III. EUCARISTIA: MISTERO DELLA FEDE DEL PANE SPEZZATO E DONATO (CONTINUA) Giusy Calderone Chiamati a ripartire dall’eucaristia L’Eucaristia, sacramento della memoria e dell’annuncio pasquale, non è solo il cuore della comunità ecclesiale, ma “fa essere” la Chiesa, educa i credenti, trasfigura la comunità ad immagine del Risorto. E una comunità trasfigurata si esprime in due direzioni apparentemente contrastanti, ma entrambe dentro il dinamismo celebrativo dell’Eucaristia: da una parte “deve togliere i calzari per andare verso il roveto ardente del mistero” e dall’altra “deve calzare i sandali per battere le strade polverose del mondo”. Insomma dentro il Mistero e fuori nel mondo! Una scelta facile nella misura in cui ciascuno di noi non rimane incatenato a sterili gesti e riti, ma celebra l’Eucaristia vivendola come dono che fa nuovi, che ricrea, come fermento che unisce. “Dovremmo recuperare il senso del lievito che entra nella pasta, del sale che si sperde nella minestra” e con i sandali ai piedi sostare nella celebrazione per poi subito ripartire sulla strada, perché lì dobbiamo vivere il nostro servizio, la nostra testimonianza, farci presenti ad ogni dolore umano, a ogni fame di giustizia e di liberazione. Come diceva don Tonino Bello ” anziché dire la messa è finita, andate in pace, dovremmo poter dire la pace è finita, andate a messa. Perché se vai a Messa finisce la tua pace!”. Le nostre celebrazioni sono vere quando ci mettono in crisi, quando smascherano le nostre ipocrisie e le ipocrisie del mondo, “quando non ci lasciano sordi al grido dei tanti poveri che stanno fuori la porta del nostro banchetto”, o quando non ci permettono di rimanere indifferenti di fronte alla costante distruzione del creato, deturpato dagli inquinamenti e invecchiato dalle nostre manipolazioni. Mangiando quel pane e bevendo quel vino “significati” il credente, immagine del Risorto, non può delegare altri al posto suo, deve lasciarsi scaraventare sulla croce e in ogni situazione essere luce che illumina per ammutolire i potenti di turno e sfidare gli oppressori dei più deboli. Verrebbe da dire che tutto questo è utopia, lontano dal nostro quotidiano così vicino ad altre logiche, e allora? Ecco un esempio di vita trasfigurata tra tante: Etty Hillesum. “Ho spezzato il mio corpo come se fosse pane…” Etty Hillesum è una delle tante martiri dell’olocausto, nata in Olanda nel 1914 da una famiglia della borghesia intellettuale ebraica. È un’ebrea non osservante, una donna sensibile e colta che legge Rilke, Dostoevskij e Tolstoj, ma anche la Bibbia, il Corano, il Talmud e poi S. Agostino. I Salmi sono parte della sua vita quotidiana. Con l’occupazione tedesca la sua vita, come quella di tanti altri ebrei, viene sconvolta e perseguitata; così progressivamente vive retate e sanzioni e vede scomparire nei lager amici e parenti. Anche se poteva evitarlo, sceglie di essere internata nel campo di smistamento di Westerbork, nell’Olanda nord-orientale; respinge ogni nascondiglio sicuro o qualsiasi tentativo di fuga per “sposare” il destino dei suoi fratelli ebrei. Desiderava essere solidale con le sofferenze del suo popolo, cercando di aiutare chi le era vicino, specialmente i malati nelle baracche dell’ospedale. Scrive nel suo diario: “… non esiste alcun nesso causale tra il comportamento delle persone e l’amore che si prova per loro. Questo amore del prossimo è come un ardore elementare che alimenta la vita.… Qui di amore non c’è molto, eppure mi sento indicibilmente ricca.” . Il suo è un itinerario interiore che la conduce dalla paura al desiderio di essere il cuore vivo e pensante del campo di concentramento, maturando un atteggiamento di ascolto: “in fondo la mia vita è un interrotto ascoltare me stessa, gli altri, Dio. E quando dico che ascolto dentro, in realtà è Dio che ascolta dentro di me. E la parte più profonda di me che ascolta la parte più profonda dell’altro.…” . Ringrazia Dio per il dono di poter leggere nei cuori degli altri e da questa comprensione scaturisce il perdono per le SS, riconoscendo che il male è in ciascun uomo. Etty scopre gradualmente la gioia di donarsi: “ amo così tanto gli altri perché amo in ognuno un pezzetto di te, mio Dio. Ti cerco in tutti gli uomini e spesso trovo in loro qualcosa di te, e cerco di disseppellirti dal loro cuore.”. Sul treno che la portava ad Auschwitz, dove troverà la morte in una camera a gas nel novembre del 1943, scrive le ultime sue parole: “ Il Signore è il mio grande rifugio… Abbiamo lasciato il campo cantando.” . E’ la grande spiritualità, intrisa di canto e di gioia profonda, di chi sa che perdendo la propria esistenza la ritrova, come il chicco di grano che caduto in terra muore producendo molto frutto. Alla fine del Diario scrive: “Ho spezzato il mio corpo come se fosse pane e l’ho distribuito agli uomini. Perché no? Erano così affamati e da tanto tempo!” e ancora: “ Mi hai resa così ricca, mio Dio, lasciami anche dispensare agli altri a piene mani”. E la sera coricata sul letto piange lacrime di riconoscenza: è la sua preghiera. Etty testimonia una spiritualità eucaristica con le sue parole e con la sua vita, che è un continuo ringraziare e benedire Dio per tutti i suoi doni, anche quelli incomprensibili che producono miseria, sofferenza e dolore diventano nel suo cuore oblazione e sacrificio a Dio, per questo riesce sempre a dire: “la miseria che c’è qui è veramente terribile… eppure