà Aimonetto de Brozio ex comitibus Castrimontis nel castrum di Lignana a causa della pestilenza in città; ivi, cc. 462v-463r, 1431 novembre 19, Vercelli: un altro riferimento all’epidemia del 1429. Queste attestazioni sono le prime relative al diffondersi dell’epidemia in città. Il contagio risultava sinora documentato a Trino Vercellese nel 1428, nel 1429 a Savigliano, Pinerolo e Moncalieri: R. Comba, La popolazione in Piemonte sul finire del Medioevo. Ricerche di demografia storica, Torino 1977, p. 59. Non è riportata alcuna attestazione del diffondersi dell’epidemia nell’area di Vercelli in A. M. Nada Patrone e I. Naso, Le epidemie del tardo Medioevo nell’area pedemontana, Torino 1978. 10 Nel 1432 i duchi di Savoia ribadirono la medesima concessione (Summarium monumentorum cit., p. 347). 11 D. Degrassi, L’economia artigiana nell’Italia medievale, Roma 1996, pp. 26 sgg. 12 ASCVc, G. Scutari, 2253/2485, cc. 74v-75r, 1435 gennaio 27: Pierino di Candia accorda un mutuo di 12 fiorini ad Antonio Viana, lanarius. La transazione si svolge presso il banco della tesoreria del Comune (“apud banchum clavarie”); ASCVc, G. Scutari, 2253/2485, c. 193r, 1436 aprile 19: il nobilis Zanino da Masino, civis Vercellensis, dichiara di aver ricevuto a titolo di mutuo da Bartolino Nibbia, 11 fiorini che promette di restituire ad beneplacitum di Bartolino; ASCVc, G. Scutari, 2252/2484, c. 60r, 1428 agosto 2: Nicolone da Bulgaro di Motta de’ Conti riceve a titolo di mutuo sedici sacchi di frumento buono e pulito che promette di restituire entro un anno. Entrambe le transazioni si svolgono nel Broletto, in camera librorum; ASCVc, G. Scutari, 2252/2484cc. 238v-239r, 1430 aprile 11, Vercelli, in broleto communis Vercellarum. Al cospetto di Enrico da Momo, vicario del podestà di Vercelli, in iure civili licentiatus, e su richiesta del notaio Gabriele Scutari, che rappresenta Gabriele de Brioscho, civis Mediolani, Antonio Stampa, civis Mediolani nunc moram 253 Beatrice Del Bo dal fisicus Giacomino da Confienza13, al sarto Maffiolo detto il Rosso da Novara14, dai nobili Leonardo Maffei15 e Giacomo de Pepiis16, al caligarius Antonio detto Ceva di Bulgaro17, sino ai Candia, il notaio Pierino, forse il più attivo in questo settore, appaltatore di dazi e solito concedere prestiti su pegno fondiario, e il drappiere Franceschino, che pure concedeva “prestiti mascherati”18, come quello di 150 fiorini, dietro la vendita di un palatium con tre botteghe situato a Moncalieri19. Non si possono tuttavia individuare prestatori di professione, tantomeno banchieri, se si eccettua la presenza di Giovanni Borromeo detto Prevostino, documentata soltanto dalla comparsa del suo nominativo tra gli estimati della vicinia di Santa Maria per la Taglia del dicembre 140120. Egli potrebbe essere identificato con un esponente della nota schiatta bancaria di origini toscane, forse proprio con il capostipite del ramo milanese, Giovanni, o con il nipote, l’omonimo Giovanni detto Prevosto Borromeo, attivo a Milano alla fine degli anni Trenta del secolo e poi, dal 1449, direttore della filiale di Bruges della banca di famiglia21. Ma la presenza del nominativo non attesta automaticamente la presenza del personaggio in città, giacché potrebbe indicare soltanto il possesso di un immobile, tanto più che Prevostino non trahens in dicta civitate Vercellarum, dichiara di aver ricevuto a titolo di mutuo da detto Gabriele la somma di 700 fiorini, che si impegna a restituire entro i prossimi due mesi. 13 ASCVc, G. Scutari, 2252/2484, c. 350rv, 1431 gennaio 31. La famiglia, assai ramificata, praticava la professione medica e annoverò tra i suoi esponenti il noto Pantaleone, fisicus e autore, tra le altre, della Summa lacticiniorum (si veda I. Naso, Università e sapere medico nel Quattrocento. Pantaleone da Confienza e le sue opere, Vercelli-Cuneo 2000, pp. 26-27). 14 ASVc, G. Scutari, 2253/2485, c. 111rv, 1435 settembre 5. 15 ASVc, G. Scutari, 2252/2484, c. 243rv, 1430 aprile 20. 16 ASVc, G. Scutari, 2252/2484, cc. 114v-115r, 1429 febbraio 23. 17 ASVc, G. Scutari, 2252/2484, cc. 423r- 426rv, 1431 luglio 28. 18 ASVc, G. Scutari, 2252/2484, cc. 219r- 220r, 1430 marzo 1; ASVc, G. Scutari, 2253/2485, cc. 74v-75r, 1435 gennaio 27. ASCVc, G. Scutari, 2253/2485, c. 104r, 1435 luglio 21; ASCVc, G. Scutari, 2252/2484, cc. 189r-191r, 1430 gennaio 18; ivi, c. 191rv, 1430 gennaio 18; ivi, cc. 191v-192r, 1430 gennaio 18; ivi, cc. 192r-193r, 1430 gennaio 18. Pierino disponeva di almeno un famulo accusato dal campario della vicinia di San Tommaso il 18 agosto 1406 di aver trasportato, caricate su due bestie, due somata di legna tagliate nel bosco di Ludovico di Bulgaro per un danno stimato di 3 lire (ASCVc, Atti Giudiziali, Reg. 379, c. 30r); ASCVc, D. Lonati, 1604/1531, cc. 65rv, 1434 marzo 13: prestito di 40 fiorini. 19 ASCVc, D. Lonati, 1604/1531, cc. 69r-71v, 1434 luglio 26. 20 ASCVc, Libri di Taglia, 1401 dicembre, v. Santa Maria. 21 B. Del Bo, Banca e politica a Milano a metà Quattrocento, Roma 2010, pp. 126-128. 254 Artigianato a Vercelli compare in alcun rogito notarile22. Come ho avuto modo di illustrare in altra sede, gli artigiani, in genere, e quelli eusebiani, in particolare, erano invece soliti sfruttare circuiti finanziari “nascosti” e “informali”, che difficilmente emergono dalla documentazione. Queste relazioni di credito si instauravano, in parte, all’interno delle singole categorie artigianali (“credito di categoria”) e, in parte, si concretizzavano in rapporti di compensazione (manufatti e manodopera contro canoni) tra gli artigiani e l’Ospedale di Sant’Andrea23. La scarsità degli atti di mutuo e di cambio, a fronte di una fiorente attività produttiva e commerciale, non fa che comprovare l’esistenza di circuiti di credito diversi da quelli per così dire ufficiali. Negli anni successivi a quelli qui presi in considerazione è attestata invece una florida attività di prestito, oltre che di commercio, esercitata da alcuni ebrei (Isacco, Manno, Giuseppe, Ventura), della quale per i decenni precedenti non v’è traccia24. 2. Continuità e ampliamento: il settore tessile e l’aumento della produzione laniera Come si cercherà di mettere in evidenza nei paragrafi che seguono, in un quadro produttivo improntato alla continuità, vi furono taluni mutamenti importanti, in particolare nel settore tessile, che determinarono un nuovo assetto di tale comparto, con conseguenze anche nel ramo commerciale. Accanto alla lavorazione del ferro, che restava uno dei settori di punta dell’artigianato vercellese e occupava decine di famiglie cittadine tra il 1419 e il 143025, anche la lavorazione delle pelli e delle pellicce continuava 22 Il personaggio è forse identificabile con Giovanni Borromeo tra i credendari del 1396 (I Biscioni, a cura di R. Ordano, tomo I, vol. 3, Torino 1956, doc. 648, pp. 209-213, 1396 agosto 31). 23 Non posso qui dilungarmi su questo aspetto, che ho già diffusamente trattato in B. Del Bo, Gli artigiani vercellesi del ‘300 fra “credito di categoria” e relazioni con l’Ospedale di Sant’Andrea, in Il credito informale, improprio, invisibile, a cura di M. Carboni e M. G. Muzzarelli, Bologna 2014, pp. 67-90. 24 ASCVc, G. Lonati, 1605/1532, c. 76rv, 1440 novembre 8; ivi, c. 76v, 1440 novembre 8; ivi, c. 77r, 1440 novembre 22; ivi, c. 78r, 1440 dicembre 8; ivi, c. 80r, 1441 gennaio 5; ivi, c. 93r, 1441 maggio 16; ivi, c. 95v, 1441 agosto 14; ivi, c. 98v, 1441 ottobre 9; ivi, c. 99r, 1441 ottobre 13. Sugli aspetti socioeconomici della presenza di prestatori ebrei, si veda l’esemplare saggio di G. Muzzarelli, I banchieri ebrei e la città, in Banchi ebraici a Bologna nel XV secolo, a cura di M. G. Muzzarelli, Bologna 1994, pp. 89-157. 25 I dati sono ricavati da ASCVc, Libri di Taglia, 1419, e ASCVc, G. Scutari, 2252/2483. 255 Beatrice Del Bo a dare lavoro a molte persone, benché tale manifattura risultasse in flessione nel primo Quattrocento. Soltanto quattro sono infatti gli affaytatores rinvenuti nella documentazione dei primi tre decenni del secolo, mentre tra il 1389 e il 1392, ne erano attivi ben sette26, 12 i calligari attestati nel primo Quattrocento contro 17 e sei i pellicciai contro nove27. Già ben strutturato nei secoli precedenti28, il settore tessile divenne invece sempre più centrale nell’economia vercellese, anche in virtù di alcuni cambiamenti che lo investirono. Si tenga conto che la produzione era attestata su buoni livelli già sullo scorcio del XIV secolo, quando tra gli imprenditori lanieri eusebiani si deve annoverare, tra l’altro, l’Ospedale di Sant’Andrea che forniva materia prima da lavorare ad alcuni artigiani e ne riceveva panni, in un efficace e oliato circuito di compensazioni di crediti e debiti, al quale si è accennato29. Nei primi del Quattrocento, la produzione laniera si diffuse in tutte le città viscontee, come ha messo in luce Patrizia Mainoni30, anche a Vercelli, essa fu favorita dalle esenzioni fiscali garantite Per il periodo precedente, cfr. Del Bo, Mercanti e artigiani cit., pp. 536-537, e P. Mainoni, Un’economia cittadina nel XII secolo: Vercelli, in Vercelli nel secolo XIII, Vercelli 2005, pp. 311-352, in particolare pp. 312-320. 26 Protocolli notarili vercellesi del XIV secolo. Regesti, a cura di A. Coppo e M. C. Ferrari, Vercelli 2003, ad indicem. 27 I dati sono tratti dal ASCVc, Libri di Taglia, a. 1419, e per gli affaytatores da ASCVc, E. Balocco, cc. 39r-40v, 1423 maggio 5 e ivi, cc. 65r-66v, 1425 marzo 4: Zannino e Ruggerino d’Arborio del fu Giovanni; ivi, cc. 86v-88r, 1426 marzo 28: Eusebio Lanino, affaytator Vercellensis, nell’atto di vendere a Ruggerino d’Arborio, afaytator Vercellensis, una beccaria; ASCVc, B. Scotti, 2551/2483, cc. 99rv, 1412 dicembre 14: Giovanni detto Montanea; ASCVc, Scutari, 2252/2484, cc. 17v-18v, 1428 febbraio 25. ivi, cc. 357r-358r, 1431 febbraio 15: Bartolomeo della Motta. 