Giuseppe Stella - Una sentenza che fa e farà discutere molto per le seguenti ragioni: la Cassazione sostiene che non si impedisce il diritto alla mobilità invocato dal disabile perché se c’è il posto a pagamento basta sborsare il dovuto, ma allora si spieghi perché le norme che tendono ad eliminare le barriere architettoniche per i disabili (regole di alta civiltà umana e sociale) in Europa e nel mondo prevedono, compresa l’Italia, gli stalli gratuiti in misura di 1 ogni 50 posti. Si potrebbero eliminare anche questi visto che ormai nelle città italiane i parcheggi sono quasi tutti a pagamento e non vengono rispettate debitamente dai vari Comuni le percentuali dei posti liberi o con sosta a tempo che riguardano anche i non disabili. E poi se 1 posto ogni 50 a pagamento ad uso dei disabili è insufficiente perché non si aumentano congruamente le strisce gialle? Sta proprio in questo il limite della sentenza e la ragione di queste critiche: la Cassazione dà per scontato che 1 posto su cinquanta spetta ai portatori di handicap, ma poi sostiene che se non c’è, o è già occupato, l’invalido può e deve pagare lo spazio blu e se non lo fa la multa è giustificata. Questo a mio modestoavviso è fatto contraddittorio perchè anche se il Cds a cui si appella la Cassazione prevede che ci siano queste gratuità, ragionando per assurdo i posti riservati (1 ogni 50) agli invalidi potrebbero allora al limite essere aboliti del tutto, visto che ormai le strisce blu la fanno da padrone. Insomma, una sentenza soggettiva e discutibile, che potrebbe essere annullata all’occorrenza da un’altra sezione di Cassazione con diverse e più esaurienti argomentazioni, o addirittura dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, sensibile alle barriere architettoniche per i disabili che qui da noi, soprattutto in Sicilia, non solo non sono affatto rispettati ma vigili e forze dell’ordine non si sognano minimamente di sanzionare debitamente i trasgressori. Qui non si tratta di sciorinare il problema di pagare o non pagare, ma di guardare al principio regolatore di una norma che favorisca dovutamente il disabile in un contesto più ampio e in un periodo in cui sembra essersi scatenata una forma di idiosincrasia nei confronti degli invalidi civili di guerra o per servizio, anche istituzionale . Sarà pur vero che lo Stato non ha codificato bene il problema della gratuità delle soste, ritenendo che bastassero le circolari municipali e degli enti locali vari, che per la Cassazione, vista la sentenza, non servono a nulla, ma è altrettanto vero che se i disabili godono di certi vantaggi, come esenzioni da tiket, precedenze nelle code ecc..., tali “privilegi” (che poi non sono tali) sono dettati soprattutto da motivi di solidarietà umana e sociale per chi, più sfortunato di altri, è portatore di sofferenze anche gravi, elementi di cui la II sez. della Cassazione ha del tutto ignorato. Un’ultima chicca, non meno importante, fornitaci dallo “Sportello dei Diritti” riguarda un’innovativa sentenza (del tutto inedita) del Giudice di Pace di Caserta ignorata dalla sentenza della Cassazione, che o non la conosceva o non ne ha tenuto conto, inerente la mancata esposizione del “grattino” di pagamento. “In tali casi nei parcheggi delimitati dalle strisce blu – secondo la citata sentenza n. 4112/06 – nessuna sanzione amministrativa può essere comminata perché nessuna norma del Cds lo prevede (questa sentenza boccia quindi in pieno la Cassazione che si è pronunciata contro l’invalido). Chi non espone il tagliando è tenuto dunque solo al pagamento del parcheggio impegnato per il tempo, calcolato a ora o frazione, ma non all’esposizione di attestazioni di pagamento nè alla multa, non essendovi per l’appunto alcuna norma che indichi queste incombenze, semplicemente riferendosi all’art. 157 comma 6 e 8 ai luoghi in cui la sosta è prevista per un tempo limitato e non all’ipotesi di parcheggio a pagamento. Pertanto le contravvenzioni elevate in virtù delle citate disposizioni legislative sono da considerarsi illegittime, con il susseguente annullamento dei verbali e dei loro effetti giuridici. Già da tempo lo “Sportello dei Diritti” ha segnalato, tra l'altro, la prassi di molti Comuni di creare intere aree destinate alla sosta a pagamento con tariffazione a tempo senza destinare alla libera sosta aree contigue, ledendo pertanto un preciso diritto degli utenti della strada“ CONTRO LE INGIUSTIZIE DELLE CONTRAVVENZIONI, CONSIDERATE ULTERIORI TASSE OCCULTE DALLA QUASI TOTALITA’ DEI CITTADINI Se la Cassazione, la sezione di cui sopra, ha fatto la sua bella recente sentenza che prescrive anche agli invalidi il pagamento negli spazi blu e la multa all’invalido (illegittima per la sentenza del Giudice di Pace di Caserta), un lettore di un blog di internet scrive invece ciò che potete leggere di seguito: Le strisce blu sono illegittime Un post su internet del 3 ottobre 2008 Il mancato pagamento di un pedaggio (come quello relativo alle strisce blu) non è previsto esplicitamente da nessuna norma del Codice della strada come fatto generativo della sanzione. Ne consegue che quando nel verbale di una multa trovate un generico riferimento, senza alcuna ulteriore specificazione, potete impugnarla. Lo stesso vale per la mancata esposizione del titolo del pagamento. Infatti, l'obbligo sanzionato non è imposto da alcuna norma e tanto meno dal C.d.S., quindi l'indicazione che figura nel verbale - mancato pagamento - non pare correttamente sanzionabile. L'unica norma che fa riferimento ad un obbligo di esposizione del tagliando è l'art. 181 del C.d.S. che però impone unicamente l'obbligo di esposizione del contrassegno assicurativo, ma non fa riferimento dell'esposizione del titolo del pagamento. In realtà, i comuni utilizzano per sanzionare il mancato pagamento della sosta, l'art. 157, comma 6 che però, notate bene, impone unicamente il disco orario, che serve ad indicare la durata della sosta nelle zone con sosta oraria. Quando è stata emanata questa norma non esistevano parcheggi a pagamento, ma solo soste a orario in alcune zone! I comuni quindi applicano questa norma attraverso un'interpretazione estensiva, cosa che non è legittima, trattandosi di legge speciale! Se questo E QUELLO CHE ABBIAMO SCRITTO SOPRA SULLA SENTENZA DI CASERTA è vero perché quella sentenza sbagliata della Cassazione di cui sopra? --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- Nel mio quesito mi sono espresso male in quanto la Suprema Corte non si riferiva solo alla mancata esposizione del grattino. Cmq la sentenza in questione è la seguente: Codice della strada Parcheggio a pagamento Cass. civ. Sez. II, 29-02-2008, n. 5605 Autore: Infocds.it Parcheggio a pagamento - mancata esposizione titolo di pagamento - applicabilità articolo 157 - obligo di segnalare in modo ben visibile l'orario di inizio sosta - violazione - non sussite. Note: art. 157 C.d.S., comma 6 prevede e punisce un'ipotesi di illecito-sosta a tempo, in cui ai conducenti è imposto esclusivamente l'obbligo di segnalare, in modo visibile, orario in cui la sosta ha inizio - del tutto diversa dalla condotta che nello stesso verbale era poi ascritta-sosta effettuata senza esporre il titolo di pagamento, al quale la stessa è in tal caso subordinata - rivelandosi perciò del tutto erroneo il supposto coordinamento fra le due norme. Links: http://www.infocds.it Cass. civ. Sez. II, 29-02-2008, n. 5605 Fatto - Diritto P.Q.M. Svolgimento del processo - Motivi della decisione R.L. ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza del Giudice di Pace di Roma dep. 27 settembre 2004 con cui veniva rigettata l'opposizione dalla medesima proposta avverso il verbale di contravvenzione per avere sostato il veicolo senza esporre il titolo di pagamento. Il Giudice di Pace respingeva l'eccezione sollevata al riguardo dall'opponente - secondo cui la norma di cui all'art. 157 C.d.S., comma 6, che nel verbale si denunciava violata, non riguardava l'ipotesi contestata relativa alla sosta senza esporre il titolo di pagamento - rilevando che nel verbale era stata comunque indicata la fattispecie contestata e che l'art. 157 C.d.S., comma 6 deve essere coordinato con il disposto di cui all'art. 7/f, secondo cui i Comuni possono stabilire, previa deliberazione della Giunta, aree destinate al parcheggio sulle quali la sosta dei veicoli è subordinata al pagamento di una somma da riscuotere. Attivatasi procedura ex art. 375 cod. proc. civ. il Procuratore Generale ha inviato richiesta scritta di rigetto del ricorso per manifesta infondatezza. Tale richiesta va disattesa,essendo il ricorso manifestamente fondato relativamente al primo motivo, dovendo ritenersi assorbiti gli altri. Al riguardo occorre considerare che in tema di giudizio di cassazione, l'inammissibilità della pronunzia in camera di consiglio è ravvisabile solo ove la Suprema Corte ritenga che non ricorrano le ipotesi di cui all'art. 375 cod. proc. civ., comma 1 ovvero che emergano condizioni incompatibili con una trattazione abbreviata, nel qual caso la causa deve essere rinviata alla pubblica udienza. Ove, per contro, la Corte ritenga che la decisione del ricorso presenti aspetti d'evidenza compatibili con l'immediata decisione, ben può pronunziarsi per la manifesta fondatezza dell'impugnazione, anche nel caso in cui le conclusioni del P.G. siano state all'opposto, per la manifesta infondatezza , e viceversa (Cass. 13748/20007). Con il primo motivo la ricorrente, lamentando che la sentenza aveva travisato un fatto per convalidare l'applicazione di una norma peraltro erroneamente individuata,deduce che la sanzione da applicare era quella prevista dall'art. 7/f, n. 15, versandosi pacificamente in zona tariffata;non sussiste alcun coordinamento fra l'art. 7/f e l'art. 157 C.d.S., comma 6, trattandosi di ipotesi diverse e non potendo trovare applicazione l'analogia. Con il secondo motivo la ricorrente,lamentando la violazione falsa applicazione dell'art. > 7/f, art. 157 C.d.S., comma 6, nonchè della L. n. 127 del 1997, art. 32 deduce che, ai sensi dell'art. 157 C.d.S., comma 6 l'automobilista ha l'obbligo di porre in funzione il dispositivo di controllo di durata della sosta ma non individua il pagamento come fatto costitutivo dell'illecito, mentre non rientra nei poteri degli ausiliari del traffico quello di sanzionare i comportamenti vietati dall'art. 157 C.d.S., comma 6. Con il terzo motivo la ricorrente deduce che l'ordinanza dirigenziale prodotta non era sufficiente ad istituire una zona tariffata,mentre la P.A.. avrebbe dovuto dimostrare l'esistenza o meno del cartello verticale in epoca anteriore alla contravvenzione. Con il quarto motivo la ricorrente denuncia l'inapplicabilità, in materia di verbali di accertamento delle violazioni del C.d.S., della normativa che consente la sottoscrizione meccanica degli atti. La doglianza formulata con il primo motivo va accolta, attesa l'incertezza della contestazione di cui al verbale di contravvenzione, in cui si denunciava la violazione dell'art. 157 C.d.S., comma 6 che prevede e punisce un'ipotesi di illecito-sosta a tempo, in cui ai conducenti è imposto esclusivamente l'obbligo di segnalare, in modo visibile, orario in cui la sosta ha inizio - del tutto diversa dalla condotta che nello stesso verbale era poi ascritta-sosta effettuata senza esporre il titolo di pagamento, al quale la stessa è in tal caso subordinata - rivelandosi perciò del tutto erroneo il supposto coordinamento fra le due norme. Gli altri motivi sono assorbiti dall'accoglimento del primo. la sentenza va cassata in relazione al motivo accolto,assorbiti gli altri; non essendo necessari ulteriori accertamenti, la causa va decisa nel merito ai sensi dell'art. 384 cod. proc. civ. deve essere annullato il verbale di contravvenzione impugnato. Le spese del giudizio di merito e della presente fase vanno poste a carico dell'intimato, risultato soccombente. P.Q.M. Accoglie il primo motivo del ricorso assorbiti gli altri cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, annulla il verbale di contravvenzione impugnato. Condanna l'intimato al pagamento in favore della ricorrente delle spese liquidate per il giudizio di merito in Euro 600,00 per onorari di avvocato ed Euro 100,00 per esborsi per la presente fase in Euro 400,00 per onorari di avvocato ed Euro 100,00 per esborsi,oltre spese generali ed accessori di legge. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 26 novembre 2007. Depositato in Cancelleria il 29 febbraio 2008 SE fosse possibile vorrei un vs commento e sapere come comportarci operativamente in quanto a mio avviso alla luce di quanto vi è scritto ritengo non più applicabile l'art. 157 alla sosta a pagamento.Ricambio sinceramente gli auguri di un sereno natale e felice anno nuovo ripromettendomi di intervenire a breve nel forum. Saluti agli amici cristiano e al webmaster paolo, a paolo vorrei chiedere se può mandarmi di nuovo il suo numero di cellulare visto che io ho perso il suo ma lui ha sicuramente il mio. A prestissimoooooo -------------------------------------------------------------------------------------------------------- 1) IL DETTATO NORMATIVO, EVOLUZIONE E STRAVOLGIMENTO In tema si rinvia a quanto acutamente osservato da GIORGIO GALLONE - Docente a c. di Diritto Assicurativo Privato - Università La Sapienza in occasione del suo intervento al "CONVEGNO DELLE COMMISSIONI GIURIDICHE DELLA FEDERAZIONE ACI “LA TUTELA DEI CITTADINI NEI CONFRONTI DEI PROVVEDIMENTI LIMITATIVI DELLA CIRCOLAZIONE E DELLA SOSTA” HOTEL QUIRINALE- ROMA 28-29 ottobre 2004. <<La sosta a pagamento senza custodia mediante l’utilizzo di dispositivi di controllo di durata è il frutto di una tutto sommato recente riforma normativa attuata, per esattezza, nel 1989, dalla c.d. Legge Tognoli (L. 24 marzo 1989, n. 122). Prima di tale intervento la giurisprudenza dominante, sia di legittimità che di merito, aveva costantemente affermato che l’imposizione da parte dei Comuni di un pagamento attraverso meccanismi funzionanti con l’introduzione di monete era legittima esclusivamente nel caso di parcheggio con custodia in quanto, nella diversa ipotesi di parcheggio non custodito, l’onere economico restava privo di causa, non potendo essere qualificato come tassa o canone per la concessione di suolo pubblico, riguardando un uso generale e non speciale del bene pubblico strada. <<In tema di disciplina della sosta dei vincoli su aree urbane, l'imposizione da parte del comune di un pagamento progressivo e differenziato secondo la durata, a mezzo di meccanismi funzionanti con l'introduzione di monete (parchimetri), è legittimo solo nel caso di parcheggio con custodia, ove il pagamento medesimo trova giustificazione nel rapporto privatistico che si instaura, accanto a quello pubblicistico attinente agli interessi generali sull'uso del parcheggio, con l'affidamento e l'assunzione in custodia del veicolo, mentre nel diverso caso di parcheggio non custodito, mancando quel rapporto privatistico il suddetto onere economico resta privo di causa, non potendo in particolare essere qualificato come tassa o canone per la concessione di suolo pubblico, riguardando un uso generale e non speciale di beni pubblici>> Cassazione civile , sez. I, 13 gennaio 1988, n. 179, Giarola c. Com. Verona; conformi Cass. n. 3635 e 4420 del 1985 n. 1077 del 1978. <<In materia di sosta e parcheggio di veicoli su aree urbane, i comuni possono adibire zone cittadine a parcheggio imponendo un pagamento progressivo e differenziato secondo la durata della sosta, regolato a mezzo di meccanismi funzionanti con l'introduzione di monete (cosiddetti parchimetri), solo quando si tratti di parcheggi con custodia (che può, peraltro, essere attuata anche dai vigili urbani), attuandosi in tal caso un duplice rapporto giuridico, quello pubblicistico che attiene all'osservanza di norme di interesse pubblico che possono essere dettate per l'uso del parcheggio, quello privatistico che si instaura per l'affidamento e l'assunzione