13. Endometriosi Marco Massobrio e Alberto Revelli Universita’ di Torino Il termine endometriosi identifica una condizione patologica nella quale il tessuto endometriale è presente in sede ectopica, al di fuori della cavità uterina. Si distinguono un’endometriosi interna o adenomiosi, nella quale l’endometrio si ritrova nel contesto del miometrio, ed un’endometriosi esterna. In quest’ultima, di più frequente riscontro sul piano clinico, isole di tessuto endometriale possono essere presenti in varie sedi, in cavità addominale o nella parete di altri organi. Nella trattazione che segue si considererà dapprima l’endometriosi esterna, mentre un paragrafo a parte sarà dedicato all’adenomiosi. 13.1. ENDOMETRIOSI ESTERNA 13.1.1. Epidemiologia La frequenza dell’endometriosi esterna, che interessa quasi esclusivamente (95% dei casi) le donne in età riproduttiva ed ha un picco di incidenza tra i 30 e i 40 anni, non è conosciuta con precisione a causa sia della presenza di forme asintomatiche, sia dell’esistenza di endometriosi “microscopiche” o sottoperitoneali che sfuggono alla diagnosi. In studi condotti in centri diversi la frequenza dell’endometriosi riscontrata in donne sottoposte a laparotomia per altre patologie è risultata estremamente variabile (4,7-50%). Nelle donne sterili viene riportata una prevalenza di endometriosi molto elevata, con valori minimi intorno al 20%, medi del 50% e massimi addirittura dell’80%. Secondo uno studio condotto su vasta scala con criteri epidemiologici rigorosi la prevalenza di questa patologia nella popolazione femminile generale in età fertile sarebbe del 2,5-3,3%. Sembrano essere predisposte le nullipare, le donne che non hanno avuto gravidanze prima dei 30 anni e quelle appartenenti alle classi sociali più elevate. Quest’ultimo dato, come quello di un rischio più elevato per le donne di razza bianca rispetto alle nere, può essere in realtà attribuito a “bias” diagnostici, essendo probabile che le donne bianche e quelle in condizioni più agiate si sottopongano più facilmente ad esami che consentono la diagnosi di endometriosi. 13.1.2. Etiopatogenesi. Per spiegare l’insorgenza dell’endometriosi sono state formulate numerose ipotesi etiopatogenetiche. A) Trasporto retrogrado tubarico dell’endometrio. Gruppi di cellule endometriali sfaldate al momento della mestruazione e refluite attraverso le tube in cavità addominale sarebbero in grado di impiantarsi sul peritoneo dando origine ad isole endometriosiche. Questa ipotesi è avvalorata sia dal fatto che le sedi di maggior frequenza della patologia sono le tube, le ovaie e il cavo del Douglas, ossia quelle più facilmente raggiungibili da parte delle cellule refluite, sia dal fatto che il trasporto retrogrado di cellule endometriali è stato effettivamente dimostrato. Questo fenomeno, tuttavia, sarebbe molto frequente, potendosi osservare nel 90% delle donne in età fertile con tube pervie; ciò contrasta con l’incidenza relativamente modesta della patologia. Verosimilmente quindi altri fattori intervengono nella genesi della malattia. B) Disseminazione per via ematica o linfatica. È l’ipotesi più accreditata per spiegare tutte le localizzazioni al di fuori della cavità peritoneale e non raggiungibili per trasporto retrogrado: polmoni, muscoli scheletrici, spazio subaracnoideo, ecc. C) Impianto iatrogeno. È dimostrata la possibilità di impianto di endometrio su cicatrici chirurgiche dopo taglio cesareo o interventi isterotomici (miomectomia, metroplastiche) o in sede di cicatrici episiotomiche. Sembra accertata anche la possibilità di disseminazione chirurgica in caso di rottura di un endometrioma con fuoriuscita del suo contenuto in corso di chirugia laparoscopica o laparotomica. D) Metaplasia celomatica. Le cellule mesoteliali peritoneali, di origine celomatica, andrebbero incontro per cause ignote ad un fenomeno di metaplasia trasformandosi