28 Del Bo, Mercanti e artigiani cit., pp. 536-537. Per il traffico di tessuti nell’area vercellese, in particolare nel secolo XIV cfr. A. M. Nada Patrone, Per una storia del traffico commerciale in area pedemontana nel Trecento. Fibre tessili, materiale tintorio e tessuti ai pedaggi di Vercelli e di Asti, in Studi in memoria di Mario Abrate, II, Torino 1986, pp. 645-692. 29 Cfr. Del Bo, Gli artigiani vercellesi del ‘300 cit., p. 78: a proposito della compensazione avvenuta tra il lavoro dell’affittuario “in lanatura pannorum hospitalis” e il pagamento del fitto per un appezzamento di proprietà dell’ente. 30 Sulla contemporanea crisi dell’industria laniera fiorentina, H. Hoshino, L’arte della lana in Firenze nel Basso Medioevo: il commercio della lana e il mercato dei panni fiorentini nei secoli XIII-XV, Firenze 1980, pp. 231 sgg.; sulle supposte ripercussioni sull’aumento di produzione in altre aree e in particolare nelle città viscontee, anche in seguito alla diffusione della lana iberica, Mainoni, La politica economica di Filippo Maria Visconti cit.; Ead., Il mercato della lana a Milano dal XIV al XV secolo. Prime indagini, in “Archivio Storico Lombardo”, 110 (1984), pp. 20-43; per un parere diverso sulla diffusione della lana spagnola, 256 Artigianato a Vercelli a quegli artigiani che si fossero trasferiti in città31. Un’indicazione relativa all’ampliamento di questa produzione a Vercelli emerge dalle attestazioni di operatori del settore rinvenute nella documentazione32. Se si confrontano due registri di taglia, uno del 1401 e uno del 141933, si nota l’aumento degli estimati impiegati nel settore tessile, in genere, e in quello laniero, in particolare. A fronte di otto tessitori, un cimatore, un laborator lane, un drappiere e cinque lanarii, nel 1401, vent’anni più tardi (1419) compaiono 13 tessitori, un cimatore, tre drappieri e ben 14 lanarii. L’espansione di tale comparto avvenne con tutta probabilità a danno di altre lavorazioni tessili, come quella del lino, della tela e del fustagno: non risulta, infatti, attivo alcun fustagnaio negli anni presi in considerazione, laddove a fine Trecento operava almeno il maestro Antonio di Albano del fu Giacomo34; neppure sono attestati laboratores tele o lini, come per i decenni precedenti35. Con il passaggio alla dominazione sabauda, tale crescita fu ancor più stimolata, giacché probabilmente Vercelli recepì le disposizioni ducali risalenti a qualche anno prima36. Per far fronte alla situazione critica che si era creata dopo la crisi della seconda metà del Trecento, infatti, nel dominio sabaudo i rappresentanti delle comunità che producevano manufatti tessili avevano cominciato a riunirsi a Torino per pianificare delle azioni coordinate a livello regionale. Nel 1422, oltre all’obbligo di acquistare panni prodotti nel dominio, si era stabilito di aumentare la produzione in quelle località che si ritenevano più idonee e si erano proposte agevolazioni per favorire l’immigrazione di artigiani specializzati37. Tali consultazioni furono rinno- cfr. J. H. Munro, I panni lana, in Commercio e cultura mercantile, a cura di F. Franceschi, R. A. Goldthwaite, R. C. Mueller, IV, Treviso 2007, pp. 105-142, in particolare p. 123. 31 Cfr. sopra. 32 Si tenga conto che purtroppo la documentazione non restituisce informazioni sulle modalità e sulle strutture produttive. 33 ASCVc, Libri di Taglia, 1401 dicembre e 1419. 34 Protocolli notarili cit., docc. 290, 295-297, pp. 112 sgg. 35 Le menzioni di questi lavoratori si ritrovano a partire dal quarto decennio del Quattrocento (ASCVc, G. Lonati, 1605/1532). 36 Comba, Contadini, signori e mercanti cit., p. 131. 37 Si veda, Comba, Contadini, signori e mercanti cit., pp. 130-131; Atti delle assemblee costituzionali italiane dal Medioevo al 1831, serie I: Stati generali e provinciali, sezione V: Parlamenti piemontesi. Parlamento sabaudo, I, Patria cismontana, II, (1386-1427), a cura 257 Beatrice Del Bo vate ancora nel 1429 e nel 1431: tra i rappresentanti chiamati a partecipare vi furono in tutte le circostanze anche i Vercellesi, in quanto Vercelli era considerato uno dei centri dello Stato sabaudo in cui la manifattura laniera era più sviluppata38. Che la produzione fosse cresciuta, si può evincere anche dall’aumento del commercio di tali manufatti, esercitato in parte dai lanaioli e soprattutto dai drappieri. I lanarii si dedicavano probabilmente tanto alla fabbricazione quanto alla vendita dei panni, forse anche della materia prima. Le loro botteghe erano concentrate nelle vicinie di San Lorenzo e di San Giuliano, dove, dall’ultimo decennio del Trecento (1392)39, è documentata l’esistenza di un burgus draparie. Del 1429 è invece la prima attestazione dell’esistenza nel burgus di una domus fondi pannorum40, impiegata per il deposito delle merci. Le botteghe di panni e le “drapperie” assicuravano un buon giro d’affari, a giudicare dalle tracce relative al patrimonio dei loro gestori e dalla attestata ereditarietà del mestiere. Il trasmettersi della professione di padre in figlio costituisce, infatti, non tanto il segnale del cristallizzarsi della mobilità sociale artigiana, quanto piuttosto l’indice della redditività e del successo della professione41. A testimonianza della vivacità e dell’abbondanza delle transazioni che vi si svolgevano, i portici a draparia e le numerose botteghe ospitavano di frequente i notai nella stesura degli atti42. di A. Tallone, Bologna 1929, p. 400, doc. 938, 1422 marzo 16; ivi, p. 401, doc. 940, 1422 marzo 19. 38 Atti delle assemblee costituzionali italiane dal Medioevo al 1831, serie I: Stati generali e provinciali, sezione V: Parlamenti piemontesi. Parlamento sabaudo, I, Patria cismontana, III, (1427-1458), a cura di A. Tallone, Bologna 1929, pp. 36 sgg. e 51 sgg: il 5 febbraio 1431 il duca inviò una lettera circolare nella quale si legge: “augere et in melius efficere desiderans artem lane … mandamus expresse quatenus duos ambaxiatores pro qualibet comunitate, quos in ea arte noveritis magis expertos, elligatis”. Le località alle quali si faceva riferimento erano Moncalieri, Chieri, Torino, Avigliana, Susa, Lanzo, Ciriè, Ivrea, Biella e Vercelli; anche il comune di Cuneo provvide alla nomina degli ambasciatori (ivi, p. 53). 39 Del Bo, Mercanti e artigiani cit., p. 539. 40 ASCVc, G. Scutari, 2552/2484, c. 99rv, 1429 gennaio 30: varie attestazioni. 41 Per l’interpretazione nel segno del cristallizzarsi della mobilità, cfr. D. Degrassi, Il mondo dei mestieri artigianali, in La mobilità sociale nel Medioevo, a cura di S. Carocci, Rome 2010, pp. 273-287, pp. 284 sgg. 42 In una sola cartella dello Scutari, si rinvengono i seguenti atti rogati nel borgo della drapperia: ASCVc, G. Scutari, 2552/2484, c. 99rv, 1429 gennaio 30; ivi, c. 118rv, 1429 febbraio 24; ivi, cc. 180v-181v, 1429 dicembre 28; ivi, cc. 252v-253v, 1430 maggio 4; ivi, c. 254r, 1430 maggio 4; ivi, cc. 254v-255r, 1430 maggio 4; ivi, cc. 339r-340r, 1431 gennaio 258 Artigianato a Vercelli Tra gli operatori del settore, ossia lanarii, mercanti, sarti e drappieri, che lavoravano nel “borgo della drapperia” si possono citare i Montiglio43, i Centori44 e i Becurra. La ramificata famiglia di lanaioli Becurra era tra le più eminenti della categoria: Bertolino Becurra, figlio di Alino, possedeva una bottega a draparia nella vicinia di San Lorenzo45, e godeva di una certa autorevolezza tra gli operatori economici della città, se era stato incaricato di dirimere una lite tra due pellicciai, insieme a un collega lanarius e a un drappiere46. Egli disponeva di una buona liquidità e di alcuni immobili nella vicinia di San Lorenzo47. Il parente Stefano era proprietario di almeno due apotheche, nella medesima vicinia, una, dotata di tetto in coppi, portico e banco, venduta con patto di retrovendita, nel 1434, a un sarto di Vercelli per 20 fiorini48, l’altra, ubicata accanto alla sua abitazione e venduta l’anno dopo al fratello Giovanni per 10 fiorini49. Le transazioni immobiliari stanno forse a indicare che negli anni Trenta Stefano attraversava una fase di difficoltà economica o di scarsa liquidità. Sposato con Margarina, Stefano, grazie al suocero, era imparentato con il rettore della chiesa vicinale50. Il fratello Giovanni aveva contratto un buon matrimonio nel 1431, sposando Comina di Palestro che portò in dote 100 fiorini51. Rimasta vedova, nel 1438, dopo aver recuperato la sua dote, la donna affidò i figli alla nonna paterna52. Un altro esponente della stirpe, propinquior parens di Stefano e di Gio- 3; ivi, c. 343r, 1431 febbraio 3; ivi, cc. 365r-366r, 1431 marzo 6; ivi, cc. 455v-456v, 1431 novembre 11. 43 ASCVc, G. Scutari, 2552/2484, cc. 339r-340r, 1431 gennaio 3. 44 ASCVc, G. Scutari, 2552/2484, cc. 365r-366r, 1431 gennaio 31. Sui Centori cfr. oltre; si veda, inoltre, il contributo di Fabio Pistan in questo volume. 45 ASCVc, G. Scutari, 2552/2484, cc. 17v-18v, 1428 febbraio 25. 46 ASCVc, E. Balocco, 557/400, cc. 56r-57r, 1424 ottobre 10; ivi, c. 58rv, 1424 ottobre 21. 47 ASCVc, G. Scutari, 2252/2484, cc. 17v-18v, 1428 febbraio 25: Bertolino acquistava un appezzamento di alteno in Cantarana per 17 fiorini; ASCVc, G. Scutari, 2252/2484, cc. 381v-383r, 1431 aprile 30: attestazione del possesso di un sedime del valore di 10 fiorini. 48 ASCVc, G. Scutari, 2253/2485, cc. 3v-4v, 1434 maggio 25 e ivi, cc. 4v-5r, 1434 maggio 25. 49 ASCVc, G. Scutari, 2253/2485, cc. 64r-65r, 1435 gennaio 12. 50 ASCVc, G. Scutari, 2252/2484, cc. 452v-454r, 1431 ottobre 18. 51 ASCVc, G. Scutari, 2252/2484, cc. 461r- 462r, 1431 novembre 19. 52 ASCVc, G. Scutari, 2252/2484, c. 461r, 1438 novembre 10. 