in custodia dell'autoveicolo, e che giustifica la corresponsione di un compenso. L'imposizione del pagamento è, invece, illegittima quando si tratti di parcheggio non custodito, non essendo il detto onere previsto dalla legge nell'ambito del solo rapporto pubblicistico, e realizzandosi in tal modo il versamento di un corrispettivo senza causa>> Cassazione civile, sez. I, 17 febbraio 1983, n. 1215, Prefetto Nuoro c. Melis. L’utente che non provvedeva ad azionare il dispositivo era, pertanto, sanzionato non per il mancato versamento del corrispettivo della custodia, che integrava un mero inadempimento nel rapporto privatistico con chi svolgeva il servizio, bensì per l’inosservanza delle indicate prescrizioni impartite dall’autorità competente per l’uso dell’area a tutela degli interessi generali sulla sosta dei veicoli e sul relativo controllo (V. Cassazione civile , sez. I, 17 giugno 1985, n. 3635). Le strisce blu, come specificato nel regolamento al C.d.S. abrogato (art. 111, ultimo comma), indicavano, quindi, soltanto aree di parcheggio custodite. L’art. 15 della L. 24 marzo 1989, n. 122 innovò radicalmente detto principio prevedendo, per la prima volta, che l’utente potesse essere tenuto a pagare una somma per sostare “anche a prescindere dal requisito della custodia”. Al 5° comma dell’art. 4 del C.d.S. abrogato fu, infatti, aggiunta la lettera d), che così recitava “I Comuni possono stabilire, con deliberazione del consiglio comunale, aree destinate al parcheggio sulle quali la sosta dei veicoli è subordinata al pagamento di una somma da riscuotere mediante dispositivi di controllo di durata della sosta, anche senza custodia del veicolo, fissando le relative condizioni e tariffe”. L’intervento complessivo del legislatore del 1989, come si legge nei lavori preparatori, fu giustificato, a fronte di una vera e propria emergenza, dalle dimensioni e dalla gravità che il fenomeno della circolazione stradale aveva assunto nelle metropoli soprattutto a seguito dell’aumento dei veicoli circolanti, fenomeno che travalicava i confini comunali, e richiedeva la necessaria attenzione del legislatore nazionale per evitare di compromettere, in modo serio e forse irreparabile, lo sviluppo dell’intero paese ed il benessere, non soltanto fisico, dei suoi abitanti. Si avvertì, pertanto, l’esigenza di ridisegnare le aree urbane più intensamente abitate attraverso una programmazione razionale ed organica dei parcheggi che tenesse conto delle esigenze ambientali, visto che la paralisi della circolazione nelle maggiori città italiane, rallentando i tempi delle comunicazioni e del trasporto, influiva direttamente e negativamente sulla produzione, danneggiando lo svolgimento degli affari e delle relazioni commerciali. Tale situazione metteva a rischio le stesse condizioni di salute dei cittadini a causa del crescente inquinamento atmosferico ed acustico: l’automobile, simbolo nell’età c.d. post-industriale dello sviluppo economico, veniva a porsi come una delle fonti di maggior disturbo di una convivenza salubre e, quindi, civile. L’obiettivo del legislatore del 1989, come osservato dalla miglior dottrina, fu, quindi, quello di realizzare un programma a tutela del valore costituzionale primario della salute e di quello, sempre costituzionale, dell’economia nazionale, programma diretto ad affrontare una situazione eccezionale, con mezzi straordinari. Per quanto attiene alla specifica problematica relativa alle strisce blu, il contenuto dell’art. 15 della Legge Tognoli fu successivamente riprodotto, pur se con lievi modifiche, nell’art. 7, n, 1, lett. f), dell’attuale C.d.S.. I motivi che hanno ispirato il legislatore ad innovare la disciplina relativa ai parcheggi appaiono senz’altro lodevoli; basti pensare, ad esempio, alla riserva di destinazione dei proventi della sosta a pagamento per la costruzione di nuovi parcheggi (art. 7 n. 7); tuttavia, talune scelte non ci sembrano condivisibili. (A proposito dei proventi della sosta a pagamento la Cassazione Penale 27.02.2004 in AGCS 2004, 884, ha ritenuto che commetta il reato di tentata truffa ai danni del Comune e non della società concessionaria che gestisce un parcheggio, l'automobilista che esponga sul cruscotto un tagliando contraffatto il quale attesti falsamente l'avvenuta corresponsione della somma). Il T.U. ha, ad esempio, relegato in secondo piano un principio per noi fondamentale: quello relativo alla “limitazione temporale della sosta”. L’art. 157 n. 6 prevede, infatti, un generico obbligo, nei luoghi in cui la sosta è permessa per un tempo limitato, di segnalare l’orario in cui quest’ultima ha avuto inizio, ma tale norma di certo non si riferisce all’ipotesi relativa alle aree in cui la sosta è sottoposta a pagamento, aree nelle quali non esiste alcuna limitazione temporale per la durata dello stazionamento. Peraltro, in quest’ultimo caso, si potrebbe addirittura ritenere che l’automobilista non debba esporre il ticket di pagamento, dato che la seconda parte dell’art. 157 n. 6 si limita a prevedere un unico obbligo: quello di porre in funzione il dispositivo di controllo della durata della sosta! <<È esclusa la possibilità di contestare la violazione degli art. 7 e 157, comma 6, c.s. nelle aree adibite a parcheggio a pagamento mediante ticket (cd. "grattino"), qualora il segnale con la "P" bianca su fondo azzurro (figura II 76 art. 120 Reg. C.S.) non sia integrato con un pannello indicante limitazioni di tempo per la sosta, in virtù del principio di legalità sancito dall'art. 1, L. n. 689 del 1981)>> Giudice di pace Bari, 04 aprile 2003, Ciriello c. Com. Bari. Dalla disciplina complessiva dell’art. 157, n. 6 risulta, quindi, che nel C.d.S. vigente non è stato riprodotto quanto previsto nell’ultimo comma dell’art. 4 del T.U. abrogato, introdotto dalla Legge Tognoli, il quale prevedeva una sanzione in capo a chiunque avesse usufruito arbitrariamente del “rinnovo” del periodo di stazionamento predeterminato dai dispositivi di controllo di durata della stessa. Quest’ultimo tipo di operazione, attuata tutt’oggi nella stragrande maggioranza delle metropoli mondiali, indubbiamente facilitava la “temporaneità della sosta” attraverso un costante avvicendamento dei veicoli nelle aree di parcheggio. Nel sistema attuale non è stata, invece, prevista alcuna limitazione del periodo di sosta a pagamento; prova ne è che l’utente, nell’usufruire degli appositi spazi delimitati dalle linee blu può, pagando l’importo orario stabilito dal comune, stazionare con il proprio veicolo per un tempo illimitato. Tale infelice scelta impedisce che la stessa area venga usufruita per la sosta da più conducenti, senza, cioè, che vi sia un’opportuna “turnazione”. Per giunta la maggior parte dei Comuni non ha previsto, al fine di scongiurare stazionamenti prolungati del medesimo veicolo, un pagamento progressivo e differenziato a secondo della durata della sosta. In alcune città, infatti, il costo della prima ora è esattamente identico a quello delle ore successive; in altri comuni è addirittura previsto che il costo delle ore successive sia minore rispetto a quelle iniziali: è non vi è chi non veda l’incongruenza! Nell’attuale situazione, caratterizzata dalla scarsità della “risorsa parcheggio”, l’intento pratico perseguito dal conducente di un veicolo è proprio quello di reperire il più in fretta possibile, e senza contrattempi, uno spazio destinato allo stazionamento dello stesso fino al suo ritorno. Nelle condizioni di affollamento delle strade, e nell’urgenza di liberarsi del veicolo, lo stesso non ha alternative: non rappresenta quindi una scelta, bensì una necessità quella di lasciare il mezzo all’interno di aree libere, anche se delimitate dalle strisce blu, in tal modo venendosi a sobbarcare il relativo onere economico. Eppure la disciplina della sosta s'inserisce in quella più generale della circolazione>>. 