in cellule endometriali. Questa ipotesi spiegherebbe l’eccezionale formazione di isole endometriosiche nella vescica e nella prostata di soggetti di sesso maschile. Queste ultime tuttavia potrebbero essere il risultato dell’iperplasia di cellule dell’utricolo prostatico, residuo embionario dei dotti di Müller, in pazienti trattati con alte dosi di estrogeni per carcinoma prostatico. Questa ipotesi pertanto ha perso attualmente parte del suo credito. E) Alterazioni immunitarie. Studi recenti hanno cercato di unificare i diversi meccanismi patogenetici dell’endometriosi in un’unica teoria. Secondo questa ipotesi, il sistema immunitario gioca un ruolo predominante. Negli ultimi decenni sono state dimostrate diverse anomalie locali (cavità peritoneale) e sistemiche (sangue periferico) del sistema immunitario delle donne affette da endometriosi, ma non ha ancora risposta la domanda se l’endometriosi sia una malattia locale o sistemica. Per di più non è ancora chiaro se le alterazioni immunologiche rappresentino un effetto oppure la causa dell’instaurarsi e dello sviluppo dell’endometriosi. La vecchia teoria del reflusso mestruale ha trovato in passato come principale spiegazione quella di un reflusso così abbondante da superare le capacità di rimozione (“scavenging”) del peritoneo. Al giorno d’oggi, un difetto primario del sistema di “scavenging” pare essere il meccanismo più importante. In condizioni fisiologiche, il peritoneo è in grado di attivare una risposta immunitaria contro il tessuto refluito per eliminarlo. Nelle pazienti endometriosiche un’alterazione del sistema immunitario può facilitare l’impianto e la crescita dell’endometrio refluito. La ricerca sulle relazioni tra sistema immunitario ed endometriosi ha rivelato numerose anomalie che potrebbero essere coinvolte nella patogenesi di questa malattia. E’ stato in particolare evidenziato il ruolo delle citochine, dei fattori di crescita e dei fattori angiogenetici che hanno origine da tre compartimenti diversi ovvero l’endometrio, il peritoneo ed i macrofagi. Come conseguenza, sono modificate in maniera significativa l’immunità cellulo-mediata, quella umorale, e l’angiogenesi. Le disfunzioni immunitarie generano una cascata di fenomeni tale da spiegare la maggior parte delle caratteristiche istologiche e sintomatologiche dell’endometriosi (Fig. 13.1). Questa cascata può originare da tre differenti fattori eziopatogenetici verosimilmente interagenti fra di loro: 1) il mesotelio peritoneale risponderebbe in maniera anomala alle cellule endometriali refluite con la produzione sia di molecole di adesione (es. l’intercellular adhesion molecule-1, ICAM-1, e la vascular cell adhesion molecule-1, VCAM-1) che proteggono le cellule refluite dall’apoptosi, sia di fattori favorenti l’angiogenesi (interleuchina-8) e la chemiotassi (monocyte chemotactic protein-1, MCP-1); 2) in soggetti geneticamente predisposti le cellule endometriosiche esprimerebbero antigeni anomali (es una particolare molecola HLA di classe I come l’allele HLA-B7) che impediscono un adeguato riconoscimento da parte del sistema immunitario; 3) la risposta immunitaria, soprattutto di tipo citotossico (cellule T e NK) nelle donne con endometriosi è ridotta, tanto nel sangue periferico quanto nel liquido peritoneale. Nella fase successiva, come conseguenza di queste alterazioni, le cellule endometriali sopravvissute aderiscono al mesotelio. Si sviluppa in tal modo una reazione infiammatoria, che comporta l’attivazione dei macrofagi con rilascio abnorme di: a) fattori immunosoppressivi che regolano l’attività NK ed inibiscono la citotossicità contro l’endometrio ectopico (es il TGF-, la PGE2); b) fattori di crescita e fattori promuoventi l’angiogenesi (l’interleuchina-8, il TGF-, il vascular endothelial growth factor, VEGF) che favoriscono la crescita dell’endometrio ectopico. Anche la risposta umorale