Diocesi Piacenza-Bobbio Ufficio Stampa: Servizio documentazione Atene, soggiorno presso l’Hotel - Catechesi Pellegrinaggio diocesano in Grecia sulle orme di San Paolo “San Paolo ad Atene” Mons. Luciano Monari, Vescovo 14 giugno 2002 1. Il nostro pellegrinaggio ripercorre le tappe fondamentali del viaggio di Paolo in Grecia Cerco di richiamare le cose fondamentali del significato, dal punto di vista del pellegrinaggio, del cammino che stiamo facendo sulle orme di Paolo (poi è anche l’occasione per scambiarci qualche impressione o riflessione su quello che durante la giornata abbiamo visto e ascoltato e in qualche modo interiorizzato). Una parte dei viaggi di Paolo riguarda la Grecia e noi proveremo a ripercorrere almeno le tappe fondamentali. Noi facciamo un po’ il cammino inverso rispetto al viaggio di Paolo, perché il suo viaggio in Grecia partirebbe di per sé dal nord, da Filippi, poi prenderebbe Tessalonica (Salonicco), poi Berea, poi Atene e quindi Corinto. Noi invece partiamo da Atene, però credo non sia difficile ritrovare dentro la nostra testa l’ordine corretto degli avvenimenti e collocare tutte le cose al loro punto preciso. 1.1. San Paolo arriva ad Atene durante il suo secondo viaggio missionario Dunque, san Paolo arriva ad Atene durante il suo secondo viaggio missionario (cfr. At 17,15). I viaggi missionari di Paolo generalmente partono da Antiochia di Siria. Il primo viaggio è stato al centro della Turchia, e il secondo invece passa dalla Turchia, in Europa e arriva fino a Corinto passando da Atene. Vi leggo i primi versetti (che oggi abbiamo già ascoltato all’Areopago) che raccontano della permanenza di Paolo ad Atene. «[16]Mentre Paolo li attendeva ad Atene» (At 17,16). Cioè attendeva «Sila e Timoteo», suoi compagni di viaggio, che erano rimasti a Tessalonica (cfr. At 17,15). Paolo ha predicato a Tessalonica, poi è dovuto partire in fretta, ha lasciato lì i suoi compagni di viaggio e li aspetta anche con un po’ di ansia. Perché a Tessalonica non ha avuto il tempo di un’istruzione approfondita, e siccome i cristiani di Tessalonica vivono in un ambiente in alcuni aspetti ostile, ha come il timore che là tutto il suo lavoro si sia rivelato vano, che partito lui sia crollato tutto (cfr. At 17,1-14). Allora aspetta con ansia che Sila e Timoteo arrivino per portargli notizie della comunità di Tessalonica per sapere, si o no, se continua, se rimane legata a lui e se è fedele alla predicazione che lui ha fatto (cfr. 1Tes 3,1-6). Comunque è in attesa ad Atene. «[16]Mentre Paolo li attendeva ad Atene, fremeva nel suo spirito al vedere la città piena di idoli. [17] Discuteva frattanto nella sinagoga con i Giudei e i pagani credenti in Dio e ogni giorno sulla piazza principale con quelli che incontrava. [18]Anche certi filosofi epicurei e stoici discutevano con lui e alcuni dicevano: Che cosa vorrà mai insegnare questo ciarlatano? E altri: Sembra essere un annunziatore di divinità straniere; poiché annunziava Gesù e la risurrezione» (At 17, 16-18). 1 Dalla cartina della Grecia si rileva che l’ultima tappa di Paolo, prima di Atene, è Berea, che è praticamente su quell’angolo dove s’incontrano la Macedonia con la parte peninsulare della Grecia, quindi siamo all’interno dell’antica Macedonia. Ebbene, di lì Paolo è partito per mare ed è venuto ad Atene. Ha chiaramente passato l’Isola Eubea, ha passato il Capo Sunion, che è la punta più meridionale dell’Attica, dove c’è un famoso e anche abbastanza ben conservato (da quello che si vede dalle fotografie) tempio di Poseidone Dio del mare. È risalito attraverso il golfo Saronico, quello su cui è Atene, passando di fianco alle isole di Egina e Salamina (che sono le due isole che oggi noi abbiamo visto dall’alto dell’Acropoli). Se ricordate Salamina è vicinissima alla costa di Atene, invece Egina è un po’ più lontana. (Sono quelle due isole dove gli ateniesi sono sfollati al tempo delle guerre persiane. Quando Serse è arrivato dal nord, ha attraversato i Dardanelli con quei ponti di barche famose, ha tagliato l’istmo della penisola dell’Athos per fare passare le navi dall’interno e non dalla punta, che doveva essere pericoloso. Poi è venuto giù con le navi e con il suo esercito, e Temistocle ha fatto abbandonare tutta Atene, quindi tutti sono partiti e si sono ritrovati prima a Salamina