Cap 16 bis. Tecniche per la procreazione medicalmente assistita (PMA) Marco Massobrio, Federica Moffa e Alberto Revelli Universita’ di Torino Negli ultimi decenni, allo scopo di curare alcune forme di sterilità di coppia, sono state messe a punto tecniche raggruppate sotto il termine di “procreazione medicalmente assistita” (PMA). Tra di esse alcune, come l’inseminazione artificiale, erano già in uso da diversi anni, anche se in forma diversa; altre sono invece scaturite da valide, recenti intuizioni ed il loro impiego sta conoscendo una diffusione sempre più vasta. Il successo delle moderne tecniche di PMA ha rivoluzionato sia la valutazione che il trattamento della sterilità. Alcuni tipi tradizionali di trattamento trovano oggi un’applicazione limitata e altri vengono ritenuti ormai obsoleti per il semplice fatto che i trattamenti di PMA sono più efficaci. In questa sede verranno trattate dapprima le tecniche di inseminazione artificiale, in seguito quelle in cui la fecondazione avviene “in vitro” e le tecniche di crioconservazione di gameti ed embrioni. In ultimo si descriveranno nuove applicazioni delle biotecnologie che hanno permesso l’impiego di alcune tecniche di PMA, oltre che per la cura della sterilità, anche, ad esempio, per la prevenzione di malattie genetiche o per la preservazione della fertilità in campo oncologico. 16.bis.1. Inseminazione artificiale Si definisce inseminazione artificiale l’introduzione artificiale del liquido seminale nelle vie genitali femminili allo scopo di agevolare il concepimento. A seconda che venga utilizzato il seme del partner o quello di un donatore, l’inseminazione artificiale viene denminata “omologa” (AIH; Artificial Insemination with Husband’s semen) o “eterologa” (AID; Artificial Insemination with Donor’s semen). Naturalmente i due tipi di inseminazione hanno indicazioni e risvolti psicologici ed etici assai diversi, mentre la tecnica di esecuzione è identica. Inseminazione artificiale omologa (AIH) Nell’inseminazione artificiale omologa viene impiegato il liquido seminale del paziente, realizzando quindi un’inseminazione fra i due partners della coppia. A seconda della sede ove viene iniettato il seme si distinguono le seguenti tecniche, di cui le prime quattro trovano attualmente rara applicazione e appartengono ormai alla storia dei trattamenti di PMA, in quanto soppiantate dalla più semplice ed efficace inseminazione intrauterina: 1) Intravaginale. Subito dopo l’eiaculazione e la liquefazione del seme, questo è deposto in vagina mediante una siringa sterile. Questa tecnica trova indicazione solo in caso di impossibilità a realizzare un normale rapporto sessuale (ad esempio per vaginismo, eiaculazione precocissima “ante portam”, impotenza psicogena durante il coito) o di turbe urologiche che impediscano una normale eiaculazione in vagina (ipospadia, epispadia). 2) Paracervicale. Il seme viene introdotto in apposite coppette di plastica applicate “ex vacuum” al collo uterino, in modo che arrivi a lambire il muco cervicale. L’AIH paracervicale, oltre che per gli stessi disturbi sessuologici e urologici che possono essere curati mediante l’inseminazione intravaginale, viene impiegata (per altro raramente) in caso di infezione vaginale ribelle ad ogni terapia antibiotica allo scopo di impedire che l’ambiente vaginale ostile danneggi gli spermatozoi. 3) Intracervicale (ICI; Intra Cervical Insemination). Mezzo millilitro di seme prelevato subito dopo la liquefazione e non trattato in laboratorio viene iniettato con piccoli cateteri di plastica semirigida all’interno del canale cervicale. Il restante liquido seminale viene di solito inseminato con la tecnica paracervicale. L’ICI intende favorire la commistione tra seme e muco e la funzione delle cripte cervicali, in cui gli spermatozoi si accumulano e da cui vengono dismessi gradualmente. Le indicazioni sono le medesime descritte per l’AIH paracervicale, alle quali si può aggiungere l’oligoposia (o ipospermia), ovvero la presenza di un volume di liquido seminale inferiore ad 1 ml. In questo caso l’inseminazione permette una maggior commistione tra seme e muco cervicale, difficilmente realizzabile se una quantita’ di sperma cosi’ ridotta viene deposta in vagina. Le percentuali di gravidanza ottenibili con l’ICI sono assai modeste. 4) Intraperitoneale (DIPI; Direct Intra Peritoneal Insemination). Questa tecnica prevede l’iniezione di circa 2 ml di seme preparato in laboratorio in cavità peritoneale e precisamente nello scavo del Douglas, che viene raggiunto tramite la puntura del fornice vaginale posteriore effettuata sotto guida ecografica o semplicemente visiva. Il liquido seminale deve essere preventivamente trattato “in vitro” in condizioni sterili onde evitare le possibili complicanze infettive. La procedura è moderatamente dolorosa e in alcuni soggetti richiede una lieve sedazione. Le indicazioni alla DIPI sono le stesse dell’inseminazione intrauterina (vedi sotto) e l’efficacia terapeutica è paragonabile. Si discute tuttora molto sulla possibile induzione di anticorpi anti-spermatozoo nella donna in seguito all’introduzione in cavità peritoneale di un elevato numero di spermatozoi. Questa eventualita’ rappresenterebbe un effetto indesiderato di importanza rilevante, potendo tali anticorpi compromettere la capacita’ fertilizzante del seme. 5) Intrauterina (IUI; Intra Uterine Insemination). In questa tecnica di inseminazione un catetere di plastica dalla punta molto sottile e flessibile viene introdotto attraverso il canale cervicale fino a contatto del fondo dell’utero. Il seme preparato in laboratorio (0,3-0,7 ml) viene iniettato a 0,5 cm dal fondo dell’utero attraverso due piccoli orifizi del catetere posti in direzione degli ostii tubarici. L’IUI ha indicazioni più vaste rispetto agli altri tipi di AIH sin qui descritti: - Test post-coitale (PCT) ripetutamente negativo, allo scopo di superare il muco cervicale ostile agli spermatozoi; - sterilità immunologia (presenza dei anticorpi anti-spermatozoo a livello del muco cervicale); - sterilità inspiegata; - oligozoospermia lieve e moderata e/o astenozoospermia lieve e moderata. Nell’IUI il seme non può essere iniettato in utero senza un preventivo trattamento “in vitro”. Il trattamento viene effettuato sia per separare gli spermatozoi dal plasma seminale, contenente sostanze come le prostaglandine in grado di provocare spasmi dolorosi dell’utero, sia per eliminare dal seme eventuali germi patogeni con l’aggiunta di antibiotici. Le tecniche di preparazione del liquido seminale, chiamate di “capacitazione in vitro”, consentono di eliminare gli spermatozoi non vitali, poco mobili o dotati di morfologia anomala e permette di selezionare per l’inseminazione solo quelli dotati di motilità e morfologia soddisfacenti. Questi ultimi, sospesi in terreni di coltura dalle caratteristiche simili al plasma seminale, vengono poi iniettati in utero. I risultati complessivi dell’IUI sono valutabili in una percentuale di gravidanza attorno al 10-15% per tentativo: in realtà quando l’indicazione è maschile ed il seme e’ anormale non si supera il 5-8% e se è presente una sterilità immunologica i risultati sono ancora più modesti. Quando, inoltre, il numero totale di spermatozoi mobili capacitati e inseminati è inferiore a 2 milioni, le percentuali di successo della IUI si riducono drasticamente. In ragione di ciò molti centri di PMA pongono questo valore come cut-off per l’esclusione della coppia da terapie di IUI e per l’inclusione della stessa in programmi terapeutici di fecondazione “in vitro”. Poiché la sopravvivenza degli spermatozoi trattati “in vitro” è limitata ad alcune ore, il fattore più critico per ottenere buoni risultati è il “timing” dell’inseminazione, ovvero la coincidenza di questa con l’ovulazione. Per questo motivo generalmente i risultati sono migliori se si induce farmacologicamente l’ovulazione al fine di ottenere la crescita “guidata” di uno/due follicoli, la cui maturazione finale viene sincronizzata con l’IUI. La stimolazione ovarica associata all’IUI viene generalmente ottenuta con Clomifene Citrato o Gonadotropine a basso dosaggio e necessita di monitoraggio ecografico per controllare il numero e la maturità dei follicoli fino al momento ritenuto opportuno per l’IUI. I pericoli dell’IUI sono minimi: raramente possono verificarsi un’endometrite o una flogosi pelvica (PID) per contaminazione del seme iniettato, un’allergia al terreno di coltura o la stimolazione della sintesi di anticorpi anti-spermatozoo nella donna. Più frequentemente si puo’ invece verificare l’insorgenza di gravidanze plurigemellari a seguito di IUI, ma solo quando questa viene abbinata a stimolazioni dell’ovulazione a dosi eccessive e non adeguatamente controllate e monitorizzate, che per errore inducono lo sviluppo di più di due follicoli ovarici e l’ovulazione di numerosi ovociti. 