2.0 Storia del controllo del sistema televisivo italiano In tutto il mondo, dal suo avvento, la televisione si è imposta come mezzo di informazione e intrattenimento centrale per ogni società occidentale. Per molte categorie sociali di cittadini, questo strumento è il principale referente e contatto con il resto della società. Oggi i vari processi di decisione, di delega e di consenso politico sono fortemente influenzati dalle sue capacità comunicative. L’Italia è il paese europeo la cui centralità della televisione nella vita sociale e politica, si è affermata nel modo più impetuoso, facendo nascere una situazione anomala dei media italiani, rispetto a tutte le altre società europee, caratterizzata soprattutto dall’ altrettanto anomalo rapporto tra media e potere nel paese. In una società i rapporto dei media con il potere può seguire due vie. Quando i mezzi di comunicazione sono controllati da chi governa un paese si parla di contiguità, se invece svolgono il ruolo di “quarto potere”, rappresentando un servizio per i cittadini, si crea un rapporto di contrapposizione. Storicamente i media italiani si sono da sempre dimostrati come contigui al potere piuttosto che antagonisti. Questa tradizionale dipendenza dei media italiani dal potere è dovuta alla particolarità del sistema politico italiano, caratterizzato, sin dalla caduta del fascismo, dalla partitocrazia1, destituendo le istituzioni dello Stato da ogni decisione di importanza pubblica. Da un punto di vista politico e istituzionale, la storia della televisione italiana è anche caratterizzata da un vuoto legislativo: una caratteristica costante di una mancata 1 Il sistema politico-istituzionale fondato sulla occupazione dello Stato da parte delle burocrazie politiche dei partiti, ponendo le proprie segreterie al centro di ogni decisione. 1 regolamentazione delle politiche della comunicazione, che ha giocato a favore delle forme di comunicazione politica all’interno del media televisivo, permettendo di sfruttarne le potenzialità per trarne un appoggio popolare. Si può dividere la storia della televisione italiana in tre periodi. Il primo è il periodo dell’ancien regime2 televisivo, che va dal 1954 al 1975, periodo dell’ indiscusso monopolio statale sull’etere, attraverso la Rai, l’azienda radiotelevisiva pubblica. Il secondo che va dal 1975 anno della rottura del monopolio, in seguito alle liberalizzazioni attuate nel campo della comunicazioni con dell’avvento della televisione commerciale nella totale deregolamentazione, comprende la confusa formazione dei primi network nazionali privati finanziati dal traffico pubblicitario, determinando l’emergere del gruppo Fininvest di Berlusconi, fino alla costituzione del consolidamento del “duopolio” con la Rai, portato avanti fino ai primi anni novanta. Il terzo periodo è una fase di cambiamenti disorganica, cominciata all’inizio degli anni ’90, dovuta a fatti sia politici, come l’inchiesta “Mani pulite” portata avanti dai giudici della procura di Milano3 (un primo tentativo legislativo di regolamentazione dell’emittenza televisiva), che hanno forzato il padrone della televisione privata italiana a “scendere in campo”4 facendo politica in prima persona e cercando di regolare il sistema televisivo a proprio piacere, sia tecnologici, con l’entrata in campo (questa volta dei media) di un primo tentativo di pay tv su frequenze analogiche, poi satellitari, la 2 Nome attribuitogli da Ortoleva P. in Linguaggi culturali via etere in: Fare gli italiani. Scuola e cultura nell'Italia contemporanea, a cura di S. Soldani e G. Turi, Bologna, Il Mulino, (1993) 3 A cui seguì una inevitabile recessione economica prodotta dalla scoperta dei finanziamenti illeciti dei partiti. 4 L’espressione usata da Berlusconi, per comunicare attraverso il megafono delle sue reti televisive l’inizio della sua vita politica. 2 diffusione di internet alle masse popolari, la banda larga e ultima, la televisione digitale terrestre, che stanno segnando la fine dell’era del mezzo televisivo analogico. 2.1 La Rai durante l’ ancien regime: Il lungo periodo della nascita e diffusione del mezzo radiotelevisivo in Italia fu caratterizzato dall’ idea che l’ etere fosse un bene pubblico gestito dallo Stato che assegna ad una società pubblica l’autorizzazione a trasmettere programmi radiotelevisivi su tutto il territorio nazionale. Questa concezione di televisione pubblica si rifaceva al modello noto e imitato dalla maggior parte delle nazioni europee della BBC, basato sulla concezione di radiotelevisione come servizio pubblico. Eppure il modello di servizio pubblico televisivo della Rai ha una fondamentale differenza con quello degli altri paesi del vecchio continente: la distinzione tra la funzione di gestione da quella di controllo della azienda televisiva. In questi paesi la dirigenza della azienda televisiva pubblica si occupava esclusivamente della gestione ed era responsabile dell'andamento economico e della produttività dell'azienda, secondo i principi dell'economia di mercato e non diversamente da una qualsiasi azienda privata. Mentre la funzione di controllare che venisse rispettata la pluralità di accesso al media televisivo venne attribuita, grazie all'esistenza di una articolata legislazione regolatoria, a uno o più organi rigidamente distinti dal governo e nominati dal Parlamento. Al momento dell'esaurirsi di questo modello di servizio pubblico del regime di monopolio seguì nella maggioranza degli altri paesi europei una fase di liberalizzazione anch'essa regolata da una precisa normativa legislativa 3 e antitrust. Assai diverso fu il caso italiano. Si scelse fin dal periodo fascista, (per la radio) il modello del controllo pubblico attraverso le partecipazioni statali che attribuiva e tuttora attribuisce alla Rai la forma di società privata, nonostante la proprietà sia interamente dello Stato (attraverso la holding finanziaria Iri) che ne ha il controllo effettivo, ma senza i vincoli di una vera legislazione regolatoria5. Fino al 1975 insomma la direzione dell'unica azienda televisiva pubblica era nominata in teoria dall'azionista privato di riferimento, cioè l'Iri, ma in pratica dal governo che controllava l'Iri; il tutto in assenza di una legislazione regolatoria e di organi di controllo indipendenti. La caratterizzazione del monopolio televisivo italiano era la tendenza di un controllo politico senza vincoli legislativi, fortemente condizionata dal sistema politico, con il quale la Rai si è trovata ad essere costantemente in un rapporto di contiguità. Durante il regime di monopolio il mezzo televisivo fu utilizzato in maniera estremamente prudente. La televisione venne concepita come separata dal mercato, finanziata soprattutto dal canone (che fino agli anni Settanta rappresentava il 75% delle entrate Rai) e con un utilizzo della risorsa pubblicitaria fortemente minoritario e limitato 6. L'aumento del consumo televisivo venne portato avanti in maniera molto cauta e la pubblicità venne utilizzata in maniera assai inferiore alle potenzialità offerte del mezzo televisivo. Agli interessi economici e commerciali la Rai antepose da un lato interessi educativi (la programmazione tv) e dall'altro interessi politici (per non togliere risorse pubblicitarie alla stampa e quindi disturbare gli editori di quotidiani e 5 Monteleone F, Storia della radio e della televisione in Italia, Venezia, Marsilio (1992), pag. 168 Il Carosello era lo spazio apposito per gli annunci pubblicitari, con una precisa collocazione all’interno del palinsesto. Erano delle brevi storie della durata di qualche minuto, con l’imposizione che solo un terzo del messaggio fosse di carattere commerciale. 6 4 periodici che avevano rapporti amichevoli con il governo, che a sua volta controllava la Rai)7, con il risultato che nel periodo 1957-76 la media degli investimenti pubblicitari in tv non superò mai la quota del 12% dell'intero mercato pubblicitario, mentre la stampa si aggiudicava quote sempre superiori al 60%8. La prudente politica della Rai nello sviluppo del mezzo televisivo derivava dalla consapevolezza da parte dei quadri dirigenti dell'azienda dell'enorme forza comunicativa della televisione che poteva avere gravi conseguenze sulla stabilità sociale di un paese ancora in gran parte arretrato. Il risultato fu una politica culturale fortemente paternalistica e dirigistica. Non c'è dubbio che la Rai continuò ad essere paternalistica anche dopo che erano venute meno le condizioni sociali e culturali che potevano giustificare tale paternalismo. Bisogna tuttavia riconoscere che la Rai, almeno fino agli anni Settanta, ebbe un ruolo importante nella modernizzazione del paese. La programmazione televisiva fu concepita come strumento di promozione culturale di masse ancora scarsamente alfabetizzate, dialettofone più che italianofone, scarsamente acculturate e poco propenso alla lettura. Molti programmi (riduzioni teatrali, sceneggiati, rubriche, ecc.) nascevano da questi scopi genuinamente pedagogici e divulgativi9. I risultati di questa programmazione, paternalistica e dirigistica sì, ma nelle grandi linee corrispondenti alle condizioni sociali e culturali del paese, sono stati notevoli. Il ruolo del mezzo televisivo è stato centrale, 7 La scelta di non sfruttare le risorse della pubblicità in tv acquistava così il carattere di finanziamento occulto da parte del potere politico alla stampa. 