Apparato locomotore

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I.I.S. “E. Bona” sede di Mosso
Educazione Fisica 2013/14
Classe 5^
APPARATO SCHELETRICO
Costituisce la componente passiva dell'apparato locomotore, ed è formato da ossa e articolazioni.
Svolge funzione di: Protezione in quanto difende i più importanti organi interni dagli influssi esterni
(cranio: cervello; gabbia toracica: cuore e polmoni; bacino: organi sessuali femminili e intestino);
Sostegno: dà stabilità agli organi e posiziona il corpo nello spazio; Movimento: reso possibile
dall’azione dei muscoli inseriti sulle ossa che, contraendosi e rilassandosi, provocano lo spostamento
del corpo o delle sue parti.
LE OSSA
Sono organi duri, resistenti, ma dotati, pur se in minima parte, di elasticità.
In base alla loro configurazione possono essere:
a) Lunghe: dove la lunghezza prevale sullo spessore e sulla larghezza (femore,
tibia); sono composte da una parte centrale diafisi che contiene la cavità
midollare col midollo, e da due epifisi: prossimale e distale (cioè più vicina o
più lontana dal corpo)
b) Piatte: la larghezza prevale sulla lunghezza, o la eguaglia, e sullo spessore
(volta cranica, bacino, scapola); in genere delimitano cavità e proteggono gli
organi che vi sono contenuti.
c) Brevi: larghezza, lunghezza e spessore si equivalgono (vertebre, carpo, tarso)
La superficie delle ossa può risultare del tutto o in parte liscia, o presentare delle
irregolarità dette: spina, tuberosità, linea…
Le ossa maschili sono in genere più robuste data la muscolatura più potente, ma la differenziazione
sessuale è molto evidente nel bacino, più largo nella donna.
Le ossa lunghe presentano quattro componenti principali
 Periostio: è una membrana ricca di vasi sanguigni e di fibre nervose che riveste la
diafisi.
Lo strato esterno svolge una funzione protettiva, mentre lo strato interno provvede alla
sua nutrizione, all’accrescimento, e alla riparazione rapida in caso di lesioni tramite
cellule speciali chiamate “osteoblasti”.
 Cartilagine ialina: protegge le superfici articolari (epifisi). Resiste alla pressione, al
taglio, ed assicura un maggior scivolamento delle superfici articolari.
 Tessuto osseo: costituito da una sostanza detta collagene impregnata di sali minerali
(specialmente fosfato di calcio) è fondamentalmente di due tipi: spugnoso,
formato da trabecole, e compatto, formato da lamelle ossee disposte
concentricamente a formare un canale nel quale passano i vasi sanguigni,.
Il tessuto osseo è disposto in modo tale da seguire le linee di trazione e
pressione esercitate sulle ossa, secondo i principi della statica e della
dinamica.
 Midollo osseo: contenuto nelle cavità dell’osso delimitate dalle trabecole, è di colore rosso, e
produce globuli rossi e alcuni tipi di globuli bianchi, che, attraverso i vasi sanguigni, passano in
circolo. E’ presente in tutte le ossa del feto e del bambino piccolo, mentre negli adulti si trova solo
in alcune ossa del cranio e del tronco. Nel corso dello sviluppo si trasforma in midollo giallo,
costituito prevalentemente da grasso.
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La produzione del tessuto osseo avviene attraverso due vie: Diretta, o connettivale, con formazione del
cosiddetto osso di rivestimento (es. clavicola, ossa della faccia); e Indiretta, o cartilaginea, con
formazione di un modello cartilagineo che viene progressivamente sostituito dal tessuto osseo.
L’ossificazione completa avviene verso i 20 anni; per questo motivo in età giovanile bisogna fare molta
attenzione ad ogni tipo di sovraccarico che potrebbe andare a modificare la struttura delle ossa.
L’accrescimento avviene alternando, ogni 6 mesi circa, lo sviluppo in lunghezza a quello in larghezza
(legge di Godin, o dell’alternanza).