6) Intratubarica (FSP; Fallopian Sperm Perfusion) Questa tecnica consiste nell’introduzione di un catetere anti-reflusso nella cavità uterina e nella successiva perfusione delle tube con una sospensione contenente spermatozoi capacitati (2-4 ml). Studi clinici randomizzati non hanno dimostrato una differenza statisticamente significativa nel numero di gravidanze rispetto all’IUI ed essendo l’FSP una procedura tecnicamente più complessa e più costosa, le viene generalmente preferita la più semplice IUI. Inseminazione artificiale eterologa (AID) L’indicazione prevalente all’inseminazione eterologa (AID) è rappresentata dall’azoospermia. Inoltre, la presenza di malattie ereditarie nell’uomo con alto rischio di trasmissione alla prole, ove non sia possibile procedere ad una fecondazione “in vitro” con diagnosi genetica preimpianto (PGD, vedi oltre), spingono al ricorso all’AID. In alcuni paesi, inoltre, è possibile per donne single desiderose di prole ricorrere all’AID. La selezione dei donatori, soggetti solitamente giovani, normospermici, di buon livello culturale e che restano rigorosamente anonimi, è curata da Centri specializzati che attuano uno “screening” approfondito delle principali patologie organiche ed in particolare di quelle trasmissibili col seme (lue, epatite virale B e C, AIDS). Al fine di escludere il pericolo di contagio con l’HIV, il seme viene conservato in congelatore per sei mesi prima di essere utilizzato, in modo da poter ripetere i test sierologici e quindi essere certi della sieronegatività del donatore al momento della donazione. Il congelamento del seme in azoto liquido determina un lieve peggioramento dei parametri seminali (in special modo della motilità), ma consente il recupero di una percentuale sufficiente di spermatozoi vitali dopo lo scongelamento. I risultati dell’AID, se non sono presenti fattori di subfertilità anche nella donna, sono pari al 70% di gravidanze dopo 10 tentativi. La tecnica è solitamente quella dell’inseminazione intrauterina. Gli effetti collaterali dell’AID sono gli stessi dell’inseminazione omologa, sebbene si debba considerare il maggiore impatto psicologico di questa procedura sugli equilibri di coppia. Al fine di minimizzare il rischio che nel tempo possano verificarsi unioni tra consanguinei, ogni donatore viene scartato dopo che il suo seme ha ottenuto un massimo di 5 gravidanze portate a termine. 16.bis.2. Fecondazione in vitro con “Embryo Transfer” (FIV-ET) La nascita di un essere umano da fecondazione in vitro con trasferimento intrauterino di un embrione è stata ottenuta per la prima volta nel 1978 dal gruppo inglese di Steptoe e Edwards. Da allora l’esperienza mondiale in questo campo è enormemente cresciuta e attualmente si calcola che diverse centinaia di migliaia di persone siano nate grazie a questa tecnica. Indicazioni alla FIV-ET Procedura nata inizialmente come metodo per superare la sterilità tubarica, la FIV-ET è oggi ampiamente utilizzata per il trattamento di quasi tutte le cause di sterilità: Fattore tubarico: la FIV-ET è attualmente il trattamento di scelta per le pazienti con patologia tubarica (occlusione o danno grave). La microchirurgia ricostruttiva delle tube, che prevede interventi di diverse ore al microscopio operatore, rimane indicata solamente in casi selezionati (pazienti giovani con danno tubarico lieve, pazienti con preclusioni etico/morali alla FIV-ET). In tutti gli altri casi, i risultati ottenibili con la sola chirurgia sono generalmente inferiori a quelli della FIV-ET e con un rischio più elevato di gravidanza tubarica (5-20%). Cio’ dipende dal fatto che anche se chirurgicamente viene ricostituita la pervieta’ tubarica, il danno a livello del tessuto rimane, compromettendo la funzione tubarica. A questo proposito si segnala che recenti evidenze scientifiche indicano che la presenza di idrosalpinge bilaterale con danno tubarico grave potrebbe ridurre della metà la probabilità di successo della FIV-ET a causa del flusso di prodotti tossici dalla tuba malata all’utero per via linfatica. In questi casi si ritiene utile far precedere la FIV-ET da un intervento chirurgico preventivo di salpingectomia bilaterale. E’ questo l’unico esempio di associazione tra chirurgia tubarica (seppur demolitivi) e PMA. Endometriosi pelvica: in caso di endometriosi pelvica severa (III-IV stadio secondo la classificazione ASRM) vi è indicazione alla FIV-ET preceduta o meno dal trattamento chirurgico conservativo sulle ovaie e/o sulla pelvi. La chirurgia sembra migliorare le percentuali di gravidanza ottenibili con la FIV-ET nei casi sintomatici, mentre nei casi asintomatici non vi è vantaggio nella rimozione chirurgica preventiva degli endometriomi ovarici, che andrebbe pertanto evitata per procedere piu’ tempestivamente alla FIV-ET. Un pretrattamento prolungato con GnRH-analoghi, farmaci in grado di inibire il trofismo degli impianti endometriosici, sembrerebbe migliorare i risultati nelle pazienti con malattia avanzata. In caso di endometriosi pelvica moderata o lieve (I-II stadio secondo la classificazione ASRM) la FIV-ET rappresenta il trattamento adeguato per pazienti di età avanzata (oltre i 38 anni) o con altre cause concomitanti di sterilità, o ancora per i soggetti con pregressi tentativi falliti di tecniche di primo livello (IUI e simili). Fattore maschile: la FIV-ET è indicata in caso di oligoastenoteratozoospermia grave quando il numero di spermatozoi mobili normoconformati dopo capacitazione in vitro è insufficiente per effettuare procedure di IUI, ossia e’ inferiore ai 2 milioni di spermatozoi capacitati. In caso di fattore maschile lieve la FIV-ET trova indicazione dopo ripetuti fallimenti di cicli di IUI (4-6 tentativi)o in caso di concomitanti fattori di sterilità nella partner femminile. Sterilità inspiegata: sono candidate alla FIV-ET coppie senza evidenti cause di sterilità in cui i trattamenti di I livello, in particolar modo ripetuti cicli di induzione dell’ovulazione con IUI (4-6 tentativi), hanno fallito. Riserva ovarica ridotta: in caso di pazienti subfertili con età superiore ai 38 anni e/o indici di riserva ovarica ridotta (ad esempio FSH > 10 UI/L in fase follicolare precoce), la FIV-ET è indicata indipendentemente dalla causa di sterilità. Poiché è universalmente riconosciuto come l’età materna sia il fattore prognostico più importante sia per la fecondità spontanea, sia per le percentuali di successo dei trattamenti di PMA, le procedure di I livello in questo particolare gruppo di pazienti hanno una probabilità di successo inaccettabilmente bassa. Inoltre, nei casi di vero e proprio esaurimento ovarico precoce associato ad elevati livelli di FSH, viene generalmente effettuata ove legalmente consentita la FIV-ET con ovociti di donatrice (vedi oltre). Altre indicazioni: in caso di coppie, anche non sterili, in cui uno o entrambi i partners siano portatori di un difetto genetico con rischio di trasmissione alla prole, può essere indicata l’esecuzione di una FIV-ET al fine di effettuare una diagnosi genetica preimpianto sugli embrioni ed evitare così il rischio di una gravidanza con feto affetto da malattia. In altri casi pazienti con ovaie normali, ma utero gravemente alterato (ad es. per gravi malformazioni congenite o acquisite) o assente per isterectomia, cosi’ come pazienti con rischio ostetrico inaccettabile, potrebbero avere un figlio geneticamente proprio attraverso un trattamento di FIV-ET e trasferimento degli embrioni nell’utero di una madre surrogata. Questo trattamento, oltre alle complesse implicazioni pratiche e psicologiche, in molti Stati non è legalmente permesso. La FIV-ET viene attuata seguendo uno schema piuttosto rigido che comprende, in sequenza, i seguenti passaggi: 1) Induzione della superovulazione (COH; Controlled Ovarian Hyperstimulation) Il risultato di un trattamento FIV-ET è condizionato dal numero e dalla qualità degli ovociti sottoposti a fertilizzazione, per cui con la COH si cerca di ottenere un numero piuttosto elevato di ovociti (solitamente compreso tra 5 e 15, con frequenti eccezioni). A questo scopo vengono utilizzati diversi schemi di induzione dell’ovulazione, nei quali sono variamente combinati il Clomifene Citrato, le gonadotropine (FSH, LH, hCG), gli analoghi del GnRH. L’induzione dell’ovulazione dura in genere 10-15 giorni e viene monitorizzata mediante ecografie transvaginali e dosaggi sierici dell’estradiolo, eseguiti solitamente a giorni alterni a partire dalla 5^-7^ giornata di stimolazione. Lo schema terapeutico e la dose di gonadotropine vengono scelti in base alle caratteristiche della singola paziente: età, peso corporeo, morfologia dell’ovaio, risposta a precedenti stimolazioni ovariche e altri fattori condizionano la risposta alla terapia che idealmente dovrebbe minimizzare rischi, effetti collaterali e costi e massimizzare le probabilità di ottenere una gravidanza singola. Nonostante un’attenta individualizzazione della terapia, saltuariamente (circa nel 5-8% dei casi) è necessario sospendere il trattamento per iporisposta o iperrisposta dell’ovaio alla stimolazione, nel primo caso perche’ non si sviluppano follicoli in numero sufficiente, nel secondo caso per il rischio eccessivo di iperstimolazione ovarica (vedi oltre: “rischi materni e fetali della PMA”). 