2) IL CONCETTO DI CIRCOLAZIONE E L'ART. 16 COST. - LE LIMITAZIONI AMMINISTRATIVE ALLA CIRCOLAZIONE STRADALE. Come evidenziato dall'Avv. Giorgio Gallone nell'articolo sopra richiamato:<< ... la nozione tecnicogiuridica di circolazione stradale non si limita ad esprimere un concetto dinamico, bensì un concetto complesso, che include non solo il movimento dei veicoli ma anche la fase statica della sosta, della fermata e dell’arresto, quali episodi contingenti al fenomeno circolatorio, ad esso non estranei, ma insiti nella sua complessità. In particolare, per quanto attiene alla sosta, l’art. 3, n. 9, del C.d.S. precisa che la stessa costituisce un atto di circolazione, mentre la S.C. ha affermato che la sosta è sempre libera, se non è vietata, e che sussiste l’obbligo di sostare in un determinato modo solo ove tale prescrizione esista. Inoltre, la sosta è di regola caratterizzata dalla mancanza di limiti temporali e, qualora ciò non sia possibile in quanto la stessa è permessa per un tempo limitato, il C.d.S. prevede, come abbiamo visto, l’obbligo di segnalare l’orario in cui ha avuto inizio. Da ciò si deduce che l’uso ordinario della strada da parte degli utenti consiste nell’esercizio del diritto di libera circolazione non solo statica ma anche dinamica, diritto che è attribuito a tutti i cittadini dall’art. 16 della Costituzione. Secondo la miglior dottrina, la libertà di circolazione di cui all’art. 16 Cost. si estrinseca, infatti, anche nel libero uso delle strade, beni demaniali per eccellenza, con la conseguenza che non si può scindere l’esercizio della libertà di cui all’art. 16 Cost. dall’utilizzazione dei beni attraverso i quali quest’ultima si realizza. Nell’attuale società sarebbe addirittura paradossale un inquadramento della libertà di circolazione al di fuori dell’uso di tutte le strade; ne è riprova il fatto che più volte la S.C. ha affermato la sussistenza del diritto costituzionale alla libertà di circolazione addirittura nelle campagne. Non ci sembra, pertanto, condivisibile quel diverso orientamento della giurisprudenza amministrativa secondo il quale l’art. 16 della Costituzione, nel riconoscere il diritto di ogni cittadino di circolare liberamente, ha inteso riferirsi al “territorio nazionale”, e non a singole zone di aree metropolitane, quali, ad esempio, le strade dei centri urbani. Inoltre, la libertà di cui all’art. 16 Cost. trova garanzia anche e soprattutto attraverso l’utilizzazione del proprio veicolo, considerato ormai necessario dall’odierna coscienza sociale. Nell’attuale società, tale mezzo di trasporto rappresenta un vero e proprio strumento di realizzazione della stessa libertà personale dell’individuo. Secondo la giurisprudenza amministrativa, la rinuncia del titolare del diritto dominicale ad usufruire del veicolo a motore si risolverebbe, nel moderno assetto di vita, in “un sacrificio di interessi non solo rilevanti ma addirittura impingenti nell’esercizio di diritti di ordine costituzionale quali quello alla libertà di movimento e, in molti casi, al lavoro, tenuto conto della strumentalità, insostituibile per molte attività produttive, che ha assunto l’uso del veicolo privato”. Anche la S.C., nel ritenere infondata la questione di legittimità costituzionale della legge sull’assicurazione obbligatoria per la r.c.a. nella parte in cui impone l’obbligo dell’assicurazione, ha affermato che ogni cittadino ha il diritto di circolare liberamente, da una parte all’altra del territorio, con qualunque mezzo di trasporto e, quindi, anche con il proprio veicolo. L’esplicazione della libertà di circolazione mediante l’utilizzazione dei veicoli privati è stata di recente qualificata dalla Corte Costituzionale come un “rilevante bisogno di vita”, ricondotto alla tutela di cui all’art. 23 Cost., in quanto condizionato, nel suo soddisfacimento, dalla stipulazione obbligatoria del contratto di assicurazione della r.c.a. imposto dalla L. 990/1969. La circolazione stradale diventa, così, sempre più un fatto che implica il coinvolgimento di una molteplicità d'istituti giuridici, istituti che si collegano da un lato ai poteri delle autorità amministrative e, dall’altro, a posizioni giuridiche dei cittadini tutelate dall’ordinamento>>. In ordine ai profili critici delle limitazioni amministrative alla circolazione si rinvia all'approfondita relazione svolta dal Prof. Sandro Amorosino – Ordinario di Diritto dell’Economia all’Università di Roma – La Sapienza - al convegno delle commissioni giuridiche della Federazione ACI: "La disciplina della circolazione e le libertà del cittadino" tenutasi in Napoli il 13-14 novembre 2003. << Le limitazioni amministrative alla circolazione sono il “nocciolo duro” della disciplina amministrativa della circolazione; più precisamente costituiscono il punto d’incidenza del potere amministrativo su alcune libertà materiali dei cittadini. È subito da rilevare che – stranamente – a fronte dell’importanza della questione per la qualità della vita collettiva nella realtà contemporanea, pochi studiosi hanno dedicato riflessioni sistematiche alle limitazioni, vale a dire al quadro d’insieme di questi meccanismi e a come concretamente funziona il sistema d’esse, applicato nelle città grandi e piccole (1). Dal punto di vista di teoria del diritto il discorso è assai semplice: la circolazione è un’attività, pubblica o privata, finalizzata agli spostamenti di massa, alla quale ineriscono una serie di interessi pubblici. L’inerenza di interessi pubblici (M. S. Giannini 2) legittima i pubblici poteri – a ciò “autorizzati” da norme di rango legislativo – a limitare o anche a conformare (prescrivere, cioè, come deve avvenire) la circolazione. La necessità che sia una Legge ad attribuire, almeno in via generale, il potere di disciplinare e, in specie, di limitare/conformare la circolazione privata (riserva relativa di Legge) si spiega con l’incidenza delle limitazioni su alcune libertà fondamentali: la libertà di spostarsi (art. 16 Cost.); il divieto di assoggettare i cittadini a prestazioni patrimoniali (ad esempio: ticket d’ingresso nei centri storici) se non in base alla Legge (art. 23 Cost.); la libertà d’impresa (art. 41 Cost.), cui quella di spostamento è strumentale. Questa correlazione tra disciplina della circolazione e diritti costituzionalmente garantiti, che era ben presente ai giuristi già cinquant’anni fa, si è un po’ smarrita oggi, perché la congestione urbana sembra legittimare senza discussioni misure sempre più restrittive ed inibitorie da parte dei pubblici poteri. Un grande amministrativista, (Sandulli 3), dopo aver ricordato che “sono riconosciuti particolari poteri ai prefetti, ai sindaci , alle province in ordine alla limitazione della circolazione sulle pubbliche strade per ragioni di incolumità pubblica e per altre ragioni di pubblico interesse”, soggiungeva: “È legittimo però il dubbio circa la piena conformità di tutte tali disposizioni al principio della libertà di circolazione (art. 16 Cost.)”