8 Pilati A. La pubblicità dei mezzi di comunicazione in: La stampa italiana. (1994) pag. 246 9 Ortoleva P. Linguaggi culturali via etere in: Fare gli italiani. Scuola e cultura nell'Italia contemporanea, a cura di S. Soldani e G. Turi, Bologna, Il Mulino (1993) pag. 473 5 non solo in una maggiore unificazione linguistica dell'Italia, ma anche nell'impressionante uniformazione antropologica, notata per primo da Pier Paolo Pasolini, che il paese ha attraversato nel dopoguerra e che ha portato ad una forte attenuazione delle differenze regionali e locali nei comportamenti sociali degli italiani10. Omologazione antropologica che la televisione commerciale in seguito ha ulteriormente e rapidamente accentuato. Non c'è dubbio che la tradizione culturale del cattolicesimo si istaurò solidamente all'interno della Rai e improntò la politica culturale dell'azienda per tutti gli anni Cinquanta e Sessanta ad un'ideologia moderata di stampo cattolico (addirittura clericale almeno fino alla metà degli anni Sessanta). Non furono pochi gli episodi di tipo "oscurantista" e censorio per dimostrare come il controllo della DC e della Chiesa sulla Rai fosse totale11. Non si può negare che vi siano stati episodi di questo tipo, soprattutto nel settore dell'informazione e per quanto riguarda la morale sessuale, ma non si può ridurre tutta la politica culturale della Rai al puro integralismo cattolico. Anche per quanto riguarda l'aspetto culturale, i rapporti tra Rai e potere non furono così schematici come spesso vengono dipinti. Forse è più equilibrato affermare che la Rai degli anni Cinquanta e Sessanta rappresenta nel bene e nel male il più importante progetto culturale elaborato dal pensiero cattolico nell'Italia 10 Citato da De Mauro T. Storia linguistica dell'Italia unita, Bari, Laterza. (1963). pag. 63 Il primo caso di censura "storica" riguarda la coppia di comici Raimondo Vianello e Ugo Tognazzi: in una popolare trasmissione dal titolo Un, due, tre, i due prendono in giro il Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi che, durante una serata di gala con il Presidente francese Charles de Gaulle, si era seduto male su una sedia ed era caduto per terra. Nel 1960 viene allontanato dalla televisione il presentatore Enzo Tortora: in una sua trasmissione l'imitatore Alighiero Noschese aveva scherzato su Amintore Fanfani, potente uomo della Democrazia Cristiana. Un clamoroso caso di censura riguarda Dario Fo: insieme a Franca Rame, nel 1962, è conduttore e autore dei testi del varietà Canzonissima, probabilmente la più famosa trasmissione della televisione italiana di tutti gli Anni 11 6 moderna; un progetto che affonda le sue radici nella tradizione "comunicativa" del cattolicesimo. Mentre dall’altra parte, gli intellettuali di sinistra rifiutavano il mezzo televisivo nel nome di una cultura aristocratica, lo confermano le parole di Alberto Moravia quando affermò una volta che "l'Italia televisiva era una sottoitalia, un Italia di serie B"12 ), la Chiesa per prima intuì le enormi potenzialità educative del nuovo mezzo e cercò di sfruttarle secondi i principi necessariamente paternalistici e dirigistici di un'istituzione per sua natura autoritaria e poco propensa alla pluralità delle opinioni. Dopo il 1960 il nuovo amministratore delegato fu Ettore Bernabei, legato alla corrente fanfaniana della Dc, che rimase fino alla riforma del 1975. Nel novembre 1961 iniziarono la trasmissioni del secondo canale, che non aveva autonomia produttiva ma serviva all’ampliamento di un’unica offerta. Nel 1964, con i primi governi di centro-sinistra, giunsero amministratori, dirigenti, giornalisti socialisti e si cominciò a delineare quella sarà chiamata da Alberto Ronchey in una lettera del 1968 a Ugo La Malfa, nella quale rifiutava con lungimiranza una candidatura nel Cda della Rai, la "lottizzazione"13: la spartizione non trasparente di cariche e responsabilità tra i partiti e l’attribuzione di esse per meriti di partito, in cui si sostanzia il rapporto tra la Rai e la politica. Nel 1974 Bernabei lasciò la Rai; due sentenze della Corte costituzionale (225 e 226, entrambe del 1974) permisero la ripetizione dei segnali esteri e la tv via cavo in ambito locale. Nel 1975 il Parlamento approvò la Sessanta. Le sue scenette sulla mafia e sulle fabbriche (in particolare quella che parla di incidenti sul lavoro) non piacciono ai vertici della RAI. I due sono costretti ad abbandonare la trasmissione. 12 Grasso A. Storia della televisione italiana, Milano, Garzanti (1992). Pag. 43 13 Enrico Menduni, Televisione e società italiana, Milano, Bompiani (2002). Pag. 127 7 riforma della Rai con la legge n 103, nel tentativo di stabilire norme precise nel settore. oltre a riaffermarsi il monopolio di stato sulle trasmissioni, veniva trasferito il controllo nominale della Rai dal governo ad una commissione parlamentare composta da 40 membri di tutti i partiti in rapporto alla loro rappresentanza in parlamento. Si sarebbe fatta una terza rete televisiva e il decentramento; reti e testate giornalistiche diventavano autonome; la Rai garantiva l’accesso ad associazioni e partiti; la televisione via cavo (un pericolo per il monopolio) fu di fatto impedita. La Rai restava monopolio, ma il controllo su di essa passò dal Governo al Parlamento; erano i partiti, di fatto, a nominare i vertici dell’azienda. La legge decretò così una forma di controllo politico fondata sulla "spartizione di partito" che portò ad un ulteriore arroccamento della pratica della lottizzazione14. La lottizzazione fu una specie di accordo reciproco grazie al quale ad ogni partito si consentì di inserire un certo numero dei suoi membri nei posti chiave. I posti sono determinati in base agli interessi di partito, con lo scopo di esercitare un'influenza politica diretta sia sulle trasmissioni delle notizie che sulle decisioni riguardanti la programmazione, l'acquisto ed il contenuto dei programmi. E' opinione diffusa nella pubblicistica, soprattutto di sinistra, che fino all’entrata in vigore della riforma del 1975 si sia trattato di una pura e semplice "occupazione" della Rai da parte del potere politico, in particolare da parte dell'area maggioritaria di centro raccolta intorno alla Democrazia Cristiana (DC) che, come si sa, ha controllato il paese 14 Per cui Rai Uno la rete ammiraglia, soprattutto a partire dalla riforma del 1975, era controllata dalla DC e Rai Due dall'alleato di governo, il Partito Socialista (PSI). A partire dal 1979 con la creazione di Rai Tre anche all'opposizione comunista (PCI) fu riconosciuto il controllo di una rete che però aveva una minor copertura del territorio nazionale dovuta al minor numero di ripetitori. 8 ininterrottamente per quarant'anni. E' comune l'immagine della Rai come di uno strumento propagandistico nelle mani del regime DC. Se da una parte non si può negare che ci sia stata un'influenza governativa sulla televisione, dall'altra bisogna dire che ad accentuare troppo questo aspetto si corre il rischio di dare un'immagine deformante dei rapporti tra i due sistemi. I rapporti tra potere politico e televisione sono stati molto più articolati e complessi di quanto si pensi in genere. Infatti la contiguità tra televisione e sistema dei partiti non è servita solo a quest'ultimi, ma spesso anche alla Rai stessa. Il rapporto privilegiato con il potere ha permesso alla Rai di ottenere, da una parte finanziamenti pubblici incontrollati e, dall'altra, di usare il referente politico come arbitro e negoziatore dei conflitti interni all'azienda e come fonte di legittimità all'esterno al momento dell'avvento della televisione commerciale. La stessa famosa e famigerata "lottizzazione" non deriva solo dalla volontà dei principali partiti di occupare le posizioni più forti nel sistema televisivo, ma è stato anche un sistema funzionale alle esigenze dei burocrati e dirigenti Rai per regolare rapidamente i conflitti di gerarchia all'interno di una grande azienda pubblica come la Rai, un rinnovo del patto che la legava ai partiti, alle istituzioni politiche che l’avevano generata, per giustificare e rafforzare la sua legittimità di azienda pubblica. La Rai cresceva in numero di abbonati e di dipendenti, ma si era diffusa la convinzione che non riusciva a seguire l’evolversi della società italiana. Il dilemma se diventare "più azienda" o "più aperta alla società" venne sciolto dalla politica: nel 1972 la scadenza della convenzione Stato-Rai è accompagnata da grandi discussioni sulla riforma, mentre in Italia cominciano ad essere ricevute televisioni straniere (Capodistria, 9 Montecarlo, Svizzera Italiana) e nascono televisioni private semiclandestine (Telebiella). 