sembra alterata nelle donne affette da endometriosi, manifestandosi una risposta policlonale simile a quella che si riscontra nelle malattie autoimmuni (autoanticorpi anti-fosfolipidi, anti-istoni, anti-polinucleotidi). D’altro canto però l’endometriosi non può venire considerata una malattia autoimmune , in quanto la gravità delle alterazioni autoanticorpali non è correlata con lo stadio di malattia, e in quanto è stata riferita l’assenza di risposta umorale contro antigeni endometriali specifici nella cavità peritoneale di donne endometriosiche. L’immunità umorale può essere un fattore addizionale, responsabile dell’infertilità e del rischio di abortività. Secondo un’altra ipotesi, gli autoanticorpi potrebbero mascherare alcuni siti antigenici, permettendo all’endometrio di sfuggire all’immunità cellulo-mediata. 13.1.3. Anatomia ed istologia. Le sedi ove il tessuto endometriosico può svilupparsi sono numerose: tra di esse l’ovaio, la salpinge, il cavo del Douglas, i legamenti dell’utero, soprattutto quelli utero-sacrali, il setto retto-vaginale e il peritoneo pelvico sono indubbiamente le più frequenti. Isole endometriosiche possono essere osservate anche nella parete della vescica, del retto e del sigma, sull’appendice e sul cieco, in sede extraperitoneale sul collo dell’utero, in vagina, sulla vulva, a livello ombelicale e di cicatrici laparotomiche o episiotomiche. Esistono riscontri rarissimi di endometriosi a livello pleurico, polmonare, renale, ureterale e a carico dei linfonodi inguinali e pelvici. Macroscopicamente il tessuto endometriosico si presenta in modo assai polimorfo: noduli bottonuti rossastri, giallo-marroni o bluastri, aree fibrotiche brune o biancastre, lesioni rosse appiattite simili a petecchie, formazioni cistiche di diametro anche notevole (15-20 cm). Altre volte la presenza di endometriosi è denunciata da aderenze pelviche diffuse o da briglie aderenziali velamentose. Istologicamente le aree di endometriosi sono formate da cellule del tutto simili a quelle endometriali che formano ghiandole ad epitelio cilindrico circondate da stroma assai vascolarizzato. Tali cellule conservano la proprietà di rispondere alla stimolazione ciclica degli estrogeni e del progesterone assumendo aspetti proliferativi, secretivi e successivamente andando incontro ad uno sfaldamento emorragico. Quando l’isola di endometriosi si sviluppa nel contesto del parenchima ovarico o, talora, dei legamenti utero-sacrali, queste modeste emorragie “mestruali” possono dare origine nel tempo ad una raccolta cistica a contenuto denso brunastro costituito da emosiderina e altri prodotti di decomposizione del sangue (endometrioma o cisti “cioccolato”). Questa cisti viene periodicamente alimentata ed ingrandita da nuove emorragie “mestruali” mensili. La sua parete è formata da una pseudocapsula costituita dal tessuto endometriosico, più esternamente dalla superficie esterna introflessa dell’ovaio e per una piccola parte dal peritoneo pelvico al quale aderisce. E’ questo il punto dal quale frequentemente fuoriesce il contenuto della cisti quando questa viene mobilizzata. Talora le caratteristiche istologiche della parete dell’endometrioma vengono alterate dalla compressione esercitata dal contenuto della cisti: in questo caso la morfologia delle cellule endometriali può non essere più riconoscibile e viene posta una diagnosi istologica generica di “cisti a contenuto emorragico”. È possibile, seppur molto rara, la degenerazione neoplastica della cisti endometriosica, con formazione di un carcinoma endometrioide. 