. La Corte Costituzionale – che in passato aveva negato l’esistenza di un diritto, costituzionalmente significativo, riconducibile all’art. 16 Cost., di guidare veicoli a motore (Sent. n. 6/1962 e Sent. n. 285/1975) – più di recente ha qualificato la libertà di circolare utilizzando veicoli un rilevante bisogno di vita (Sent. n. 215/1998) (4), bilanciando tale affermazione con il precedente riconoscimento (cfr. Sent. n. 264/1996) (5) che l’art. 16 Cost. non preclude al legislatore di adottare, per ragioni di pubblico interesse, misure che influiscono sul movimento della popolazione, purché i limiti imposti siano concretamente riscontrati e valutati in base alle differenti situazioni offerte dalla realtà. Il rapporto tra il diritto alla libertà di movimento e i limiti al suo esercizio va dunque osservato alla luce del criterio generale di ragionevolezza, ossia della giusta correlazione dell’atto allo scopo (6). Il punto critico è proprio questo: la proporzionalità (7) del sacrificio imposto ai privati rispetto all’interesse pubblico tutelato. Per completare il quadro, prima di procedere nell’analisi, occorre ricordare che, nella realtà odierna, accanto alle limitazioni che discendono dalla disciplina amministrativa della circolazione, gli automobilisti sono assoggettati anche a quelle che i giuristi chiamano imposizioni di fatto (8), le quali anch’esse ne condizionano i comportamenti. Si pensi all’assicurazione obbligatoria RCA, che formalmente non è una prestazione imposta (perché nessuno obbliga il cittadino a circolare con l’automobile), ma in sostanza è un’imposizione perché è legata al soddisfacimento di un bisogno essenziale; né si può sostenere che il bisogno di circolare potrebbe esser pienamente soddisfatto dal sistema dei trasporti pubblici, tanto ne sono notorie le macroscopiche disfunzioni. L’assicurazione obbligatoria – ovviamente – è un istituto giuridico da Paese civile, mediante il quale si ammortizzano socialmente i danni da circolazione, ma è anche – indubbiamente – un condizionamento economico, che si somma ai condizionamenti giuridici. Stabilita la necessità di un ancoraggio o di una copertura legislativa delle misure amministrative disciplinatrici - limitative e conformative - è da verificare se la “copertura normativa” data dalle disposizioni vigenti sia sufficiente; in altri termini se la riserva relativa di Legge sia stata rispettata. Leggendo le norme d’apice in materia, contenute negli artt. 5, 6 e 7 del Codice della strada (D. Lgs. n. 285/1992 e successive modificazioni) si rinvengono i due elementi minimi essenziali a questo fine: – l’indicazione degli interessi e quindi delle concorrenti finalità pubbliche che “giustificano” l’adozione delle misure di disciplina/limitazione; – l’indicazione, pur generica, dei diversi tipi di provvedimenti adottabili – dunque - la tipizzazione dei provvedimenti. La Legge delega n. 190/1991, che è all’origine del Codice della strada, ha – ad esempio legittimato la facoltà dell’Ente proprietario della strada di subordinare il parcheggio e la sosta dei veicoli al pagamento di una somma ( 9). Naturalmente nel tempo la tipologia delle misure adottabili si è venuta evolvendo, ma nel 19921993 la tipologia dei provvedimenti attualmente impiegati era già completa, ivi compreso quello più radicale: il blocco temporaneo e localizzato della circolazione privata. Tutti i tipi di provvedimenti indicati si fondano sulla tutela dei vari interessi pubblici “canonizzati” nel Codice della strada o in altre norme subprimarie, i quali interessi, nei diversi casi, possono prevalere sul diritto dei privati di circolare, che diviene recessivo. Tutti i provvedimenti tipizzati sono indicati sommariamente, in modo generico e pluricomprensivo. Data la generalità/genericità delle espressioni usate dal legislatore è indispensabile mettere a fuoco: – in primo luogo quali sono gli interessi pubblici generali da tutelare; – in secondo luogo quali sono i tipi principali di provvedimenti utilizzati; – in terzo luogo – ovviamente – come funziona, o meglio: dovrebbe funzionare, la dialettica tra interessi pubblici e libertà private. Nell’esaminare questi tre profili essenziali si possono usare due metodi di approccio giuridico diversi: – uno, più tradizionale, è incentrato sulla dialettica tra autorità (amministrativa) e libertà (degli utenti di veicoli a motore); – l’altro, più moderno, è fondato sull’analisi economica del diritto (10). I due approcci sono complementari: – il primo fornisce un parametro essenziale ai fini del rispetto dei principi costituzionali ed è incentrato sulla proporzionalità delle limitazioni (v. oltre); – il secondo consente una visione sistemica della disciplina della circolazione stradale, come una sorta di campo da gioco, o di arena, nel quale interagiscono molteplici interessi economici in conflitto (11), i quali richiedono l’intervento di pubblici poteri regolatori (12). La circolazione, dunque, non è oggetto di economic regulation, ma di social regulation, per usare categorie giuridiche di derivazione statunitense, v. S. Amorosino, voce Regolamentazione e deregolamentazione dell’Enc. Treccani delle Scienze Sociali, vol. VII, Roma, 1997. Analizziamo i tre profili generali che abbiamo indicato. I. Le ragioni giustificatrici dell’intervento pubblico sono molteplici (13) e si sono venute stratificando nel tempo. La prima, storicamente, è stata quella di evitare il caos determinato da una circolazione senza regole in spazi, come quelli urbani, limitati e con un crescente affollamento di veicoli: di qui l’imprenscindibilità di una disciplina amministrativa. La seconda è quella di ridurre i danni, ed i conseguenti costi sociali, provocati da una circolazione “selvaggia”. Gli economisti usano in questi casi l’espressione esternalità negative: gli automobilisti, se non assoggettati ad una disciplina di comportamenti e a un regime di responsabilità, rovesciano all’esterno, sugli altri, gli effetti di comportamenti irresponsabili. La terza ragione attiene alla salute pubblica (di qui, ad esempio, l’obbligo delle cinture di sicurezza). La quarta ragione è da ricercare nella scarsità degli spazi: il panorama urbano è caratterizzato sovente da strade urbane strozzate dall’edilizia speculativa e carenza di parcheggi; di qui aree blu, corsie preferenziali, parcheggi a rotazione, orari di carico e scarico circoscritti. Come nota Clarich alla scarsità si può rispondere o inibendo e limitando la circolazione o facendo pagare i beni scarsi (la possibilità di circolare e la sosta), e dunque selezionando economicamente quelli che circolano. Un altro esempio, a proposito di insufficienza della rete stradale: l’auspicata liberalizzazione del trasporto pubblico (non più un solo concessionario o azienda pubblica, ma una pluralità di soggetti autorizzati) trova un limite o meglio una soglia nella congestione provocabile anche dai mezzi pubblici. L’ultima - ma sempre più determinante – ragione di interesse pubblico è la tutela dell’ambiente urbano dagli inquinamenti atmosferici prodotti dai gas di scarico. II Profilo. La tipologia formale dei provvedimenti impiegati è molto varia: regolamenti ministeriali, regionali e locali; provvedimenti di pianificazione settoriale: piani urbani del traffico e per la viabilità extraurbana; provvedimenti generali di contingenza (ad es. targhe alterne), adottati mediante decreti o ordinanze; provvedimenti puntuali (riguardanti una o più strade). Sotto il profilo oggettuale alcuni riguardano i veicoli, e disciplinano o vietano la circolazione di diversi tipi di essi, ne prescrivono caratteristiche ed equipaggiamenti; altri riguardano l’utilizzazione dei diversi tipi di strade ed autostrade (ad esempio: vietate ai motorini); altri ancora dispongono controlli, accertamenti e verifiche tecniche (ad esempio la revisione periodica dei veicoli ed il bollino blu); altri, infine, disciplinano i comportamenti dei conducenti, ad esempio quelli concernenti il rilascio ed il ritiro della patente e la patente a punti ed i corsi di recupero. Tutti concorrono a formare la disciplina della circolazione e del traffico. In materia è urgente procedere ad un disboscamento normativo perché questo settore è uno di quelli in cui maggiormente si è manifestata la frenesia regolamentatrice delle burocrazie, che in tal modo hanno esteso il loro potere sui più minuti aspetti (i triangoli per la sosta d’emergenza dovevano essere di quei modelli e non di altri). Concentrando l’attenzione sui provvedimenti che hanno come oggetto diretto ed esclusivo la disciplina della circolazione intesa come spostamenti dei veicoli e, quindi, i flussi di traffico, vengono in rilievo tre tipi di provvedimenti: – i piani del traffico; – le ordinanze (14) generali, per intere città o parti di territorio; – le disposizioni adottate dai municipi e dalle circoscrizioni per il traffico locale e di prossimità. Si tratta in tutti e tre i casi di provvedimenti organizzatori del traffico che - in funzione del disegno di modulazione dei flussi di circolazione - hanno spesso contenuti ablatori di facoltà dei cittadini (procedimenti ablatori personali) (15). È