e poi nell’isola di Egina. Quella è chiaramente la scena famosa e in fondo determinante battaglia navale di Salamina, dove lì alla fine si sono decisi le sorti della Grecia. Se la Grecia è diventata quella che noi sappiamo, dipende da quella battaglia (ma non solo) certamente decisiva. Se quella battaglia andava male non c’era più nulla da fare, ma in fondo è andata bene per miracolo, perché Temistocle si è rivelato quasi un veggente; è riuscito a preparare questa battaglia tre anni prima, facendo la flotta e tutto quello che era necessario in un modo che rimane per noi sorprendente da giustificare dal punto di vista storico. Comunque, lì “è andata bene”, perché nello stretto di Salamina le navi greche sono riuscite, così sembra, a manovrare più facilmente. Invece le navi persiane, che erano in soprannumero (dal punto di vista del numero sovrabbondavano immensamente) sono rimaste sconfitte. Serse, che era sulla costa su quella specie di collinetta (che si vedeva) di fianco all’isola di Salamina con il suo seggio a esaminare, guardare e dominare la battaglia navale dall’alto, è dovuto ritornare in fretta in Persia (480 a.C.). Dunque, Paolo è passato vicino all’isola di Egina e Salamina e dovrebbe essere entrato ad Atene attraverso il Pireo. Questo non lo sappiamo con precisione. Atene aveva il porto del Pireo, ma anche l’altro porto Falero; però normalmente era quello il porto a cui attraccavano le navi, quindi dovrebbe essere entrato verso il Pireo, ma non sappiamo come. 2. Le divinità adorate nella Grecia antica Allora, dobbiamo immaginare quello che raccontano i viaggiatori che si avvicinano ad Atene; quello che racconta, per esempio, Pausania, scrittore del II d. C. (che ha descritto la Grecia nell’opera Periegesi della Grecia). Ha girato per tutta la Grecia e ha descritto tutto quello che ha visto dal punto di vista turistico, nel senso degli edifici e dei paesaggi, ma soprattutto delle tradizioni; quindi in ogni posto racconta le divinità adorate, il perché di quella sorgente, di quel tempio e così via. Quello che Pausania racconta può in qualche modo servire per immaginare cosa deve aver visto Paolo, perché il cammino d’ingresso ad Atene deve essere stato fondamentalmente lo stesso. Deve avere incominciato a vedere quelle alture che stanno ad Atene, il monte Imetto e il Lycabetto (che abbiamo visto anche noi). Deve avere visto dal mare (così dicono che si vedesse) la grande statua (alta una decina di metri) di Atena Promachos, protettrice della città, posta all’ingresso dell’Acropoli. È chiamata Atena Promachos, cioè “che combatte in prima fila” in battaglia insieme e davanti gli ateniesi come loro protettrice. Questa tatua aveva una lancia con la punta dorata e, come dicono gli antichi, si vedeva da lontano, era un segno della città di Atene e dell’Acropoli che domina il paesaggio di coloro che si avvicinano . Tutto questo tentano di spiegare quale sia stata l’esperienza di Paolo, ricordando un passo parallelo della vita di un certo tizio che si chiamava Apollonio di Tiana (quando siamo andati in Turchia forse lo abbiamo ricordato); è una figura religiosamente importante, un guaritore, gli sono attribuiti dei miracoli, s’intende è un pagano che viveva nel centro dell’Asia Minore. La sua vita racconta anche una venuta ad Atene, con queste parole: “Essendo giunto a gettare l’ancora nel Pireo, dal porto salì alla città. Mentre procedeva incontrò parecchi filosofi, nella sua prima conversazione, trovando gli ateniesi molto devoti alla religione, discusse con loro su soggetti sacri. Questo avvenne ad Atene dove sono innalzati anche altari di divinità ignote”. 2 Potete immaginare che Paolo abbia fatto esattamente questa esperienza: attracca al Pireo, sale verso Atene attraverso quella strada che era circondata dalle mura, sempre fatte da Temistocle (al tempo di Paolo erano mura distrutte, ma i resti dovevano esserci), e incontra, come dicono gli Atti degli Apostoli, dei filosofi con i quali si mette a dialogare e a discutere delle cose più significative e più importanti (cfr. At 17,17-18). Vi dico come poteva essere entrato ad Atene (per un motivo che dopo provo a spiegare) attraverso quello che viene chiamato il Dipylon, cioè una doppia porta che sta ad occidente di Atene, dove s’incontrano le strade che vengono dal Pireo (che