LE ARTICOLAZIONI
Le singole ossa, per consentire i movimenti delle varie parti del corpo, sono collegate attraverso le
articolazioni che si dividono in: fisse (sinartrosi) a mobilità scarsa o nulla (cranio, pube), e mobili
(diartrosi) con ampia mobilità.
Si compongono di:
 Capi articolari (4/6): sono le due estremità (epifisi) delle ossa che formano l’articolazione. Come
detto, le superfici articolari, di cui in genere una è convessa e l’altra concava, sono rivestite dalla
cartilagine ialina (5) che evita l’usura da
contatto dei capi ossei.
 Capsula articolare (2): molto resistente
avvolge, a guisa di manicotto,
l’articolazione.
E’
rafforzata
da
legamenti (1 e b) che mantengono il
contatto tra le superfici articolari in
condizioni di riposo; durante il
movimento l’unione dei capi articolari è
rafforzata da muscoli e tendini che scavalcano l’articolazione. I legamenti possono essere presenti
anche all’interno.
 Membrana sinoviale (7): si trova all’interno della capsula, è fortemente irrorata dal sangue e
secerne il liquido sinoviale (3) che diminuisce l’attrito tra i capi articolari. La sua eccessiva
produzione, causata in genere da eventi traumatici o infiammatori, crea compressione ed è
necessario asportarlo con siringhe.
Le articolazioni permettono tre tipi di movimento:
 Scivolamento: quando le superfici scorrono una sull’altra
 Rotazione: quando un osso ruota sul suo asse (testa)
 Movimento angolare che può essere di vario tipo:
a) Abduzione: quando un osso si allontana dal corpo
b) Adduzione: quando un osso si avvicina al corpo
c) Flessione: quando un osso tende a formare un angolo con
l’altro osso con cui si articola
d) Estensione: il movimento opposto
 Circonduzione: quando si descrive un cono il cui vertice è rappresentato dall’articolazione
Le articolazioni possono essere classificate anche in base alla forma delle superficie articolari, e le più
importanti sono:
a) Artrodie, o a superficie piana, che permettono solo i movimenti di scivolamento
b) Enartrosi, o a superfici sferiche, che consentono ogni tipo di movimento. Presentano da una parte
un segmento di sfera piena (testa) e dall’altra un segmento di sfera concava (cavità glenoide), come
ad esempio l’articolazione della spalla o dell’anca.
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IL GINOCCHIO
Il ginocchio è un’articolazione molto particolare con caratteristiche
proprie. Essendo il punto cruciale della deambulazione, presenta al
suo interno diversi legamenti (crociati, collaterali) e due dischi
cartilaginei chiamati menischi, adagiati sul piatto tibiale, che
contribuiscono ad ammortizzare i vari spostamenti: anteroposteriori e laterali, e in condizioni particolari possono lesionarsi.
La loro rimozione non pregiudica però in alcun modo la normale
funzionalità dell’articolazione, e permette di continuare a svolgere la normale vita di relazione, anche
se ovviamente può creare dei problemi se sottoposto a carichi elevati.
LO SCHELETRO
Si distingue una parte assiale (testa, colonna vertebrale e cassa toracica) e gli arti (superiori e inferiori).
Le ossa che uniscono gli arti al tronco prendono il nome di cinture: scapolare per gli arti superiori, e
pelvica per gli arti inferiori.
La testa è formata dal cranio e dalle ossa della faccia, che sono praticamente immobili tranne la
mandibola.
La colonna vertebrale costituisce l’asse del corpo umano ed è formata da 33/34 vertebre collegate
tra di loro da artrodie. Le prime 24 v. sono dette vertebre vere, mentre le ultime sono saldate tra di loro
a formare due ossa distinte (sacro e coccige) e vengono chiamate vertebre false.