13.1.4. Quadro clinico. I sintomi più frequentemente associati con la presenza di endometriosi sono i seguenti: A) Dismenorrea. Osservabile nell’80% delle pazienti, è generalmente secondaria e frequentemente si accentua sul finire della mestruazione (dismenorrea tardiva). Di solito è resistente alle terapie antidolorifiche convenzionali. Dipende dall’irritazione peritoneale conseguente allo stillicidio ematico proveniente dalle isole endometriosiche. B) Algie pelviche intermestruali. Questo sintomo si riscontra nel 30% dei casi ed ha caratteristiche molto variabili, anche se più frequentemente è periovulatorio o premestruale. Può essere collegato sia all’irritazione peritoneale cronica, sia alla presenza di una sindrome aderenziale. In caso di rottura di un endometrioma il dolore pelvico può essere molto intenso ed associarsi ad un quadro clinico di addome acuto o subacuto. C) Dispareunia. Affligge il 30% delle pazienti e si accentua di solito in fase premestruale. È una dispareunia profonda, determinata da aderenze pelviche che dislocano le ovaie in corrispondenza del fornice posteriore o da irritazione cronica del peritoneo del Douglas e dei legamenti uterosacrali. D) Sterilità. L’associazione tra endometriosi e sterilità, osservata da diverso tempo, non è ancora completamente chiarita: sostanzialmente è noto che l’endometriosi è molto frequente nelle donne sterili e che il 30-40% delle pazienti con endometriosi non riesce a concepire. Tuttavia non è stato dimostrato definitivamente che la sterilità sia una conseguenza di qualsiasi grado di endometriosi. Non c’è dubbio che l’endometriosi severa e forse quella di grado moderato possano impedire il concepimento alterando i rapporti anatomici tra ovaio e salpinge (aderenze) o danneggiando direttamente le tube (occlusioni, stenosi, ecc.) o l’ovaio (distruzione del parenchima da parte di un endometrioma) o comunque creando un ostacolo meccanico alla fecondazione. Nell’endometriosi lieve e in quella minima, invece, il rapporto causale con la sterilità non è chiaro. È possibile che la loro presenza ostacoli, tramite un’esagerata produzione di icosanoidi nel cavo peritoneale, il processo ovulatorio con conseguente anovularietà o luteinizzazione di follicoli non rotti (LUF syndrome), o la funzione del corpo luteo, indispensabile per il corretto impianto dell’uovo fecondato nell’endometrio. Nel peritoneo di pazienti endometriosiche si osservano un gran numero di macrofagi attivati, che oltre a fagocitare direttamente gli spermatozoi possono produrre icosanoidi e intervenire in un meccanismo di tipo autoimmune diretto contro i gameti o l’embrione. Nelle donne affette da endometriosi è segnalato un aumento di frequenza della gravidanza ectopica tubarica e, nel caso della localizzazione sull’ovaio, è favorito l’impianto dell’embrione in questa sede. Sulla base di studi recenti sembra invece potersi escludere che l’endometriosi, come sostenuto in passato, causi problemi riproduttivi aumentando l’incidenza degli aborti spontanei. E) Altri sintomi. Localizzazioni dell’endometriosi in sedi particolari possono essere causa di sintomi come lo spotting premestruale (endometriosi cervico-vaginale) o come ematuria, disuria, tenesmo vescicale o rettorragie ricorrenti (endometriosi vescicale e intestinale). 13.1.5. Diagnosi. La diagnosi di endometriosi si fonda sui seguenti punti: A) Anamnesi. La paziente affetta riferirà frequentemente alcuni dei sintomi descritti. Esistono tuttavia forme lievi praticamente asintomatiche e riscontrate casualmente, nel corso di una laparotomia eseguita per altra indicazione. Inoltre con una certa frequenza la gravità del quadro anatomo-istologico non corrisponde all’intensità dei sintomi lamentati dalla paziente. B) Esame obiettivo generale e ginecologico. L’ispezione della parete addominale e del perineo talvolta può rivelare endometriosi presente in sede di cicatrici laparotomiche o episiotomiche. La palpazione addominale può suggerire l’esistenza di un endometrioma ovarico quando questo sia di dimensioni rilevanti. All’esplorazione vaginale un endometrioma verrà apprezzato come una tumefazione annessiale generalmente poco mobile e dolente. In caso di endometriosi del