2.2 La nascita delle TV private La fine del regime di monopolio e l'avvento della televisione privata avviene in Italia in un periodo di grandi cambiamenti economici, sociali e culturali15. In seguito al boom economico del decennio precedente che scatenò un processo di rapida modernizzazione, il paese si trovò ad essere la settima potenza economica mondiale. A questo grado di benessere elevato conseguì un cambiamento dei consumi degli italiani. I beni primari comprendevano solo una parte delle entrate complessive delle famiglie, per questo motivo il costo di un prodotto non era più la principale ragione di acquisto di un determinato bene. Ottennero sempre più valore motivazioni di tipo emotivo, culturale e qualitativo, più influenzabili dalla pubblicità. La società si era laicizzata (divorzio, aborto, consumismo) e si affermò una maggiore consapevolezza dei diritti dell'individuo. Cambiò la mentalità dell’ italiano medio, che cominciò a sentire sulla propria pelle la presenza opprimente di un monopolio televisivo con un controllo governativo dell’informazione. L’identità della televisione pubblica venne sentita sempre più illiberale, associata da sempre alla chiesa e ad C’è chi fa risalire quella svolta storica alla seconda metà degli anni Settanta, quando il sistema mondiale era nel pieno di una crisi da sovrapproduzione aggravata dagli effetti del dopo guerra del Kippur. A questo eccesso di produzione non corrispondeva un’adeguata domanda. Fu allora che la International Advertising Association, una specie di Confindustria mondiale delle agenzie di pubblicità, si impegnò a far crescere a dismisura spazi e formati radio televisivi, lo strumento indispensabile a realizzare quella impennata dei consumi nella parte più sviluppata del mondo, in particolare in Europa. Erano gli anni dell’attacco al sistema radiotelevisivo pubblico in Francia, in Germania, in Spagna e in Italia 15 10 un paese, quello del dopoguerra, la cui identità non corrispondeva più alle nuove esigenze degli italiani. Le innovazioni nel campo dell'elettronica che cominciarono ad essere sperimentate in quegli anni in Europa (colore, tv via cavo, satellite, videoregistrazione) erano nuovi orizzonti nel mercato dei media e delle telecomunicazioni. Strade che ogni Paese avrebbe dovuto affrontare per non rimanere indietro in un settore determinante per lo sviluppo economico e sociale. Tutti questi elementi portarono alla fine del monopolio di Stato sull'etere. Nacque un nuovo modo di fare televisione, un modo che gli italiani avrebbero fatto subito loro: la tv commerciale. Qui la vicenda, abbastanza omogenea e compatta, delle televisioni europee si divise: alcuni paesi riuscirono a utilizzare le nuove tecnologie che si rendevano disponibili, in particolare il cavo e presto il satellite, per diversificare i compiti del servizio pubblico e quelli dei privati, altri non ci provarono nemmeno. I vent’anni che seguirono movimentarono notevolmente il paesaggio televisivo europeo, introducendo elementi di discontinuità rilevanti proprio quando le istituzioni della Comunità cominciavano a premere per una unificazione politica. La strada che fu intrapresa, sia pure con insufficienze ed errori, da parte di Germania e Inghilterra e, in modo meno consapevole ed efficace, dalla Francia, fu quella di differenziare per quanto possibile il servizio pubblico radiotelevisivo dall’emittenza privata. Si trattò di indirizzare i privati verso le tecnologie del cavo e del satellite e la tv a pagamento, tenendoli al massimo lontani dalla tradizionale tecnologia via etere, riservata ad una televisione "generalista" e tendenzialmente gratuita, che poteva successivamente essere privatizzata - come avvenne in Francia - a particolari condizioni e garanzie. 11 In Italia invece non si riuscì nel tentativo di aggiungere alla televisione via etere altre modalità di trasmissione. La nuova sentenza della Corte Costituzionale che capovolgeva quella del 75, riconosceva le ragioni delle lobbies private e decretava che il monopolio Rai era costituzionalmente valido solo a livello nazionale. Era consentito quindi l'istallazione delle reti private e la trasmissione locale, in assenza di una legge che disciplinasse le stazioni private, che nacquero un po’ ovunque senza che nessuno potesse dire con certezza in che cosa consistesse l'"ambito locale", cosicché le tv locali tendettero a ingrandirsi (visto anche che nessuno la controllava) e ad allearsi fra loro; solo i soggetti più forti cominciarono ad affermarsi. Infatti, se la storia delle prime radio libere fu assolutamente positiva, nel caso della tv, gli altissimi costi di acquisto e di gestione, uniti al fatto che le stazioni private erano in concorrenza con la Rai, vollero che gli operatori con pochi capitali furono tagliati fuori dall'inizio e che quindi la tendenza alla concentrazione economica divenne pressochè inevitabile. E' un processo che avviene più o meno contemporaneamente in tutta Europa, ma la situazione italiana è caratterizzata anche dal persistere della sua anomalia: l'incapacità storica, anche in questa situazione, di legiferare in materia per poter garantire una libertà e indipendenza dell’informazione, nel passaggio da un sistema di monopolio dei media elettronici a un sistema misto pubblico-privato. Il persistere di questa situazione, priva di una legislazione appropriata16, è dovuto al complesso e violento sviluppo dello scontro di interessi nel mondo della politica e dell’industria dei media, tra tutti i soggetti che si Il vuoto legislativo rimarrà fino al 1991, con l’entrata in vigore della legge 223/1990, la legge Mammì, dal ministro firmatario. 16 12 fronteggiano all’interno dei due settori. L’equilibrio tra industria, media e partiti viene rivoluzionato. Con l’aumentare del numero delle possibilità dei media comincia a diminuire il valore dei partiti sul mercato dei media, mentre aumenta in maniera proporzionale il potere dell’ imprenditore che controlla il media, attraverso la decisione di come e a chi metterlo a disposizione. In questo modo, la televisione commerciale estende la possibilità dell’ informazione e dell’accesso dei politici italiani sullo schermo; accesso prima limitato alla sola televisione pubblica per molti anni controllata esclusivamente dei partiti di governo e poi "lottizzata" tra le maggiori forze politiche. Venuti a questo punto il potere politico, comprendendo di non potere più controllare il monopolio dell'informazione, si accorse che non sarebbe stato sufficiente una legislazione nel settore attraverso una serie di regole valide per tutti per mantenere un controllo stabile dell’ opinione pubblica del paese attraverso il mezzo televisivo. La forzata decisione ad abbandonare il monopolio viene accettata, ma solo se sostituita con qualcosa di nuovo che permetta di rinnovare il comando della classe politica sulla società civile, attraverso un nuovo intreccio di interessi. Invece che legiferare nel settore cercando una serie di regole valide per tutti, decide sì di abbandonare il monopolio, ma di sostituirlo con qualcosa di nuovo che possa, attraverso un rinnovato intreccio di interessi, ricostruire il predominio della classe politica sulla società civile e di uno schieramento politico sull'altro. Una politica di non intervento legislativo garantiva la possibilità di potersi assicurare per i propri fini i vari imprenditori che lottavano per ottenere il predominio sul mercato televisivo commerciale. 13 Il processo di “liberalizzazione” dell’etere Italiano è quindi di natura selvaggia: la prima fase che dura fino al 1980, consiste nella veloce proliferazione di una moltitudine di televisioni private a carattere locale (circa 700 nel 1979), rese possibili dalla sentenza della Corte Costituzionale che dapprima (1974) afferma la legittimità delle radio e televisioni locali via cavo e poi (1976) anche di quelle via etere (sempre locali)17. La televisione privata comincia ad attirare pubblicità e a sconvolgere il precario equilibrio che si era stabilito tra i bilanci pubblicitari degli altri media. Tra gli imprenditori che cercarono di conquistare l’etere televisivo ci furono anche i più grandi gruppi editoriali italiani che tentarono di espandersi anche nel settore dei media elettronici per diventare così grandi gruppi multimediali. Ma fu Berlusconi, un’allora sconosciuto impresario edile milanese, che per primo capì che andava abbandonata quell'atmosfera locale e libertaria tipica dei primi anni della radio e televisione privata e andava invece costruito un modello di rete tv nazionale coerentemente commerciale, fondato non sulla produzione di programmi ( troppo costosi e sui quali la concorrenza con la Rai era ancora inaffrontabile), ma sulla produzione di pubblico ottenuta attraverso un intelligente sfruttamento della pubblicità: la pubblicità era infatti l'anima e il motore della televisione privata. Era vitale avere il controllo di tutte le attività connesse ad una televisione commerciale (macchinario tecnico, magazzino programmi, raccolta pubblicità) in modo da non dovere dipendere da altri. Soprattutto la 17 Menduni E. La più amata dagli italiani. La televisione tra politica e telecomunicazioni, Bologna, Il Mulino (1996). Pag. 133. 14 vendita degli spazi pubblicitari non poteva essere delegata ad altri che avrebbero così finito per controllare l'impresa. 2.3 L’Impero Fininvest Dal 1980 cominciò una nuova fase dello sviluppo delle televisioni private in Italia, quella della formazione dei primi networks nazionali privati. Non era facile dal punto di vista economico sopravvivere come televisione. Si poteva trasmettere solo in ambito locale, i costi delle frequenze erano notevoli e gli investitori pubblicitari non si lanciavano in un settore nuovo, ancora troppo costoso. Anche per i grandi gruppi editoriali che si erano lanciati nel nuovo mercato della comunicazione televisiva, i costi sembrano essere inaffrontabili. Nel 1974 Berlusconi comparve sulla scena televisiva. Iniziò quasi per gioco, con una TV via cavo che trasmetteva ricette di cucina per le giovani mogli dei manager rampanti di Milano 2, un quartiere costruito dalla sua azienda immobiliare, la Edilnord18. Dal 26 Gennaio del 1978 Berlusconi risultò iscritto alla loggia P2, con la tessera numero 1816. Nell'ancora segreto programma piduista messo a punto tra il 75 ed il 76, noto come "Piano di rinascita democratica" era infatti prevista l'immediata costituzione della TV via cavo" che avrebbe poi dovuto essere impiantata a catena in modo da controllare la pubblica opinione media nel vivo del Paese"19. 