Nell’adulto presenta una curvatura ad S caratterizzata da: lordosi cervicale (7 vertebre),
cifosi toracica (12 v.), lordosi lombare (5 v.), cifosi sacrale (9/10 v.). Queste curve sono
fisiologiche, se comprese entro un certo grado; sono dovute a ragioni di equilibrio, di
resistenza, e permettono di ammortizzare gli urti. Se il loro raggio di curvatura aumenta
abbiamo dapprima i paramorfismi, che possono essere corretti con ginnastica correttiva,
quindi i dismorfismi che a seconda dei gradi vanno curati con tutori ortopedici o
chirurgicamente. La curvatura laterale si chiama scoliosi, e dà luogo in genere a curvature
di compenso. L’insorgenza di tali patologie è da ricercarsi in atteggiamenti posturali
scorretti, malformazioni congenite trascurate, degenerazioni nell’accrescimento, o
precoce usura del tessuto osseo.
Pur differendo tra di loro per forma e dimensioni, le vertebre presentano caratteristiche
comuni: hanno una parte principale chiamata corpo da cui si diparte posteriormente un
anello osso la cui sovrapposizione crea il canale vertebrale contenente il midollo osseo.
Negli spazi tra una vertebra e l’altra fuoriescono da questo canale i nervi spinali che
portano a tutto il corpo gli impulsi nervosi formando così il sistema nervoso periferico.
Le vertebre, posteriormente formano il processo spinoso, mentre ai lati vi sono le apofisi
o processi articolari. Tra una vertebra e l’altra si trova il disco vertebrale, cartilagineo, che funge da
ammortizzatore e permette i movimenti della colonna. Anomalie legate a questo disco possono
provocare la cosiddetta ernia del disco.
La cassa toracica è formata da 12 vertebre, 12 paia di costole e un osso piatto: lo sterno a cui si
collegano direttamente le prime 7 costole, le 3 successive sono unite alla cartilagine della costola
sovrastante, mentre le ultime 2 sono libere anteriormente (fluttuanti).
La cintura scapolare è formata da un osso anteriore, la clavicola, che si articola allo sterno e ad un
osso dorsale, la scapola, che è collegata a sua volta alle costole.
La cavità glenoide della scapola si articola con l’omero (braccio) formando l’articolazione della spalla.
Nel gomito l’omero si articola con radio e ulna (avambraccio), che si collegano a loro volta con le otto
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ossa del carpo (polso). Abbiamo quindi il metacarpo (5 ossa lunghe) che forma lo scheletro della
mano e infine le falangi che sono tre per dito (falange, falangina, falangetta) tranne che nel pollice.
La cintura pelvica (bacino) è costituita da: ossa iliache, osso sacro e coccige, uniti a formare una
struttura a forma di imbuto che sostiene il tronco e unisce ad esso gli arti inferiori.
Ogni osso iliaco è formato da: ileo, ischio e pube che durante la pubertà si fondono in un tutt’uno; nel
punto di confluenza di queste tre ossa si forma una cavità chiamata acetabolo, e ad esso si articola la
testa del femore (coscia), l’osso più lungo e pesante del corpo, formando l’articolazione coxofemorale
(anca). Il femore si articola a sua volta con tibia e perone (gamba) nel ginocchio, di cui abbiamo già
parlato, dove è presente un osso piatto, la rotula, che ha una funzione protettiva. Come già nella mano,
anche nel piede abbiamo le ossa del tarso (caviglia), quindi il metatarso che forma lo scheletro del
piede e infine le falangi che sono tre per dito tranne che nell’alluce.
Gli arti inferiori possono presentare alcune patologie, a carico di ginocchia e piede, limitanti per la
deambulazione: valgismo (cedimento verso l’interno), varismo (cedimento verso l’esterno), piede
piatto, piede cavo.
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APPARATO MUSCOLARE
I muscoli sono la parte attiva dell'apparato locomotore, in quanto tutte le ossa danno inserzione ai
muscoli scheletrici, i quali, attraverso la contrazione, che può essere dinamica (movimento) o statica
(fissare una posizione), trasformano l'energia chimica, accumulata nell'organismo, in meccanica.
Si distinguono tre tipi di tessuto muscolare:
- Liscio: presente negli organi interni, costituito da cellule a forma di fuso o di nastro, parallele tra
loro, innervate dal S.N. Autonomo, le cui contrazioni sono lente e non dipendono dalla volontà del
soggetto (tubo digerente, arterie, ecc.)