dal mio cuore s’innalza sempre una voce che dice: la vita è una cosa splendida!” In questa donazione totale di sé, fino alla morte, Etty Hillesum ha raggiunto la pienezza desiderata e attesa, in un itinerario di fede personalissimo cominciato custodendo la sua relazione con Dio, nella scoperta della sua presenza in sé: “l’unica cosa che possiamo salvare di questi tempi e anche l’unica che veramente conti, è un piccolo pezzo di Te in noi stessi, Dio. Difendere fino all’ultimo la tua casa in noi”. Essere suo tempio, quindi, per divenire benedizione, “pane spezzato e balsamo per le molte ferite”. APPENDICE “Rendete continuamente grazie a Dio Padre” (Ef 5,20). Le altre Preghiere Eucaristiche Cenni storici Fino al 23 maggio 1968 era un caratteristico contrassegno della Liturgia romana di possedere, per la liturgia eucaristica, una sola preghiera chiamata Canone Romano (cioè “misura, paradigma di tutte le altre preghiere), e addirittura essa rimase completamente immutata per più di un millennio (VI sec.). Purtroppo, oltre ad essere unica, con il passare dei secoli il suo era diventato per l’assemblea un valore nascosto, in primo luogo per il testo in lingua latina, poi perché cominciò pian piano ad essere presentata ai fedeli sotto un velo di silenzio, come un’azione solo da guardare, e nel tempo venne sommersa dal canto e dalla musica che crescevano sempre più, tanto che finì con l’essere dimenticata e soppiantata dalle pie preghiere (ancora oggi si vedono persone intente a recitare il rosario durante la celebrazione!). Le Preghiere Eucaristiche La riforma liturgica del Concilio Vaticano II, anche se con fatica, accanto al Canone (o Preghiera Eucaristia I) ha introdotto altre tre Preghiere Eucaristiche (= PE). Esse sono composte da una formula unitaria , ossia da un’unica “eucaristia” , scandita dai diversi momenti che la compongono: PREFAZIO con l’acclamazione del Sanctus, VERE SANCTUS EPICLESI I (invocazione) RACCONTO DELL’ISTITUZIONE: MISTERIUM FIDEI ANAMNESI DELL’OFFERTA (memoriale, offerta) EPICLESI II (invocazione) INTERCESSIONI DOSSOLOGIA (glorificazione di Dio) La PE I o Canone Romano: è rimasta nelle linee essenziali quella di prima, senza un prefazio proprio, e naturalmente con l’aggiunta del Sanctus e del Misterium fidei. La PE II: è ispirata ad un’antica preghiera contenuta nella Traditio apostolica di Ippolito di Roma (III sec.), ma nuovamente ricreata. Il risultato è una PE molto breve ma veramente bella e ricca di contenuto, e per questa sua brevità e essenzialità si adatta molto bene per le liturgie feriali. Ha un Prefazio proprio, ma può anche unirsi con altri Prefazi, nei quali viene esposto in forma sintetica l’economia della salvezza. In questa formula sono messe in evidenza le grandi opere di Dio, soprattutto quelle relative alla redenzione, mentre le opere della creazione sono appena fuggevolmente accennate. Se questa PE viene pronunciata degnamente, adagio e senza fretta (la brevità del testo non è occasione per rotolarla più precipitosamente!), anche allo scopo che la partecipazione dei fedeli sia più attiva, allora veramente si è davanti al punto culminante e di grande effetto della celebrazione del sacrificio, che è celebrazione della Memoria del Signore, della sua azione redentrice resa presente a noi. Infatti in questo momento il sacrificio di Cristo diventa il nostro sacrificio offerto al Padre e nostro convito sacrificale, che ci fa veramente Chiesa e cioè Corpo di Cristo. Tutto questo attorno all’unico altare, nella comunione con tutta la Chiesa, con la speranza del compimento futuro e testimoniando la nostra fede. La PE III: è quella che abbiamo già considerato nell’incontro scorso. È stata composta senza un Prefazio proprio, perché attraverso la varietà dei Prefazi di ogni tempo liturgico possa mettere insieme un più ricco e grande sviluppo della storia della salvezza. Tanto la II che la III PE si ricollegano alla particolare tradizione romana nel loro modo di distribuire la storia della salvezza nel Prefazio e nel corso della preghiera. Ma l’una e l’altra si distinguono invece dalla I PE sia per la maggiore compattezza dell’insieme, per la riunione delle intercessioni, per la brevità nell’elencare i santi dopo la consacrazione, ma soprattutto per la esplicita epiclesi dello Spirito Santo, prima in vista della consacrazione e dopo per richiedere il frutto della comunione. La PE IV: è l’unica con un Prefazio fisso, uno dei più belli e ampi, dove viene espressa la lode/glorificazione a Dio Padre per le sue opere salvifiche. I motivi di questa “benedizione sono di tre ordini (intesi non cronologicamente ma teologicamente): cosmologico, antropologico e cristologico. - Cosmologico: Dio viene glorificato perché gratuitamente “ha dato origine all’universo per effondere il suo amore su tutte creature”. - Antropologico: perché “a sua immagine ha formato l’uomo”. - Cristologico: perché “ha tanto amato il mondo da mandare a noi, nella pienezza dei tempi, il suo unico Figlio”. Per questo motivo, cioè per coglierne la grandezza il Prefazio e ogni altra parte devono rimanere invariati, sarebbe opportuno che questa Preghiera fosse utilizzata con un’assemblea preparata dal punto di vista biblico. Tranne la IV PE, tutte le altre PE prevedono uno speciale embolismo (da emballein = aggiungere), cioè un’aggiunta che si può inserire in alcune celebrazioni come quella per un defunto, per un battesimo…