ha fatto Paolo), da Corinto (che in qualche modo faremo noi), e dalla Beozia (Grecia centrale). Lì incomincia incontrando il tempio di Demetra con statue della dea e di sua figlia Persefone (o Proserpina o qualche cosa del genere perché i nomi cambiano secondo le tradizioni) e una statua famosa di Prassitele. È sempre Pausania che ci racconta. Entra ancora e trova una statua equestre, di Poseidone dio del mare; evidentemente è un dio importante per Atene che ha costruito praticamente il suo potere sul mare. Trova il santuario di Dioniso, quindi la statua di Atena guaritrice, di Zeus, di Apollo, di Ermes. Sono tutte divinità che fanno parte della famiglia divina dei “dodici dei dell’Olimpo”; c’è una dozzina di divinità olimpiche fondamentali della tradizione greca, collegate tra loro con dei rapporti familiari, che non sono sempre facili da districare perché variano secondo le tradizioni ma li costituiscono come una grande famiglia. Tenete presente che l’Atene, che Paolo visita, non è più l’Atene fiorente del V e IV secolo a.C.; è stata praticamente umiliata da una serie di dominazioni diverse, ed è stata saccheggiata dai Governatori Romani, alcuni erano onesti, però altri se ne approfittavano. Nell’86 a.C. era stata soprattutto saccheggiata da Silla, che ha lasciato delle tracce notevoli di distruzione. 3. Il giudizio di Paolo su Atene antica Paolo dunque vede questa città. Ho ricordato tutti quei templi e quelle statue perché è esattamente l’esperienza a cui fa riferimento il Libro degli Atti degli Apostoli. Paolo ha visto che ad Atene la religione c’è, è diffusa ed è profondamente inserita nell’esistenza degli ateniesi. Questo è un giudizio non solo di Paolo ma di molti altri. Il problema è: che giudizio poteva dare Paolo di un’Atene così? Perché, evidentemente Paolo non è semplicemente un turista che guarda le cose dal punto di vista estetico; la prospettiva estetica non è quella propria di Paolo. In quel tempo, in cui aspetta che Sila e Timoteo vengano da Tessalonica, Paolo fa quello che noi abbiamo fatto oggi, e lo fa con più tranquillità e con molto più tempo di pensare. Dicevo, vede tutte queste statue e, evidentemente, deve imparare a conoscere tutti i miti che raccontano il significato e il motivo di tutte queste statue. Il termine “mito” vuole dire: racconto; sono dei racconti che esprimono l’importanza che ciascuna divinità ha per la città di Atene e per i suoi abitanti. Generalmente il valore e il significato religioso di queste divinità è fissato dagli scritti di Omero e di Esiodo; sono degli scrittori non sacri in senso stretto, nel senso che siano ispirati o qualche cosa del genere come si potrebbe pensare per la Bibbia o altri libri religiosi, però senza dubbio nella tradizione greca fanno testo. Il significato fondamentale di ogni divinità è fissato da quello che questi due scrittori, prima Omero e poi Esiodo, nelle loro opere hanno scritto. Aggiungete ad Esiodo e Omero anche i miti locali. Quello per esempio che c’è stato ricordato oggi sull’Acropoli; il mito della contesa tra Atena e Poseidone per il protettorato della città di Atene e dell’Attica. Ricordate quel mito che è legato con l’Eretteo, dove Poseidone ha fatto scaturire una sorgente di acqua salata, e dove invece Atena ha fatto fiorire un olivo. È stata una prova vinta da Atena, che è diventata appunto la protettrice dell’Attica. Quindi miti di questo genere. Ebbene, che giudizio può avere dato Paolo? 3 3.1. Il rapporto dei cristiani con la cultura greca nel corso dei primi secoli Nel corso dei primi secoli il rapporto dei cristiani con la cultura greca, e pagana in genere, è stato un rapporto complesso, nel senso che ci sono stati due atteggiamenti diversi, e per certi aspetti anche in contrasto l’uno con l’altro, nei confronti della cultura pagana. C’è un primo atteggiamento che la rifiuta in radice: non è possibile per un cristiano accettare miti politeistici come sono quelli della mitologia greca, e accettare comportamenti immorali che sono attribuiti agli dei. Basta che voi pensiate a tutte le avventure di Zeus e vi accorgete che ci sono degli elementi di immoralità che un cristiano non può accettare. Tanto che c’è una tradizione interpretativa greca che cerca di leggere questi miti in una prospettiva antropologica di significato, quindi non come se