Douglas è spesso possibile riscontrare l’ispessimento e la retrazione dei legamenti utero-sacrali, talvolta con retroversione uterina fissa e accentuata dolenzia ai tentativi di mobilizzazione dell’utero. Anche l’esplorazione rettale può mettere in evidenza la spiccata dolorabilità del setto rettovaginale e dei legamenti utero-sacrali. L’esame con lo speculum può consentire di osservare aree di endometriosi cervicale o vaginale, che si presentano come zone bluastre più o meno rilevate. La colposcopia permette successivamente di precisarne meglio le caratteristiche e di eseguire biopsie mirate per la diagnosi istologica. C) Ecografia pelvica. È un’indagine molto utile, soprattutto se effettuata con sonda vaginale, quando sono presenti cisti endometriosiche di diametro superiore a 1 cm. Queste appaiono come immagini di ecogenicità variabile (anecogene, ipoecogene o iperecogene) con setti ed una spessa capsula iperriflettente e a margini sfumati. L’ecografia richiede comunque sempre la conferma laparoscopica. D) Laparoscopia. È la tecnica diagnostica che consente di solito una diagnosi definitiva. La si esegue nei casi giudicati sospetti sulla base del quadro clinico o del riscontro ecografico. Il periodo più indicato è quello premestruale, quando le aree endometriosiche sono congeste e più evidenti. Esse possono apparire come bottoni rossastri o bluastri, retrazioni cicatriziali biancastre, briglie aderenziali o veri e propri endometriomi. È importante un’osservazione estesa e ravvicinata del peritoneo se si vogliono identificare anche i focolai a sede sottoperitoneale. Tutte le lesioni sospette devono essere biopsiate ed inviate per l’esame istologico. Sembra invece poco giustificata l’esecuzione di biopsie peritoneali “random” alla ricerca di focolai microscopici non visibili alla laparoscopia. La laparoscopia consente, oltre alla diagnosi, la stadiazione dell’endometriosi, che viene solitamente attuata valutando le lesioni in sede ovarica, tubarica e peritoneale sulla base della classificazione proposta dalla American Society for Reproductive Medicine (A.S.R.M.) (tab. 13.1). L’importanza di eseguire correttamente la stadiazione è notevole al fine sia di istituire una terapia orientata secondo protocolli multicentrici, sia di controllare gli effetti a distanza di tempo, sia ancora di confrontare i risultati ottenuti con quelli di altri tipi di trattamento. E) Dosaggio plasmatico del CA 125. Il CA 125 è una proteina antigenica presente sulla superficie degli epiteli di origine celomatica e mülleriana (peritoneo, pleura, pericardio, endocervice, endometrio, endosalpinge). Esso è un marker generico di irritazione peritoneale, probabilmente e’ anche prodotto dalle cellule endometriosiche ed e’ di solito moderatamente elevato nel torrente circolatorio di donne affette da endometriosi. Il suo dosaggio nel plasma periferico tuttavia è di scarsa utilità per lo “screening” della patologia, a causa della bassa sensibilità e dell’assenza di livelli diversi dal normale nelle forme lievi di endometriosi. Può invece risultare utile per il monitoraggio della terapia nelle forme gravi. Inoltre il dosaggio del CA 125 nel liquido cistico può facilitare la diagnosi di endometriosi nei casi istologicamente dubbi e consentire la diagnosi differenziale nei confronti delle cisti emorragiche del corpo luteo. F) Altre indagini. L’impiego di tecniche diagnostiche per immagini, come l’immunoscintigrafia e la Risonanza Magnetica Nucleare, così come quello di dosaggi più sofisticati, per esempio del Tumor Necrosis Factor (TNF) di origine macrofagica, per la diagnosi di endometriosi rimane per ora solo sperimentale, in considerazione del rapporto costi-benefici non sempre favorevole. Quando si sospettino localizzazioni inconsuete dell’endometriosi per la presenza di disturbi vescicali o intestinali coincidenti con il flusso mestruale possono essere utili la cistoscopia o la rettocolonscopia. 