259 Beatrice Del Bo vanni53, Eusebio Becurra, cittadino e lanarius di Vercelli, era stato nominato procuratore “per qualsiasi causa” dalla “Societas mercatorum artis lane ac lanariorum”, della quale faceva parte anche Stefano54. All’ora del Vespro del 25 maggio 1427, presso il capitolo della chiesa di San Paolo, si era riunito il consiglio della societas merchatorum artis lane della città di Vercelli per la nomina del Becurra. I 28 uomini presenti, in rappresentanza dei due terzi dei membri della corporazione55, testimoniano di un gruppo professionale costituito da almeno una cinquantina di persone dedite al commercio e all’imprenditoria laniera56. Proprio l’attestazione dell’esistenza della corporazione costituisce una testimonianza eloquente del ruolo di primo piano svolto dallo smercio e dalla produzione dei drappi, giacché essa era stata costituita probabilmente dopo il 1417, per fungere da interlocutore della “rinnovata” Universitas mercatorum Mediolani che, proprio con Filippo Maria, aveva recuperato un ruolo decisivo nella gestione delle relazioni con i mercanti di altre città57. Il rinnovo della corporazio- 53 La definizione di propinquità in ASCVc, G. Scutari, 2252/2484, cc. 461r- 462r, 1431 novembre 19. 54 ASCVc, E. Balocco, 557/400, cc. 97r-98r, 1427 maggio 25. 55 ASCVc, E. Balocco, 557/400, cc. 97r-98r, 1427 maggio 25. Accanto ai consoli Gualino di Robbio e Gualfredo Gattoni, erano presenti i mercanti e i lanieri Bernardo di Mortara, Pietro Cazzani, Andrea Fornari, Giorgio detto Rosa di Tricerro, Corrado Tagliaferro, Ottino de Fratino, Giovanni di Bertolino, Roffinotto di Robbio, Perrino Foglia, Stefano Calvi, Antonio di Strada, Eusebio Pettenati, Francescone della Francia, Martinetto di Olavengo, Antonio de Gralia, Giacomo detto Balada di Trivero, Domenico di Ricetto, Giorgio de Mosso, Ubertino di Olcenengo, Antonio di Verono, Marchesio di Ossolano, Antonio di Brenzio, Matteo di Biandrate, Zannino Panzarolio, Antonio di Casaleggio, Stefano Becurra, Antonio di Asigliano, Antonio di Passagio. Essi costituivano “i due terzi o più” dei membri della societas. 56 Per una testimonianza relativa alla produzione laniera del periodo successivo a quello qui preso in considerazione, ASCVc, G. Lonati, 1605/1532, cc. 68v-69r, 1440 luglio 18: Eusebio de la Serrata, civis et notarius Vercellensis, riceve da Isacco Iudeus, habitator Vercellarum, cento pezze di lana che si impegna a dare et mensurare ipsi Ysac Iudeo entro sei mesi, ricevendo in pagamento trentaquattro ducati milanesi. 57 Mainoni, La politica economica di Filippo Maria cit.; sulla Mercanzia di Bergamo in età signorile, cfr. Ead., L’economia di Bergamo tra XIII e XV secolo, in Storia economica e sociale di Bergamo. I primi millenni. Il Comune e la signoria, a cura di G. Chittolini, Bergamo 1999, pp. 257-338, in particolare pp. 272-279; per Cremona, sulla rifondazione della società dei mercanti di lana nel 1421, Ead., Le Arti e l’economia urbana: mestieri, mercanti e manifatture a Cremona dal XIII al XV secolo, in Il Quattrocento. Cremona nel Ducato di Milano (1395-1535), a cura di G. Chittolini, Cremona 2008, pp. 116-147, p. 124; per il ruolo della corporazione, con riferimento al XIII secolo, si veda L. Bertoni, Pavia alla 260 Artigianato a Vercelli ne, inoltre, pare perfettamente in linea con quanto avvenne in quel torno di tempo, in realtà qualche anno dopo58, nei principali centri sabaudi, dove si provvide all’“inquadramento di tutti i lavoratori del settore in una rigida struttura corporativa” ben diversa da quella che aveva connotato i due secoli precedenti59. Nell’elenco dei soci presenti alla riunione non figurano i Centori, che pure dovevano farvi parte, in quanto erano forse i principali venditori di drappi della città. Quella dei Centori era un’antica prosapia vercellese, di estrazione mercantile, i cui membri dal XII secolo sono attestati come mercanti di pellicce e prestatori, ben inseriti negli organismi municipali con consoli, consoli di giustizia e con esponenti nel capitolo di Sant’Eusebio60. Nel XV secolo, un ramo della famiglia, quello di Antonio, possedeva nella vicinia di San Giuliano un fundegus pannorum (attestato almeno dal 1429 e come domus fondegi pannorum ancora almeno nel 1436)61 e una draparia porticata62, dove talvolta alcuni parenti, Riccardino, Ranieri e Giovanni figli del fu Francesco, si recavano con un notaio per registrare le loro transazioni63. La famiglia disponeva di un discreto patrimonio immobiliare a Pezzana, tra cui un mulino64, tanto che la bottega di Antonio ospitava il notaio Scutari e fine del Duecento. Una società urbana fra crescita e crisi, Bologna 2013, pp. 93-101. 58 Si veda per esempio la delibera del comune di Pinerolo sulla redazione dei capitoli dell’arte della lana scaturita dalla partecipazione all’assemblea di Pinerolo (cfr. sopra): Patria cismontana cit., III, doc. 1072, p. 42, 1429 giugno 18. 59 R. Comba, Lo sviluppo delle attività artigianali e commerciali, in Storia di Torino, II, Il basso Medioevo e la prima età moderna (1280-1536), a cura di R. Comba, Torino 1997, pp. 476-513, pp. 476-485; Id., Contadini, signori e mercanti cit., p. 131. 60 R. Rao, I beni del comune di Vercelli. Dalla rivendicazione all’alienazione (1183-1254), Vercelli 2005, pp. 206-207. I Centori avevano anche ricoperto il ruolo di podestà di Casale. Sui Centori, cfr. anche il contributo di F. Pistan in questo volume. 61 ASCVc, G. Scutari, 2552/2484, cc. 116v-118r, 1429 marzo 9. ASCVc, G. Scutari, 2552/2484, c. 386rv, 1431 maggio 3. ASCVc, G. Scutari, 2552/2484, cc. 201rv, 1436 giugno 6. 62 ASCVc, G. Scutari, 2552/2484, cc. 252v-253v, 1430 maggio 4: “sub porticibus a draparia”. 63 ASCVc, G. Scutari, 2552/2484, cc. 68v-69v, 1428 novembre 25; cc. 119v-120v, 1429 marzo 12 64 ASCVc, G. Scutari, 2552/2484, c. 436v-438r, 1431 agosto 25. I Centori probabilmente intrattenevano affari con il de Agratio: ASCVc, G. Scutari, 2552/2484, cc. 185v-187rv, 1430 gennaio 12. 261 Beatrice Del Bo alcuni abitanti di tale località, allorché dovevano stendere contratti di locazione e compravendita65. La rilevanza sociale di Antonio è ben illustrata sia dalla magistratura consolare per la vicinia di San Giuliano ricoperta nel 142566, sia dall’officio di tesoriere del comune affidatagli negli anni 1417-141967, e forse ancora nel 1431, allorché egli incassava per conto della municipalità i fitti di alcune botteghe68. Definito nobilis, Antonio Centori, nel 1430 agiva per conto dell’ex podestà di Vercelli, Zenone di Capodiferro di origine veronese, nella ricezione di un fitto69 e di “commissario apostolico dei redditi della domus dei Rantivi” – l’ospedale di San Silvestro dei Rantivi, un’istituzione laica preposta alla cura dei bambini orfani e abbandonati70 – nel 143471, in virtù del fatto che il figlio Domenico ne era il minister almeno dal 142972. Sempre nel 1434 Antonio era stato inviato più volte a Torino in qualità di ambasciatore del comune in occasione delle assemblee73. La dote fornita alla nipote Zencura de Ulmo dai fratelli Antonio e Francesco Centori ne conferma l’ottima posizione economica: alla fanciulla, che aveva dimorato con loro sino a quel momento, gli zii concessero una casa in pietra con tetto in coppi e solai del valore di 170 fiorini74. La ragazza sposò Francesco, uno dei figli di Domenico de Strata, ossia uno tra i più agiati osti vercellesi, credendario del Comune nel 141175. 65 ASCVc, G. Scutari, 2552/2484, cc. 125r-126r, 1429 aprile 9; cc. 215r-216v, 1430 febbraio 27. 66 ASCVc, Atti giudiziali, reg. 336, a. 1425. 67 ASCVc, Atti giudiziali, reg. 329-330. 68 ASCVc, G. Scutari, 2552/2484, c. 456v-458r, 1431 novembre 6. 69 ASCVc, G. Scutari, 2552/2484, cc. 209rv, 1430 febbraio 19. 70 Cfr. G. Ferraris, L’Ospedale di S. Andrea di Vercelli nel secolo XIII. Religiosità, economia, società, Vercelli 2003, p. 44 e la bibliografia alla nota 37. 71 ASCVc, G. Scutari, 2553/2485, cc. 45r, 1434 novembre 17. 72 ASCVc, G. Scutari, 2552/2484, cc. 178rv, 1429 dicembre 19. Antonio Centori agiva per conto del figlio Domenico e dell’Ospedale dei Rantivi nell’incassare il canone di una casa, di una bottega e di un solaio tenuti in fitto dagli speziali Comino e Niccolino di Zenone di Mosso, confinanti in parte con le proprietà di Antonio: ASCVc, G. Scutari, 2552/2484, c. 459v-460v, 1431 novembre 15. 73 Patria cismontana cit., III, pp. 105-106; ivi, p. 112. Negli anni seguenti un discendente, Ranieri, svolse lo stesso incarico, ivi, p. 178. 74 ASCVc, G. Scutari, 2552/2484, c. 412v-413r, 1431 giugno 8; cc. 415v-417v, 1431 giugno 8. 75 Domenico de Strata del fu Antonio, hospes di Vercelli, è attestato almeno dal 1419 e 262 Artigianato a Vercelli 3. Il mutamento: l’introduzione dell’arte della lana sottile e dell’artificium sete Nei primi anni della dominazione sabauda, si rilevano le tracce di mutamenti importanti intervenuti nel settore tessile: fu in questo torno di tempo che a Vercelli sembrò attuarsi quella conversione che Rinaldo Comba ha rilevato per altre località piemontesi nella seconda metà del Trecento76. La “politica protezionistica soprattutto volta a incrementare l’arte della lana e la produzione laniera di lusso”, promossa in sinergia dal duca di Savoia e dal Comune77, determinò anche nella nostra città l’indirizzarsi di una parte della manifattura tessile verso una produzione di qualità medio-alta, della quale si hanno alcune testimonianze. Al 19 ottobre 1433 risale la prima attestazione della lavorazione della lana sottile nel centro eusebiano: nella bottega dello speziale Giacomo Raspa, il nobile Stefano da Carisio affidava il giovane Zannino da Nebbione a Zannino de Vincino, per affiancarlo in laborando artem lane subtilis con un salario di 4 fiorini annui, vitto e alloggio e con l’obbligo, per il de Vincino, di insegnargli i segreti dell’arte78. L’atto documenta l’esistenza a Vercelli di una produzione di panni di fattura raffinata, mai attestata in precedenza in città79. La lavorazione vi si radicò: nel 1438, infatti, un altro atto testimonia che da molti anni a Vercelli si esercitava l’arte della lavorazione dei panni di lana sottile. Nella fattispecie, risulta che il maestro lanarius Lorenzo di Fenegrò, parente dell’oste Nicola80, aveva istruito a lungo – “pluribus annis sino al 1428 (ASCVc, E. Balocco, 557/400, cc. 4r-5v, 1419 luglio 12; cc. 118v-119r, 1428 gennaio 25). L’abitazione e l’osteria di Domenico, che occupavano lo stesso edificio, si trovavano nella vicinia di San Tommaso. Alla sua morte, avvenuta prima del 1432 (ASCVc, D. Lonati, 1604/1531, cc. 27r-28r, 1432 settembre 21, in cui risulta defunto), il mestiere fu rilevato dal figlio Giovanni (ASCVc, G. Scutari, 2553/2485, cc. 232r-233r, 1438 aprile 17). Sul de Strada cfr. oltre. Per l’attestazione di credendario, B. Sangiorgio, Cronica del Monferrato, Torino 1780, pp. 298-305. 