fossero dei racconti di ciò che è avvenuto, ma come se fossero dei racconti simbolici del significato dell’esistenza dell’uomo. Allora, da una parte c’è una corrente di opposizione. Dall’altra c’è una corrente di pensiero cristiano che cerca invece di valorizzare tutto quello che nella tradizione greca c’è di significativo e di importante; perché non c’è dubbio che la tradizione di pensiero greca è notevolissima, che non si può trascurare facilmente. Ci sono scrittori, Padri della Chiesa cristiani, che hanno tentato di valorizzare questo, cercando quelli che chiamano i “semi del Verbo”. Il Verbo di Dio, che è Gesù Cristo, ha come delle prefigurazioni, non solo nell’Antico Testamento, ma anche nella filosofia e religiosità greca. Questi due atteggiamenti, per quanto siano in contrasto l’uno con l’altro, in realtà hanno ciascuno le loro motivazioni grosse: Perché l’atteggiamento di opposizione ha una motivazione evidente che ho appena ricordato: non si può annacquare la visione di fede cristiana mescolandola con racconti che le sono estranei e con visioni di fede radicalmente diverse. Ma dall’altra parte è vero anche che, siccome il cristianesimo pretende di essere religione universale, presume di essere capace di valorizzare tutto quello che di bello, di buono, di santo e di vero c’è in qualsiasi tradizione culturale. Siccome non c’è dubbio che nella tradizione culturale greca c’è molto del vero, del bello e del buono, è dovere sacrosanto di un pensatore cristiano riuscire a recuperare tutte queste ricchezze grandi di pensiero dentro ad una visione più globale di fede. Quindi l’uno e l’altro hanno il loro motivo di fondamento grande. 4. La posizione di Paolo di fronte alla tradizione culturale greca La domanda allora diventa: quale può essere stata la posizione di Paolo? Sempre Pausania (di cui dicevo prima) scrive: “Che la cultura non è la sola caratteristica degli ateniesi; gli ateniesi sono anche più religiosi di altri popoli, perché dedicano altari anche alla modestia, alla fama e a tutta una serie di realtà, che sono umane ma consacrate attraverso il loro riferimento alla divinità”. E aggiungete il discorso che abbiamo ascoltato oggi visitando l’Acropoli, con tutto quel complesso di immagini, di tradizioni mitiche, religiose, ecc. Ora, per Paolo uno spettacolo di questo genere deve avere creato in prima battuta una specie di sock. Paolo è un ebreo, ed è abituato alla radicalità dell’adesione a Dio che si trova nel Decalogo, perché incomincia esattamente dicendo: « [3]non avrai altri dei di fronte a me. [4]Non ti farai idolo né immagine alcuna di ciò che è lassù nel cielo né di ciò che è quaggiù sulla terra, né di ciò che è nelle acque sotto la terra. [5]Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai. Perché io, il Signore, sono il tuo Dio, un Dio geloso…» (Es 20,3-5). Quindi quello che Paolo vedeva ad Atene, evidentemente era in contrasto con il suo atteggiamento di fondo. 4 Che cosa dicono gli Atti degli Apostoli? Dicono che Paolo ha cominciato a predicare, innanzitutto nella sinagoga e poi nell’agorà (cfr. At 17,17), poi nell’Areopago (cfr. At 17,19). 1). Per quanto riguarda la sinagoga sappiamo poco e niente: c’era una sinagoga nel IV secolo d.C. ma di quello che c’era prima sappiamo praticamente poco, quindi non deve esserci stata una grande comunità di ebrei ad Atene, qualcuno certamente sì ma non tantissimo. 2). Per quanto riguarda l’agorà è il luogo della vita pubblica della città e tipico delle discussioni, lì intorno ci sono le Accademie di filosofia, che veniva chiamata esattamente Accademia o Liceo o la stoai; lì ci sono filosofi e il Libro degli Atti degli Apostoli fa riferimento in particolare «agli stoici e agli epicurei» (At 17,18a). Paolo deve essersi confrontato con queste posizioni e atteggiamenti filosofici e religiosi. Con quale risultato? I filosofi parlano di lui in questi termini: «Che cosa vorrà mai insegnare questo ciarlatano?» (At 17,18b). “Ciarlatano” è la traduzione in italiano del termine spermalogos, che vuole dire in qualche modo uno che va a raccogliere i semi che sono rimasti sparsi, quindi che alla fine va a prendere delle piccolezze (cfr. At 17,18 e nota della Bibbia di Gerusalemme). «Sembra essere un annunziatore di divinità straniere; poiché annunziava Gesù e la risurrezione» (At 