13.1.6. Terapia Esistono diverse possibilità per la terapia dell’endometriosi; la scelta tra le varie opzioni si basa prevalentemente sul grado di severità della malattia, constatato mediante lo “staging” laparoscopico. Altri importanti fattori da tenere in considerazione sono l’età della paziente, la presenza o meno di sterilità, l’eventuale esistenza di altre cause di sterilità e la gravità soggettiva dei sintomi. Le possibili condotte terapeutiche comprendono la semplice attesa, la terapia medica, le terapie chirurgiche laparoscopica e laparotomica e il trattamento della sterilità mediante tecniche di fecondazione assistita. A) Attesa. Nelle forme minime di endometriosi è consigliabile l’astensione da qualsiasi tipo di trattamento, salvo l’endocoagulazione per via laparoscopica di piccoli focolai qualora essi vengano riscontrati casualmente nel corso di un intervento eseguito per altri motivi. Nelle forme lievi è giustificata un’attesa di 6-12 mesi a seconda dell’eta’ della paziente. Non è infrequente la regressione spontanea di queste forme o la loro stabilizzazione nel tempo e inoltre molte delle pazienti affette non presentano sintomi particolari o concepiscono spontaneamente in questo lasso di tempo. B) Terapia medica. È possibile utilizzare diversi farmaci, ma occorre tener conto del fatto che tutti sono in grado di migliorare il quadro sintomatologico, ma nessuno induce la guarigione definitiva, né migliora in modo significativo la prognosi riproduttiva. 1) Danazolo. Possiede un’azione antigonadotropa, antiestrogenica, antiprogestinica e parzialmente androgenica. Sembra inoltre in grado di esercitare anche un effetto immunosoppressivo utile sul piano terapeutico. Viene somministrato per via orale, o eventualmente intravaginale, alla dose di 400-600 mg/die per un periodo ininterrotto di 6-9 mesi, iniziando in fase follicolare precoce. A questi dosaggi induce generalmente amenorrea e possiede una certa tossicità epatica. Inoltre può provocare effetti indesiderati di tipo androgenico: aumento ponderale, seborrea, cambiamento del timbro della voce, ipertricosi lieve, ecc. D’altra parte dosaggi inferiori non garantiscono la stessa efficacia terapeutica. Quest’ultima è soddisfacente, specie in termini di riduzione dello “score” della malattia e dei disturbi soggettivi. 2) Analoghi del GnRH. Dotati di azione antigonadotropa e ovariostatica, inducono un clima ormonale fortemente ipoestrogenico che agisce sulle isole endometriosiche alterandone il trofismo. Per quanto riguarda gli analoghi agonisti, sono disponibili diverse molecole tra cui alcune si prestano all’impiego in formulazioni deposito, altre alla somministrazione giornaliera. Tra le prime, somministrate sotto forma di 1 fl. per via intramuscolare ogni 28 giorni per 6 mesi, ricordiamo il Triptorelin (1 fl. =3,75 mg) e il Leuprorelin (3,75 mg). Esiste inoltre il Goserelin (3,6 mg) per l’impiego sottocutaneo (tab. 13.2). Nei casi in cui queste preparazioni non risultino in grado di sopprimere completamente la funzione gonadotropa (comparsa di spotting o livelli plasmatici di estradiolo persistentemente superiori a 40 pg/ml) si preferisce utilizzare per 2 settimane un analogo a somministrazione giornaliera (Buserelin, 400 mcg/die per via sottocutanea), proseguendo eventualmente nei sei mesi successivi con la stessa sostanza per via intranasale (1200-1500 mcg/die), che però comporta un assorbimento piuttosto limitato del farmaco. Un’alternativa resasi recentemente disponibile e’ rappresentata dagli analoghi antagonisti del GnRH, che inducono un blocco immediato e profondo della secrezione gonadotropa ipofisaria. Le formulazioni attualmente in commercio (Cetrorelix e Ganirelix) sono utilizzabili per via sottocutanea alla dose giornaliera di 0.25 mg o bisettimanale di 3 mg, ma e’ probabile che vengano introdotti