da notare che i vari tipi di provvedimenti sovente hanno un’incidenza sulla vita dei cittadini (e non solo dei conducenti di veicoli a motore) che è inversa rispetto a quella che sarebbe la loro gerarchia formale. È interessante soffermarsi su questo punto. I provvedimenti dovrebbero esser posti in sequenza logica discendente: i regolamenti; poi il disegno generale, contenuto nel piano urbano del traffico (16); dal PUT dovrebbero discendere anche i provvedimenti generali (ad esempio: di chiusura al traffico dei non residenti), i quali dovrebbero esser coerenti con il disegno generale e quasi mai lo sono; finanche i provvedimenti di contingenza (ad esempio: per smaltire le concentrazioni di inquinanti) non dovrebbero esser adottati “alla giornata”, ma dovrebbero essere dei momenti attuativi di una riprogrammazione complessiva del traffico (17). Infine anche i provvedimenti di portata più limitata dovrebbero esser adottati in modo coordinato tra circoscrizioni o comuni confinanti. Tutto ciò quasi mai accade: pochissimi comuni si sono dotati di piani urbani del traffico e le decisioni, anche di amplissima portata, vengono assunte sulla base di valutazioni quasi mai tecnicamente fondate e, viceversa, del tutto improvvisate (i decisori pubblici come una sorta di novelli “maghi della pioggia”, ma sulla pelle dei cittadini). Si pensi all’esclusione dei veicoli non catalizzati dagli anelli ferroviari o stradali: si tratta – per la carenza di effettive possibilità di controllo – di “grida manzoniane”, destinate a risolversi in severe sanzioni solo per i casuali malcapitati. Siamo quindi al III Profilo: l’incidenza dei provvedimenti in materia di circolazione sulla qualità della vita dei cittadini. In proposito è sufficiente una riflessione di comune esperienza: data la delicatezza degli organismi urbani (ma anche il sovraccarico della rete stradale secondaria interurbana in tutta l’Italia industriale) molto spesso è sufficiente l’istituzione o l’inversione di un senso unico o la chiusura al traffico di una piazza o la deviazione del traffico lungo una circonvallazione, per determinare la creazione di isole tranquille, o di ingorghi permanenti, o di sovraccarichi nel traffico periurbano. E tutto ciò avviene, il più delle volte, mediante provvedimenti di qualche dirigente tecnico, circoscrizionale o comunale, non meditati, non discussi e non pubblicati e resi conoscibili ai cittadini soltanto attraverso l’apposizione repentina di segnali stradali. Le cose non vanno meglio con i provvedimenti a scala più vasta: senza prima consultare i cittadini si decide del convogliamento o dirottamento di flussi di traffico o di aperture e chiusure di interi quartieri determinando – non sempre in modo limpido – il valore degli immobili, nonché la fortuna o decadenza di esercizi commerciali o artigianali o di pubblici esercizi. Quasi mai le proteste dei cittadini ottengono risultati ed anche la giustizia amministrativa si arresta quasi sempre sulla soglia della discrezionalità tecnica (quindi, in pratica, della sostanziale insindacabilità delle scelte, a preteso contenuto tecnico, compiute dalle Amministrazioni). I giudici procedono ad annullare i provvedimenti solo in caso di macroscopici vizi procedurali o di dimostrata, vistosa, irragionevolezza. La situazione è tanto più critica data la vera e propria inflazione (18), di recente, delle chiusure al traffico “di seconda generazione”, motivate con finalità di tutela ambientale, ma spesso anche con finalità promozionali della tutela ambientale (c.d. domeniche ecologiche, che hanno costi rilevanti e recano scarsissimi benefici per l’inquinamento atmosferico, ma fanno tanto “politicamente corretto”). Sono provvedimenti inibitori definiti di seconda generazione in quanto – mentre in passato si interveniva a fronte di episodi di inquinamento acuto e di condizioni meteorologiche sfavorevoli, che determinavano il superamento delle soglie di attenzione – il nuovo orientamento di molte città, grandi e medie, è di prolungare o addirittura rendere semipermanenti le chiusure al traffico di porzioni crescenti di territorio urbano, con provvedimenti a macchia di leopardo. Tutto ciò avviene molto spesso senza misure compensative, a sostegno della mobilità pubblica o di quella privata meno inquinante e senza l’apprestamento di idonee infrastrutture di supporto (ad esempio: parcheggi di scambio). Talora (in Emilia) si è inibito a giorni alterni anche il traffico delle auto catalizzate, in contrasto con le norme che incentivano la sostituzione delle auto usate non catalitiche (19). Non spetta al giurista dare indicazioni di politica amministrativa della circolazione, ma rientra tra i suoi compiti indicare le disfunzioni ed i possibili rimedi giuridici. Le disfunzioni sono evidenti: – carenza di programmazione degli interventi; – carenza di istruttoria tecnica prima dell’adozione delle decisioni, quando non estemporaneità ed orecchiamenti (certi tipi di provvedimenti, adottati da comuni pretesi modello, si diffondono come “mode”, al di là dell’effettiva necessità); – scarsa trasparenza dei processi decisionali ed esclusione della partecipazione dei cittadini; – noncuranza dell’incidenza dei provvedimenti da adottare sui diritti dei cittadini (di tutti i cittadini: automobilisti e non) e mancata ponderazione della praticabilità di soluzioni meno penalizzanti. Quali possono essere i rimedi? È evidente che le cose dovrebbero cominciare a cambiare innanzitutto in sede legislativa, nella quale la lobby bipartisan degli enti locali chiede ed ottiene (con l’avallo del Ministero dell’Ambiente e l’acquiescenza di quello delle Infrastrutture) poteri ed istituti sempre più incidenti sulla libertà del cittadino: dalla pubblicizzazione degli ausiliari privati del traffico sino, in prospettiva, alla attribuzione di poteri eccezionali ai sindaci delle maggiori città (come se i poteri attuali, che consentono loro di fare e disfare a piacimento, non fossero sufficienti e se gli accresciuti poteri potessero supplire - al di là della oggettiva, enorme, complessità dei problemi del traffico - alla povertà o carenza di serie analisi e di programmi ragionati. Purtroppo non esiste una lobby legislativa degli automobilisti. A livello propriamente amministrativo occorre ripartire da alcuni concetti essenziali dell’amministrazione nei paesi democratici: I - la programmazione settoriale (del traffico) ed intersettoriale (degli equilibri e sviluppi urbani); II - la partecipazione dei cittadini, singoli o associati, alla formazione delle decisioni che incidono pesantemente sulla qualità della vita individuale e collettiva; III - la proporzionalità dei provvedimenti adottati rispetto alle effettive necessità in attento bilanciamento con i diritti sui quali si incide. Vediamo rapidamente questi tre profili. I - La programmazione del traffico. Poiché si tratta di materia riconducibile al governo del territorio (20) (nel senso amplissimo che ne dà l’art. 117 Cost., come modificato con l. cost. n. 3/2001) lo Stato ha potestà legislativa concorrente con quella delle regioni e può, dunque, indicare i contenuti minimi che devono avere i piani del traffico urbani ed extraurbani (ma ormai anche interurbani) e soprattutto i principi relativi ai procedimenti, in pubblico contraddittorio, mediante i quali devono essere elaborati. Ma oltre a delineare le diverse figure di piani il legislatore nazionale può introdurre norme di favore o sfavore per i Comuni che rispettivamente abbiano o non abbiano adottato i piani del traffico. II - La partecipazione ai procedimenti relativi ai provvedimenti in materia di circolazione. Si tratta, come s’è detto, di provvedimenti generali a contenuto ordinatorio in quanto, perfino se riguardano una sola strada, interessano una pluralità indeterminata di utenti motorizzati. Ne consegue che per assicurare la partecipazione debbono essere adottate nel procedimento adeguate forme di pubblicità/notizia, tali da consentire la partecipazione dei