- Striato cardiaco: si trova solo nel cuore e come i muscoli lisci ha una contrazione involontaria (con
una propria centrale di comando) però intensa, rapida e priva di affaticamento.
- Striato: si trova in tutti i muscoli dello scheletro, formati da fibre muscolari parallele tra di loro che
si prolungano nei tendini.
Nell'uomo i muscoli rappresentano circa il 40% del peso corporeo, nella donna il 30-32%.
Ogni muscolo è composto da una parte carnosa detta corpo
muscolare e due estremità con cui entra in contatto con
l'osso; quella più vicina al corpo è chiamata origine e
rimane relativamente statica durante la contrazione, quella
opposta si chiama inserzione. Ogni fibra è racchiusa in una
guaina di tessuto connettivale, più fibre si riuniscono in
fascetti primari, secondari e terziari; il tutto è circondato da
una membrana, il perimisio, a sua volta circondata da una
membrana connettivale, aponeurosi.
I muscoli larghi si inseriscono sull'osso tramite questa aponeurosi, mentre in quelli lunghi il tessuto
connettivo si prolunga in un cordone biancastro e lucido, il tendine, dotato di elevata resistenza e non
estensibile. Il legame che si viene a creare tra il tendine e l'osso è molto forte, per cui è possibile che la
trazione esercitata dal tendine strappi l'osso e non il tendine.
Le fibre sono a loro volta divise nelle miofibrille che osservate al
microscopio presentano un’alternanza di zone chiare (bande I) e zone scure
(bande A), e per questo viene chiamato striato.
La banda A nella regione centrale ha una zona meno densa, detta zona H, la
cui larghezza diminuisce durante la contrazione.
Ogni banda chiara (I) presenta una linea scura centrale detta linea Z, lo
spazio compreso tra due linee Z è chiamata Sarcomero, ed è l'unità di
contrazione; tali linee sono continue per tutta la lunghezza della fibra
muscolare, e servono a tenere insieme le miofibrille.
Sempre dall’osservazione al microscopio, all’interno del sarcomero è possibile osservare due tipi di
filamenti: quello più spesso è costituito da miosina (filamento primario), quello
più sottile da actina (secondario) . Le bande I sono costituite solo da actina, la
bande A da tutte e due.
Ogni molecola di Miosina è circondata da sei di Actina,
ed ha dei filamenti a pettine che si protendono fino ad
articolarsi con essa.
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Durante la contrazione l'actina s'infila più profondamente tra la miosina fino
quasi a toccare la punta di quella opposta.
I muscoli striati sono innervati dal S.N. centrale, e la loro contrazione è sotto il
controllo della volontà; perciò sono detti volontari, e scheletrici perché sono
attaccati allo scheletro e ne consentono il movimento. Essi si contraggono +
rapidamente e + intensamente di quelli lisci ma non possono rimanere
contratti a lungo avendo bisogno di un breve periodo di riposo prima di
contrarsi nuovamente. Non sono comunque mai completamente rilassati, ma si
trovano in uno stato di contrazione parziale chiamato tono muscolare che
consente di mantenere il corpo nell'atteggiamento adatto alle circostanze. Solo
durante il sonno il tono muscolare è quasi completamente abolito.
Vi sono due tipi di fibre: rosse e bianche con proprietà differenti; e il nome è
dovuto alla presenza o meno di mioglobina, un pigmento capace di
immagazzinare ossigeno, il ché rende il muscolo più resistente anche se meno rapido e preciso nel
compiere un movimento. Tutti i muscoli contengono una percentuale di versa di fibre bianche e rosse,
determinata geneticamente, ma influenzabile in qualche modo dall'allenamento. Senza allenamento le
fibre bianche diventano rosse, quindi nei bambini movimenti rapidi ma di breve durata, anziani
movimenti più lenti ma possibilità di ripeterli nel tempo. Anche l’allenamento per certi sport
(resistenza) può modificare tale percentuale.
Il muscolo presenta una fitta rete sia di vasi sanguigni che di fibre nervose .