76 Comba, Contadini, signori e mercanti cit., p. 129. 77 Comba, Contadini, signori e mercanti cit., p. 141. 78 ASCVc, D. Lonati, 1604/1531, cc. 59v-60r , 1433 ottobre 19. Un’ulteriore attestazione del personaggio in G. Lonati, 1605/1532, c. 94v, 1441 maggio 24. 79 Vercelli è ricordata in precedenza come “esportatrice di manufatti popolari di qualità media e inferiore” (Comba, Contadini, signori e mercanti cit., pp. 130 e 141) e Nada Patrone, Per un storia del traffico commerciale in area pedemontana cit. 80 ASCVc, G. Scutari, 2553/2485, cc. 219v-220v, 1438 febbraio 19. Anche per la presenza di un parente della moglie di Nicola tra i garanti dell’atto. 263 Beatrice Del Bo iam elapsis” - i fratelli Ludovico, Matteo e Antonio di Castino, cioè i figli del defunto primo marito della moglie Rosa, il barberius Antonio. I ragazzi avevano abitato con Lorenzo ad unum panem et unum vinum e si erano applicati con impegno e con correttezza nell’arte della lana e in faciendo pannos subtiles. Il maestro riteneva che le sostanze dei tre fratelli sarebbero di molto aumentate – “illa bona dictorum fratrum grandiverit et bonificaverit et augmentaverit ita proprie fuissent, si eos geruisset ipse Laurencius” – se, per l’appunto, le avesse gestite lui, cosa che avrebbe fatto peroptime, insieme alla madre dei ragazzi. Per ottenere questo risultato, i fratelli, alla presenza tra gli altri di Antonio Centori e con l’autorizzazione dei pochi parenti residenti in città, stipularono una fraternitas decennale con il lanarius, che prevedeva la messa in comune di tutti i loro beni con quelli del patrigno, “per maius in futurum reportare commodum ex exercitio ipsius artis lane”, volendo “eorum conditionem meliorem efficere et amplificare eorum res et bona”. L’atto illustra anche la redditività di questo mestiere: proprio il profitto che si contava di ottenere, evidentemente basato sulla stima dei redditi del patrigno, aveva indotto, forse anche dietro le pressioni materne, i fratelli, Ludovico, Matteo e Antonio ad affidare, benché temporaneamente, tutte le loro sostanze al maestro. Di certo, comunque, il sostegno e le iniziative del potere pubblico a favore dell’industria della lana ebbero successo, se un secolo dopo (1530), il maestro della zecca sabauda, Henry Pugnet, scriveva che les faiseurs de draps e di estamectz pullulavano nel Vercellese81. Nel quadro dell’introduzione di lavorazioni tessili di pregio in città, risulta altrettanto significativo un atto che testimonia l’avviamento a Vercelli dell’artificium sete, nel quale grande importanza rivestiva, come noto, la manodopera femminile82: il 18 giugno 1434 Berta di Crosso, vedova di Alberto e, all’epoca, convivente con tale Giovanni, si accordò con Giannina della Molinaria, anche lei vedova, affinché per 7 fiorini e ½ istruisse nell’arte della seta sua figlia, che, in linea con quanto previsto dai contratti di apprendistato, sarebbe andata ad abitare con lei83. Si tratta della prima testimonian- Cfr. Comba, Contadini, signori e mercanti cit., p. 134. Sull’introduzione della lavorazione della seta a Torino, vedi Comba, Lo sviluppo delle attività artigianali cit., pp. 485-494, sulla manodopera femminile, ivi, pp. 485-486. 83 ASCVc, G. Scutari, 2552/2484, 2, cc. 10v-11r, 1434 giugno 18. 81 82 264 Artigianato a Vercelli za della lavorazione a Vercelli di questa preziosa fibra, che necessitava di una specializzazione assai elevata e allo stesso tempo di un mercato, cioè di una domanda di tali prodotti, che ne giustificasse l’impianto. Si tenga conto che a Milano, per esempio, tale lavorazione è attestata soltanto a partire dagli anni Venti-Trenta del Quattrocento, e che essa fu rinnovata un decennio più tardi con il reclutamento da parte di Filippo Maria Visconti del setaiolo lucchese Piero di Bartolo, nel tentativo di “rendere autosufficiente il ducato nel campo delle arti seriche”84. L’attestazione dell’esistenza di questa nuova manifattura a Vercelli, insieme alla presenza di dorerii, dotati di raffinate competenze tecniche nel settore della manipolazione di metalli preziosi85, e di frixarii, cioè di commercianti specializzati in manufatti tessuti in seta e fili d’oro, induce a credere che potesse essere praticata in città anche la filatura auroserica. Se ne ha forse un riscontro indiretto, nell’attestazione di un furto imputato proprio a un maestro frixarius, Lucchino da Giussate di Milano, accusato di avere sottratto e fuso dell’argento di proprietà di Antonio de Lanciis86. Questo reato potrebbe testimoniare che, come altrove, tali commercianti si occupavano della fornitura di metalli preziosi ai filatori auroserici87. 4. Tra continuità e ampliamento: il settore commerciale Dalla documentazione del primo trentennio del Quattrocento, il ruolo commerciale di Vercelli, già messo in luce per i secoli precedenti88, non soltanto ne esce confermato ma accresciuto. Traccia esplicita di questo incremento è costituita da un’iniziativa edilizia, intrapresa prima del 143189, forse proprio in coincidenza con l’instaurarsi della dominazione sabauda. P. Grillo, Le origini della manifattura serica in Milano (1400-1450), in “Studi storici”, 35 (1994), pp. 897-916, p. 903. 85 Comba, Contadini, signori e mercanti cit., p. 134, dove si legge di un dorerius milanese accettato come habitator a Torino “a patto che la moglie insegnasse a tessere la seta alle giovani della città”. 86 ASCVc, E. Balocco, 557/400, cc. 169r-170r, 1431 dicembre 18. 87 Cfr. C. Roman, L’azienda serica di Leonardo Lanteri, imprenditore a Milano nel XV secolo, in “Studi storici”, 35 (1994), pp. 917-942, p. 919. 88 Cfr. P. Mainoni, Un’economia cittadina nel XII secolo: Vercelli, in Vercelli nel secolo XII, Vercelli 2005, pp. 311-352, in particolare pp. 322-328; A. Degrandi, Artigiani nel Vercellese dei secoli XII e XIII, Pisa 1996, pp. 36-42; Del Bo, Mercanti e artigiani cit., pp. 527-535. 89 ASCVc, G. Scutari, 2552/2484, c. 456v-458r, 1431 novembre 6. 84 265 Beatrice Del Bo Presso il foro nuovo, un’area costruita precedentemente al 1347 nella vicinia di San Michele90, furono realizzate almeno otto nuove botteghe, non ancora ultimate nel 143891, per le quali era incaricato di incassare i fitti per conto del Comune, il drappiere Antonio Centori. Tali spazi di vendita furono concessi a operatori economici ben noti, come il prestatore Pierino Candia, che si era aggiudicato la settima bottega “ipsarum apothecarum construendarum et inconstructarum”, accanto a quella assegnata al beccaio Domenico Raspa92, mentre nel 1438 ne acquistava una ancora in costruzione il mercante Masino di Canevanova di Pavia93. Consuonano con tale iniziativa edilizia, le numerose attestazioni di operatori del settore terziario. Appartenevano a questo gruppo mercanti e drappieri, merciai, frixarii e speziali, che svolgevano un’attività non sempre e non necessariamente distinta, come emerge dalle qualifiche che li accompagnano: Antonio di Trino detto di Biandrate viene definito mercante e speziale e Melchiorre da Milano viene segnato indifferentemente come drappiere e mercante, o entrambi, a indicare la sovrapponibilità di queste professioni e delle loro definizioni94. Oltre ai personaggi riuniti nella corporazione dei mercanti di lana, alla quale si è accennato, ne sono attestati altri, appartenenti alle stirpi per così dire di mercanti storici della città, come i Margaria e i Cazzani95, ma anche numerosi immigrati. Tra questi, almeno dal 1429 è attestato Melchiorre Stucchi di Milano, mercante e drappiere, che deteneva una bottega a draparia nella vicinia di San Giuliano96. Qualche anno dopo sono documentati Antonio Giudici di Vigevano, detto Prevostino, e Giovannino de’ Bartoli Del Bo, Mercanti e artigiani cit., p. 529; V. Dell’Aprovitola, La forma urbis di Vercelli nel XIV secolo: edifici pubblici e religiosi dalla fine dell’esperienza comunale alla signoria viscontea, in Vercelli nel secolo XIV cit., pp. 553-586, p. 584. 91 ASCVc, G. Scutari, cc. 247r- 248r, 1438 agosto 6. 92 ASCVc, G. Scutari, 2552/2484, c. 456v-458r, 1431 novembre 6. 93 ASCVc, G. Scutari, cc. 247r- 248r, 1438 agosto 6. 94 ASCVc, B. Scotti, 2551/2483, cc. 1v-2r, 1412 gennaio 7. 95 Su queste famiglie, si veda Del Bo, Mercanti e artigiani cit., pp. 527-535. 96 ASCVc, G. Scutari, 2552/2484, cc. 112r-113r, 1429 febbraio 13, ASCVc, G. Scutari, 2552/2484, cc. 200r-201r, 1430 febbraio 13, cc. 112r-113r, 1429 febbraio 13, cc. 200r-201r, 1430 febbraio 13, ASCVc, G. Scutari, 2553/2485, cc. 53r-55v, 1434 dicembre 14; ASCVc, G. Scutari, 2553/2485, cc. 90r-91r, 1435 aprile 5. 