17,18c). Evidentemente la “risurrezione” viene considerata una divinità da mettere accanto a Gesù come il suo corrispettivo femminile: Gesù e l’Anastasis (cfr. At 17,18 e nota della Bibbia di Gerusalemme); quindi Gesù e la Risurrezione sembrerebbero costituire una specie di coppia divina che viene annunciata da questo straniero che viene dall’Oriente. Tutto questo entra in un’esperienza che doveva essere stata fatta ad Atene. Perché ad Atene l’influsso dall’Oriente di correnti di pensiero religiose era notevole, ne passavano tanti, e quindi Paolo fa semplicemente la figura di essere semplicemente uno straniero che viene da lontano, non appare nemmeno direttamente un ebreo (almeno non di questo si parla), è uno che viene dall’Oriente che sembra annunciare qualche altra divinità accanto a tutte quelle che gli ateniesi già conoscono e venerano. 3). Ma poi c’è il terzo luogo dov’è collocata l’attività di Paolo che è l’Areopago; è quella piccola collina che sta davanti all’Acropoli (che abbiamo visto), che era il luogo di raccolta di un Consiglio giudicante di Atene e, secondo la tradizione, fondata da Atena stessa. Il nome dell’Areopago dovrebbe indicare la collina di Ares, quindi anche qui di una divinità. Famoso è l’Areopago per il primo giudizio pronunciato su Oreste. Oreste aveva ucciso sua madre perché aveva ucciso suo padre, ed è stato giudicato (secondo le tradizioni) esattamente sull’Areopago. Lì ha ricevuto un giudizio di condanna e verrà perseguitato dalle Furie per questo matricidio che Oreste aveva commesso. Ma adesso questo non ci interessa anche se sarebbe interessante dal punto di vista letterario. Comunque è un tribunale competente su questioni religiose. 5. Il comportamento di Paolo nella sua predicazione Vediamo che cos’è avvenuto e come Paolo si è comportato in questa sua predicazione. «[19]Presolo con sé, lo condussero sull’Areopago e dissero: Possiamo dunque sapere qual è questa nuova dottrina predicata da te? [20]Cose strane per vero ci metti negli orecchi; desideriamo dunque conoscere di che cosa si tratta. [21]Tutti gli Ateniesi infatti e gli stranieri colà residenti non avevano passatempo più gradito che parlare e sentir parlare» (At 17,19-21). Questo è un giudizio usuale sugli ateniesi che ha delle radici antiche, perché credo che già Demostene (1° Filippica, 10) li rimproverasse di questo. «[22]Allora Paolo, alzatosi in mezzo all’Areopago, disse: Cittadini ateniesi, vedo che in tutto siete molto timorati degli dei. [23]Passando infatti e osservando i monumenti del vostro culto, ho trovato anche un’ara con l’iscrizione: Al Dio ignoto. Quello che voi adorate senza conoscere, io ve lo 5 annunzio. [24]Il Dio che ha fatto il mondo e tutto ciò che contiene, che è signore del cielo e della terra, non dimora in templi costruiti dalle mani dell’uomo [25]né dalle mani dell’uomo si lascia servire come se avesse bisogno di qualche cosa, essendo lui che dà a tutti la vita e il respiro e ogni cosa. [26]Egli creò da uno solo tutte le nazioni degli uomini, perché abitassero su tutta la faccia della terra. Per essi ha stabilito l’ordine dei tempi e i confini del loro spazio, [27]perché cercassero Dio, se mai arrivino a trovarlo andando come a tentoni, benché non sia lontano da ciascuno di noi. [28] In lui infatti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo, come anche alcuni dei vostri poeti hanno detto: Poiché di lui stirpe noi siamo. [29]Essendo noi dunque stirpe di Dio, non dobbiamo pensare che la divinità sia simile all’oro, all’argento e alla pietra, che porti l’impronta dell’arte e dell’immaginazione umana. [30]Dopo esser passato sopra ai tempi dell’ignoranza, ora Dio ordina a tutti gli uomini di tutti i luoghi di ravvedersi, [31]poiché egli ha stabilito un giorno nel quale dovrà giudicare la terra con giustizia per mezzo di un uomo che egli ha designato, dandone a tutti prova sicura col risuscitarlo dai morti. [32]Quando sentirono parlare di risurrezione di morti, alcuni lo deridevano, altri dissero: Ti sentiremo su questo un’altra volta. [33]Così Paolo uscì da quella riunione. [34]Ma alcuni aderirono a lui e divennero credenti, fra questi anche Dionigi membro dell’Areopago, una donna di nome Damaris e altri con loro» (At 17,22-34). Questo è il discorso che ha dato “filo da torcere” agli esegeti per capire