18 19 Travaglio M. Veltri E. L’Odore dei soldi,Roma, Editori Riuniti (2001). Pag. 21 Cecchi A. Storia della P2, Roma, Editori Riuniti (1985). Pag. 32 15 Nello stesso anno, Berlusconi lasciò la tv via cavo ed entrò nell'etere milanese acquistando i diritti per la frequenza del canale 58, fondando telemilano 58, attraverso l'azienda Fininvest, una holding nata grazie a due fiduciarie della Bnl, la Servizio Italia e la Saf20. Attraverso l'acquisto di più frequenze locali sul territorio nazionale, cominciarono a svilupparsi i primi network privati. Tra il 1979 e l’80, si costituirono: Rizzoli (Pin, Prima rete indipendente, con un Tg affidato a Maurizio Costanzo, "Contatto"), Rusconi (Italia 1), Mondadori (Retequattro), Peruzzo (Rete A), mentre Berlusconi (Fininvest) acquistò frequenze in tutta Italia per ripetere il segnale della sua emittente Canale 5, già Telemilano. Tra il giugno ed il luglio del 79 Berlusconi comprò dalla Titanus 300 film mai trasmessi in televisione per due miliardi e mezzo, stipulò ulteriori contratti con altre case produttrici italiane ed estere, acquistando cortometraggi, telefilm e serials21. Tutto il materiale acquistato venne poi utilizzato per quella che in tutta evidenza sembrava essere la puntuale attuazione del progetto piduista: contattate numerose emittenti televisive di altre località Berlusconi offrì loro la cessione di film, documentari e serials, a condizione che entrassero a far parte di un circuito di televisioni controllato dallo stesso Berlusconi; il piano della P2 infatti prevedeva l'istituzione di una agenzia per il coordinamento della catena delle TV locali. Alle emittenti che entravano nel suo circuito, Berlusconi offriva film a prezzi ridottissimi. In cambio esse si impegnavano a trasmettere pubblicità fornita dalla neonata Publitalia, la concessionaria di pubblicità del gruppo Fininvest, fondata con Marcello Dell'Utri nel 1980, che segnò la prima svolta decisiva per Berlusconi. 20 21 Travaglio M. Veltri E. L’Odore dei soldi,Roma, Editori Riuniti (2001). Pag. 38 Ibidem. Pag. 46 16 Ben presto infatti il mercato dimostrò di non aver dimensioni abbastanza ampie per alimentare tante reti nazionali in competizione. L'efficienza della raccolta pubblicitaria diventa perciò il fattore determinante per la sopravvivenza e il successo. E Publitalia si rivelò un efficientissima macchina pubblicitaria. Nel giro di tre anni triplicò il fatturato e sorpassò la Sipra, la concessionaria di pubblicità della Rai, ottenendo il 43% dell'intero mercato pubblicitario22. Ma nessuna fra tutte le reti commerciali potè trasmettere su scala nazionale perché una serie di sentenze della Corte Costituzionale preclusero alle imprese private la possibilità di gestire in qualsiasi modo attività televisive aventi carattere nazionale. Ma l’ articolo 30 prevedendo già la possibilità di aggiramento del carattere locale dele trasmissioni, vietò la cosiddetta “interconnessione” tra reti, per la trasmissione di programmi in contemporanea23. Nell'estate 81 in attesa di un'ennesima sentenza della corte costituzionale nel settore, Berlusconi dichiarò che non si poteva fare televisione se non si fosse collegati con tutto il paese e con l'estero; la corte si pronunciò ribadendo il limite per le televisioni locali a trasmettere solo in ambito locale. Per aggirare questa sentenza, Berlusconi fece registrare i programmi su videocassetta e li trasmetteva contemporaneamente dalle varie frequenze delle stazioni locali che formavano il suo network, canale 5. Nel giro di 4 anni il gruppo Fininvest riuscì a prevalere sui grandi gruppi editoriali come Rusconi e Mondatori che, in omaggio all’immagine di antiche e prestigiose imprese culturali erano rimasti il più possibile 22 Monteleone F. Storia della radio e della televisione in Italia, Venezia, Marsilio (1992). 17 nell’ambito della legalità, auspicando sinceramente un intervento legislativo nel settore, mentre il loro principale concorrente faceva di tutto per mantenere inalterata la situazione di vuoto legislativo. L’operazione di Berlusconi (che si fonda su un’autonoma raccolta pubblicitaria, su un largo magazzino di programmi d’acquisto e sulla qualità tecnica del segnale) si rivela più efficiente; Rizzoli viene travolto dallo scandalo della loggia massonica P2, e cessò di trasmettere, Rusconi e Mondadori vendettero le loro reti a Berlusconi, rispettivamente nel 1982 e 1984, prima che la voragine dei loro debiti inghiottisse le aziende editoriali che le avevano costituite sperando di realizzare nuovi profitti24. Ma il raggiungimento di questa posizione fu dovuto soprattutto alla spregiudicatezza con cui il gruppo Fininvest utilizzò l'arma della raccomandazione politica; dapprima per raggiungere una posizione di predominio sul mercato e poi per mantenere quella posizione e tener fuori dal settore altri forti gruppi concorrenti. L'appoggio col potere accordato in quegli anni dall'allora segretario del PSI Bettino Craxi fu infatti decisivo. L'episodio più spettacolare avviene nel 1984: pretori di Torino, Roma e Pescara, facendo valere la legge 103 del 1975, sequestrarono gli impianti che consentivano le trasmissioni illegali. Ai programmi ed alla pubblicità si sostituì uno schermo rosso che annunciava il sequestro. Bettino Craxi, allora presidente del consiglio, nel volgere di sole 24 dal sequestro dei pretori, il 18 ottobre 1984, fece emettere dal Consiglio dei ministri un decreto legge25 che disponeva la Sarà appunto il trucco dell’interconnessione a permettere a Silvio Berlusconi, in palese violazione della legge, di creare il suo impero televisivo. 23 la Mondatori dovette cedere Retequattro in seguito a perdite di 200 miliardi di lire in 2 anni. 1. Disposizioni generali. 1. La diffusione sonora e televisiva sull’intero territorio nazionale, via etere o via cavo o per mezzo di satelliti o con qualsiasi altro mezzo, ha carattere di preminente 24 25 18 riapertura immediata delle tv di Silvio Berlusconi. Il successivo 28 novembre, tuttavia, il decreto venne respinto dalla camera perché incostituzionale. Esso infatti era in violazione dell'art. 43 della Costituzione. Craxi, con insolita insistenza, il 6 dicembre ripresentò esattamente lo stesso decreto che, dopo la minaccia di crisi di governo, venne approvato. Ben tre ministri si dimisero in segno di protesta. 3.4 Il duopolio Rai Fininvest: la nascita della neotelevisione26 L'avvento della televisione privata e il rapido affermarsi in questo settore di unico soggetto egemone, la Fininvest, con tre reti a sua disposizione, gettarono la Rai nella prima metà degli anni Ottanta in una profonda crisi di identità. Costretta per la prima volta a fronteggiare una concorrenza, la Rai si trovò a vivere una grande contraddizione come quella di essere un servizio pubblico costretto a misurarsi per la prima volta con una concorrenza, ma in assenza di qualsiasi normativa generale del sistema radiotelevisivo. Se all'interno l'azienda poteva ancora obbedire alla logica del servizio pubblico, verso l'esterno non poteva non accettare, pena la sua scomparsa, la concorrenza della televisione commerciale. Nel 1983 interesse generale ed e` riservata allo Stato. 3. Norme transitorie.1. Sino all’approvazione della legge generale sul sistema radiotelevisivo e comunque non oltre sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, e` consentita la prosecuzione dell’attivita` delle singole emittenti radiotelevisive private con gli impianti di radiodiffusione gia` in funzione alla data del 1o ottobre 1984, fermo restando il divieto di determinare situazioni di incompatibilita` con i pubblici servizi (Tale termine è stato ulteriormente prorogato al 31 dicembre 1985 con Decreto Legge 1° giugno 1985, n. 223, convertito in legge con L. 2 agosto 1985, n. 397 recante “proroga dei termini in materia di trasmissioni radiotelevisive”). 2. Ai fini di quanto previsto dal precedente comma 1 sono provvisoriamente consentiti, per ogni singola emittente, ponti radio tra i propri studi di emissione, i rispettivi trasmettitori e tra gli stessi ed i ripetitori con le caratteristiche tecniche in atto.3. È consentita la trasmissione ad opera di piu` emittenti dello stesso programma pre-registrato, indipendentemente dagli orari prescelti 26 Termine coniato da Umberto Eco in Eco U. Sette anni di desiderio, Milano, Bompiani (1983). 19 Canale 5 aveva superato per la prima volta in una serata l'ascolto cumulativo Rai e, anche se il dato fu sottoposto a contestazione, resta il fatto che in sei anni i telespettatori delle televisioni private erano quadruplicati, mentre quelli della Rai erano diminuiti di un terzo27. Scoppiò così la "guerra dell'ascolto" tra Fininvest e Rai, combattuta a suon di miliardi di lire per accaparrarsi i migliori indici di ascolto e le star più famose. La Rai si pose sullo stesso terreno della tv commerciale espandendo la programmazione dei generi d'intrattenimento più graditi al pubblico medio (fiction, varietà, talkshow, ecc). Diminuì drasticamente la quantità di trasmissioni autoprodotte utilizzando quote sempre maggiori delle sue risorse finanziarie nell'acquisto di prodotti stranieri (in gran parte americani) e di diritti di trasmissione di eventi (sportivi, musicali, ecc.). Il tutto mentre la programmazione culturale venne confinata per ragioni di concorrenza in orari notturni, nonostante le ripetute assicurazioni da parte della dirigenza che l'azienda prendeva molto sul serio i suoi doveri di servizio pubblico. Si trattò di una politica ambigua che contribuì a trasformare la Rai in una specie di tv commerciale e a rendere sempre più simile tra di loro la programmazione Rai e quella Fininvest, ma che avrebbe pagato in termini di ascolto. La caduta degli indici d'ascolto Rai all'apparire del concorrente Fininvest, dalla fine degli anni Ottanta venne bloccata, la Rai recuperò in gran parte la sua posizione, impedendo così ad altri concorrenti (oltre la Fininvest) di consolidarsi nel settore televisivo. 