2) Prelievo ovocitario (OPU; Oocyte Pick-Up) Quando il diametro dei follicoli piu’ sviluppati raggiunge i 18-20 mm, si procede al recupero degli ovociti in essi contenuti, che avviene mediante puntura dei follicoli ed aspirazione del liquido follicolare nel quale sono contenuti, effettuata 36-38 ore dopo la somministrazione di una singola dose di hCG, sostanza ad effetto LH-simile in grado di indurre la maturazione finale degli ovociti. Originariamente l’OPU veniva effettuato per via laparoscopica, ma attualmente viene sempre utilizzata la via transvaginale sotto guida ecografia, generalmente associata ad anestesia locale con blocco paracervicale e leggera sedazione endovenosa, in una minoranza dei casi eseguita in anestesia generale. 3) Analisi morfologica della qualità ovocitaria e selezione degli ovociti maturi. Prima di procedere alla fecondazione in vitro degli ovociti, la valutazione della loro maturità e qualità avviene al microscopio ottico sulla base delle loro caratteristiche morfologiche. Solo ovociti di buona maturità (giunti alla metafase della II divisione meiotica, MII) possono dare origine ad embrioni vitali e con buone probabilità di impianto in utero. Le loro caratteristiche sono: - cumulo ooforo molto espanso, - ooplasma chiaro con granularità omogenea, - primo globulo polare già estruso e visibile nello spazio perivitellino, - assenza di vacuoli citoplasmatici Fino al 20-30% degli ovociti prelevati all’OPU possono essere immaturi, ossia allo stadio di metafase I (MI) o di vescicola germinale (GV). Gli ovociti MI, di maturità intermedia, si trovano nella metafase della I divisione meiotica, sono circondati da un cumulo ooforo denso, non mostrano il globulo polare, né un nucleo visibile all’interno del citoplasma. Gli ovociti GV, ancora piu’ immaturi, si trovano nella profase della I divisione meiotica, hanno una corona radiata molto compatta e composta da poche cellule, il nucleo o vescicola germinale è ben visibile all’interno del citoplasma. Alcuni tra gli ovociti immaturi, se lasciati in coltura, procedono spontaneamente fino allo stadio MII e possono essere sottoposti anch’essi a fecondazione in vitro, ma gli embrioni che ne derivano sono frequentemente di cattiva qualità e con ridotte possibilità di impianto. Esistono strumenti sofisticati che permettono di acquisire ulteriori informazioni sulla qualità ovocitaria, quali ad esempio il microscopio a luce polarizzata o poloscopio che permette di visualizzare il fuso meiotico dell’ovocita e di valutarne aspetto e posizione rispetto al globulo polare: ciò risulta molto utile nel caso in cui si debbano effettuare tecniche di micromanipolazione dell’ovocita quali la microiniezione dello spermatozoo (ICSI), che potrà essere eseguita in modo più mirato. Un’altra procedura complessa, l’analisi citogenetica del globulo polare, consiste nella biopsia ed analisi del globulo polare prima della fecondazione in vitro e può fornire informazioni sull’assetto cromosomico di ogni singolo ovocita. Tutte le informazioni acquisite sono importanti per predire la probabilità di fertilizzazione e il successivo sviluppo post-fertilizzazione dell’ovocita, e risultano particolarmente utili quando il numero di ovociti a disposizione è limitato. Al momento in cui questo libro viene scritto e’ in vigore in Italia una Legge che prevede non si possano ottenere piu’ di tre ovociti fertilizzati per ogni tentativo FIV-ET, ed obbliga di fatto ad operare una selezione molto accurata sugli ovociti e ad utilizzarne solo tre per la fertilizzazione. 4) Preparazione del liquido seminale. Il seme del partner viene trattato “in vitro” con tecniche volte allo scopo di selezionare gli spermatozoi mobili e morfologicamente normali separandoli dal plasma seminale. La concentrazione di nemaspermi mobili viene aggiustata attorno a valori di 50.000-100.000 spermatozoi per ovocita, giudicati ottimali per ottenere la fecondazione dopo inseminazione “in vitro”. 5) Fecondazione “in vitro” e selezione degli embrioni. Gli ovociti maturi vengono preincubati per 5-6 ore prima di essere inseminati. Successivamente, al medium di coltura contenente gli ovociti vengono aggiunti gli spermatozoi capacitati durante la preparazione, i quali liberano gli enzimi dell’acrosoma (reazione acrosomale), penetrano la zona pellucida e fecondano gli ovociti. Come conseguenza della penetrazione dello spermatozoo, l’ovocita completa la metafase II e va incontro alla reazione corticale, che impedisce la penetrazione di altri spermatozoi. La probabilita’ di ciascun ovocita di venire fecondato cambia da caso a caso, ma e’ mediamente intorno al 60% nella FIV-ET. Dopo 12-18 ore dall’inseminazione “in vitro” si procede ad eliminare meccanicamente le cellule della corona radiata che ancora circondano l’ovocita (decoronizzazione). L’ovocita normalmente fertilizzato, che in questo stadio viene detto zigote, mostra i due pronuclei, quello femminile e quello maschile, ancora distinti. Il pronucleo maschile origina dalla decondensazione del nucleo dello spermatozoo, quello femminile dalla convergenza verso il centro della cellula dei cromosomi dell’ovocita. Doipo circa 20-22 ore dall’inseminazione i due pronuclei si avvicinano e si fondono, provocando il rimescolamento dei cromosomi paterni e materni, l’accoppiamento dei cromosomi omologhi e l’avvio ai fenomeni di divisione cellulare (clivaggio), che portano l’uovo fecondato a svilupparsi in embrione. Dopo circa 30 ore di incubazione, cioè 48 ore dopo il prelievo ovocitario, si ottengono embrioni di 4-5 cellule pronti per il trasferimento in utero. E’ anche possibile mantenere in coltura gli embrioni fino a 72 ore dal prelievo ovocitario e procedere piu’ tardivamente al trasferimento in utero: in questo caso gli embrioni si sviluppano normalmente fino allo stadio di 8-9 cellule. I risultati del transfer a 48 o 72 ore sono sovrapponibili e la scelta è a discrezione del singolo laboratorio. La qualità degli embrioni è valutata generalmente dal punto di vista morfologico, stimando dimensioni e regolarità delle cellule (blastomeri) che compongono l’embrione stesso e l’assenza di frammentazione citoplasmatica nei blastomeri. Viene osservato anche il ritmo di moltiplicazione cellulare e la presenza di un nucleo visibile in ogni blastomero e sono scartati gli embrioni a crescita lenta o troppo rapida, che sono generalmente portatori di anomalie strutturali e/o cromosomiche. Basandosi su questi parametri morfologici, l’embriologo attribuisce ad ogni embrione un punteggio, detto “score”, che ha un buon grado di correlazione con la sua probabilità di impianto e sulla base del quale vengono scelti gli embrioni per il transfer. Al momento della stesura di questo capitolo la Legge italiana vieta di operare la selezione degli embrioni su base morfologica o genetica contrariamente a quanto effettuato in tutto il mondo sulla base dell’esperienza clinica, biologica e della “good medical practice”. 