90 266 Artigianato a Vercelli di Milano97, mentre nel 1438, oltre a Masino di Canevanova, in attesa di occupare la sua nuova bottega98, era attivo anche Nicolino Marco de Maleriis di Valenza, mercante, cittadino e abitante di Vercelli, che negli anni Trenta del Quattrocento teneva in fitto una bottega nel foro nuovo99 e che nel 1436 acquisiva, in cambio del mancato pagamento di un debito di 104 lire di imperiali per la vendita di una partita di pelli, la casa del pellicciaio novarese Bartolomeo Centori, ubicata nella città d’origine sotto il portico dei merciai100. Accanto ai mercanti svolgevano un ruolo commerciale di primissimo piano, come nel secolo precedente, proprio i merciai che a Vercelli costituivano un folto gruppo professionale. Riuniti in corporazione almeno dalla fine del Duecento (1298), disponevano di uno spazio di lavoro anche nel vicino comune di Biella, nel Piazzo, il cuore economico della città. Costoro commerciavano una vasta gamma di prodotti a livello sovralocale, ma in particolare tessuti e telerie. Anche nel primo Quattrocento, la vicinia nella quale risultano maggiormente attestate le loro botteghe e abitazioni è quella di San Giuliano, dove, tra le altre, si trovavano la bottega di Olivo da Milano101 e le apoteche a merzaria degli Zenoni di Mosso: il merzarius Giordano vi abitava nell’ottobre 1427102; i suoi fratelli Comino e Nicolino, anche loro merciai103, tenevano in fitto dall’Ospedale dei Rantivi una bottega con portico, annessa a una casa murata e solariata con tetto in coppi, nel borgo a draparia, e un solaio sopra la bottega di Antonio Centori, prope voltam ibi contiguam, nella stessa vicinia104. Nel 1434, essi disponevano anche di due 97 ASCVc, G. Scutari, 2253/2485, c. 106v-107v, 1435 agosto 8, vari atti. ASCVc, G. Scutari, 2253/2485, cc. 247r- 248r, 1438 agosto 6. 99 ASCVc, G. Scutari, 2253/2485, c. 37v, 1434 ottobre 16. 100 ASCVc, G. Scutari, 2553/2485, cc. 196v-199r, 1436 maggio 24. L’immobile è acquistato con patto di retrovendita e con investitura in affitto al venditore. Sulla rilevanza dei pellicciai e del mercato di tale prodotto, cfr. R. Délort, Le commerce des fourrures en Occident à la fin du Moyen Âge, 2 voll., Rome 1978, e, con rifermento a Vercelli, Del Bo, Mercanti e artigiani cit., pp. 540-544. 101 ASCVc, G. Scutari, 2552/2484, cc. 248v, 1430 maggio 3. 102 ASVc, E. Balocco, 557/400, cc. 110/111 inserto, 1427 ottobre 25. 103 ASCVc, E. Balocco, 557/400, cc. 161v-162v, 1431 maggio 7. ; ASCVc, G. Scutari, 2552/2484, cc. 332v-333r, 1430 dicembre 20 ; cc. 337rv, 1431 gennaio 2. 104 ASCVc, G. Scutari, 2552/2484, c. 459v-460v, 1431 novembre 15 : il fitto annuo era di 20 soldi di moneta di Pavia e un cappone e 1 fiorino per il solaio. 98 267 Beatrice Del Bo domuncule in muratura, solariate, coperte in coppi e in parte dirupate, site nella vicinia di Sant’Agnese, che tenevano in fitto dal monastero di Santo Stefano105. In linea con le contemporanee metamorfosi del settore tessile, il mondo dei merciai vercellesi si articolò con l’arrivo del magister Lucchino di Giussate di Milano, al quale si è accennato, che nel 1431 importò a Vercelli una qualifica professionale tipica della realtà ambrosiana, ossia quella di frixarius, mai attestata prima in città106. A Milano, le frixarie erano botteghe specializzate nel commercio di accessori di moda di lusso, in particolare di seta, come nastri, borse, bottoni, cinture, nuovi e usati, oltre che nella vendita di materia prima non lavorata (seta), ma anche di preziosi velluti, broccati d’oro, damaschi e zetonini107. L’attestazione di questa professione a Vercelli indica al tempo stesso il raffinarsi della domanda, il persistere dell’influenza ambrosiana, l’efficacia dei provvedimenti di politica economica presi dai duchi di Milano, prima, e da quelli di Savoia, poi108, e, indirettamente, anche l’emergere di una produzione serica locale. Nei primi trent’anni del XV secolo aumentano pure le menzioni di speziali. Rivenditori di alcuni generi, in regime per così dire di monopolio (spezie con funzione alimentare e medicinale), questi operatori mercanteggiavano tuttavia un gran numero di prodotti, come ricorda Alessandro Barbero per Torino: “il loro era un commercio assai poco specializzato, che riuniva in sé tratti della farmacia e della drogheria, dei negozi di ferramenta, di generi coloniali e di articoli casalinghi”109. A Vercelli, inoltre, gli speciarii prestavano denaro anche sotto forma di contratti di deposito e commenda, investivano i loro ricavi in soccide e nell’acquisto di beni immobiliari110. Il mestiere doveva risultare assai redditizio, come è stato valutato per To- 105 ASCVc, G. Scutari, 2553/2485, cc. 57v-58r, 1434 dicembre 20. ASCVc, E. Balocco, 557/400, cc. 169r-170r, 1431 dicembre 18: “frixarius sive marzarius Vercellensis”. Cfr. sopra par. 3. 107 M. Damiolini e B. Del Bo, Turco Balbani e soci: interessi serici lucchesi a Milano, in “Studi storici”, 35 (1994), pp. 977-1002, pp. 982, 994-995. 108 Si veda sopra. 109 Barbero, Un’oligarchia urbana cit., p. 159. 110 A titolo esemplificativo cfr. ASCVc, G. Scutari, 2253/2485, cc. 67r-68r, 1435 gennaio 18; ivi, cc. 199r- 200v, 1436 maggio 26; ASCVc, G. Scutari, 2252/2484, cc. 167v-168r, 1429 maggio 14; ivi, c. 367rv, 1431 marzo 30. 106 268 Artigianato a Vercelli rino111, a giudicare dalla disponibilità economica di chi lo esercitava e dal fatto che la professione si trasmettesse di padre in figlio per generazioni, come per i de Lanceis, i Cazzani e i da Confienza. Agli inizi del Quattrocento Emiliano de Lanceis aveva ereditato il mestiere dal padre, all’epoca defunto, Eusebio, aromatarius Vercellensis112. Negli anni Venti del XV secolo, il figlio di Emiliano, omonimo del nonno, magister Eusebio, gestiva la bottega di famiglia113, possedeva immobili in Cantarana e nel borgo di Palestro114, e disponeva di discrete somme da investire o da concedere in prestito115. Morto Eusebio, nel 1429, l’attività fu rilevata dalla terza generazione, rappresentata da Emiliano junior e dai suoi fratelli (“sub porticu appotece magistri Emilliani de Lancis et fratrum”)116. La bottega era ancora attiva nel 1434117. Numerose spezierie erano gestite dagli esponenti della famiglia Cazzani, probabilmente i discendenti dello speziale Pietro Cazzani di Novara, abitante e attivo nella vicinia di Santa Maria negli anni Settanta del XIV secolo (1378)118. Qui nel 1429 Eusebio o Eusebino, del fu Paolino119, era titolare di una bottega a speciaria120, mentre il parente Simone ne gestiva un’altra nella vicinia di San Lorenzo. La apotheca di Simone era di proprietà del fratello, Benedetto121, che, sposato con tale Zanola, era a sua volta gestore di una bottega, in questo caso a draparia, e possedeva alcuni diritti su Barbero, Un’oligarchia urbana cit., p. 161. Summarium monumentorum cit., 1402 settembre 28. Nel dettare testamento egli dichiarò di voler essere sepolto nella chiesa che dava il nome alla vicinia di residenza, ossia quella di San Michele. 113 ASCVc, E. Balocco, 557/400, cc. 14v-17r, 1422 giugno 12; ASCVc, E. da Balocco, 557/400, c. 111rv, 1427 novembre 15, 2 atti. 114 ASCVc, E. Balocco, 557/400, cc. 14v-17r, 1422 giugno 12. 115 ASCVc, E. Balocco, 557/400, cc. 12v-14v, 1422 maggio 20; c. 38v 1423 giugno 25 116 ASCVc, E. Balocco, 557/400, cc. 138v-140r, 1429 gennaio 29 117 ASCVc, G. Scutari, 2552/2484, cc. 239r-240v, 1430 aprile 11. ASCVc, G. Scutari, 2552/2484, cc. 348v-350r, 1431 gennaio 25. ASCVc, E. Balocco, 557/400, cc. 157v-158v, 1431 gennaio 27; cc. 160r-161r, 1431 marzo 3; ASCVc, D. Lonati, 1604/1531, c. 15rv, 1432 agosto 1; ivi, c. 15v, 1432 agosto 1; ivi, c. 76v-78r, 1434 settembre 21. 118 Del Bo, Mercanti e artigiani cit., p. 532. 119 ASCVc, E. Balocco, 557/400, cc. 140bisrv, 1429 aprile 5. 120 ASCVc, G. Scutari, 2552/2484, cc. 216v-218r, 1430 febbraio 27 121 ASCVc, G. Scutari, 2552/2484, c. 119rv, 1429 marzo 10. 111 112 269 Beatrice Del Bo un mulino a Casalino122. Simone, inoltre, era proprietario di una domus sive torrionum nella vicinia di San Giuliano, che concedeva in locazione123. Un figlio di Simone, Giovanni, seguì le orme paterne, rilevando la bottega alla morte del padre124. Nella vicinia di San Lorenzo, il 2 maggio 1431 è attestata anche la bottega a speciaria di Giovanni Cazzani125. Un parente, Ardizzino Cazzani, ne possedeva una nel medesimo settore della città126, mentre lo speziale Andrea Cazzani ne gestiva un’altra. Andrea teneva in enfiteusi perpetua un appezzamento di terra piantata dell’estensione di un moggio in Pizzo Cantarana127, concedeva in soccida a Giovanni Fabiano, abitante a Salasco, due vacche e due vitelli per tre anni128 e forniva un prestito di 60 fiorini garantito da pegno fondiario a Giacomo di Rovasenda, massaro del comune129. Si trattava forse del medesimo Andreino speziale che comprava due appezzamenti di terra per 40 fiorini nel 1436130 e che aveva sposato la vedova del dorerius Tommaso de Bena, madre di Domenico131. Tra gli speciarii multigenerazionali di rilievo della città si devono annoverare i da Confienza: il magister fisicus Giacomino da Confienza, figlio di Piero132, padre di un omonimo Piero e nonno di Antonio133, tutti fisici, lavo- 122 ASCVc, G. Scutari, 2552/2484, c 451rv, 1431 ottobre 2. ASCVc, G. Scutari, 2552/2484, cc. 63v-64v, 1428 ottobre 23. 124 ASCVc, G. Scutari, 2553/2485, cc. 141v-143r, 1435 dicembre 5 ; cc. 203r-204v, 1436 giugno 23: “in apotheca a speciaria Iohannis de Cazanis fq Simonis”. 125 ASCVc, G. Scutari, 2552/2484, c. 383v-384r, 1431 maggio 2. 126 ASCVc, G. Scutari, 2552/2484, cc. 81rv, 1428 dicembre 29.. 127 ASCVc, G. Scutari, 2552/2484, cc. 95v-96v, 1429 gennaio 15. 128 ASCVc, G. Scutari, 2552/2484, cc. 167v-168r, 1429 maggio 14. 129 ASCVc, G. Scutari, 2552/2484, cc. 367rv, 1431 marzo 30. Attivo ancora nel 1431: ASCVc, G. Scutari, 2552/2484, cc. 266v-268r, 1430 giugno 9. 130 ASCVc, G. Scutari, 2553/2485, cc. 199r-200v, 1436 maggio 26. 131 ASCVc, E. Balocco, 557/400, cc. 48r-52r, 1424 luglio 16. Su Domenico de Bena cfr. oltre. 132 L’identificazione del personaggio è resa complessa dall’esistenza di un altro magister fisicus Giacomo da Confienza figlio di Bartolone, attivo negli stessi anni (vd. per esempio ASCVc, G. Scutari, 2552/2484, c. 232r, 1430 marzo 26); la famiglia, inoltre, risulta assai ramificata e connotata dall’esercizio della professione medica, cfr. Naso, Università e sapere medico cit., pp. 25 sgg. Per Giacomino, fisicus e speciarius, cfr. ASCVc, G. Scutari, 2552/2484, c. 112r-113r, 1429 febbraio 13; cc. 218r-219r, 1430 febbraio 28. 133 ASCVc, G. Scutari, 2552/2484, cc. 350v-352r, 1431 gennaio 31. 