tra breve in commercio analoghi antagonisti in formulazione depot, piu’ pratici in una patologia cronica come l’endometriosi. La terapia con analoghi del GnRH provoca i classici effetti collaterali dovuti alla carenza estrogenica: disturbi vasomotori, secchezza vaginale, cefalea, e con minor frequenza insonnia e depressione dell’umore. Inoltre trattamenti protratti oltre i sei mesi o condotti in pazienti ad alto rischio di osteoporosi possono provocare una significativa perdita di massa ossea. Per ovviare a questo inconveniente è stata sperimentata con successo l’associazione degli analoghi con terapie estroprogestiniche sequenziali a basso dosaggio estrogenico o con derivati del progesterone (terapie “add-back”). Gli analoghi del GnRH sono in grado di provocare una riduzione molto sensibile della sintomatologia, che scompare nel 90% delle pazienti in corso di trattamento e risulta ancora assente dopo 3 mesi dalla cessazione della terapia nel 60-70% dei soggetti. Lo “score” dell’endometriosi rivalutato con laparoscopia appare ridotto a circa la metà del suo valore iniziale dopo sei mesi di terapia. 3) Gestrinone. Farmaco derivato dal 19-nortestosterone, a potente azione antiestrogenica, antiprogestinica e debolmente androgenica, viene somministrato per 6 mesi per via orale alla dose di 2,5 mg due volte la settimana, iniziando il primo giorno del ciclo. Possiede una buona efficacia terapeutica, paragonabile a quella del danazolo, ma provoca un aumento del testosterone libero ed effetti collaterali simili a quelli di questo farmaco, sebbene meno intensi. 4) Estroprogestinici. Associazioni estroprogestiniche monofasiche a basso dosaggio con clima prevalentemente progestinico vengono utilizzate nei casi in cui esistano controindicazioni o intolleranza ai farmaci descritti in precedenza. La somministrazione giornaliera è in genere protratta in modo continuo per 6-9 mesi (pseudogravidanza), iniziando dal primo giorno del ciclo ed evitando la pausa settimanale che si effettua invece quando questi farmaci sono impiegati a scopo contraccettivo. Data la scarsità di effetti collaterali (moderata tossicità epatica), possono essere effettuati anche trattamenti molto più prolungati e pertanto questi farmaci sono adatti per terapie di mantenimento o in caso di dolore pelvico cronico. 5) Progestinici. Formulazioni progestiniche ad effetto deposito (Medrossiprogesterone acetato alla dose di 150 mg i.m. ogni tre mesi oppure 30 mg/die per os) possono essere impiegate in donne isterectomizzate con funzione ovarica conservata. 6) Farmaci antiinfiammatori non steroidei. Il razionale del loro impiego è basato sulla presunzione che il dolore pelvico sia causato dalla secrezione intraperitoneale di prostaglandine da parte dei macrofagi e degli stessi focolai endometriosici. La loro indicazione è rappresentata essenzialmente dalla dismenorrea lieve o moderata e risultano particolarmente utili nei casi in cui l’uso di farmaci di tipo ormonale sia controindicato o poco accetto. La loro efficacia nel trattamento della dismenorrea intensa, delle algie intermestruali e della dispareunia profonda è purtroppo scarsa. C) Terapia chirurgica laparoscopica. La laparoscopia permette di effettuare, oltre alla diagnosi ed alla stadiazione dell’endometriosi, alcuni interventi terapeutici, come la lisi di aderenze, la cauterizzazione di piccoli focolai, l’escissione di lesioni superficiali l’aspirazione di raccolte cistiche e soprattutto l’asportazione per “stripping” della pseudocapsula degli endometriomi. La tecnica impiegata deve sempre mirare ad asportare l’endometriosi conservando il piu’ possibile la parte sana dell’ovaio, particolarmente in donne giovani e desiderose di prole. D) Terapia chirurgica laparotomica. Viene effettuata in caso di aderenze estese ineliminabili per via laparoscopica, endometriomi di grosse dimensioni o dolore pelvico