Dai vasi sanguigni arriva il nutrimento, regolato, sia a livello nervoso che chimico, tramite l’apertura
di un numero più o meno elevato di capillari a seconda delle necessità.
Da una cellula nervosa situata nel midollo spinale giunge al muscolo un filamento motorio Assone che
termina in una giunzione tra nervo e muscolo: placca neuro-muscolare; da qui si suddivide in piccoli
rami diretti alle singole fibre, o a fasci di fibre. Una fibra nervosa può innervare, con le sue
diramazioni, da 1 a oltre 200 fibre muscolari; l’insieme costituito da: cellula nervosa, assone, fibre
innervate costituisce l’UNITA’ MOTORIA. Il numero delle fibre muscolari innervate da una singola
fibra muscolare non dipende dalla grandezza del muscolo ma dalla precisione dei movimenti richiesti
(muscoli oculari anche una sola fibra m. per u.m., quadricipite e paravertebrali centinaia di fibre m. per
u.m.)
Per gli atti motori volontari è indispensabile l’intervento dei neuroni del cervello che agiscono in base
alle informazioni provenienti dai recettori (estero proprio - enterocettivi) : essi trasformano gli stimoli
ricevuti in segnali elettrici, che vengono inviati al
cervello il quale, a sua volta, invierà una risposta.
Gli atti motori involontari (o riflessi) si verificano
invece quando l’impulso arriva direttamente dal
midollo, senza l’intervento del cervello, che solo in
un secondo tempo riceverà le informazioni
sensoriali derivate dall’azione riflessa (mano che
tocca fonte di calore).
Il muscolo che determina il movimento viene
definito Agonista, quello che agendo in senso
opposto si rilascia gradualmente e produce un
controllo frenante Antagonista; nel movimento
intervengono anche altri muscoli detti Direzionali
che consentono un movimento più preciso e
uniforme.
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Una classificazione dei muscoli abbastanza usata è quella che si basa sui movimenti che compiono:
flessori, estensori, elevatori, abbassatori, dilatatori (sfinteri), abduttori, adduttori, rotatori, ecc.
La forma dei muscoli è estremamente varia e si adattano alla forma delle ossa su cui sono inseriti e al
movimento che devono compiere.
La risposta del muscolo ad uno stimolo contrattile è retta dal principio del TUTTO O NIENTE, inoltre
le fibre si contraggono solo se lo stimolo è superiore ad una certa intensità detta soglia di stimolo che è
diversa da fibra a fibra; di conseguenza, quando arriva alla fibra muscolare uno stimolo nervoso, essa si
contrae solo se tale stimolo è maggiore della sua soglia e si contrae completamente.
La forza di un muscolo è quindi la risultante della forza di contrazione delle singole fibre che lo
compongono, ed essa si esplica tramite il tirare e non lo spingere.
La contrazione muscolare è un lavoro meccanico e richiede un consumo di energia che viene prodotta
da processi biochimici, provocati a loro volta dall’eccitazione di cui sopra.
Dal punto di vista biomeccanico le ossa si possono paragonare alle leve che sono di tre tipi:
 I: Indifferenti in cui il Fulcro si trova tra Potenza e Resistenza (testa)
 II: Vantaggiose la R si trova tra F e P (piede)
 III: Svantaggiose la P si trova tra F e R (avambraccio) e sono la maggioranza
Il tempo che intercorre tra l’eccitazione del muscolo e l’inizio del suo accorciamento si chiama tempo
di latenza e diminuisce con l’aumento della temperatura (a 37° 1 millisecondo).
Ogni muscolo è composto da più unità motorie, e ogni unità ha una sua soglia di stimolo: se più stimoli
di intensità crescente arrivano al muscolo, esso aumenta la sua forza di contrazione
Stimolo basso
intervengono poche unità
Stimolo maggiore
intervengono altre unità
Questo permette di graduare la forza durante l’attività, tuttavia ogni singola unità motoria non aumenta
la sua contrazione con l’aumentare dello stimolo, proprio per il principio del TUTTO O NIENTE.