quale sia il suo “succo” fondamentale. C’è una lettura di questo discorso che è probabilmente sbagliato, ed è di questo genere: Paolo arriva ad Atene, si trova di fronte la capitale della cultura pagana, deve annunciare il Vangelo, allora fa ogni sforzo per adattare il Vangelo alla comprensione degli ascoltatori, tanto da fare quello che non ha mai fatto, da citare dei poeti pagani. Ha fatto il possibile, lasciando da parte molte cose; se avete notato non parla di Gesù Cristo se non alla fine quando lo presenta come giudice (cfr. At 17,31). Quindi ha fatto un tentativo di adattamento che il risultato alla fine è stato praticamente nullo. Proprio per questo (dicono alcuni), quando Paolo ha lasciato subito Atene ed è andato a Corinto, si è trovato nella situazione che descrive lui stesso: «venni in mezzo a voi in debolezza e con molto timore e trepidazione» (1Cor 2,3). Secondo alcuni, questo “timore e trepidazione” viene dal fallimento di Paolo ad Atene. Paolo ha fallito e ha qualche dubbio sulla sua capacità di potere annunciare il Vangelo, quindi la sua andata a Corinto è rimasta sotto l’impressione dell’errore di Atene. Quindi dicono che da quel momento Paolo non farà più quell’errore, e comincerà sempre ad annunciare Gesù Cristo crocefisso, quello che ad Atene non ha evidentemente ricordato. Questa è una lettura classica, che è stata ripresa per molto tempo. 5.1. I modelli di Paolo di annuncio del Vangelo secondo le diverse situazioni degli ascoltatori Ma questa non sembra in realtà essere il contenuto del discorso di Paolo. E provo a dire come probabilmente va letto. Negli Atti degli Apostoli ci sono tre discorsi messi in bocca a Paolo: Nel cap. 13 ad Antiochia di Pisidia (che abbiamo letto nel pellegrinaggio dell’anno scorso proprio ad Antiochia di Pisidia); e quello è un discorso rivolto ai Giudei: è l’annuncio del Vangelo ai giudei. Nel cap. 17 c’è il discorso ad Atene, e questo è rivolto ai pagani. Il discorso del cap. 20 a Mileto, e questo è rivolto ai cristiani, agli anziani della comunità di Efeso. Quindi, tre discorsi: ai giudei, ai pagani e ai cristiani. Ci sono altri discorsi ma sono delle apologie, quindi sono di un altro genere, non sono discorsi di annuncio o di pastorale. I discorsi di annuncio e di pastorale negli Atti degli Apostoli sono questi tre. E questi tre sembrano per Luca tutti esemplari, cioè dei modelli di annuncio del Vangelo secondo le diverse situazioni degli ascoltatori che sono collocate lì come modelli da cogliere e da imitare da parte di tutti. 6 6. Il modello di adattamento di Paolo alla cultura greca Di fatto questo adattamento di Paolo alla cultura greca è apparente e non reale. È vero che Paolo cita un poeta pagano (cfr. At 17,28), e quindi si fa in qualche modo voler bene da questo punto di vista. Ma è altrettanto vero che “il succo del discorso” è questo (detto in parole un po’ brutali ma tanto per intenderci): “Voi, dal punto di vista religioso, siete religiosissimi ma “ignoranti”: Quello che voi non sapete ve lo annuncio”. Il discorso non si colloca a livello di discussione filosofica, come se ai ragionamenti dei filosofi pagani Paolo ponesse o contrapponesse un ragionamento filosofico di tipo cristiano. Il discorso di Paolo è fondamentalmente profetico, cioè un discorso di annuncio e non di ragionamento, in cui viene proposto non qualche cosa che è il risultato di una riflessione umana più sofisticata o più approfondita di quella che potevano avere costruito i greci. Ma è invece la proposizione profetica di un messaggio nuovo che viene da Dio e si colloca nei confronti del pensiero greco come il compimento di un vuoto. Vi faccio notare ancora le cose fondamentali. Dice Paolo: «vedo che in tutto siete molto timorati degli dei» (At 17,22). “Timorati degli dei” è un’espressione che si può intendere bene o male; per uno che: ha un grande spessore religioso; è superstizioso, quindi che corre dietro a tutta una serie di immagini false della divinità. Perché, quel «Dio ignoto» (At 17,23a) al quale viene innalzato un altare è, da questo punto di vista, come l’immagine di una religiosità falsa. Qual è il motivo per cui si fa un’ara al Dio ignoto? Evidentemente, siccome non sono mai sicuri di avere fatto abbastanza, è il tentativo di difendersi da qualunque male gli dei possono procurare agli