incoercibile. Nelle pazienti desiderose di prole il trattamento è conservativo e prevede unicamente la lisi di eventuali aderenze, l’exeresi degli endometriomi e l’asportazione o coagulazione di tutti i focolai visibili di endometriosi. L’efficacia di questi interventi in termini di prognosi riproduttiva non è però significativamente maggiore rispetto alla terapia medica o alla chirurgia laparoscopica. In donne di età superiore ai 45 anni o anche più giovani, ma non desiderose di prole, la terapia chirurgica può anche essere maggiormente demolitiva (isterectomia con eventuale annessiectomia). In particolare dolori cronici resistenti alla terapia medica possono essere trattati mediante interventi come la neurectomia presacrale o l’amputazione dei legamenti utero-sacrali, che comportano la resezione del plesso nervoso ipogastrico. E) Tecniche di fecondazione assistita. Allo scopo di favorire il concepimento nelle pazienti affette da endometriosi, considerato il meccanismo patogenetico della sterilità, la tecnica di fecondazione assistita di elezione appare la FIVET. F) Preservazione della fertilita’ nell’endometriosi ovarica ricorrente. E’ opportuno ricordare che la attuali tecnologie consentono di adottare alcune misure per la preservazione della fertilita’ in giovani donne affette da endometriosi ovarica ricorrente, ossia pazienti che si devono sottoporre a ripetuti interventi laparotomici o laparoscopici di exeresi di cisti endometriosiche dell’ovaio, col conseguente rischio di asportare o danneggiare anche le poche aree residue di ovaio sano. In questi casi e’ possibile ed opportuno crioconservare ovociti prelevati per via transvaginale ecoguidata nel corso di un ciclo di induzione della superovulazione o di un ciclo spontaneo oppure crioconservare frammenti di corticale ovarica prelevati dalla porzione di ovaio residuo ancora sano (ma che potrebbe sviluppare un’endometrioma nei mesi a venire) o dalla parte periferica del pezzo asportato, esternamente alla cisti endometriosica. Per ulteriori dettagli su queste tecniche si rimanda al capitolo sulla Fecondazione Assistita. 13.2. ADENOMIOSI Più frequente nelle donne di età compresa tra i 40 e i 50 anni, l’adenomiosi è una malattia in cui isole di tessuto endometriale si ritrovano nel contesto del miometrio, talora organizzate a formare un vero e proprio nodulo, detto adenomioma. È una malattia molto frequente, ma spesso inapparente, venendo per lo più riscontrata all’esame istologico in uteri asportati per altre ragioni (25-30% dei casi). I meccanismi etiopatogenetici della malattia non sono noti; essi sembrano comunque diversi da quelli dell’endometriosi esterna. Infatti l’adenomiosi è più frequente nelle donne pluripare rispetto alle nullipare ed interventi diagnostici o terapeutici endouterini sembrerebbero favorirne l’insorgenza. In genere asintomatica, può causare menorragie (dovute all’alterata contrattilità del miometrio), dismenorrea e dispareunia secodarie oltre ad un aumento di volume dell’utero a superficie regolare, che caratteristicamente si accentua in fase premestruale. Nelle donne affette in eta’ riproduttiva non e’ rara l’associazione di questa malattia con la sterilita’ o con il verificarsi di ripetuti fallimenti di impianto embrionario nei programmi di FIVET, probabilmente dovuti ad alterazioni di tipo biochimico o vascolare provocate dall’adenomiosi a livello della porzione del miometrio al confine con l’endometrio. L’adenomiosi non è praticamente distinguibile all’esame clinico dalla fibrosi uterina o dalla metrite cronica e la diagnosi istologica è assai spesso, come già riportato, casuale. La terapia si avvale degli stessi presidi medici validi per l’endometriosi esterna. In caso di dolore cronico non responsivo ai farmaci o di menorragie recidivanti, data l’età delle pazienti affette, è indicata l’isterectomia. Figure Le stesse del libro precedente