27 Il duopolio si era ormai Monteleone F. Storia della radio e della televisione in Italia, Venezia, Marsilio (1992).p. 445. La rilevazione dell'ascolto, con la conseguente determinazione del valore degli spazi pubblicitari, è stato nei primi anni di vita del duopolio un punto di continua rissa tra i vari soggetti presenti sul mercato dei media. Solo nel 1984 viene costituita da Rai, Fininvest, Upa (utenti pubblicità) Assap (Associazione agenzie pubblicitarie), Frt (Federazione radio tv) e Fieg (Federazione editori giornali) la società Auditel con il compito di rilevare gli indici d'ascolto. 20 completamente affermato: le due società si spartivano più del 90% delle risorse televisive e il 90% dell'ascolto, non c’era spazio per altri network. Tuttavia l'assetto a due si manifestò essere una strategia capace di mantenersi stabile anche con una indipendenza crescente da protezioni politiche, in parte per una relativa abbondanza di risorse, ma soprattutto per la capacità di risultare essere un servizio gradito alle famiglie italiane visto il netto aumento del consumo televisivo che si verificò negli anni ‘8028.Gli italiani videro in tale assetto un'espansione dell’intrattenimento rispetto al vecchio monopolio, un modo attraente che poteva soddisfare le esigenze sentite di identificazione sociale e di appartenenza nell'Italia industriale e urbana uscita dalle fatiche e dalle migrazioni, caratterizzata da un vivo e agitato benessere di cui molti godevano e in cui quasi tutti si riconoscevano. Il sistema della comunicazione ha saputo stimolare processi di affezione degli spettatori alle loro opportunità televisive di intrattenimento quotidiano, in cui hanno visto un naturale prolungamento della propria esperienza familiare e affettiva29. Questo ha consentito alle due televisioni di stabilire gradualmente un rapporto diretto con il pubblico attraverso i personaggi che apparivano sullo schermo, supportati da una complessa macchina scenica; facendo progressivamente a meno di padrinaggi o mediazioni di tipo politico, e costituendo attorno al fenomeno televisivo un campo di attrazione popolare che cominciava a prendere il posto della democrazia si espanse fino a coincidere in più punti con la democrazia formale. 28 Il consumo televisivo cresce del 37,7% se si considera la fascia oraria tra le 12 e le 23 e del 36,1 nel "prime time", fascia pregiata tra le 20,30 e le 23. La platea media in questa fascia passa dagli oltre 16 milioni di spettatori ai 22,6 milioni del 1990. C. Spada, La televisione, in: Rapporto sull'economia della cultura in Italia, 1980-1990, a cura di C. Bodo, Roma, Presidenza del consiglio dei Ministri, 1994, p. 596. 21 Al di là delle dichiarazioni di facciata, che la stampa di allora riportava come una concorrenza sfrenata tra le due società, in realtà sulle questioni strategiche Rai e Fininvest ebbero fin dall'inizio un comportamento convergente più che antagonistico. Per esempio nel campo vitale della copertura del segnale (ripetitori e satelliti necessari per la distribuzione dei segnali Fininvest e quindi settore vitale per la sua esistenza), nella gestione degli eventi sportivi e dei diritti relativi e nella astensione da parte della RAI di intraprendere le vie legali per difendersi da una certa “concorrenza sleale”, si registrò quasi da subito una discreta cooperazione. Ultimo dato che ha testimoniato questa complicità tra le due aziende è stata la dichiarazione di Enrico Manca, parlamentare del PSI, che nell’aula del tribunale di Milano, ammise che nel periodo dal 1986 al 1992, quando era presidente della RAI, si era fatto costituire e gestire un conto dall’avvocato principale della Fininvest, Cesare Previti30. A differenza di una parte consistente del mondo politico e della vita culturale, la Rai infatti sembrò capire molto rapidamente che tornare indietro al regime di monopolio non solo non era più possibile, ma nemmeno auspicabile per l'azienda pubblica. Alla dirigenza Rai infatti non sfuggiva che tutto il sistema televisivo italiano (Rai compresa) godeva delle ricadute economiche rappresentate dall'aumento delle risorse pubblicitarie nel mercato televisivo, risorse sottoutilizzate durante il regime di monopolio. Non solo, ma l'enorme aumento di inserzionisti pubblicitari in televisione era soprattutto merito della strategia aggressiva che un forte gruppo nazionale come la Fininvest aveva creato grazie alla sua concessionaria Publitalia, cosa altrimenti difficile da realizzare per la 29 R. Porro, M. Livolsi, Le agenzie di socializzazione: i mass media, in: La sociologia. Problemi e metodi, a cura di M. Livolsi, Milano, Teti, (1981) pag. 189. 22 Sipra, visti i suoi doveri e i suoi vincoli politici di concessionaria della tv di stato. Infine la presenza di un forte competitore sul mercato, consentiva alla Rai di giocare al rialzo con i suoi interlocutori istituzionali e con il potere politico per ottenere condizioni più favorevoli. Anche per la Fininvest era comodo avere n concorrente forte come la Rai che costituisse un prezioso punto di riferimento e di emulazione e da cui si potessero ingaggiare personaggi già popolari che dessero legittimità all'azienda, come Mike Buongiorno, leggendario presentatore di quiz televisivi fin dagli anni Cinquanta, il primo a passare alla Fininvest, valorizzando la legittimità della tv privata. Fu un confronto tra due tipi di televisione con rispettivi toni, linguaggi forme e contenuti, che gli italiani furono ben capaci di distinguere, di coglierne le differenze ed esprimere le sue preferenze: il pubblico italiano si era orientato in prevalenza verso l'offerta Rai per soddisfare esigenze di attualità e di approfondimento culturale e informativo e verso la Fininvest per ricavarne storie raccontate e svago. La grande trasformazione degli anni Ottanta rivoluzionò il modo di fare televisione in Italia e l’allontanò anni luce dal modello televisivo del periodo monopolistico: con la Fininvest, dunque, si aprì una fase di americanizzazione della televisione italiana, in cui fare televisione commerciale significava sostanzialmente vendere spazi agli inserzionisti, realizzando una tv generalista: che cercava cioè, alternando i programmi e i temi più vari e rivolgendosi a tutte le età e a tutte le categorie sociali, di raccogliere in ogni momento la più alta percentuale di pubblico, per poterla vendere più efficacemente ai pubblicitari. 30 Dagli atti del processo toghe sporche-Sme: procedura penale 1600/00 in data 20/05/2002. 23 Innanzi tutto l'offerta televisiva era esplosa. In dieci anni (1980-90) le ore di trasmissione giornaliere erano passate da 6.000 a 34.000 e gli orari di trasmissione si erano andati velocemente dilatando fino a raggiungere le 24 ore su 24. A un massiccio aumento di offerta televisiva seguì un altrettanto massiccio aumento di consumo tv: nel 1993 ogni italiano guardava la televisione per 3 ore al giorno (con punte di 4 tra i giovani e le casalinghe) contro le 2 e mezza del 197731. Ma soprattutto aumentò in maniera esplosiva la presenza della pubblicità in televisione. Mentre la televisione monopolistica finanziava la sua programmazione attraverso il canone, che è una tassa sul possesso dell'apparecchio tv indipendente dal consumo effettivo di programmi, la tv commerciale sembrava in apparenza produrre programmi che il consumatore può fruire gratuitamente. In realtà questi venivano diffusi gratuitamente in cambio dell'attenzione del telespettatore (che era anche un consumatore); cioè in cambio del tempo che esso passava davanti al televisore. Questo tempo definito "ascolto" (audience)- venne venduto dalla rete tv sul mercato come spazio pubblicitario. Naturalmente era in ultima istanza il telespettatore/consumatore che, acquistando poi i prodotti pubblicizzati in televisione, pagata anche il costo dell'inserto pubblicitario e quindi del programma in cui tale spot è inserito, ma era un pagamento che non si vede, occultato e dilazionato nel tempo, che lasciava al telespettatore l'impressione di poter ogni sera scegliere di vedere qualcosa gratis. In questo modo si spiegò l'aumento di consumo televisivo negli anni Ottanta. 31 Annuario Rai 1991-2 24 Le nuove condizioni del consumo televisivo hanno cambiato totalmente il modo di fare televisione. Non più un consumo di programmi solo in certi momenti della giornata, ma un consumo costante di brevi segmenti narrativi, organizzati in un flusso senza inizio nè fine: la televisione consumata come "tv" più che come programma. A una televisione concepita per promuove la qualità del consumo e per produrre programmi si sostituì così un vorticoso aumento di immagini apparentemente causali, ma in realtà regolate da un preciso ordine marketing oriented. Per legittimare la sua presenza (e quindi poter vendere spot pubblicitari agli inserzionisti) la neotelevisione ricerca sempre "il massimo ascolto". In una situazione di accesa concorrenza dove è lo spettatore che decide con il suo telecomando il successo o il fallimento di un programma, l'indice d'ascolto è indice di successo e quindi di legittimazione non solo per i singoli programmi e personaggi ma anche per i vari canali televisivi. Questo vale anche per la Rai, che nonostante sia finanziata in gran parte dal canone, ha bisogno di creare programmi di successo e quindi "ascolto" per legittimare davanti al pubblico la pretesa di farsi pagare per un servizio che altri, almeno apparentemente, offrono gratis. Il risultato è una accessa concorrenza tra reti tv, tra programmi e tra i vari divi televisivi. Raggiungere il pubblico, mantenere viva la sua attenzione, non fargli cambiare canale vuol dire, per tutti questi soggetti, lottare per la sopravvivivenza. Lo spettatore ha un grande potere: quello di poter decidere con il suo telecomando il destino di un programma. L'influenza della neotelevisione sul pubblico è quindi diverso da quella della televisione pedagogica monopolistica: è un influsso più indiretto, potenzialmente più democratico, dove il