uomini. “Allora ci metto qualche cosa che riguarda quello che io non conosco, in modo da coprirmi le spalle del tutto e da essere a posto nei confronti della divinità, perché a ciascuna divinità io posso presentare il complesso di sacrificio o di atti religiosi che mi garantisce la protezione della stessa divinità”. Ma questo evidentemente entra in una prospettiva superstiziosa, cioè di una religione che è un impossessarsi degli dei per la propria difesa e vantaggio (cfr. At 17,23 commento nota Bibbia di Gerusalemme). A questa religiosità pagana, Paolo contrappone: 1). «Quello che voi adorate senza conoscere, io ve lo annunzio» (At 17,23b). “Io ve lo annuncio” vuole dire evidentemente: il superamento di un’ignoranza; gli ateniesi stessi riconoscono la loro ignoranza con “quell’altare al Dio ignoto”. E Paolo si presenta come la risposta non umana, di un filosofo che ha la risposta al problema filosofico del “Dio ignoto”, ma un messaggio che viene con autorità divina di cui lui è fondamentalmente il messaggero e il profeta (cfr. At 20,24). 2). Di fatto, il modo in cui Paolo presenta la divinità è significativo: «[24]Il Dio che ha fatto il mondo e tutto ciò che contiene»; “che ha fatto”, quindi viene escluso qualunque forma di panteismo, del Deus si de natura, cioè di un Dio che si identifica con la natura; e qui andate verso prospettive anche storiche. Tutto questo viene cancellato da un’affermazione fondamentalmente biblica che è la creazione (cfr. Gen 1,1). Il Dio creatore è il Dio fondamentalmente della Bibbia ed è collocato subito: «[24]Il Dio che ha fatto il mondo e tutto ciò che contiene, che è signore del cielo e della terra» (At 17,24a). “Signore” vuole dire: che esercita un potere reale (cfr. Gen 15,2.8). Quindi è escluso quello che poi nei secoli recenti si chiamerà il “deismo”: una concezione di dio elevatissima ma così lontano che non ha niente a che fare con la nostra vita, quindi praticamente irrilevante nell’attività e nella storia dell’uomo. Al contrario: «è signore del cielo e della terra». 3). «Non dimora in templi costruiti dalle mani dell’uomo [25]né dalle mani dell’uomo si lascia servire come se avesse bisogno di qualche cosa, essendo lui che dà a tutti la vita e il respiro e ogni cosa» (At 17,24b-25). Anche in questo c’è evidentemente una critica notevolmente robusta a quel 7 tipo di religiosità paganeggiante che si esprime nel riconoscimento del tempio come valore della localizzazione della divinità (cfr. 1Re 8,27), o del sacrificio come lo strumento di offerta a Dio di qualche cosa di cui gli dei hanno bisogno e che esigono dall’uomo (cfr. Os 6,6). Allora, se partite da questa prospettiva, si capisce bene che l’ottica di Paolo non è di adattarsi alla religiosità pagana, ma è piuttosto di contrapporre alla religiosità pagana l’annuncio di una rivelazione che viene da Dio e colloca l’uomo su un livello diverso di rapporto con Lui. «Non dobbiamo pensare che la divinità sia simile all’oro, all’argento e alla pietra, che porti l’impronta dell’arte e dell’immaginazione umana» (At 17,29). 4). La conclusione del discorso è questa: «[30]Dopo esser passato sopra ai tempi dell’ignoranza, – quindi, i secoli passati sono considerati “il tempo dell’ignoranza” – ora Dio ordina» (At 17,30). Vedete l’ottica del profeta: qui non c’è l’ottica del filosofo che discute su Dio e su come bisogna pensare Dio; qui c’è l’ottica del profeta che annuncia qualche cosa che Dio ha fatto. «Ora Dio ordina a tutti gli uomini di tutti i luoghi di ravvedersi, [31]poiché egli ha stabilito un giorno nel quale dovrà giudicare la terra con giustizia per mezzo di un uomo che egli ha designato, dandone a tutti prova sicura col risuscitarlo dai morti» (At 17,31). Il riferimento a Gesù Cristo viene solo adesso, però viene evidentemente in pienezza perché qui c’è il ruolo di Gesù Cristo nella resurrezione e nella parusia e nel giudizio. Allora, se questa analisi è corretta, e credo sia quella degli studiosi più recenti (il padre Jacques Dupont ha fatto su questo una riflessine molto ricca), il discorso andrebbe letto così: non come un adattamento, ma piuttosto come una proclamazione profetica della situazione nuova in cui l’uomo, gli ascoltatori, si vengono a trovare. Il risultato di questo annuncio non è così negativo come potrebbe sembrare. È vero che sono pochi i convertiti: «Dionigi l’areopagita, Damaris e qualcun altro» (At 17,34); ma a Paolo normalmente andava così. In tutte le comunità cristiane, che lui ha fondato, è partito con un nucleo di persone che non è enorme, quindi praticamente il risultato non è qualitativamente diverso da quello che Paolo ha ottenuto in altre situazioni. Quindi non si può considerare Atene come un fallimento contrapposto agli altri successi che Paolo invece avrebbe mietuto, qui e negli altri posti il risultato è stato fondamentalmente simile. 