cittadini interessati. Quanto meno dei cittadini che abbiano uno stabile collegamento con il territorio interessato o almeno un dimostrato interesse (anche di attraversamento) all’assetto del traffico in una certa area (21). Non sono più ammissibili provvedimenti adottati alle spalle dei cittadini, anche se discussi in Consiglio Comunale: la rappresentanza politica, com’è noto, non può surrogare le espressioni della società civile. Anche questi profili, in quanto attengono all’esercizio del diritto di partecipazione (22) dei cittadini, possono esser delineati, in termini generali, nelle norme statali di principio in materia di pianificazione del traffico. III - Infine il punto più sostanziale, anch’esso auspicabilmente da ribadire nelle disposizioni di principio da adottarsi dal legislatore statale: la proporzionalità dell’azione amministrativa. In estrema sintesi il principio di proporzionalità è articolato nel senso che i provvedimenti autoritativi: a) debbono essere idonei a raggiungere il fine cui sono preordinati; b) debbono essere effettivamente necessari; c) non devono incidere sulle situazioni giuridiche soggettive in misura superiore a quella indispensabile a conseguire il fine prefissato (23). In altre parole vi è un vero e proprio divieto di inutile restrizione delle situazioni soggettive dei cittadini, divieto che deve essere tanto più stringente in una materia nella quale i provvedimenti autoritativi incidono su una libertà (anche a volerla considerare una libertà che attiene non alla persona in sé, ma alla vita di relazione, dunque all’individuo sociale (24). Il principio di proporzionalità si traduce in un duplice obbligo per l’amministrazione procedente: – di esplorare in sede istruttoria tutte le soluzioni possibili scegliendo quella meno gravosa per la libertà di circolazione/spostamento; – di motivare nel modo più dettagliato e puntuale il criterio di bilanciamento che è stato adottato tra la necessità di provvedere in un certo modo ed i diritti dei cittadini (25). Le sommarie indicazioni che precedono certamente non si invereranno se si attende che – grazie ad una bacchetta magica – i pubblici poteri “di riferimento”, legislativo ed amministrativo, in materia di disciplina della circolazione, si ravvedano improvvisamente. Parafrasando il titolo di un saggio di un grande amministrativista (26) "vanum est disputare de potestate", cioè almanaccare come dovrebbe essere il potere. L’unico mezzo perché cambi attitudini consolidate (e, nel nostro caso, non sufficientemente contrastate) è ch’esso si trovi di fronte un’iniziativa decisa dei destinatari delle sue decisioni. Nelle società contemporanee gli interessi diffusi (27) dei cittadini trovano voce soprattutto mediante associazioni (o enti pubblici associativi, com’è l’ACI (28). Non può esser lasciato il monopolio – informativo e di iniziativa pubblica - della rappresentanza degli interessi diffusi a qualche organizzazione sedicente di tutela dei consumatori, che agisce in modo populistico e, nel nostro settore, sempre volto a penalizzare gli automobilisti, indicati quali responsabili unici dell’inquinamento urbano. È notorio che si tratta di una falsa verità. Ma le false verità sono le più pericolose perché se non sono adeguatamente combattute attecchiscono più facilmente. ______________ 1 Il primo ad occuparsene è stato G. Abbamonte, La libertà di circolazione stradale e la sua regolamentazione costituzionale, in Riv. Giur. Circ., 1955 p. 889; la prima trattazione sistematica è di M. Duni, D. Cassone, F. Garri, Trattato di diritto della circolazione stradale, Roma, 1961; adde, tra gli altri, G. Berti, Fondamento di libertà e fonti normative nella disciplina della circolazione, in Foro It., 1984, V, c. 157; P.L. Mantini voce Circolazione stradale: I) Disciplina amministrativa, in Enc. Giur. Treccani, vol. VI, Roma 1988; C. M. Pratis, Appunti in tema di regolazione del traffico urbano, in Riv. Giur. Circ. e Trasp. 1995, p. 255; S. Palazzolo, Libertà di locomozione e costrizione amministrativa, in Riv. Giur. Circ. e Trasp., 1996, p. 1. 2 M. S. Giannini, Diritto Amministrativo, 3ª ed., Milano, 1993. 3 Manuale di diritto amministrativo, Vol. II, XV ed., Napoli, 1989 p. 999; v. anche V. Caianiello, Incostituzionalità del nuovo Codice stradale, in Nuovo Dir., 1963. 4 In Giur. Cost. 1998 p. 1701 con nota di M. Manetti, Il «bisogno di circolare sulla propria automobile» tra art. 23 e art. 41 Cost, ibidem, p. 1713. 5 In Le Regioni, 1996 p. 1185. 6 Così sintetizza la questione G. Pasquini, Le strade e la circolazione in Trattato di diritto amministrativo, (a cura di S. Casses), parte speciale, Tomo II, Milano, 2000, p. 1376. 7 A. Sandulli, La proporzionalità dell’azione amministrativa, Padova, 1998, passim. 8 Sulle imposizioni di fatto e sulla correlazione/distinzione rispetto alle prestazioni imposte v. A. Cerri, Perplessità della Corte nel definire il concetto di prestazione imposta, in Le Regioni, 1985, p. 995. 9 G. Pasquini, Le strade … , cit. 10 In tema v. per tutti R. Pardolesi, voce Analisi economica del diritto, in Digesto (dir. civ.), vol. I, Torino, 1987 e F. Mengaroni, voce Analisi economica del diritto, in Enc. Giur. Treccani, vol. I, Roma,1988. 11 L’applicazione della teoria della regolazione alla circolazione stradale è stata sperimentata per primo da M. Clarich, Il nuovo Codice della strada tra «fallimenti del mercato» e disciplina amministrativa di settore, in Dir. Amm. 1995, p. 181 ss, con un’impostazione - tuttavia - non condivisibile perché assimila la circolazione stradale ad un mercato che non riesce ad autodisciplinarsi e necessita quindi di regulation. È agevole obiettare che la circolazione stradale non è un mercato, perché la sua funzione non è lo scambio organizzato di beni o servizi, ma lo svolgimento in modo ordinato degli spostamenti di persone e cose sulla rete stradale. 12 V. per tutti A. La Spina e G. D. Majone, Lo Stato regolatore, Bologna, 2000. 13 Si è qui ripresa, ed integrata, l’elencazione di Clarich, Il nuovo Codice … , cit. 14 In tema v. M. Cabianca, Le ordinanze in materia di circolazione stradale tra sindaco e dirigente, in Riv. Giur. Circ. e Trasp. 1999, p. 483. 15 Cfr. M. S. Giannini, Diritto amministrativo, vol. II, cit. 16 C. Talice, La natura giuridica dei piani urbani del traffico, in Riv. Giur. Circ. e Trasp., 1987, p. 393 ss. 17 A. Bardusco, Politica della mobilità ed obiettivi dei piani del traffico in Studi in onore di Giuseppe Guarino, I, Padova, 1998, p. 277. 18 Cfr. la rassegna intitolata Molto disagio per poco o nulla, in Mobilità e Traffico Urbano, n. 6/2003. 19 Si è ripresa, tra tante, l’analisi di L. Pascotto, Chiusure al traffico: verso provvedimenti di “nuova generazione?”, Direzione Studi e Ricerche dell’ACI – novembre 2002. 20 Sia consentito il rinvio a S. Amorosino, Il governo del territorio tra Stato, Regioni ed enti locali, in Riv. Giur., Ed. 2003; v. anche Corte Costituzionale sent. n. 303/2003. 21 Tra gli scritti recenti v. per tutti M. D’Alberti, La “visione” e la “voce”: le garanzie di partecipazione ai procedimenti amministrativi, in Riv. Trim. Dir. Pubbl. 2000, p. 1; R. Ferrara, Procedimento amministrativo e partecipazione: appunti preliminari, in Foro It., 2000, III, p. 27; F. Trimarchi, Considerazioni in tema di partecipazione al procedimento amministrativo, in Dir. Proc. Amm. 2000, p. 267; G. Gardini, Comunicazione di avvio e partecipazione procedimentale: costi e benefici di una regola di democrazia, in Giorn. Dir. Amm., 2001, p. 1025. 22 Piace ricordare che il primo a qualificare come diritto soggettivo quello di partecipazione è stato E. Dalfino - un amministrativista che fu anche sindaco di Bari - in: Basi per il diritto soggettivo di partecipazione nel procedimento amministrativo, ora in AA.VV. Le trasformazioni del diritto amministrativo. Scritti degli allievi per gli ottanta anni di M. S. Giannini (a cura di S. Amorosino), Milano, 1995, p. 107. 23 Si è ripresa la definizione di D. Sorace, Diritto delle amministrazioni pubbliche. Una introduzione, Bologna, 2000, p. 79. 