telespettatore non è più solo un 25 fruitore passivo di programmi, ma è diventato una specie di giudice e il telecomando il mezzo con cui emanare il suo verdetto. Tuttavia se da una parte è aumentata la libertà di scelta del telespettatore, questa libertà si può esercitare solo su programmi che si assomigliano sempre di più. L'estrema concorrenzialità e la ricerca del massimo ascolto ha infatti avuto come conseguenza lo sviluppo di una programmazione televisiva sempre più uniforme. La tv ha portato ad una rivincita dell'oralità rispetto alla scrittura e, come sa chiunque si occupi di cultura giovanile, le forme di comunicazione e di espressione dei giovani sono sempre più basate sull'immagine. Sta sempre più diffondendosi quella che Omar Calabrese ha chiamato "estetica della ripetizione"32 e le cui caratteristiche sono la velocità e la ripetizione, il flusso ininterotto di immagini, la fruizione del frammento (lo zapping del telecomando), della parte staccata di un opera che non si ha né la voglia né il tempo di consumare interamente. Telerepubblica Berlusconi nel 1988 riuscì a conquistarsi l'alleanza della famiglia Mondadori e diventarne nuovo azionista di maggioranza della casa editrice che allora deteneva il anche il controllo di L'Espresso e Panorama, i due newsmagazines più venduti, e La Repubblica uno dei maggiori quotidiani. assieme al gruppo Cir di proprietà del finanziere Carlo De Benedetti. Si aprì una lunga battaglia per il controllo della Mondadori che si risolse solo nel 1991 con una spartizione: a De 32 Calabrese O. (1989) L'età neobarocca, Bari, Laterza. 26 Benedetti andò l'editoriale L'Espresso-La Repubblica e a Berlusconi la Mondadori. Fu oggettivamente una vittoria per Berlusconi che diventò di fatto il primo gruppo multimediale italiano, potendo mettere in atto vantaggiose sinergie tra i periodici e i settimanali Mondadori e le sue televisioni. Questa risolzione avvenne in seguito all’approvazione della legge Mammì, varata Il 6 Agosto 1990, durante il governo Andreotti, in materia di disciplina del sistema radiotelevisivo pubblico e privato. La legge si basava sulla cosidetta "opzione zero": chi possedeva giornali non poteva possedere reti televisive, chiaramente anticostituzionale (e infatti la Corte Costituzionale interverrà giudicando alcune parti della legge incostituzionali), ma fatta con l’obbiettivo di tener fuori dal settore televisivo gruppi potenti e potenziali concorrenti come la Fiat e la Cir, già così fortemente presenti nel settore dei quotidiani. Ormai divenuta famosa, la legge Mammì compì il 'miracolo' legislativo di fotografare così com'era l'impero mediatico di Silvio Berlusconi rendendolo assolutamente legale. Nell’ambito dell’inchiesta Mani Pulite, i magistrati hanno evidenziato i rapporti strettissimi che intercorrevano tra dirigenti di primissimo piano della Fininvest e Davide Giacalone, allora consigliere del ministro delle Poste Oscar Mammì, ed estensore materiale del “Piano delle Frequenze” della medesima legge. In seguito a quanto è emerso dalle indagini e dalle ammissioni dello stesso Giacalone, è chiaro che questa legge venne concepita su misura per la Fininvest e in modo che venisse ratificata la sua posizione dominante nell’ambito delle emittenti private. La legge diceva: 27 Art. 15, comma 1"Al fine di evitare posizioni dominanti nell'ambito dei mezzi di comunicazione di massa è fatto divieto di essere titolare: a) di una concessione per radiodiffusione televisiva in ambito nazionale, qualora si abbia il controllo di imprese editrici di quotidiani la cui tiratura annua abbia superato nell'anno solare precedente il 16 per cento della tiratura complessiva dei giornali quotidiani in Italia; b) di più di una concessione per radiodiffusione televisiva in ambito nazionale, qualora si abbia il controllo di imprese editrici di quotidiani la cui tiratura superi l'8 per cento della tiratura complessiva dei giornali in Italia; c) di più di due concessioni per radiodiffusione televisiva in ambito nazionale, qualora si abbia il controllo di imprese editrici di quotidiani la cui tiratura complessiva sia inferiore a quella prevista dalla lettera b)." Ciò costrinse Berlusconi a dover vendere il suo quotidiano “Il Giornale” al fratello Paolo. Inoltre: Art. 15, comma 4 "Le concessioni in ambito nazionale riguardanti sia la radiodiffusione televisiva che sonora, rilasciate complessivamente ad un medesimo soggetto, a soggetti controllati da o collegati a soggetti i quali a loro volta controllino altri titolari di concessioni, non possono superare il 25 per cento del numero di reti nazionali previste dal piano di assegnazione e comunque il numero di tre ". Soltanto in seguito alla prima occupazione abusiva dell’etere delle tre reti Telepiù33 avvenuta il 10 agosto 1990, venne stabilito in 12 il numero 33 Telepiù nasce nella seconda metà del 1990, dopo la Legge Mammì, da un gruppo di soci fra cui la Fininvest con il 10% (il massimo consentito dalla legge). Fininvest esprime anche buona parte del know how, dei dirigenti, della library. La trasmissione è via etere, né potrebbe essere diversamente, criptata, ricevibile a pagamento tramite un decoder analogico. Telepiù 1 (cinema) comincia la trasmissione criptata nel luglio del 1991; nel marzo 1992 anche Telepiù 2 (sport) comincia le trasmissioni codificate; Telepiù 3 (cultura) trasmetterà a trasmettere in chiaro e solo nell'autunno 1996 28 delle concessioni nazionali e quindi in 3 il 25% del totale del massimo di reti nazionali per ciascun soggetto. La legge venne approvata in Parlamento da una maggioranza composta da PSI, partiti laici e dalla maggioranza della DC; mentre tre ministri della minoranza DC, contrari all'approvazione della legge, si dimettono per protesta dal governo. La migliore riprova che la legge Mammì fu del tutto inadeguata a governare gli sviluppi del sistema lo dimostrarono gli avvenimenti degli anni Novanta. In seguito alla crisi scatenata dalle inchieste dei giudici milanesi, che rivelarono estesi livelli di corruzione, i partiti che avevano avuto quasi ininterrottamente responsabilità di governo, come la DC e il PSI, furono colpiti duramente, così duramente da essere costretti a sciogliersi. Anche Bettino Craxi, il referente politico principale del vecchio sistema di potere, nonché dell’amico personale Silvio Berlusconi, venne travolto dalle inchieste giudiziarie, lasciando il proprietario della Fininvest solo, in una posizione instabile, prossimo ad un pericoloso coinvolgimento nelle inchieste. Inoltre dopo molti anni di espansione, la Fininvest cominciò a risentire degli effetti della recessione che colpirono in questi anni l'economia italiana e che portarono le aziende a diminuire gli investimenti pubblicitari in televisione, proprio in un momento in cui la Fininvest era fortemente indebitata con le banche (dai 2600 miliardi ai 4200 miliardi di lire a secondo delle stime di analisti più o meno vicini all'azienda). Nel caos politico del momento non si sarà in parte criptata. La progressione degli abbonamenti è lenta e questo comporta una costante passività e un continuo ricorso alle ricapitalizzazioni, che ha visto emergere fino al 1995 il protagonismo del gruppo tedesco Kirch, giunto al 33%, poi il gruppo olandese-sudafricano NetholdRupert, giunto nel 1996 al 45%. Nel settembre 1996 Nethold si fonde con il gruppo francese di televisione a pagamento Canal Plus, che successivamente acquista anche la quota di Kirch, 29 riuscì neppure a compiere gli adempimenti previsti dalla legge Mammì. A causa dell'insoddisfazione e dell'opposizione dei concorrenti del duopolio Rai-Finivest alla normativa introdotta dalla legge Mammì, fu impossibile emanare le concessioni ad utilizzare le frequenze a disposizione sia per le radio che per le reti televisive che la legge richiedeva fossero emanate entro un anno. Il governo si limitò perciò semplicemente in un primo tempo a concedere l'autorizzazione provvisoria a trasmettere a tutte le radio e televisioni presenti sul mercato. Il risultato di tutto questo fu una mancata pubblicazione delle concessioni definitive e di un piano complessivo delle frequenze, volta alla limitazione a prolungare periodicamente le autorizzazioni provvisorie. Già a pochi mesi dalla emanazione, la legge Mammì mostra di non essere uno strumento in grado di regolamentare il mercato televisivo e metterlo in condizione di aprirsi anche ad altri soggetti. Apparve sempre più chiaro come fosse necessario emanare una nuova legge e norme antitrust più severe nei confronti del duopolio. Visto l'imminente pericolo, nel giro di pochi mesi a cavallo tra il 1993 e 1994, Berlusconi capovolse la situazione. Consapevole dell'esistenza di un vasto settore di elettorato moderato rimasto senza referente politico dopo la caduta della DC e del PSI, il 26 gennaio 1994 Berlusconi -che come è noto è anche padrone della squadra di calcio Milan- annunciò in diretta tv sulle sue reti la scelta di "scendere in campo" 34, cioè di entrare in politica. Per evitare un conflitto d'interessi tra il suo ruolo di grande controllando la società al 90% (Fininvest- Mediaset rimane al 10%). Questa era la situazione alla vigilia dell'avvento del digitale. 34 Novelli (1995), p. 256 e 265 fa notare come la metafora calcistica dello "scendere in campo" fosse stata già utilizzata in un contesto politico durante la campagna elettore 1987 dal giornalista sportivo Paolo Valenti, candidato DC. In quella stessa campagna la DC presentò anche lo slogan "Forza Italia" inventato dal pubblicitario Marco Mignani. 