123 270 Artigianato a Vercelli rava in una domus apothece speciarie nella vicinia di San Lorenzo134, dove spesso si trovava a rogare i suoi atti il notaio Scutari135. La presenza in città di Giacomino era stata favorita da un’esenzione da tutti gli oneri personali, reali, angarie e perangarie, ribadita con un provvedimento ducale del 1403, in occasione dell’esazione della taglia136. Giacomino riceveva beni e somme in deposito137 e, nella sua bottega, concedeva mutui e prestiti ad massaricium138. Nella vicinia di San Lorenzo, egli, oltre a lavorare, abitava in una dimora dotata di un grande locale con camino, capace di ospitare svariate persone139. Era, inoltre, proprietario di vari appezzamenti di terra nella campagna vercellese, tra cui una proprietà assai vasta, a Brarola, che possedeva insieme al figlio Pietro, concessa in locazione quadriennale ad massaricium140, insieme a due prestiti, per complessivi 190 fiorini circa occasione massaricii (da restituire entro un anno)141, trenta sacchi di segale, undici sacchi e un quarterone di grano142. Giacomo era un personaggio autorevole nella sua vicinia, tanto che ne fu nominato, insieme ad altri, procuratore ad causas143. Pochi mesi prima di morire, egli si occupò della dote di una nipote, concedendole 200 fiorini e nonnulla iocalia boni valoris, forse per soccorrere il figlio Piero che di figli ne aveva ben dieci144. 134 ASCVc, G. Scutari, 2552/2484, c. 107rv, 1429 febbraio 5; c. 113v, 1429 febbraio 15. ASCVc, G. Scutari, 2552/2484, c. 227rv, 1430 marzo 13. 136 ASCVc, Ordinati, 3, c. 59rv, 1403 gennaio 14. 137 ASCVc, E. Balocco, 5577400, cc. 85r- 86r, 1426 febbraio 17. 138 ASCVc, G. Scutari, 2552/2484, cc. 350rv, 1431 gennaio 31. 139 ASCVc, G. Scutari, 2553/2485, cc. 8r-9r, 1434 maggio 30. 140 ASCVc, G. Scutari, 2553/2485, cc. 52v-53r, 1434 dicembre 5 (tra i coerenti). ASCVc, G. Scutari, 2553/2485, cc. 65v-66v, 1435 marzo 26; ASCVc, G. Scutari, 2552/2484, cc. 52v-53r, 1434 dicembre 5, Vercelli (tra i coerenti); un appezzamento in fitto (ASCVc, G. Scutari, 2253/2485, cc. 135v-136r, 1435 novembre 23). 141 ASCVc, G. Scutari, 2553/2485, cc. 65v-66v, 1435 marzo 26: i massari si impegnavano tra l’altro a consegnare presso l’abitazione del proprietario, frumento, segale, grano, lino, canapa, uva e fieno (nella cascina di Domus Dei del maestro). I massari dovevano altresì prestarsi al trasporto con carro e buoi delle uve proveniente dagli alteni di Pietro. 142 ASCVc, G. Scutari, 2553/2485, cc. 66v-67r, 1435 gennaio 18. Nell’affare entrò anche la moglie di Pietro, che stipulò una soccida triennale con i massari per cinque tra vacche, manze e manzole (ASCVc, G. Scutari, 2553/2485, cc. 67r-68r, 1435 gennaio 18). 143 ASCVc, G. Scutari, 2552/2484cc. 112r-113r, 1429 febbraio 13. 144 ASCVc, G. Scutari, 2553/2485, cc. 8r-9r, 1434 maggio 30. 135 271 Beatrice Del Bo 5. Dal commercio all’ospitalità: osterie e taverne La funzione di emporio sovralocale svolta da Vercelli è altresì evidenziata in maniera per così dire indiretta dall’aumento delle attestazioni di hospites e tabernarii che testimonia un andirivieni di persone, viandanti, mercanti e artigiani, bisognose di un posto dove rifocillarsi, dormire e far riposare i cavalli. Gli osti gestivano le strutture più propriamente destinate, oltre che al ristoro dei viandanti, anche all’ospitalità notturna, gli hospitia, mentre i tavernieri si occupavano di quelle per la ristorazione, le taberne, benché le due funzioni spesso coincidessero e la seconda non escludesse anche la possibilità di ricovero per la notte. Gli hospicia erano piuttosto diffusi sia nei sobborghi, appena fuori dalle mura, vicino alle porte, come nella “gera del Cervo” nei pressi della porta eponima, dove si trovava l’osteria di Guglielmo di Fratino di Palestro145, o vicino alla Porta della Strada, dove si poteva sostare nella domus hospicii di Brancolino Scutari146. La maggior parte delle strutture sorgeva tuttavia in città, specie, come è logico aspettarsi, nelle aree commercialmente più vivaci. Gli edifici disponevano oltre che di stalle, dove ricoverare i cavalli dei viaggiatori, anche di spazi per lo stoccaggio delle merci. Ubicata nella vicinia di Sant’Agnese, accanto alla bottega di un calzolaio147, l’Osteria del Cappello, un’insegna tipica degli osti antichi e medievali148 - alla stregua di quella della Spada, del Guanto, della Croce o dello Scudo -, era gestita da Nicola e da Ambrogino dei Cavalieri di Fenegrò149. Essa era dotata di un fondo merchanciarum150, dove, oltre a conservare le merci dei clienti, si 145 ASCVc, G. Scutari, 2253/2485, cc. 162r-163r, 1436 gennaio 3. ASCVc, G. Lonati, 1605/1532, c. 26r, 1437 maggio 3. 146 ASCVc, G. Scutari, 2253/2485, c. 104r, 1435 luglio 21. Per l’ubicazione delle osterie, si veda S. Duvia, “Restati eran Thodeschi in su l’hospicio”. Il ruolo degli osti in una città di confine (Como, secoli XV-XVI), Milano 2010, p. 11, a cui rinvio anche per la bibliografia aggiornata sul tema. 147 ASCVc, G. Scutari, 2552/2484, 148 H. C. Peyer, Viaggiare nel Medioevo. Dall’ospitalità alla locanda, Roma-Bari 1992, pp. 246, 250; Duvia, “Restati eran Thodeschi in su l’hospicio” cit., p. 31; Barbero, Un’oligarchia urbana cit., pp. 205-207. 149 ASCVc, G. Scutari, 2553/2484, c. 117rv, 1435 settembre 17 ; ASCVc, G. Scutari, 2253/2485, cc. 204v-206r, 1436 giugno 25. 150 ASCVc, G. Scutari, 2552/2484, cc. 126v, 1428 giugno 5. 272 Artigianato a Vercelli svolgevano spesso transazioni immobiliari e commerciali151. Altri “alberghi” si trovavano proprio nell’area del mercato nuovo, come quello del tabernarius et hospes Gualino Bruco di Rovasino, che vi si affacciava152. Come emerge anche dai percorsi familiari di alcuni osti vercellesi, e da quanto peraltro è stato verificato per altre realtà153, questo mestiere era redditizio e consentiva di accumulare un discreto capitale, grazie al quale si potevano concedere somme in prestito, di solito dietro pegno fondiario154. Esso offriva inoltre occasioni di progresso sociale, se già non era esercitato da persone che godevano di “una posizione sociale onorata”155, come emerso per Torino e per Como. Dalle disposizioni testamentarie del fossanese Guglielmo Foglia, hospes e cittadino di Vercelli, risulta infatti che questi 151 ASCVc, G. Scutari, 2552/2484, cc. 127r-128r, 1429 maggio 3. Si veda a questo proposito, Peyer, Viaggiare nel Medioevo cit., pp. 70-71, 249. 152 ASCVc, G. Scutari, 2552/2484, c. 77v-78r, 1428 dicembre 11; ASCVc, G. Scutari, 2552/2484, cc. 366r-367r, 1431 marzo 29; ASCVc, E. Balocco, 557/400, cc. 59v-60v e cc. 60v-61r, 1424 dicembre 4. Gualino acquistava per 40 fiorini un appezzamento di terra un tempo adibito a orto nella vicinia di S. Michele (ASCVC, G. Scutari, 2253/2485, cc. 95v-97r, 1435 maggio 18); dove Gualino gestiva la sua domus hospicii ancora nel 1436 (ASCVc, G. Scutari, 2553/2485, cc. 188v-189r, 1436 aprile 14). 153 A. Fanfani, Note sull’industria alberghiera italiana nel Medioevo, in “Archivio Storico Italiano”, 92 (1934), pp. 259-260; Duvia, “Restati eran Thodeschi in su l’hospicio” cit., pp. 9 e 38 sgg. Alla fine degli anni Venti del Quattrocento, anche il tabernarius e civis Vercellensis, Guglielmo Tagliaferri, abitante nella vicinia di San Giuliano, stava ampliando la sua attività: lo troviamo impegolato dapprima in una vertenza relativa alla costruzione di un muro abusivo (ASCVc, G. Scutari, 2552/2484, cc. 40r-41v, 1428 giugno 13) e successivamente ottenere un prestito da Pierino di Candia di 100 fiorini (con un interesse di 25), da restituire in 12 anni, dando in pegno e riottenendole in fitto due botteghe di sua proprietà di fronte alla sua abitazione (ASCVc, G. Scutari, 2552/2484, cc. 188v-193r vari atti 1430 gennaio 18; ivi, cc. 219r-220r, 1430 marzo 1°). Il Tagliaferri era ancora attivo nel 1435 (ASCVc, G. Scutari, 2253/2485, cc. 69-70, 1435 gennaio 25). 154 Nel 1431 Ruffino detto Monardo Sellarius di Novara, un altro hospes di Vercelli, vendeva al cordaio Pietrolo da Milano un appezzamento (ASCVc, E. Balocco, 557/400, cc. 161v-162v, 1431 maggio 7). Il tabernarius Bartolomeo di Sestegno fu Guidetto, attestato nel 1426 (ASCVc, E. Balocco, 557/400, cc. 86v-88r, 1426 marzo 28) e nel 1428 (ASCVc, E. Balocco, 557/400, cc. 129v-131v, 1428 agosto 14), possedeva un immobile a Pezzana (ASCVc, G. Scutari, 2552/2484, cc. 78v-79r, 1428 dicembre 16). Il tavernarius Pietro Caramella acquistava 6 moggi di gerbido e bosco per 25 fiorini nel 1430 (ASCVc, G. Scutari, 2552/2484, cc. 240v-241v, 1430 aprile 13). Sulla redditività di tale mestiere cfr. anche Mainoni, L’economia di Bergamo cit., p. 282. 155 Barbero, Un’oligarchia urbana cit., pp. 195-205. Cfr. anche Duvia, “Restati eran Thodeschi in su l’hospicio” cit., pp. 38 sgg. 273 Beatrice Del Bo imparentato con una prosapia di primo piano, i de Pepiis. Egli dispose di farsi inumare nella cappella fatta costruire nella chiesa di San Marco proprio dal suocero, il nobilis dominus Giacomo de Pepiis156, credendario del Comune alla fine del Trecento (1397)157 e capace di fornire un prestito di 900 fiorini nel 1420158. La famiglia vantava un patrimonio immobiliare notevole, ubicato in parte a Larizzate159. Pochi giorni dopo aver dettato le sue ultime volontà, il Foglia morì, lasciando eredi i tre figli, Benedetto, Agnesina e Giannina, ancora bambini. I beni pervenuti in eredità ai fanciulli erano notevoli: comprendevano due case in città, delle quali una «murata, cupata et solariata» del valore di 180 fiorini, due appezzamenti a vite e alteno di quattro moggia complessivi e uno di prato di tre moggia, un cavallo morello del valore di quattro fiorini e cinque spade di cui quattro con fodero, un perghamaschum, varie parti di armature in ferro con piastre, una maestà dipinta, un breviario e alcuni libri a scholaribus, una pellanda di morello del valore di 4 fiorini e una marea di suppellettili da cucina, recipienti per l’olio (ollie) e per il vino, padelle, pentole, paioli, bacili, scodelle, coltelli e cucchiai di ottone, e madie per riporre tovaglie, tovaglioli e lenzuola, che compaiono in consistenti quantità nell’inventario, oltre a tavole, banchi e bancali. Una delle abitazioni era probabilmente quella adibita a hospicium e doveva disporre di almeno 10 posti letto160. Consuonano con la buona posizione socio-economica degli albergatori l’ammontare della dote di Rosa della Rovere di Casteno, la nuora di uno degli osti del Cappello, Ambrogino, che era di 200 fiorini161, e quello della futura sposa del taverniere Bartolomeo de Bredo che era di 135162. Se confrontati con gli 80 albergatori rilevati per tutto il XV secolo a 156 ASCVc, E. Balocco, 557/400, cc. 98r-99r, 1427 luglio 29. ivi, cc. 109r-110v, 1427 ottobre 15. I Biscioni cit., doc. 652, pp. 220-224, 1397 aprile 10. 