6) Coltura embrionaria prolungata (blastocyst culture) Allo scopo di coltivare “in vitro” gli embrioni umani per un tempo più prolungato, si sono messi a punto terreni di coltura “sequenziali”, in grado di soddisfare le esigenze metaboliche degli embrioni per 5-6 giorni. Queste condizioni di coltura permettono di selezionare in vitro embrioni che si sviluppano fino allo stadio di blastocisti, i quali sembrano avere maggiori probabilità di impianto uterino rispetto agli embrioni di 48 o 72 ore. La maggiore possibilita’ di selezionare gli embrioni piu’ vitali prolungando la coltura in vitro e’ tuttavia bilanciata dal fatto che solamente il 50% circa degli ovociti fertilizzati è in grado di svilupparsi fino a blastocisti, anche in medi sequenziali. I vantaggi della coltura embrionaria prolungata sono: - selezionare meglio gli embrioni migliori potendo quindi ridurre il numero di embrioni trasferiti in utero grazie alle alte probabilità di impianto per singolo embrione. In ultima analisi cio’ permette di ridurre il rischio di gemellarita’; - identificare ed escludere embrioni con potenzialità di sviluppo limitate (spesso portatori di anomalie strutturali e/o genetiche). E’ necessario però precisare che la coltura prolungata non migliora di per sé la qualità embrionaria, ma agisce come meccanismo di selezione e trova quindi limitata applicazione in cicli con embrioni di scarsa qualità o laddove la selezione degli embrioni non e’ permessa. Nei casi con pochi embrioni di qualita’ mediocre è alto il rischio che nessun embrione arrivi a diventare una blastocisti e che non si possa quindi neppure effettuare il transfer in utero. La coltura prolungata in vitro ed il trasferimento in utero allo stadio di blastocisti e’ vantaggiosa nei casi a buona prognosi, specialmente se si valuta la diminuzione del rischio che si verifichi una gravidanza gemellare o trigemellare. 7) Trasferimento in utero degli embrioni (embryo transfer). Questa procedura viene attuata introducendo nella cavità uterina per via transcervicale appositi cateteri da transfer ad apertura terminale o laterale. La tecnica del transfer, benché semplice e generalmente di facile esecuzione, è un passaggio fondamentale per il successo dei trattamenti di fecondazione in vitro. Il transfer dovrebbe essere effettuato in modo atraumatico, senza provocare sanguinamenti o contrazioni uterine e i migliori risultati si ottengono con l’utilizzo di cateteri “morbidi”, impiegati da alcuni sotto guida ecografica. Il numero di embrioni trasferiti varia in genere da 1 a 3, a seconda del numero di embrioni disponibili, dell’età della paziente e di altri fattori (fra cui anche il tipo di normativa in vigore in ogni singolo paese). La scelta del numero di embrioni da trasferire in utero dovrebbe comunque sempre rappresentare un compromesso tra le necessità, altrettanto impellenti, di avere buone “chances” di gravidanza e di evitare gravidanze plurigemellari ad alto rischio. Deve comunque essere chiaro che ad oggi non si ritiene giustificato trasferire in utero piu’ di tre embrioni. Numerosi studi hanno dimostrato che, integrando lo score di ogni singolo embrione selezionato per il transfer con altri parametri quali l’età della paziente, l’andamento di precedenti tentativi FIV-ET, la risposta alla stimolazione ovarica, ecc., è possibile calcolare la probabilità di gravidanza e il rischio di gemellarità. Questo tipo di calcolo è molto importante al fine di ridurre al minimo l’incidenza di gravidanze gemellari e trigemellari mantenendo inalterate le percentuali di successo del trattamento. Inoltre, risulta utilissimo per selezionare i casi candidati al trasferimento elettivo di un singolo embrione, procedura consigliata da molte società scientifiche e in alcuni paesi obbligatoria per le donne giovani al primo tentativo. La possibilita’ degli embrioni trasferiti in utero di impiantarsi nell’endometrio dando il via alla gravidanza rappresenta il fattore limitante in tutta la procedura FIV-ET: l’80% delle pazienti giunge al transfer, ma solo il 35% di esse ottiene la gravidanza. Le probabilità di impianto per singolo embrione nella fecondazione naturale sono stimate attorno al 25%: lo stesso risultato e’ ottenuto nel caso di una FIV-ET solo se si effettua un’accurata selezione embrionaria come nel caso del trasferimento elettivo di un singolo embrione. D’altra parte anche in natura la maggior parte dei concepimenti origina un embrione anomalo dal punto di vista genetico e/o strutturale, che non e’ quindi in grado di impiantarsi nell’endometrio. La percentuale di aborti spontanei nelle gravidanze FIV-ET è generalmente stimabile attorno al 15-25%, di poco superiore a quella che si osserva nei concepimenti naturali. Complessivamente, quindi, si ottiene un parto con neonato/i vitale (“bambini in braccio”) nel 2530% dei tentativi FIV-ET giunti sino al transfer ed in circa il 20% dei tentativi iniziati (tenendo conto del fatto che alcuni tentativi si interrompono per mancata risposta ovarica alla stimolazione, mancata fertilizzazione o arresto dello sviluppo embrionario, ecc.). L’età della donna influenza grandemente i risultati: per pazienti di età superiore ai 40 anni il tasso di concepimento per transfer è del 10% e la probabilità di aborto spontaneo si avvicina al 50%. Poiche’ il transfer di due-tre embrioni in utero e’ assai comune nella FIV-ET, la percentuale di gravidanze gemellari e trigemellari è decisamente aumentata rispetto ai concepimenti naturali (vedi in seguito, tra le complicanze della PMA). 16.bis.3. Gamete intra-fallopian transfer (GIFT) La tecnica della GIFT, proposta nel 1984 dal gruppo statunitense di Asch, e le altre tecniche laparoscopiche di trasferimento tubarico di zigoti (ZIFT; zigote intrafallopian transfer) ed embrioni (TET; tubal embryo transfer) trovano oggi applicazione solo in casi selezionati, date la maggior invasività e i maggiori costi a fronte di una probabilità di gravidanza comparabile o addirittura lievemente inferiore rispetto alla FIV-ET. Fra le indicazioni ricordiamo i rarissimi casi di pazienti in cui il transfer intrauterino risulti tecnicamente impossibile o (per la GIFT) i casi di coppie con preclusioni etiche, morali o religiose alle procedure di fertilizzazione extracorporea in vitro. Le procedure di trasferimento intratubarico richiedono che almeno una delle due salpingi sia pervia e funzionale, pertanto non rappresentano un’alternativa alla FIV-ET in caso di danno tubarico bilaterale. Le tappe della tecnica GIFT sono inizialmente le stesse descritte per la FIV-ET: - induzione della crescita follicolare multipla (con gli stessi protocolli della FIV-ET), - pick-up degli ovociti, - valutazione della maturità ovocitaria, - preparazione del liquido seminale. La differenza rispetto alla FIV-ET consiste nel fatto che gli ovociti maturi ed il campione seminale preparato in vitro vengono caricati sullo stesso catetere (2-4 ovociti e circa 200.000 spermatozoi), il cui contenuto viene poi immediatamente riversato a livello del tratto ampollare della salpinge per via laparoscopica. Nel caso della ZIFT e della TET, la fertilizzazione avviene in vitro con le stesse procedure della FIV-ET e successivamente si procede al transfer intratubarico dello zigote o dell’embrione, come nella GIFT, per via laparoscopica. Se entrambe le salpingi appaiono in buono stato il transfer viene effettuato bilateralmente; in caso contrario solo nella tuba apparentemente più funzionale. Le complicanze della GIFT sono per la maggior parte simili a quelle della FIV-ET, sia per quanto riguarda l’induzione della superovulazione, sia per il pick-up degli ovociti. A queste vanno aggiunte quelle determinate dall’intervento laparoscopico di transfer: si tenga conto che proprio per evitare la laparoscopia sono state proposte tecniche di transfer tubarico dei gameti per via transvaginale ecoguidata o isteroscopica. I risultati di queste varianti della GIFT sono tuttavia poco confortanti. Le percentuali complessive di gravidanza/transfer ottenute con la GIFT variano dal 20 al 30% a seconda dell’indicazione. La probabilita’ di gravidanza aumenta trasferendo un numero maggiore di ovociti; tuttavia anche la percentuale di gravidanze multiple cresce in parallelo. L’incidenza di aborti spontanei in gravidanze GIFT è lievemente inferiore rispetto alla FIV-ET, quella di gravidanza tubarica si attesta attorno al 4% di tutte le gravidanze ottenute con questa tecnica. 