Se dopo una contrazione muscolare viene inviato un secondo stimolo, avremo due contrazioni separate,
ma quanto più riusciremo a mandare ravvicinati gli stimoli, tanto maggiore sarà l’effetto fino a
provocare una sommazione
5
3
12
8 = 5+3+12+8
5 3
12
8 = 28
Se un muscolo viene ripetutamente stimolato, con un elevata frequenza, per cui l’intervallo è più breve
del periodo di contrazione, si verifica una contrazione prolungata la cui forza è un multiplo della
contrazione semplice, e viene chiamato tetano muscolare (polpaccio 100/sec, retto dell’occhio
350/sec); nei movimenti sportivi sono quasi tutte contrazioni tetaniche.
La Forza di un muscolo dipende dal numero di fibre attivate contemporaneamente
La Velocità dipende dalla rapidità con cui si susseguono le contrazioni
Entrambe sono altresì influenzate dal sincronismo con cui vengono attivate le fibre che lo
compongono.
Contrazione isotonica quando il muscolo si accorcia e la sua tensione rimane costante
Contrazione isometrica quando il muscolo non si accorcia ma aumenta la sua tensione
All’inizio abbiamo sempre un breve lavoro isometrico per vincere la resistenza (peso)
L’alternarsi tra contrazione e rilassamento permette la circolazione del sangue, quindi nel lavoro
isometrico tale circolazione diminuisce e quindi favorisce l’accumulo di acido lattico che provoca una
limitazione del lavoro nel tempo.
Il muscolo, contraendosi, compie un lavoro e ciò determina un consumo di energia, che deve essere
prodotto da un carburante: l’ATP Adenosintrifosfato, presente in tutti i muscoli, seppur non in grandi
quantità (al massimo circa 100g.).
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Esso viene sintetizzato dai mitocondri, piccolissimi organi che si trovano all’interno di ogni cellula, a
partire dagli zuccheri e i grassi assorbiti dal nostro corpo attraverso il cibo.
Questo ATP scindendosi rilascia un gruppo fosforico (P) e libera Energia utilizzata nella contrazione.
ATP
ADP + P + E x contrazione
Detto così la cosa sembrerebbe molto semplice, ma come detto nel nostro
corpo l’ATP è presente in quantità limitata, ed è l’unico carburante
utilizzabile dai muscoli; per protrarre il lavoro nel tempo è quindi
necessario produrne dell’altro, oppure ricostituirlo, visto che un
maratoneta, ad esempio, ne consuma circa 75 kg.
Per capire come questo succede pensiamo ad un’atleta che si metta a
correre al massimo della velocità.
1. Un primo processo di risintesi dell’ATP si attua a carico degli
Accumulatori di Energia, il principale dei quali è la
Fosfocreatina: CP che, scindendosi in C e P, fornisce all’ADP
il P necessario a ricostituire l’ATP, e libera Energia
CP
C+P+E
ADP
ATP
Questa reazione avviene grazie all’intervento di un enzima (creatinkinasi)
Ma la CP, pur essendo presente nel nostro corpo in quantità 4/5 volte maggiore dell’ATP, dopo 6/7
secondi ne viene consumata normalmente più dell’80%, e viene quindi utilizzata per scatti brevi,
salti, lanci, parata del portiere, tiri da fermo; poi bisogna rivolgersi ad altri meccanismi di risintesi.
Ad esempio un altro enzima (miokinasi) permette di resintetizzare una molecola di ATP da due di
ADP produzione di ammoniaca che finisce poi nel sangue
E’ quindi un meccanismo che può fornire molta potenza ma di capacità limitata, è come se l’atleta
fosse al volante di un dragster.