158 ASCVc, G. Scutari, 2552/2484, cc. 114v-115r, 1429 febbraio 23. 159 ASCVc, G. Scutari, 2552/2484, cc. 160r-161v, 1429 novembre 30. Il Foglia fu nominato esecutore testamentario del nobile Giacomo fu Ruffino de Donna, figlio di uno speziale (ASCVc, G. Scutari, 2552/2484, cc. 114v-115r, 1429 febbraio 23). 160 ASCVc, E. Balocco, 557/400, cc. 100r-101v, 1427 agosto 7; ivi, cc. 102v-104r, 1427 settembre 3. 161 ASCVc, G. Scutari, 2553/2485, cc. 204v-206r, 1436 giugno 25. 162 ASCVc, G. Scutari, 2553/2485, cc. 246r-247r, 1438 agosto 5. 157 274 Artigianato a Vercelli Como163, che contava una popolazione doppia rispetto a quella vercellese164, vantava un riconosciuto rilievo produttivo nel settore tessile ed era un nodo di transito di primo piano nella rete degli itinerari commerciali tra l’area padana e quella transalpina, germanica in particolare165, gli 11 tavernieri e i 17 osti rilevati a Vercelli tra 1401 e 1438 illustrano una realtà votata all’accoglienza, in sintonia con la vocazione commerciale della città, ampliatasi nel corso degli ultimi decenni. 6. Tenuta e declino: edilizia, lavorazione dei metalli preziosi e pittura Durante i primi tre decenni del Quattrocento talune attività, il cui trend era stato ampiamente positivo nella seconda metà del secolo precedente, avevano mantenuto se non addirittura consolidato la loro rilevanza economica. Il settore edilizio, in particolare, nei primi decenni del Quattrocento non manifestava segni di ripiegamento, poiché continuava a essere in parte supportato dalla domanda pubblica, della municipalità e del principe. Il Comune aveva intrapreso, infatti, alcune iniziative edilizie di un certo rilievo, benché non paragonabili con la costruzione della cittadella viscontea e del “bellissimo palazzo” del Comune che aveva vivacizzato il settore nei decenni precedenti166. Dal 1431 era in corso infatti la già menzionata costruzione delle nuove botteghe dell’area nel mercato, che si protrasse per alcuni anni. Nel cantiere aveva lavorato, tra gli altri, il muratore Franceschino Cotta di Vigevano, residente a Desana167, dove abitava un altro murator Cfr. Duvia, “Restati eran Thodeschi in su l’hospicio” cit., p. 29. Per un confronto con una realtà decisamente diversa, si tenga conto che Firenze nel 1394 contava 622 albergatori. 164 M. Ginatempo e L. Sandri, L’Italia delle città: il popolamento urbano tra Medioevo e Rinascimento (secc. XIII-XVI), Firenze 1990, pp. 67 e 78: il confronto si riferisce agli ultimi decenni del Trecento (1397 e 1375), dal quale emerge per Vercelli una stima di 3.600-4.500 abitanti e per Como di 8.000-10.000. 165 Su tali aspetti, per il XV secolo, si veda P. Grillo, Le strutture di un borgo medievale. Torno, centro manifatturiero nella Lombardia viscontea, Firenze 1995, pp. 54-60, e Duvia, “Restati eran Thodeschi in su l’hospicio” cit., pp. 16-20. 166 Si vedano a questo proposito, Dell’Aprovitola, La forma urbis di Vercelli cit., pp. 553-586, in particolare pp. 575-582, 584-585: “pulcherrimum palatium”, con riferimento al nuovo palazzo comunale; e Del Bo, Mercanti e artigiani cit., pp. 544-551. 167 ASCVc, G. Scutari, 2253/2485, cc. 247r-248r, 1438 agosto 6. La campagna edilizia era ancora in corso nel 1438, allorché Franceschino vendette a Matteo di Canevanova di Pavia, mercante e cittadino di Vercelli, il sito e una bottega ibi construenda in foro novo per 36 fiorini 163 275 Beatrice Del Bo attivo a Vercelli nello stesso lasso di tempo, Guglielmino da Robbio168. Che questi muratori si fossero stabiliti a Desana non era un caso. Nel 1336 la località risultava in “sofferenza demografica”, come scrive Riccardo Rao, e definitivamente spopolata dal 1379, benché tale definizione non debba essere presa alla lettera, giacché comunque il villaggio era abitato con costanza da una decina di individui169. Proprio all’inizio del XV secolo, Desana fu oggetto di una importante iniziativa di ripopolamento e di ricostruzione culminata nell’assegnazione del villaggio al potente Ludovico Tizzoni (1412), un esponente di rilievo dell’entourage marchionale monferrino, segretario di Teodoro II e consigliere poi di Giovanni IV170. Il marchese Teodoro II incaricò per l’appunto il cancelliere di ripopolare il borgo “distrutto et inhabitato”171. Con tutta probabilità il Tizzoni, dominus generalis loci Dexane172, intraprese anche una campagna di ricostruzione degli edifici che portò nel piccolo centro una manodopera edile specializzata, in virtù anche delle esenzioni fiscali concesse dal Comune173. Alla vivacità del settore contribuivano pure talune iniziative private, come l’innalzamento della domus noviter edificata di proprietà del lanarius Pedrino di Bergamo nella vicinia di San Lorenzo174, e una continua attività di ristrutturazione delle chiese, documentata dalle disposizioni testamentarie di alcuni personaggi. Tali iniziative riguardavano soprattutto la chiesa di San Marco, in ragione del fatto che essa, nel primo Quattrocento, era ancora in piena costruzione e fu completata definitivamente soltanto nel 168 ASCVc, G. Scutari, 2252/2484, c. 156v, 1429 novembre 15. R. Rao, Il villaggio scomparso di Gazzo e il suo territorio. Contributo allo studio degli insediamenti abbandonati, Vercelli 2011, pp. 211, 217 sgg., anche per il significato di “villaggio spopolato”. Cfr. anche F. Cengarle, Il distretto fiscale di Vercelli sotto Gian Galeazzo Visconti (1378-1402): una proposta di cartografia informatica, in Vercelli nel secolo XIV cit., pp. 377-410, pp. 397-399. 170 B. Del Bo, Uomini e strutture di uno stato feudale. Il marchesato di Monferrato (14181483), Milano 2009, pp. 373-377. 171 Sangiorgio, Cronica cit., pp. 298-305. 172 ASCVc, G. Scutari, 2552/2484, c. 166rv, 1429 dicembre 7. 173 ASCVc, G. Scutari, 2552/2484, c. 166rv, 1429 dicembre 7 e, per gli anni precedenti, Cengarle, Il distretto fiscale di Vercelli cit., pp. 397-399. La presenza di muratori di Desana è attestata anche alla fine del secolo precedente, segno che il borgo era in ripresa (Del Bo, Mercanti e artigiani cit., p. 545). 174 ASCVc, G. Scutari, 2553/2485, cc. 171v-172v, 1436 gennaio 26. 169 276 Artigianato a Vercelli 1479175. Era forse oggetto di lavori edilizi importanti pure la chiesa di San Paolo che, a detta di Domenico de Bena, necessitava di riparazioni, tanto da indurre il personaggio a prevedere un lascito testamentario di 25 fiorini come sussidio alla riparazione dell’edificio che “minacciava di rovinare”176. Tra il 1401 e il 1435 sono documentati a Vercelli ben 33 carpentieri, tra i quali quattro esponenti della famiglia Sacco e tre de Rubeo, un copertor tectorum e 16 muratori, di cui uno definito expertus, Guglielmo Badalocco177. Se si considera che tra il 1355 e il 1395 sono stati individuati 26 tra carpentieri e muratori, e che il settore era all’epoca senz’altro in crescita, non si può che concludere che il comparto edilizio vercellese fosse ancora assai attivo178. Dalla documentazione quattrocentesca emergono anche 13 dorerii179 (erano 14 nella seconda metà del XIV secolo), tra questi, due avevano ereditato la professione paterna, Pietro e Antonio da Asigliano, figli del defunto Ruffino, che era attivo in città nel 1389180. Rispetto al secondo Trecento, il mestiere risultava quindi stabile, se non in crescita, giacché offriva ancora buone prospettive di guadagno o per lo meno di impiego, come è attestato concretamente dalla conclusione di un contratto di apprendistato: nel 1428 Lorenzo Marchesi di Crema stipulava un accordo con il doratore Cristoforo di Arcore, affinché questi nei successivi otto anni impartisse i rudimenti dell’arte a suo figlio Bartolomeo181. L’attività doveva essere redditizia e consentire aspirazioni di progresso sociale che, nel caso di Cristoforo, forse si concretizzarono, giacché egli prese in locazione per cinque anni, a sette fiorini e mezzo annui, dallo speziale Simone Cazzani il torrione che si ergeva nella vicinia di San Giuliano, a cui si è già accennato182. Dell’Aprovitola, La forma urbis di Vercelli cit., p. 559. ASCVc, E. Balocco, 557/400, cc. 48r-52r, 1424 luglio 16. 177 I dati sono tratti da ASCVc, Libri di Taglia, 1401, 1419, 1431-1434; e dalle filze dei notai G. Scutari, 2252/2484 e 2253/2485; E. Balocco, 557/400; D. Lonati, 1604/1531; G. Lonati, 1605/1532. 178 Per il periodo precedente si veda, Del Bo, Mercanti e artigiani cit., pp. 544-551. 179 Le informazioni sono tratte da ASCVc, Libri di Taglia, 1401, 1419 e 1431-1434; e dalle filze dei notai G. Scutari, 2252/2484 e 2253/2485; E. Balocco, 557/400; D. Lonati, 1604/1531; G. Lonati, 1605/1532. 180 Per Ruffino, cfr. Protocolli notarili cit., Poncio, a. 1389, pp. 318 sgg. 181 ASCVc, G. Scutari, 2552/2484, cc. 24v-25r, 1428 marzo 17. 