16.bis.4 Intra Cytoplasmic Sperm Injection (ICSI) La tecnica di microiniezione dello spermatozoo nell’ovocita, messa a punto nel 1992 dall’italiano Giampiero Palermo, ha ben presto rivoluzionato la storia della fecondazione assistita permettendo di risolvere casi di fattore maschile gravissimo non trattabili con la FIV-ET classica a causa dell’incapacita’ degli spermatozoi di penetrare nell’ovocita. Indicazioni alla ICSI Procedura nata inizialmente come metodo per superare la sterilità maschile, la ICSI è oggi utilizzata anche con altre indicazioni e attualmente i trattamenti ICSI rappresentano il 50-60% di tutti i trattamenti di fecondazione in vitro: Fattore maschile gravissimo: la ICSI e’ indicata nei casi di patologia seminale molto severa con concentrazione di spermatozoi inferiore a 2 milioni/ml, motilità progressiva inferiore al 5% e percentuale di forme morfologicamente normali inferiore al 4%, oppure quando dopo preparazione seminale si ottengano meno di 1.5 milioni di spermatozoi mobili capacitati da tutto l’eiaculato. Azoospermia qualora sia possibile il recupero chirurgico degli spermatozoi. Nei casi in cui lo sperma non contiene spermatozoi, la ICSI può essere effettuata con spermatozoi estratti dall’epididimo mediante biopsia (MESA, Microsurgical Epididymal Sperm Aspiration) o agoaspirazione (PESA, Percutaneous Epididymal Sperm Aspiration), oppure con spermatozoi ottenuti direttamente dal testicolo mediante biopsia a cielo aperto (TESE, Testicular Sperm Extraction) o aspirazione percutanea (TESA, Testicular Sperm Aspiration). Queste tecniche sono indicate in caso di azoospermia ostruttiva in alternativa agli interventi microchirurgici di ricanalizzazione. È interessante segnalare che sorprendentemente anche nel 60% circa delle azoospermie secretive da danno testicolare si possono ritrovare isole di spermatogenesi focale e spermatozoi nella biopsia testicolare ed effettuare una ICSI con buone possibilità di gravidanza. Mancata fertilizzazione in precedenti cicli di FIV-ET: in alcuni cicli FIV-ET, nonostante un campione seminale apparentemente normale o solo lievemente patologico, si assiste a mancata fertilizzazione di tutti gli ovociti. Le cause della mancata fertilizzazione sono da attribuire ad alterazioni imprevedibili dei meccanismi di interazione fra ovocita e spermatozoo, che si osservano più frequentemente nei casi di sterilità inspiegata o da fattore immunitario e che vengono superati con l’esecuzione di una ICSI in un successivo ciclo. Impiego di ovociti crioconservati. In alcune realta’, come quella italiana attuale, in cui non e’ consentito l’impiego di tutti gli ovociti maturi per la fertilizzazione a fresco, sono stati approntati metodi di crioconservazione degli ovociti allo scopo di permetterne un loro utilizzo successivo. I processi di congelamento e scongelamento provocano, per rilascio del contenuto dei granuli corticali, un irrigidimento della zona pellucida dell’ovocita. Di conseguenza i tentativi di fertilizzazione con FIV-ET hanno probabilità di successo molto basse, mentre con una ICSI si raggiungono percentuali di fertilizzazione paragonabili a quelle osservate con ovociti freschi. Per effettuare una procedura ICSI il gamete femminile viene pre-trattato con ialuronidasi in modo da disperdere le cellule del cumulo ooforo ed esporre (“denudare”) la zona pellucida: così facendo è possibile osservare perfettamente al microscopio la maturità ovocitaria e selezionare per la procedura di microiniezione solamente gli ovociti in metafase II, ossia quelli con globulo polare evidente. Successivamente sotto controllo visivo al microscopio invertito si afferra l’ovocita con un’apposita micropipetta (“holding pipette”) e si punge la zona pellucida e l’oolemma mediante una pipetta appuntita che veicola lo spermatozoo. Rilasciato lo spermatozoo all’interno dell’ooplasma, si libera l’oocita fertilizzato nel mezzo di coltura, ove prosegue lo sviluppo embrionario. A dispetto della gravità della patologia seminale di partenza, la ICSI è in grado di ottenere la fertilizzazione di circa il 70-80% degli ovociti ed una percentuale di gravidanze per tentativo ultimato sovrapponibile a quella della FIV-ET (30-35%). E’ importante sottolineare che la ICSI consente la riproduzione a uomini che hanno una probabilita’ ridottissima di ottenere la gravidanza con mezzi naturali. Una valutazione genetica, attuata attraverso l’analisi del cariotipo e la ricerca delle microdelezioni del cromosoma Y, è indicata per tutti gli uomini con anomalie severe del liquido seminale prima di effettuare una ICSI. Infatti in presenza di alterazioni cromosomiche (es. traslocazioni bilanciate) il rischio di generare in vitro embrioni geneticamente anormali e’ aumentato (seppur non in modo drammatico), mentre se sono presenti microdelezioni Y esse verranno trasmesse a tutti i figli maschi, che ereditano quel cromosoma dal padre. 16.bis.5. Crioconservazione degli embrioni e dei gameti Grazie a tecniche di congelamento sempre più sofisticate è oggi possibile sottoporre a crioconservazione i gameti, sia maschili che femminili, e gli embrioni a diverso grado di sviluppo. La possibilità di crioconservare, anche per lungo tempo, gameti ed embrioni permette da una parte di aumentare l’efficienza dei trattamenti (se fallisce la parte effettuata con materiale fresco si ha una seconda possibilita’ col materiale crioconservato), dall’altra consente di preservare il potenziale riproduttivo in pazienti ad alto rischio di perdere la fertilità. 1) Crioconservazione degli embrioni Questa procedura viene applicata quando, a seguito di un trattamento FIV-ET o ICSI, vengano prodotti in vitro più embrioni di quelli strettamente necessari per il trasferimento in utero: mediante la selezione di 1-3 embrioni di buona qualità per il transfer e la crioconservazione degli altri per alcune settimane si riduce il rischio di gravidanze multiple, massimizzando le probabilità cumulative di gravidanza per ogni singolo tentativo grazie al transfer successivo degli embrioni crioconservati. La crioconservazione degli embrioni è inoltre applicata nei casi di pazienti a rischio di iperstimolazione ovarica severa (vedi dopo), nelle quali è prudente posporre il transfer embrionario, essendo la sindrome aggravata dall’hCG endogena prodotta in caso di concepimento. Il procedimento di crioconservazione può essere applicato ad ogni stadio di sviluppo embrionario, dallo zigote fino alla blastocisti, e prevede l’utilizzo di sostanze crioprotettrici e di speciali congelatori a temperatura controllata che permettono di ridurre la temperatura gradualmente minimizzando i danni cellulari da freddo. Gli embrioni, in apposite provette, vengono quindi mantenuti alla temperatura di -196 °C in bidoni contenenti azoto liquido fino al momento dello scongelamento che può avvenire anche dopo lungo tempo (ad esempio in caso la paziente concepisca “a fresco” e si ripresenti per il transfer degli embrioni scongelati soltanto dopo anni). Dopo scongelamento gli embrioni vengono mantenuti in coltura per qualche ora al fine di osservarne la vitalità e il grado di conservazione: gli embrioni che conservano tutti i blastomeri e che riprendono la divisione cellulare sono quelli con le più alte probabilità di impianto. Il transfer degli embrioni scongelati può avvenire in un ciclo spontaneo o dopo preparazione endometriale con estrogeni e progesterone eventualmente preceduta da soppressione con GnRH-analoghi; in ogni caso è essenziale che la maturità endometriale sia sincronizzata con il grado di sviluppo embrionario. Generalmente le percentuali di successo dei transfer con embrioni congelati sono circa la metà (15-20%) rispetto ai transfer con embrioni freschi, in parte anche perché gli embrioni di qualità migliore vengono solitamente selezionati per il transfer a fresco. 