2. A questo punto non resta che ridurre la velocità e utilizzare un altro meccanismo (usare una Ferrari
che consenta una maggiore autonomia pur garantendo un’elevata velocità). Partendo da una
molecola di Glucosio (zucchero), presente nei muscoli e stoccato nel fegato sotto forma di
glicogeno, all’interno delle cellule, in particolari organi chiamati miticondri, avviene la Glicolisi,
una serie di reazioni (12) che avvengono, passando attraverso la creazione di acido piruvico . Si
arriva così ad ottenere 3 molecole di ATP, se parto dal glicogeno, e 2 partendo dal glucosio, ma si
producono anche 2 molecole di Acido Lattico, che depositandosi nei muscoli provoca
un’affaticamento fino a impedire il lavoro muscolare, soprattutto a causa degli ioni H. Questo ac.
latt. viene poi metabolizzato quando si interrompe il lavoro e ritrasformato in parte in glicogeno o
utilizzato in altre funzioni (contrazione cardiaca). Anche questo meccanismo non può essere
protratto a lungo (massimo 4’) e quindi si utilizza nella velocità prolungata fino ai 400 m, le volate
finali del ciclismo, azioni particolarmente intense nei giochi di squadra. L’atleta deve scendere
dalla Ferrari e salire su un’utilitaria.
3. Il terzo meccanismo utilizzato prevede l’intervento
dell’Ossigeno bruciando gli zuccheri e i grassi.
3.1. Partendo dagli zuccheri il meccanismo è identico al
precedente fino alla formazione dell’ac. piruvico, il quale
però, in presenza dell’ossigeno, si trasforma in acetilCoenzima A che entra nel Ciclo di Krebs: una serie
complessa di reazioni chimiche che porta alla formazione
di altre 2 molecole di ATP + Carbonio e Idrogeno.
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Il carbonio si lega all’ossigeno e viene eliminato sotto forma di CO2; l’H invece, con quelli
liberati dalla glicolisi, entra in una serie di reazioni chiamata catena di trasporto degli elettroni
attraverso la quale forniscono l’energia per la risintesi di 34 molecole di ATP dall’ADP +
H2O. Alla fine avremo 39 molecole di ATP se siamo partiti dal glicogeno, 38 se dal glucosio.
Questo è il meccanismo normalmente usato nella vita di tutti i giorni, anche quando
dormiamo.
Nello sport è caratteristico degli sport di durata, compresi quelli di squadra, e le scorte di
glicogeno sono sufficienti per 1-2 ore; i grassi invece sono in grado di fornire una riserva
energetica maggiore.
3.2. Partendo dai grassi, essi si degradano fino ad acetila-CoA per poi seguire lo stesso
procedimento degli zuccheri. La quantità di ATP finale prodotto dipende dal numero di atomi
di Carbonio del grasso da cui si è partiti secondo la formula (8.5 x n) – 6. Se parto dall’ac.
palmitico, composto da 16 atomi di C, avremo 130 molecole di ATP.
In ogni caso solo il 40% dell’energia prodotta viene immagazzinata sotto forma di ATP,
perché il 60% viene disperso sotto forma di calore; inoltre occorre un maggior apporto di
ossigeno in quanto una molecola di O2 permette di produrre 5.6 molecole di ATP dpartendo
dai grassi, contro le 6.3 partendo dagli zuccheri.
Questo è uno dei motivi per cui si ha un calo di rendimento quando si esauriscono le scorte di
zuccheri.
Riassumendo, tutti i movimenti che noi effettuiamo danno luogo a tre diversi tipi di lavoro muscolare:
ANAEROBICO ALATTACIDO (non in presenza di ossigeno e senza produrre acido lattico)
dall’ATP e accumulatori di energia. Sforzi di brevissima durata e grande intensità (salti, lanci)
ANAEROBICO LATTACIDO (non in presenza di ossigeno) demolisce gli zuccheri ma produce
acido lattico. Viene attivato rapidamente e produce in fretta grandi quantità di ATP. Utilizzato per
sforzi di grande intensità ma di breve durata (velocità)
AEROBICO (in presenza di ossigeno) demolisce zuccheri e grassi fino ad ottenere acqua e anidride
carbonica. Viene condizionato dall’attività del sistema cardiocircolatorio (sci di fondo, maratona,
ciclismo)
La successione che abbiamo utilizzato non è necessariamente quella che avviene nella realtà. Se si
affronta uno sforzo prolungato, maratona, interviene subito il meccanismo aerobico, se deve effettuare
delle variazioni di velocità ricorre all’anaerobico lattacido.
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