182 ASCVc, G. Scutari, 2552/2484, cc. 63v-64v, 1428 ottobre 23. Sulle torri come simboli di 175 176 277 Beatrice Del Bo Ancor più indicativo della rilevanza sociale assunta dai doratori può risultare il loro inserimento nell’élite politica vercellese. Tommaso de Bena, un dorerius attivo nel 1389183, compare tra i credendarii del Comune nel 1397184. Il figlio Domenico, nell’atto di dettare testamento, fu qualificato dal notaio con gli appellativi di providus et discretus iuvenis. Dal testamento si apprende che la famiglia disponeva di un sepolcro (“sepulcrum predecessorum suorum”) nella chiesa di San Paolo di Vercelli e che il testatore vantava una ricchezza notevole: infatti egli possedeva almeno due case, una in San Giuliano e una in San Lorenzo, e numerosi appezzamenti di terra, vigna e orto tra Pezzana, Balzola, Trino, Stroppiana e Vercelli. Domenico dispose, inoltre, una serie di lasciti a favore di enti ecclesiastici milanesi e vercellesi, l’elargizione di elemosine e di legati a svariate persone, tra le quali alcune fanciulle, figlie di amici e vicini, per contribuire alla loro dote, per un totale di 284 fiorini185. In netta flessione risultano invece i pittori. Nella seconda metà del Trecento ne sono attestati 13, mentre due soltanto sembrano attivi a Vercelli nel primo trentennio del secolo successivo, ossia Marco e Giacomo da Novara, delle cui opere, tuttavia, non si ha traccia186. Continua ad essere documentato il pinctor Nicolino da Confienza, figlio del dorerius Antonio detto Conte, attivo in città già dal secolo precedente e particolarmente longevo, se risulta ancora vivo nel 1462187. La figlia di Nicolino sposò un pescatore, probabilmente un parente, con una dote di soli 26 fiorini, che mi pare indicativa della condizione non particolarmente florida della status cfr. R. Comba, La città come spazio vissuto: l’Italia centro-settentrionale fra XII e XV secolo, in Spazi, tempi, misure e percorsi nell’Europa del Bassomedioevo, Spoleto 1996, pp. 182-209, pp. 186-195. 183 Protocolli notarili cit., P. Poncio, pp. 310-317, doc. 3, 1389 gennaio 18. 184 I Biscioni cit., doc. 652, pp. 220-224, 1397 aprile 10. 185 ASCVc, E. Balocco, 557/400, cc. 48r-52r, 1424 luglio 16. Su questo testamento, si veda il saggio di Elisabetta Canobbio in questo volume. 186 Schede Vesme. L’arte in Piemonte dal XVI al XVIII secolo, 4 voll., Torino 1963-1982, IV, Prima sezione: tra i secoli XIII e XIX (A-Z), Seconda sezione: elenchi di opere presso parrocchie, musei, comuni, collezioni private, Torino 1982, p. 1704. I due pittori compaiono nell’elenco, con attestazioni rispettivamente del 1419 e del 1426. Luchino de Candis, annoverato nell’elenco in data 1431 sembra non essere pittore, ma soltanto figlio di pittore (Giovannino de Candis: ibidem). 187 ASCVc, E. Balocco, 557/400, cc. 116v-117r, 1428 gennaio 22; cfr. Del Bo, Mercanti e artigiani cit., p. 551 nota. 278 Artigianato a Vercelli famiglia188. Era invece impegnato a Milano il pittore di origini eusebiane, Giovanni de Candis, impiegato presso la Fabbrica del Duomo negli anni Venti del ‘400189. 7. Mobilità sociale: da figlio di un mastro carpentiere a canonico della cattedrale Che a Vercelli l’esercizio di alcuni mestieri artigianali consentisse un avanzamento sociale è già stato messo in luce190. La mobilità sociale emerge tuttavia con particolare evidenza nei percorsi intrapresi da alcuni personaggi in seno alle istituzioni ecclesiastiche eusebiane191. Taluni figli di artigiani divennero presbiteri, rettori e cappellani, come il prete Guglielmo Galetto192, figlio del defunto calzolaio Michele, o come Bartolomeo de Vignoto, figlio del calzolaio Martino, che conseguì la prima tonsura dal vescovo di Vercelli il 2 aprile 1412193 - lo stesso anno peraltro in cui il cappellano e rettore della chiesa di Santo Stefano, era prete Giacomino, figlio del sarto Francesco194. Il riferimento alla mobilità sociale non è tuttavia da riferirsi tanto a questi personaggi, giacché l’accesso al clero minore di uomini provenienti dalle sfere medio basse della società era una prassi abbastanza diffusa, soprattutto nelle campagne. Si tenga comunque conto che l’abbandono dell’esercizio della professione manuale e l’ingresso nelle file dei chierici costituivano un’intelligente maniera per sgravare la bottega del peso del mantenimento di tutta la famiglia. Altri casi raccontano, tuttavia, di una mobilità sociale più spinta, sfociata nell’avviamento dei figli allo studio o nell’ingresso nella gerarchia ecclesiastica di livello più alto. Un bell’esempio mi pare quello dell’elezione da 188 ASCVc, E. Balocco, 557/400, cc. 116v-117r, 1428 gennaio 22, Vercelli, Schede Vesme cit., IV, p. 1226. 190 Del Bo, Mercanti e artigiani cit. 191 Per questo periodo Donata Degrassi ha invece rilevato un cristallizzarsi della mobilità sociale del segmento artigiano, Ead., Il mondo dei mestieri cit. 192 ASCVc, E. Balocco, 557/400, cc. 86rv, 1426 febbraio 27. Guglielmo nel 1426 saldava un debito del padre, il caligarius Michele detto Galetto, con un conciatore vercellese. 193 ASCVc, B. Scotti, 2551/2483, c. 34v, 1412 aprile 2. Il padre era forse legato professionalmente all’istituzione ecclesiastica, poiché lo si ritrova fra i testi di un atto del 25 settembre 1412 nella cattedrale di Vercelli: ASCVc, B. Scotti, 2551/2483, c. 86r, 1412 settembre 25. 194 ASCVc, B. Scotti, 2551/2483, c. 82rv, 1412 settembre 16. 189 279 Beatrice Del Bo parte dei nobili di Rovasenda, che ne detenevano il patronato, di Antonio, figlio del mastro calzolaio Enrico di Buronzo, a cappellano del beneficio di San Giacomo di Albareto (6 maggio 1412)195, non tanto per l’importanza del beneficio, quanto per le precisazioni contenute nell’atto di nomina. Nel documento si riferisce che il ragazzo, un chierico tonsurato, dedicato a Dio ex voto dal padre, per poter detenere il beneficio, otteneva dai canonici eusebiani una dispensa, giacché non era prossimo al sacerdozio, in modo da godere dei proventi del beneficio per potersi mantenere agli studi. Nello stesso anno, il 1412, in cui Guglielmo Rabalioto, figlio del mastro muratore Giacomo, era cappellano e custode della cattedrale196, è attestato il caso forse più interessante. Considerata l’estrazione dei canonici della cattedrale, perlopiù dall’aristocrazia locale e, negli anni qui presi in considerazione, da potenti famiglie non indigene, vicine all’ambiente visconteo o comunque forestiere, l’ingresso di prete Guidetto Castellengo, figlio del defunto mastro carpentiere Giacomo197, tra i canonici minori di Vercelli costituisce un segnale importante e del progresso della famiglia e del consolidamento del ruolo politico e sociale di tutta la categoria198. Consuona con il maggior peso di questo segmento della società eusebiana, la presenza di artigiani nelle file dei credendarii del Comune199. Diversamente da quanto attestato per numerose altre realtà200, per Vercelli si trattava di un fenomeno affatto nuovo: sino a fine Trecento comparivano infatti sì i nomi di alcuni mercanti, drappieri, o conciapelle, ma non in quanto tali, bensì in quanto appartenenti a cospicue famiglie vercellesi, come i Centori, 195 ASCVc, B. Scotti, 2551/2483, cc. 55v-56v, 1412 maggio 6. ASCVc, B. Scotti, 2551/2483, c. 23v, 1412 marzo 28; cc. 24V-25V, 1412 marzo 30. 197 Giacomo è attestato nel 1392, probabilmente impegnato nella realizzazione del refettorio nuovo dell’ospedale di Sant’Andrea (Protocolli notarili cit., G. de Bagnasco, a. 1392, II, pp. 229-230, doc. 85; ivi, . G. de Bagnasco, II, p. 217, doc. 68). 198 ASCVc, B. Scotti, 2551/2483, cc. 15v-17r, 1412 marzo 10. ASCVc, B. Scotti, 2551/2483, cc. 17r-18v, 1412 marzo 13. Di lì a due giorni Guidetto morì. Alla stesura delle sue ultime volontà, presenziarono il rettore della chiesa di S. Michele, quello di San Tommaso, quello di San Donato e quello di San Luca. Sui canonici vercellesi, si veda il contributo di G. Ferraris in questo volume. 199 Cfr. il contributo di Paolo Grillo in questo volume. 200 Si veda almeno, A. I. Pini, Città, comuni e corporazioni nel Medioevo italiano, Bologna 1986 e R. Greci, Corporazioni e mondo del lavoro nell’Italia padana, Bologna 1988; per il periodo qui considerato si veda Mainoni, Le Arti e l’economia urbana cit., e Ead., L’economia di Bergamo cit. 196 280 Artigianato a Vercelli gli Arborio, i Rapicia, i Candia, i Borromeo o i Margaria. In una convocazione del 1396, erano invece presenti tra i nobiles cives et credenciarii anche un dorerius, Filippino di Carrarino, un caligarius, Eusebio de la Sale, un sarto, Antonio de Gabino, ed Eusebio Mosso lanzarius201. Nel 1411 il fenomeno è ancor più rilevante in occasione della riunione del consiglio indetta per confermare la concessione della giurisdizione del borgo di Desana a Ludovico Tizzoni202. In tale circostanza compaiono fra i credendari l’oste Domenico de Strada, lo speziale Eusebio Mosso, omonimo del fabbricante di lance, il taverniere Pierino di Rovasenda, i beccai Michele Lanino203, uno dei più ricchi della categoria, e Ruffino de Donna; fra i testi nella sala magna del Broletto, figurano il fisico e speziale Giacomino da Confienza, due sarti, Antonio Novellono e Giovanni de Bena, il dorerio Eusebio Borserio, il ferraio Nicolino Ciga e il caligarius Giacomino de Mandola. * * * Tra la fine del XIV secolo e i primi decenni del successivo, a Vercelli i settori che avevano tradizionalmente connotato l’economia cittadina manifestavano ancora una buona solidità, in particolare le produzioni tessile, metallurgica, la lavorazione delle pelli e il commercio. Quest’ultimo, in particolare, pare in robusta espansione. Il dinamismo dell’economia vercellese è senz’altro figlio della favorevole situazione politica, generata dall’inserimento della città nella dominazione viscontea, prima, e in quella sabauda, poi, che portarono grandi benefici anche in termini di nuove e più ricercate produzioni artigianali, connesse con l’afflusso in città di numerosi artigiani forestieri. I Biscioni cit., doc. 648, pp. 209-213, 1396 agosto 31. Sangiorgio, Cronica cit., pp. 298 sgg. 203 Sul Lanino si veda Del Bo, Gli artigiani vercellesi del ‘300 cit., in particolare pp. 86-87. 201 202 281 Finito di stampare nel mese di dicembre 2014 presso Gallo Arti grafiche - Vercelli 868