2) Crioconservazione degli ovociti Dalla fine degli anni ottanta sono stati riportati sporadici casi di gravidanze ottenute da ovociti crioconservati e fertilizzati con tecnica FIV-ET, ma solo l’associazione con la tecnica ICSI, dal 1997, ha permesso di aumentare le percentuali di fertilizzazione e di ottenere ad oggi circa un centinaio di gravidanze da ovocita crioconservato. La procedura, che rimane attualmente sperimentale, ha aperto nuove prospettive nei trattamenti di PMA come alternativa al congelamento embrionario qualora esistano impedimenti etico-morali o legali oppure nei casi di pazienti oncologiche a rischio di esaurimento ovarico precoce come tentativo per preservare la fertilità. L’ovocita non fertilizzato in metafase II è una cellula estremamente fragile a causa del suo basso rapporto superficie/volume e del suo alto contenuto di acqua che aumenta il rischio di formazione di cristalli di ghiaccio intracellulare; inoltre il fuso meiotico, su cui sono allineati i cromosomi, è una struttura altamente sensibile alle variazioni di temperatura, così come la zona pellucida che va incontro ad un netto fenomeno di irrigidimento. Vari protocolli di crioconservazione sono stati sperimentati e i risultati migliori in termini di sopravvivenza allo scongelamento, fertilizzazione e gravidanza sono stati ottenuti con il congelamento lento e l’utilizzo di propandiolo e saccarosio come crioprotettori. Tuttavia alcune gravidanze sono state riportate con tecniche alternative, come la vitrificazione (congelamento ultrarapido con elevate concentrazioni di crioprotettori). Il giorno dello scongelamento gli ovociti vitali vengono sottoposti a ICSI e gli embrioni ottenuti vengono trasferiti in utero in seconda o terza giornata, in un ciclo spontaneo o con preparazione endometriale analoga a quella dei cicli con embrioni congelati. I dati attualmente a disposizione sulla sicurezza del metodo e su possibili alterazioni del fuso meiotico e conseguenti aneuploidie negli embrioni ottenuti sono attualmente rassicuranti, ma necessitano di ulteriore approfondimento. Complessivamente i risultati non superano il 10-15% di gravidanze per embryo-transfer, quindi la procedura di crioconservazione degli ovociti per il momento non può essere considerata come un’alternativa alla crioconservazione embrionaria di pari efficacia . 3) Crioconservazione degli spermatozoi e del tessuto testicolare La crioconservazione del liquido seminale viene utilizzata nei casi in cui vi e’ un rischio elevato di non recuperare spermatozoi vitali al momento dei trattamenti di PMA a causa della presenza di : - un deficit gravissimo e/o determinatosi in maniera progressivamente crescente del liquido seminale; - pazienti con difficoltà di eiaculazione su base psicogena o organica; - pazienti oncologici a rischio di sterilità da chemio/radioterapia. La crioconservazione del tessuto testicolare viene utilizzata invece nei casi di: - pazienti azoospermici sottoposti a biopsia testicolare o dell’epididimo. La procedura prevede la conservazione del liquido seminale o della biopsia testicolare in un terreno contenente “egg yolk” (sostanza proteica derivata dal tuorlo dell’uovo) e glicerolo come crioprotettori e il successivo congelamento rapido in azoto liquido. Gli spermatozoi, dato il loro piccolo volume e il basso contenuto di acqua, sono cellule molto resistenti al congelamento: più della metà degli spermatozoi congelati recuperano la motilità dopo scongelamento e possono essere utilizzati per procedure di PMA, generalmente, ma non obbligatoriamente, per effettuare una ICSI. Non risulta che l’impiego di spermatozoi crioconservati possa aumentare il rischio fertilizzazioni anomale, aneuploidie o malformazioni fetali, per cui questa procedura viene utilizzata con successo in molti laboratori. Nel caso si proceda a biopsia testicolare, essa puo’ venire crioconservata in toto con lo scopo di recuperare gli spermatozoi dopo lo scongelamento, oppure trattata subito con estrazione degli spermatozoi e loro successiva crioconservazione. 16.bis.6. Criopreservazione della fertilità La possibilità di sottoporre a congelamento embrioni, gameti e tessuti gonadici ha recentemente aperto incoraggianti prospettive per molti pazienti di entrambi i sessi che, per cause diverse, sono a rischio di perdere il loro potenziale riproduttivo. I piu’ ovvii candidati a tali procedure sono i pazienti oncologici di entrambi i sessi, che a fronte di una crescente probabilita’ di sopravvivenza offerta dalla terapie piu’ avanzate, spesso rimangono ipofertili o sterili a causa delle cure oncostatiche. Pazienti sottoposti a che mio/radioterapia possono recuperare una buona fertilita’ a distanza di mesi o anni, tuttavia vi sono alcuni trattamenti (ad esempio l’irradiazione “total body” in eta’ pediatrica) che comportano la perdita totale del patrimonio di gameti. Poiche’ il mantenimento di una speranza procreativa fa parte dei fattori determinanti una migliore qualita’ della vita, si sono fatte strada le tecnologie per la preservazione della fertilita’ mediante crioconservazione. 1) Criopreservazione della fertilità femminile E’ indicata in pazienti in età fertile o prepuberi in caso di: - malattie oncologiche che richiedano trattamenti chemio/radioterapici o trapianto di midollo: carcinoma della mammella, linfomi, leucemie, sarcomi, neurobalstomi, etc.; - malattie benigne destruenti l’ovaio: endometriosi ovarica recidivante, tumori ovarici benigni bilaterali ed estesi; - malattie su base autoimmune che richiedano trattamenti chemioterapici citotossici: lupus eritematoso sistemico, sclerosi multipla, etc.; Nel caso di pazienti in età fertile quando vi sia il tempo di effettuare una COH prima dei trattamenti oncostatici, è possibile crioconservare: - embrioni: qualora la paziente abbia un partner e nel caso in cui ciò sia accettato eticamente e legalmente, questa opzione offre buone chances di gravidanza; esiste però il problema del destino degli embrioni in caso di non sopravvivenza alla malattia; - ovociti: si può effettuare anche nel caso in cui la paziente non abbia un partner. Le probabilità di gravidanza dopo scongelamento sono limitate dal numero di ovociti che vengono congelati e dagli attuali limiti delle tecniche di crioconservazione ovocitaria già descritti. Nel caso di pazienti prepuberi o quando non vi sia il tempo di effettuare una COH (o essa sia controindicata, come nel caso ti tumori maligni estrogeno-sensibili) è possibile crioconservare: - tessuto ovarico: questa procedura, ancora in fase sperimentale, ha recentemente dato risultati incoraggianti con ripristino della fertilità nel modello animale e nell'uomo. La tecnica prevede il prelievo bioptico di corticale ovarica, generalmente per via laparoscopica, e il successivo congelamento in azoto liquido dei frammenti di tessuto. I vantaggi di questa procedura sono la rapidità e la possibilità di crioconservare migliaia di gameti in un solo intervento. Dopo lo scongelamento dei frammenti ovarici sono state sperimentate varie strategie al fine di ottenere ovociti maturi adatti alla fertilizzazione: ad oggi le poche gravidanze ottenute sono avvenute con concepimento spontaneo dopo trapianto autologo in sede ovarica del tessuto scongelato, ma anche il trapianto autologo in sede eterotopica nell’avambraccio ha permesso di ripristinare la funzionalità endocrina e di ottenere mediante puntura transcutanea ovociti maturi che, fecondati in vitro, hanno dato origine ad embrioni. Altre strade quali lo xenotrapianto in topi “nudi”, la maturazione follicolare in vitro e tecniche di manipolazione e ricostruzione ovocitaria (a partire da nuclei corioconservati e citoplasmi freschi di donatrice) sembrano attualmente soluzioni ipotetiche, benché promettenti. 2) Criopreservazione della fertilità maschile Nel caso di pazienti oncologici adulti è possibile effettuare la: - crioconservazione del liquido seminale: questa è una opportunità che dovrebbe essere disponibile di routine poiché si tratta di una procedura semplice e attuabile in tempi rapidi, prima che il paziente venga sottoposto a qualsiasi tipo di terapia citotossica oncosoppressiva. Uno o due campioni di liquido seminale vengono congelati secondo la metodica precedentemente descritta e conservati in azoto liquido fino al momento dell’eventuale utilizzo. Nel caso di pazienti oncologici prepuberi, nei quali non è possibile crioconservare il liquido seminale, è possibile effettuare la: - crioconservazione di biopsie testicolari: tecnicamente la procedura è la stessa utilizzata per la crioconservazione del tessuto testicolare adulto, ma è ancora in fase sperimentale la possibilità di ottenere, dopo scongelamento, spermatozoi maturi utili per procedure di fecondazione in vitro, data l’immaturità del tessuto e degli spermatozoi crioconservati. Attualmente sono allo studio tecniche di maturazione in vitro e dei gameti maschili e tecniche chirurgiche di trapianto autologo del tessuto dopo scongelamento. 