7. La comunità cristiana di Atene Della comunità cristiana di Atene non è che sappiamo più tantissimo, però sappiamo che nel II secolo qualche cosa c’è. 7.1. L’apologetica cristiana Nel II secolo un filosofo cristiano di Atene, Aristide, scrive un’apologia indirizzata ad Adriano, imperatore romano, quindi un tentativo di presentare il cristianesimo nella sua verità e ragionevolezza. Sempre nel II secolo c’è un altro filosofo cristiano di Atene, che si chiama Atenagora, e scrive anche lui un’apologia, anche questa indirizzata agli imperatori per difendere la visione cristiana e la comunità cristiana. Quindi vuole dire che nel II secolo la comunità cristiana di Atene c’è, e si esprime con il tipico di Atene, quindi con la capacità di riflettere e di presentare il cristianesimo in una forma razionalmente credibile. L’apologetica cristiana dovrebbe nascere in qualche modo da questi scrittori. Ce ne sarebbe un altro, Giustino, non è di Atene ma un palestinese. 7.2. La trasformazione dei templi in chiese Il cammino di questa comunità continuerà, soprattutto sotto l’Impero Bizantino, quando pian piano assumerà sempre di più il colore cristiano. Sotto Teodosio II alcuni templi di Atene diventano 8 chiese. Questa trasformazione dei templi in chiesa è una costante e lo trovate in molti casi. L’Asclepio, quel tempietto che c‘era a sud dell’Areopago, era il tempio legato in pratica con una casa di cura (domani ad Epidauro vediamo forse l’esempio più significativo e più bello, insieme con quello di Pergamo in Turchia che purtroppo l’anno scorso non abbiamo visto ma è bellissimo). Questo tempio è stato trasformato, sotto Teodosio II che aveva una moglie ateniese, nella chiesa degli Anargurien, cioè dei santi Cosma e Damiano. “Anargurien” vuole dire: senza soldi; perché questi due sono medici che hanno praticato la medicina senza farsi pagare, e allora sono passati nella tradizione come i santi Anargurien, senza argento né denaro. Lo stesso farà Giustiniano per il Partenone che diventerà una chiesa dedicata innanzitutto a Santa Sofia, cioè allo Spirito Santo, e poi dedicata alla Vergine. Quindi, innanzitutto il Partenone, poi l’Eretteo e praticamente molti degli edifici pagani diventeranno chiese. Diventando chiesa cambia in qualche modo la struttura dell’edificio, perché il tempio pagano è il luogo dell’abitazione della divinità, non è il luogo per gli uomini; mentre la chiesa cristiana è fondamentalmente un luogo dove la comunità si raccoglie, dove si celebra il culto, la memoria, ma attraverso l’Assemblea, quindi deve essere una sala accogliente e capiente. Per questo l’edificio classico della chiesa cristiana non è il tempio pagano, ma è la basilica. La basilica era nel paganesimo un edificio profano, laico, un luogo di incontro, di discussione, di mercato, di giudizio… comunque era un luogo dell’assemblea, dove la gente vi entrava; invece il tempio pagano no. Quindi, quando il tempio è trasformato in chiesa, è cambiata praticamente la sua struttura, anche dal punto di vista funzionale, e questo è avvenuto molto frequentemente. Detto questo la tappa di Paolo ad Atene non è la più importante, dal punto di vista della sua esperienza personale, però ha evidentemente un’importanza enorme per il cammino della Chiesa, perché è quel confronto con l’esperienza religiosa e filosofica pagana che avrà un peso immenso nella formulazione della fede cristiana nei primi secoli. Quindi la sosta che abbiamo fatto ad Atene ha un suo significato grande, anche dal punto di vista cristiano. Domani, se il Signore vorrà, arriviamo a Corinto, e lì entriamo invece in una comunità che è profondamente paolina, molto ricca di significato e di valore. * Documento rilevato dalla registrazione, adattato al linguaggio scritto, non rivisto dall’autore. 9