30 imprenditore multimediale e quello di politico, Berlusconi annunciò anche di dimettersi immediatamente da ogni carica direttiva della Fininvest, il che non gli impedì però di mantenere saldamente in sua mano la proprietà dell'azienda. La Fininvest infatti non era quotata in borsa e la totalità delle sue azioni appartevano interamente, attraverso una complicata serie di società finanziarie a scatole cinesi, alla famiglia Berlusconi35. Nel giro di soli tre mesi Berlusconi creò un nuovo movimento politico Forza Italia (FI), praticamente un partito-azienda dato che la maggior parte dei dirigenti e dei candidati alle elezioni provenivano dai quadri dirigenti delle aziende Fininvest (in particolare da Publitalia) o ne erano inserzionisti. Alle elezioni del marzo 1994, tenute con il nuovo sistema maggioritario, la coalizione guidata da Forza Italia, che comprendeva anche altri piccoli partiti di centro-destra, la nuova forza xenofoba della Lega Nord e il vecchio partito neofascista MSI, tramutatosi in Alleanza Nazionale (AN), vinse le elezioni sconfiggendo una coalizione di centro-sinistra guidata dall'ex PCI diventato Partito Democratico della Sinistra (PDS) e Berlusconi diviene Primo Ministro. L'atteggiamento delle tre reti Fininvest durante la campagna elettorale suscitò naturalmente molte discussioni. La maggioranza degli osservatori è concorde nell'affermare che essi appoggiarono massicciamente la coalizione di centro-destra e Forza Italia in particolare anche se in maniera differenziata. I tre telegiornali delle reti Fininvest si divisero i compiti: quello di Retequattro e quello di Italia1 si schierarono per Berlusconi con una tale faziosità da preoccupare addirittura alcuni Le 22 holding che formavano la cassaforte dell’ impero Fininvest, vennero riconosciute in seguito anche da Berlusconi, che dichiarò che la loro esistenza è necessaria per risparmi fiscali. In seguito vennero scoperte altre 16 holding dal giornalista Giovanni Ruggeri nel libro "Berlusconi, gli affari del presidente", Milano, Kaos edizioni,1994 35 31 esponenti stessi di FI; mentre il telegiornale di Canale 5 mostrò una certa imparzialità assai opportuna come "foglia di fico" per coprire la parzialità degli altri due. Ma fu soprattutto durante i popolarissimi programmi di varietà e talkshow che la propaganda, fatta da dichiarazioni di voto, palesi o nascoste, dalle varie star, diventò martellante36. Certo esistono regole severe che proibiscono la propaganda elettorale e regolamentano l'accesso dei politici al mezzo televisivo, ma le elezioni politiche del 1994 dimostrarono chiaramente come l'influenza esercitata dal flusso ininterrotto di immagini e parole della "neotelevisione" fu difficile da sottoporre a regolazione. Il forte potere di influenza e di condizionamento dei personaggi dello spettacolo sfuggì a regole antiquate secondo le quali ciò che era vietato era la propaganda politica diretta in televisione e non l'espressione del pensiero di un libero cittadino non candidato. Il problema allora era se la dichiarazione di voto di un divo televisivo nel contesto del suo programma e su una rete tv di proprietà di un candidato potesse essere considerata semplice libertà di espressione. Per quanto riguarda infine gli spot elettorali si assistette all'incredibile condizione per cui i candidati degli altri partiti politici se volevano apparire in televisione erano costretti a comprare spot elettorali da Berlusconi, il quale cambiava il cappello di politico con quello di imprenditore, vendendo spot agli avversari e finanziando di fatto la sua campagna elettorale con i loro stessi soldi: oltre il danno la beffa. Alcune indagini sull'impatto che la televisione ha avuto sui risultati elettorali mostrano che soprattutto le reti Fininvest avrebbero spostato una fetta determinante di voti in elezioni in cui centro-destra ha vinto con 36 Novelli E. (1995) Dalla tv di partito al partito della tv. Televisione e politica in Italia 1960-1995, Firenze, La Nuova Italia. 32 il 42,9% contro il 34,4% del centro-sinistra. Secondo gli studi del dipartimento di Sociologia dell'Università di Torino e dall'istituto di analisi Nielsen-Cra almeno il 13% degli elettori ha subito l'influenza della propaganda dei programmi tv. La Fininvest avrebbe spostato almeno 4 milioni di voti (mentre la RAI solo 1,5) portanto via il 5,5% al centro-sinistra e facendo guadagnare l'8,5% a FI37. I risultati di queste indagini sono stati sottoposti a critica. Metodi di questo tipo sembrano troppo meccanici per spiegare in maniera soddisfacente l'influenza televisiva sulle scelte politiche. Occorrerebbero indagini sviluppate nel tempo, lungo su una serie di elezioni politiche, che comunque sarebbero sempre un problema visto che nel 1994 in Italia cambiò il sistema elettorale e lo scenario politico. Resta il fatto che, dimessosi il governo Berlusconi dopo pochi mesi, uno dei primi atti del seguente governo "tecnico" Dini fu quello di rivedere le regole di accesso ai media durante la campagna elettorale (la cosidetta par conditio). Secondo il decreto-legge del Ministro Gambino nei quarantacinque giorni prima delle elezioni è consentita la propaganda elettorale in televisione, gratuita sia sulla Rai che sulle tv private; mentre fino al trentunesimo giorno sulle tv private (ma non sulla Rai) è permessa la pubblicità elettorale a pagamento. Nei programmi di propaganda elettorale gratuita deve essere garantita ai partecipanti parità di trattamento. I programmi di varietà non possono ospitare in campagna elettorale nessun soggetto politico, mentre ai talkshows d'attualità e ai programmi d'informazione vengono 37 poste severe limitazioni Luca Ricolfi dell'Universita` di Torino (Luca Ricolfi. Elezioni e mass media. Quanti voti ha spostato la Tv, il Mulino, 6/94 33 nell'indicazione anche indiretta di voto da parte dei conduttori e degli ospiti partecipanti. Il 7 Dicembre 1994, sul ricorso proposto da Beta television38, T.V. Internazionale s.p.a. e SIT - Teleservice 1975 s.r.l. contro il Ministero delle Poste e Telecomunicazioni ed altri, la Corte costituzionale dichiarò l'incostituzionalità dell'Art 15 comma 4 della Legge Mammì, che legittimava a tre il numera di reti per il gruppo Fininvest: in questo modo non garantiva la pluralità di informazione, quando invece c’era una forte necessità di limitare concentrazioni mediatiche, alla base di un enorme conflitto di interessi. La Corte, inoltre, riponendo il problema al parlamento, stabilì nell'agosto 1996 il termine ultimo per una soluzione definitiva. Nel frattempo l'esito del referendum del 15 giugno 1995 (voluto da un vasto settore di avversari politici e imprenditoriali della Fininvest) per l'abolizione di alcuni articoli della legge Mammì rafforzò la Fininvest. I referendum miravano a togliere due reti a Berlusconi limitando il possesso a una rete per soggetto in campo privato (ma lasciando alla Rai tutte le tre reti), limitare la raccolta pubblicitaria a due reti nazionali per società concessionaria e limitare a una sola le interruzioni pubblicitarie all'interno dei film trasmessi in televisione. Circa due terzi degli elettori aveva rigettato tutte e tre queste ipotesi, dimostrando così chiaramente che i principi della televisione commerciale avevano fatto presa sulla maggioranza della popolazione. Soprattutto il referendum sulla limitazione della pubblicità nei film dimostrò che gli italiani erano disposti a sopportare molti spot pubblicitari pur di non rinunciare 34 all'amata fiction (come aveva minacciato la Fininvest "meno spot, meno film"). Non c’era spazio per altre televisioni private: nel 1995 il gruppo Cecchi Gori, vicino al Partito Popolare, cerca di formare il famoso “terzo polo” televisivo ed acquisitò prima Videomusic (dalla famiglia Marcucci) poi Telemontecarlo (da Ferfin-Montedison). Videomusic adottò progressivamente il marchio TMC 2. Il gruppo entrò nelle rilevazioni Auditel nel 1996: l'ascolto non raggiunse mai complessivamente il 5%, ritenuto la soglia minima per un gruppo televisivo nazionale significativo. A giugno del 1996 la Fininvest si trovò a un passo dal baratro. Il gruppo televisivo di Berlusconi aveva una posizione finanziaria netta negativa di 2.396 miliardi. La locomotiva del gruppo, Publitalia, la concessionaria che raccoglie la pubblicità per le reti di Berlusconi, fu colpita dalle difficoltà del mercato pubblicitario. Per salvare la Fininvest Silvio Berlusconi ebbe solo una strada: staccare dal gruppo una parte e venderla in Borsa. Il 10 giugno 1996 la Consob, l’organo di vigilanza, depositò il prospetto di collocamento di Mediaset, la nuova subholding delle tre tv (Canale 5, Rete 4, Italia 1) presieduta da Fedele Confalonieri, ma controllata dalla Fininvest al 72%. Il 31 Luglio 1997, come replica (tardiva) alla sentenza della Consulta, venne varata la legge Maccanico n. 249 (Istituzione dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e norme sui sistemi delle telecomunicazioni e radiotelevisivo). Nella parte dove sanzionava il divieto di posizioni dominanti, essa stabiliva che nessuno poteva essere titolare di un numero di concessioni pubbliche che consentano di irradiare piu' del 20% delle 38 Che allora avevano la concessione di trasmettere rispettivamente per i canali: VideoMusic, Tele Monte Carlo e Tele Market 35 reti televisive stabilite dal piano delle frequenze. Tale piano prevedeva 11 frequenze nazionali e dunque a nessuno era consentito possedere piu' di 2 reti nazionali. Ben sapendo la posizione del gruppo Mediaset televisive di cui Confalonieri era presidente, ma comunque di proprietà dell’ex presidente del consiglio, Berlusconi, titolare di 3 reti e quindi in violazione del limite, la legge Maccanico gli concedette una proroga acconsentendo alla prosecuzione delle trasmissioni dei canali Fininvest a patto, pero', che iniziasse un trasferimento sul satellite dei canali in eccedenza: Art3, comma 7 "L'Autorità, in relazione all'effettivo e congruo sviluppo dell'utenza dei programmi radiotelevisivi via satellite e via cavo, indica il termine entro il quale i programmi irradiati dalle emittenti di cui al comma 6 devono essere trasmessi esclusivamente via satellite o via cavo. Ancora una volta rimasero vaghi i termini di scadenza, poiché uno sviluppo del sistema satellitare e della sua utenza non stabilivano di certo una data. Nel Luglio 1999 il Ministro delle Comunicazioni del governo D'Alema, Salvatore Cardinale, indice la gara per l'assegnazione delle concessioni televisive. Occorre ricordare che la Corte Costituzionale già nel 1994 (sentenza n.420) aveva sentenziato l'incostituzionalità delle tre reti concesse a Berlusconi che, tuttavia, continuarono a trasmettere. Oltre alle 3 reti Rai risultarono vincitori delle concessioni altre 8 reti private (Canale 5, Italia 1, Tele+Bianco, Tmc, Tmc2, Europa 7, Telemarket Elefante) per un totale di 11. Rete 4, dunque, perde tte la gara che venne vinta da Europa 7 di Francesco di Stefano. A questo punto Rete 4 avrebbe dovuto cedere le frequenze ad Europa7 e passare sul satellite. A tutt'oggi questo non è ancora avvenuto. Vistasi negata del diritto acquisito a trasmettere Europa 7 ha presentato a 36 partire dal Luglio 1999, numerosi esposti e ricorsi al Tar, al Consiglio di Stato, alla Comunità Europea. In particolare, il direttore Generale del Mercato interno della Commissione Europea, Alexander Schaub, in risposta al ricorso di Europa 7 ha minacciato l'attivazione della procedura di messa in mora dell'Italia da parte dell'Unione, per infrazione delle regole sulla concorrenza. Il ministro Gasparri, per giustificare una situazione ingiustificabile, ha fornito la seguente risposta: "La prosecuzione dell'esercizio (di Rete 4) avviene sulla base di una norma legislativa di natura provvisoria e graduale che affida all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni la fissazione della tempistica deconcentrativa dell'assetto esistente, attraverso l'individuazione di una medesima data per trasferire l'emittente Retequattro su satellite e per istituire la rete di servizio pubblico senza pubblicità". Vistasi negata del diritto acquisito a trasmettere Europa 7 ha presentato a partire dal Luglio 1999, numerosi esposti e ricorsi al Tar, al Consiglio di Stato, alla Comunità Europea. In particolare, il direttore Generale DG Mercato interno della Commissione Europea, Alexander Schaub, in risposta al ricorso di Europa 7 ha minacciato l'attivazione della procedura di messa in mora dell'Italia da parte dell'Unione, per infrazione delle regole sulla concorrenza. Il ministro Gasparri, per giustificare una situazione ingiustificabile, fornirà la seguente risposta: "La prosecuzione dell'esercizio (di Rete 4) avviene sulla base di una norma legislativa di natura provvisoria e graduale che affida all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni la fissazione della tempistica deconcentrativa dell'assetto esistente, attraverso l'individuazione di una 37 medesima data per trasferire l'emittente Retequattro su satellite e per istituire la rete di servizio pubblico senza pubblicità". L'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, istituita dalla legge Maccanico, il 7 Agosto del 2001 indica la data del 31 Gennaio 2003 come termine ultimo per il passaggio di Rete 4 sul satellite e notifica tale delibera alla società Mediaset s.p.a. Il 20 Novembre del 2002 La Corte Costituzionale, sul ricorso proposto da Adusbef-Associazione utenti e consumatori, da Europa 7 ed altri contro la Presidenza del Consiglio dei ministri, dichiara l'incostituzionalita' dell'articolo 3, comma 7, della legge 31 luglio 1997, n. 249. Ecco le conclusioni della sentenza: "La Corte Costituzionale dichiara la illegittimità costituzionale dell'art. 3, comma 7, della legge 31 luglio 1997, n. 249 (Istituzione dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e norme sui sistemi delle telecomunicazioni e radiotelevisivo), nella parte in cui non prevede la fissazione di un termine finale certo, e non prorogabile, che comunque non oltrepassi il 31 dicembre 2003, entro il quale i programmi, irradiati dalle emittenti eccedenti i limiti di cui al comma 6 dello stesso art. 3, devono essere trasmessi esclusivamente via satellite o via cavo" La Corte Costituzionale, dunque, rimediando alla vaghezza della legge Maccanico, richiamando la delibera dell'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, fissa finalmente al 31 Dicembre 2003 il termine improrogabile entro il quale Rete 4, in abuso di posizione dominante, deve essere trasferita sul satellite Aggiungiamo che, da quando si è insediato il governo Berlusconi, non solo non si è posto rimedio al conflitto d'interessi, all'abuso di posizione dominante nei media, alla situazione di illegalità di Rete 4, come era 38 intuibile, ma in aggiunta si è assistito ad un crescente ed odioso fenomeno di censura ai danni di validi giornalisti come Enzo Biagi e Michele Santoro e di artisti come Daniele Luttazzi e Sabina Guzzanti. Vinte le elezioni (molti dicono grazie appunto alle sue televisioni) Silvio Berlusconi si trova esso stesso nella posizione paradossale e macchiata da un mostruoso conflitto d'interessi di poter far votare, da capo del governo, una legge definitiva sulle televisioni. Non più pressioni esterne a politici (o peggio) o 'inciuci' con la sinistra di governo, ma stesura diretta di una legge ad hoc disegnata come meglio aggrada al Presidente del Consiglio - padrone di televisioni. Ne nasce una legge, la Gasparri, che tutti in Italia e all'estero, fatta eccezione per i fedelissimi del premier, considerano una ignominia. [Per un'ampia illustrazione della legge e dei suoi retroscena: "Inferno TV Berlusconi e la legge Gasparri" Carlo Rognoni, Marco Tropea Editore] Ricordiamo brevemente gli articoli della legge Gasparri che porteranno Ciampi a non firmarla rinviandola alle camere: Art. 15. (Limiti al cumulo dei programmi televisivi e radiofonici e alla raccolta di risorse nel sistema integrato delle comunicazioni. Disposizioni in materia pubblicitaria) 2. Fermo restando il divieto di costituzione di posizioni dominanti nei singoli mercati che compongono il sistema integrato delle comunicazioni, i soggetti tenuti all.iscrizione nel registro degli operatori di comunicazione costituito ai sensi dell.articolo 1, comma 6, lettera a), numero 5), della legge 31 luglio 1997, n. 249, non possono né direttamente, né attraverso soggetti controllati o collegati ai sensi dell.articolo 2, commi 17 e 18, della citata legge n. 249 del 1997, 39 conseguire ricavi superiori al 20 per cento delle risorse complessive del settore integrato delle comunicazioni. L'art. 15 chiama in causa il Sistema integrato delle comunicazioni o Sic. Tutte le leggi antitrust si basano sul concetto di 'mercato rilevante' per determinare la presenza di una posizione dominante. Il mercato rilevante della bibita Coca-Cola è il mercato delle bibite analcoliche, non il mercato dei liquidi in generale. Il Sic invece si guarda bene dal definire un mercato rilevante della televisione, come sarebbe giusto e nel quale Berlusconi sarebbe senza dubbio in abuso di posizione dominante, ma introduce il mercato di tutti i mezzi di comunicazione, televisione, stampa e cinema, e ci aggiunge anche le affissioni, le insegne e locandine, le promozioni, le sponsorizzazioni le relazioni pubbliche e così via. Risultato: la posizione di Berlusconi viene diluita all'infinito evitando il rischio antitrust. Di chi è l'idea del Sic? Molti vedono l'ombra della Fininvest dietro la legge Gasparri. Nel libro di Carlo Rognoni (Inferno TV p.39) troviamo una citazione sconvolgente tratta da un promemoria di Publitalia '80 del 1988, presentato alla Corte Costituzionale in uno dei tanti processi nati da ricorsi di reti concorrenti. Dice il promemoria: "Per misurare il vero grado di concentrazione del gruppo Fininvest non ci si può limitare a considerare il mercato della pubblicità televisiva; occorre assumere a parametro l'intero mercato della comunicazione commerciale" Autori del promemoria i rappresentanti di Berlusconi, Aldo Bonomo e Cesare Previti. Art. 25. (Accelerazione e agevolazione della conversione alla trasmissione in tecnica digitale) 40 1. Ai fini dello sviluppo del pluralismo saranno rese attive, entro il 31 dicembre 2003, reti televisive digitali terrestri, con un.offerta di programmi in chiaro accessibili mediante decoder o ricevitori digitali.3. L.Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, entro i dodici mesi successivi al 31 dicembre 2003, svolge un esame della complessiva offerta dei programmi televisivi digitali terrestri allo scopo di accertare: a) la quota di popolazione raggiunta dalle nuove reti digitali terrestri; b) la presenza sul mercato di decoder a prezzi accessibili; c) la effettiva offerta al pubblico su tali reti anche di programmi diversi da quelli diffusi dalle reti analogiche. Entro trenta giorni dal completamento di tale accertamento, l’Autorità invia una relazione al Governo e alle competenti Commissioni parlamentari della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica nella quale verifica se sia intervenuto un effettivo ampliamento delle offerte disponibili e del pluralismo nel settore televisivo ed eventualmente formula proposte di interventi diretti a favorire l.ulteriore incremento dell.offerta di programmi televisivi digitali terrestri e dell.accesso ai medesimi. L'art. 25 mette le sorti del pluralismo in mano al digitale terrestre. Vedremo in seguito come, nelle stesse parole di Ciampi, questa tecnica avrà il solo risultato di consentire a Rete 4 di continuare a trasmettere. 41