16.bis.7. Coltura in vitro dei gameti 1) Coltura in vitro dei gameti femminili La superovulazione indotta con gonadotropine è un prerequisito fondamentale dei trattamenti fecondazione in vitro e nella maggioranza dei casi la “superovulazione” è ben tollerata dalle pazienti. Occasionalmente, in particolare in soggetti con ovaio policistico (PCOS), esiste un rischio notevole (attorno al 6-8%) che si sviluppi la cosiddetta sindrome da iperstimolazione ovarica severa (OHSS), piu’ avanti decsritta. Allo scopo di abolire il rischio di OHSS in pazienti selezionate, alcuni gruppi di studio hanno sperimentato uno schema terapeutico che prevede il prelievo ovocitario nelle primissime fasi della stimolazione ovarica o addirittura in assenza di stimolazione: gli ovociti così prelevati risultano parzialmente immaturi ed inadatti ad una immediata fertilizzazione e necessitano di un periodo di incubazione in vitro per completare la maturazione. Diversi sono i terreni di coltura utilizzati per la maturazione in vitro degli ovociti umani (IVM); si tratta di medi contenenti principalmente aminoacidi, vitamine ed ormoni quali gonadotropine ed estrogeni; i risultati ottenuti sono incoraggianti e numerose gravidanze sono state portate a termine con successo. Ancora a livello completamente sperimentale rimane invece la possibilità di completare in vitro tutto il processo di follicologenesi e crescita follicolare nella specie umana, partendo da follicoli primordiali estratti da frammenti di tessuto ovarico. Questa procedura, abbinata al congelamento preventivo di biopsie di tessuto ovario, e’ una delle opzioni per preservare il potenziale riproduttivo di molte pazienti oncologiche, anche prepuberi, senza dover ricorrere all’autotrapianto, nel corso del quale si rischia di ritrapiantare anche cellule tumorali se la malattia di partenza e’ associata a localizzazioni ovariche (es. una leucemia). Diverse tappe della maturazione in vitro dei follicoli umani sono state completate e la nascita di animali concepiti utilizzando ovociti tratti da follicoli completamente maturati in vitro e’ stata ottenuta nel modello murino; tuttavia molti fra i fattori che regolano la follicologenesi umana sono ad oggi ancora sconosciuti e in fase di studio, essendo il procedimento lungo e complesso, ed un impiego clinico di queste biotecnologie e’ ipotizzabile solo in un futuro che non sembra ancora prossimo. 2) Coltura in vitro dei gameti maschili Come precedentemente descritto, in alcuni pazienti affetti da azoospermia secretiva legata ad un deficit della spermatogenesi con arresto maturativo, i gameti estratti dal testicolo risultano per lo più immaturi e inutilizzabili per la fecondazione. La microiniezione di ovociti con precursori immaturi degli spermatozoi, gli spermatidi (ELSI, elongated spermatid injection; ROSI, round spermatid injection) è stata ampiamente sperimentata, ma nonostante si siano ottenute sporadiche gravidanze, le percentuali di fertilizzazione ovocitaria e i risultati clinici in termini di gravidanza rimangono poco incoraggianti, mentre i dubbi legati ad un possibile effetto dell’immaturità cellulare dei gameti maschili sulla qualità dei feti così ottenuti permangono inquietanti. In questi casi è stata quindi sperimentata la possibilità di sottoporre gli spermatidi a maturazione in vitro, mantenendoli in coltura in terreno supplementato con ormoni quali FSH e testosterone ed impiegando nella ICSI spermatozoi ottenuti da questi processi di maturazione controllata: i primi risultati sembrano incoraggianti, specialmente quelli ottenuti nei casi con spermatidi rotondi, i più immaturi. Questi risultati hanno aperto nuove prospettive anche per quei casi in cui si renda necessario preservare il potenziale riproduttivo di pazienti prepuberi che debbano essere sottoposti a chemio/radioterpia in età pediatrica per la cura di malattie oncologiche: in questi casi i precursori immaturi dei gameti maschili ottenibili dal testicolo potrebbero essere sottoposti a crioconservazione e successiva maturazione in vitro prima del loro impiego clinico. 16.bis.8. Diagnosi genetica preimpianto (PGD; Preimplantation Genetic Diagnosis) La biopsia di embrioni ottenuti in vitro, effettuabile mediante micromanipolazione con asportazione ed analisi di uno o due blastomeri prima del trasferimento in utero, consente di individuare gli embrioni portatori di anomalie cromosomiche o difetti genici. Grazie a questa procedura le coppie portatrici di alcune malattie ereditarie hanno oggi la possibilità di ottenere un figlio sano senza dover ricorrere alla diagnosi prenatale invasiva in corso di gravidanza (villocentesi, amniocentesi) ed alla eventuale interruzione di gravidanza in caso di feto gravemente malato. La PGD è attualmente indicata in caso di: – aberrazioni cromosomiche in uno o entrambi i membri della coppia: anomalie numeriche (monosomie, trisomie, ecc.) o strutturali (traslocazioni bilanciate, inversioni, ecc.) – difetti genetici ereditari: fibrosi cistica, talassemia, emofilia, distrofia muscolare di Duchenne, etc. La procedura di PGD viene generalmente effettuata su embrioni allo stadio di 7-8 cellule, eccezionalmente su embrioni allo stadio di blastocisti: la zona pellucida viene aperta meccanicamente, con un laser dedicato o mediante una sostanza acida e uno o due blastomeri vengono delicatamente asportati con un’apposita micropipetta. Le cellule asportate vengono immediatamente analizzate con tecniche diverse a seconda del difetto ricercato: in caso di anomalie cromosomiche viene utilizzata la tecnica di ibridizzazione in situ a fluorescenza (FISH) che permette di evidenziare i cromosomi sessuali e gli autosomi più frequentemente coinvolti nelle aneuploidie e nelle traslocazioni, in caso di difetti genici isolati si utilizza la reazione di polimerizzazione a catena (PCR) che amplifica il segnale genico e permette di individuare attualmente più di 50 mutazioni autosomiche recessive o dominanti. Al momento attuale in Italia la PGD e’ vietata, prevalendo il concetto gia’ piu’ volte accennato della illiceita’ della selezione degli embrioni su base genetica. Cio’ impone a tutte le coppie con fattori di rischio genetico desiderose di prole di recarsi all’estero per effettuare i trattamenti di PMA. 16.bis.9. Rischi materni e fetali della PMA I rischi dei trattamenti di PMA possono rappresentare una conseguenza diretta delle terapie farmacologiche e della procedura chirurgica di prelievo ovocitario, oppure possono essere legati all’insorgenza di gravidanze muliple o ectopiche. 1) Sindrome da iperstimolazione ovarica (OHSS; Ovarian Hyperstimulation Syndrome) Questa complicazione riguarda circa il 2% delle pazienti che si sottopongono ai trattamenti di PMA che prevedono l’induzione di una superovulazione (COH) ed è conseguenza diretta della stimolazione ovarica con gonadotropine: a causa di un sovradosaggio delle gonadotropine somministrate o di una eccessiva sensibilita’ dell’ovaio (come nei casi di ovaio policistico, patologia nella quale l’incidenza di OHSS sale al 6-8%), i livelli di estrogeni circolanti crescono rapidamente ed eccessivamente e la somministarzione finale di hCG attiva meccanismi intraovarici legati a fattori dei permeabilita’ vascolare (VEGF) inducendo uno stravaso di liquidi nella cavita’ addominale. A seconda della sintomatologia si distinguono i seguenti gradi di iperstimolazione ovarica: – Moderata: caratterizzata da tensione addominale, nausea, aumento del volume ovarico e ascite, parametri ematochimici nella norma; – Severa grado A: con lieve nausea e/o vomito, oliguria lieve, aumento del volume ovarico e ascite, dispnea lieve, parametri ematochimici nella norma; – Severa grado B: con dolore addominale intenso, nausea e/o vomito, oliguria severa, aumento del volume ovarico e ascite, dispnea grave, emoconcentrazione, aumento delle transaminasi, squilibrio elettrolitico; – Severa grado C: con comparsa di ulteriori complicazioni coma la sindrome da distress respiratorio dell’adulto (ADRS), la tromboembolia in varie sedi, l’insufficienza renale acuta. Nei primi due gravi di severita’ sono sufficienti il riposo e la terapia domiciliare, mentre negli ultimi due gradi è necessaria l’ospedalizzazione. Data la natura sempre iatrogena della sindrome, la prevenzione della OHSS è di fondamentale importanza nel corso della stimolazione ovarica e si attua mediante il riconoscimento delle pazienti a rischio (giovane età, ovaio policistico), l’utilizzo di basse dosi di gonadotropine nella superovulazione, la somministrazione dell’hCG solo i livelli estrogenici circolanti non superano i 3000 pg/ml, l’eventuale interruzione del trattamento o il differimento del transfer embrionario (crioconservazione degli embrioni) nei cicli di stimolazione ad alto rischio. Quest’ultimo e’ motivato dal fatto che in caso di gravidanza l’hCG endogeno agisce aggravando l’OHSS. La terapia dell’OHSS si basa sulla correzione della proteinemia, del potere oncotico intravascolare e della volemia (somministrazione di albumina e.v. ad alte dosi), sul sostegno della funzionalita’ renale (idratazione) e sulla prevenzione della tromboembolia (profilassi eparinica). Nelle forme che richiedono ospedalizzazione (gradi B e C) il decorso puo’ richiedere fino a 2-4 settimane per ottenere una normalizzazione completa delle ovaie e della situazione clinica generale. Va sottolineato che sebbene le ovaie siano notevolmente ingrossate nella OHSS (fino a 12-15 cm di diametro massimo) e contengano numerosi follicoli cistici, il trattamento non deve mai essere di tipo chirurgico, a meno che non insorgano ulteriori complicazioni locali (es. la torsione dell’ovaio cistico sul proprio peduncolo). 2) Rischio chirurgico Anche se si tratta di un evento rarissimo dato che la parte chirurgica della PMA si svolge sotto controllo ecografico, durante la procedura di prelievo ovocitario si può incorrere nella puntura accidentale di un’ansa intestinale o di un grosso vaso sanguigno (es. la vena iliaca esterna): eccezionalmente, nei casi di emoperitoneo, è necessario effettuare un intervento di laparotomia per individuare la sede del sanguinamento. Altrettanto eccezionalmente si puo’ verificare un’infezione pelvica per puntura di un’ansa del tenue. 3) Gravidanza ectopica Il rischio di gravidanza tubarica è aumentato di circa due volte nelle pazienti che si sottopongono a procedure di PMA, in particolare nelle pazienti con sterilità da fattore tubarico o con storia di pregresse gravidanze ectopiche. Sorprendentemente la possibilita’ di una gravidanza tubarica non e’ esclusa anche effettuando una FIV-ET con transfer degli embrioni direttamente nell’utero. Verosimilmente cio’ dipende dal transfer accidentale degli embrioni nella tuba e/o da una discinesia uterina che sospinge gli embrioni nelle salpingi. 4) Gravidanze gemellari Nel 2000 in Europa il 26% delle gravidanze derivate da trattamenti di PMA era gemellare, di cui il 24% bigemine e il 2% trigemine o plurime, a fronte di una percentuale complessiva di gemellarità nelle gravidanze spontanee del 3%. E’ evidente che tutte le procedure di PMA contribuiscono ad aumentare in modo molto significativo l’incidenza di gravidanze gemellari, ma contrariamente a quanto comunemente ritenuto, non sono la FIV-ET e la ICSI le maggiori responsabili, bensi’ i trattamenti di induzione dell’ovulazione semplice, spesso effettuati da medici poco esperti con dosi eccessive di farmaci e senza un adeguato monitoraggio. Dati i maggiori rischi materni e neonatali associati alle gravidanze multiple (vedi il Capitolo ) e il più alto costo economico e sociale che l’assistenza a queste donne ed ai loro neonati comporta, attualmente si ritiene opportuno trasferire in utero 1-2 embrioni nelle donne sotto i 35 anni a buona prognosi, ed un massimo di 3 embrioni negli altri casi. Anche la coltura a lungo termine degli embrioni con transfer di una sola blastocisti e’ un mezzo efficace per prevenire le gravidanza gemellari. Questi concetti, tuttavia, trovano opportunita’ di applicazione solo nei Paesi in cui la crioconservazione degli embrioni e’ legale. 5) Rischi a lungo termine della PMA I dati ad oggi disponibili indicano che le donne che si sottopongono a cure di PMA (anche trattamenti ripetuti) non corrono un rischio aumentato di sviluppare nel prosieguo della vita gravi malattie oncologiche o degenerative. Il follow-up di migliaia di pazienti sottoposte a PMA negli ultimi 25 anni non ha mostrato un aumento di incidenza di tumori maligni (inclusi quello ovarico, uterino e mammario) ne’ di malattie gravi di interesse internistico rispetto alla donne che non hanno mai effettuato tali trattamenti. Vi sono state sporadiche segnalazioni riguardo l’aumentata incidenza di alcune forme di tumore borderline dell’ovaio, ma e’ anche possibile che cio’ possa dipendere dal fatto che le pazienti della PMA tendono a mantenersi sotto controllo ginecologico piu’ della media della donne, facilitando la diagnosi di malattie che peraltro, se tempestivamente diagnosticate, sono a prognosi buona . Si consideri comunque che e’ difficile valutare l’impatto della PMA sul rischio oncologico di un soggetto: anche la stessa infertilita’, infatti, comporta un aumentato rischio di certi tumori (es. mammella, ovaio) ed un eventuale effetto sfavorevole della PMA potrebbe essere controbilanciato da un effetto protettivo della gravidanza insorta dopo la PMA. Va sottolineato inoltre che il follow-up e’ limitato nel tempo in quanto i primi trattamenti di FIV-ET risalgono ai primi anni ’80 e le pazienti piu’ “anziane” hanno oggi circa 65 anni: occorrera’ aspettare ancora alcuni anni per pronunciarsi definitivamente sui rischi a lungo termine della PMA. 6) Nati da PMA Studi riguardanti i nati da tecniche di PMA hanno posto l’attenzione su un possibile aumentato rischio di difetti fetali e neonatali, basso peso alla nascita, ritardo di sviluppo neurologico e anomalie genetiche. Benché molti studi abbiano dimostrato un’incidenza di malformazioni nei neonati concepiti con PMA paragonabile alla popolazione generale (2-3%), non si puo’ ancora affermare con certezza che la PMA di II livello (FIV-ET/ICSI) non comporti un aumentato rischio fetale. Vi sono evidenze di un aumentato rischio di basso peso alla nascita, non solo, come e’ ovvio, per l’aumentata incidenza di gravidanze gemellari, ma anche nelle gravidanze singole da PMA rispetto a quelle spontanee. Un’ incidenza di anomalie dei cromosomi sessuali lievemente superiore alla norma è stata riscontrata in bambini nati da tecnica ICSI, in particolare quando associata all’utilizzo di spermatozoi estratti direttamente dal testicolo. Recentemente è stata posta l’attenzione su malattie rarissime derivanti da difetti di imprinting genetico (es. sindrome di Angelman) la cui prevalenza sembrerebbe aumentata nei bambini concepiti in vitro. Nel complesso e’ difficile determinare quanto tali osservazioni dipendano dalla tecnica della PMA in se stessa e quanto invece dal fatto che i pazienti che ricorrono a certe tecniche (come la ICSI) sono piu’ frequentemente portatori di una costituzione genetica che comporta da un lato lo svantaggio riproduttivo, dall’altro, forse, un aumentata predisposizione a concepire figli con anomalie. I dati attualmente a disposizione, pur se calcolati cu decine di migliaia di concepiti, non sono comunque conclusivi, ma necessitano di essere completati con un attento monitoraggio a lungo termine dei nati da tecniche di PMA. 16.bis.10. Ovodonazione La tecnica della fecondazione in vitro consente di ottenere embrioni umani utilizzando ovociti di donatrice fecondati col seme del partner. Le indicazioni all’ovodonazione sono rappresentate dal fallimento ovarico prematuro (POF syndrome) o menopausa precoce, dalle disgenesie gonadiche, dalla presenza di ovociti di qualita’ compromessa e non in grado di essere fertilizzati (come sovente si osserva nelle donne sopra i 42 anni). Queste pazienti non possono concepire un figlio geneticamente proprio, ma ricorrendo all’ovodonazione hanno la possibilita’ di vivere la gravidanza, il parto e la maternita’. Le donatrici di ovociti sono donne sane in età fertile (generalmente, ma non obbligatoriamente, sotto i 30 anni), con una buona riserva ovarica ed una ottima responsivita’ alle gonadotropine. Talvolta si tratta di pazienti che effettuano una FIV-ET e decidono di donare alcuni degli ovociti prodotti nel corso della superovulazione. Esse vengono stimolate con protocolli di induzione dell’ovulazione multipla mentre, contemporaneamente, le pazienti candidate a ricevere le uova sono sottoposte ad un trattamento sequenziale con estrogeni (es. estradiolo valerianato o transdermico) e progesterone per stimolare l’endometrio. Ottenuti gli embrioni dagli ovociti donati fecondati col seme del partner della ricevente, questi vengono trasferiti nell’utero della ricevente allo stadio di 2-8 cellule quando la terapia sostitutiva ha preparato adeguatamente l’endometrio. Il trattamnento estroprogestinico è poi mantenuto per 10-12 settimane dopo il transfer. I risultati della procedura di FIV-ET con ovodonazione sono ottimi, trattandosi di donatrici con ovociti di qualita’ ottimale: si ottengono circa 40-50 gravidanze su 100 cicli giunti fino al transfer embrionario. L’attuale Legge sulla PMA in Italia vieta il ricorso alle procedure di fecondazione eterologa, inclusa l’ovodonazione. Figure Vedi file a parte “figure capitolo 16 bis”