24 P. Barile, Diritti dell’uomo e libertà fondamentali, Bologna, 1984, p. 172. 25 V. in tema A. Bonazzi, Le motivazioni degli atti amministrativi in materia regolata dal Codice della strada in Arch. Giur. Circ. 2001, p. 359. 26 E. Cannada Bartoli, Vanum disputare de potestate. Riflessioni sul diritto amministrativo in AA.VV., Scritti in onore di M. S. Giannini, vol. III, Milano, 1988. 27 In tema v. per tutti R. Rota, Gli interessi diffusi nell’azione della pubblica amministrazione, Milano, 1998 28 V. G. P. Rossi, Gli enti pubblici, Bologna, 1991, p. 119. 3) RIFLESSIONI CIRCA LA CLAUSOLA PENALE NEI PARCHEGGI IN CONCESSIONE. Al riguardo si rinvia all'articolo redatto da Rocco Lobianco in Resp. civ. e prev. 2007, 1, 0221B. <<Sommario: 1. Introduzione. − 2. La fonte della sanzione. − 3. Il rapporto intercorrente tra l'ente proprietario della strada ed il concessionario. − 4. Il rapporto intercorrente tra il concessionario e l'utente. − 5. La clausola penale. − 6. Conclusioni. 3.1. INTRODUZIONE Il problema del mancato pagamento, da parte dell'automobilista utente, del corrispettivo dovuto per la sosta dell'autoveicolo, investe in maniera assai rilevante il concessionario dell'area adibita a parcheggio, il quale abitualmente si espone a subire la perdita della tariffa oraria o giornaliera dovuta, senza disporre di strumenti idonei da far valere nei confronti dell'inadempiente. L'importo della sanzione amministrativa per la violazione delle disposizioni sulla sosta, stabilita dal codice della strada, infatti, è introitato nelle casse del Comune, così che l'ente concedente appare l'unico soggetto ad essere, in qualche maniera, beneficiato dal mancato pagamento della tariffa. Il concessionario, invece, non recupera in alcuna maniera l'importo che l'utente inadempiente avrebbe dovuto versare allo stesso a titolo di tariffa per la sosta utilizzata. L'inadempimento consente, è ovvio, al concessionario di attingere gli strumenti comuni per recuperare il proprio credito; ma risulta evidente che i costi delle azioni giudiziarie rendono assolutamente non conveniente le stesse in relazione ad un credito di pochi euro o a volte di pochi centesimi di euro; non consta che, nell'esperienza concreta, il concessionario se ne sia mai avvalso. Per il concessionario, dunque, l'unico effetto positivo della sanzione amministrativa è quello che si potrebbe definire "deterrente": l'utente, per timore di versare la sanzione prevista dal codice della strada, è indotto a pagare la tariffa oraria corrispondente al periodo di sosta che intende utilizzare. L'eventualità di incorrere nell'accertamento della violazione della norma del codice della strada, infatti, aumenta la possibilità che egli paghi al concessionario sistematicamente e diligentemente la tariffa oraria. Dall'esigenza di essere risarcita per il mancato guadagno con certezza e rapidità, il concessionario potrebbe aver quindi la necessità di prevedere la possibilità di far pagare all'utente inadempiente un importo ulteriore e diverso, rispetto a quello determinato dal codice della strada, di esclusiva spettanza dell'ente concessionario stesso, ovvero, detto in altre parole, la previsione di una penale. Per accertare la liceità e la legittimità di una clausola penale in una concessione di servizio (1), tuttavia, è opportuno preliminarmente analizzare quattro principali questioni: 1. la fonte della sanzione; 2. il rapporto intercorrente tra il concessionario e l'ente proprietario della strada; 3. il rapporto intercorrente tra il concessionario e l'utente; 4. la clausola penale. 3.2. LA FONTE DELLA SANZIONE Le sanzioni in materia di sosta vietata dei veicoli sono disciplinate dal codice della strada agli artt. 7, 157 e 158; con riferimento ai parcheggi a pagamento, disciplinati dalla l. 24 marzo 1989, n. 122 in particolare, esistono principalmente due diverse categorie di sanzioni: 1. la sanzione prevista per la sosta vietata così come indicata nell'art. 7, n. 15, del nuovo C.d.S., il quale sancisce che nei casi di sosta vietata, in cui la violazione si prolunghi oltre le ventiquattro ore, la sanzione amministrativa pecuniaria è applicata per ogni periodo di ventiquattro ore, per il quale si protrae la violazione. Se si tratta di sosta limitata o regolamentata, la sanzione amministrativa è del pagamento di una somma da euro 20,77 ad euro 85,26 e la sanzione stessa è applicata per ogni periodo per il quale si protrae la violazione; 2. la sanzione prevista per la sosta vietata così come indicata nell'art. 157, n. 6, del nuovo codice della strada, il quale sancisce che nei luoghi ove la sosta è permessa, ma per un tempo limitato, è fatto obbligo ai conducenti di segnalare, in modo chiaramente visibile, l'orario in cui la sosta ha avuto inizio; ove esiste il dispositivo di controllo della durata della sosta è fatto obbligo di porlo in funzione. Chiunque viola la sopra indicata disposizione è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da Euro 34,98 ad Euro 143,19. Delle due sanzioni quella che interessa maggiormente i concessionari, per evidenti ragioni, è l'ultima. Gli automobilisti che non espongono il ticket attestante l'avvenuto pagamento della sosta o che protraggono la sosta oltre il tempo indicato nel medesimo ticket, quindi, sono soggetti alla sanzione amministrativa del pagamento di un importo che va da Euro 34,98 a Euro 143,19. Questa sanzione, dopo un acceso dibattito giurisprudenziale (2), è ora legittimamente elevata anche dall'ausiliario della sosta. L'art. 17, comma 132, l. 15 maggio 1997, n. 127 dà infatti facoltà ai Comuni di conferire, con provvedimento del Sindaco, funzioni di prevenzione e di accertamento in materia di sosta ai dipendenti comunali o ai dipendenti delle società di gestione dei parcheggi, limitatamente alle aree oggetto di concessione; l'art. 68, l. 23 dicembre 1999, n. 488 inoltre, stabilisce che tali funzioni di prevenzione ed accertamento comprendono anche i poteri di contestazione immediata nonché di redazione e sottoscrizione del verbale di accertamento con l'efficacia di cui ai disposti degli artt. 2699 e 2700 c.c. L'ordinanza della Corte cost. 21 maggio 2001, n. 157 infine, ha specificato, ritenendo infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata in relazione all'art. 68, l. 23 dicembre 1999, n. 488 che rientra nelle scelte discrezionali del legislatore prevedere che l'autorità amministrativa possa attribuire specifiche funzioni di accertamento e di verifica oltre che a propri dipendenti anche a quelli di enti o società a cui sia stato affidato un servizio pubblico o che siano concessionari di un servizio in senso lato, quando tale accertamento o verifica siano connessi o siano utili per il migliore svolgimento dello stesso servizio. Attualmente, pertanto, non solo è consentito al dipendente del concessionario redigere autonomamente il verbale di accertamento, ma a tale verbale è riconosciuta la medesima efficacia di quello redatto da un pubblico ufficiale, ossia quello di atto pubblico, facente fede fino a querela di falso, contrariamente a quanto sostenuto in passato da una parte della giurisprudenza secondo la quale il verbale redatto dal dipendente del concessionario, in particolare, avrebbe dovuto valere soltanto fino a prova contraria. L'importo della sanzione amministrativa pecuniaria in parola è determinato con decreto del Ministero della giustizia. Ai sensi dell'art. 208 codice della strada, così come modificato dal D.Lgs. n. 9/2002, i proventi di queste sanzioni sono devoluti allo Stato, quando le violazioni siano accertate da funzionari, ufficiali ed agenti della Società Ferrovie dello Stato; i proventi stessi sono invece devoluti alle Regioni, alle Province ed ai Comuni, quando le violazioni siano accertate da funzionari, ufficiali ed agenti, rispettivamente delle Regioni, delle Province e dei Comuni. Qualora la sanzione sia elevata da un ausiliario della sosta dipendente del concessionario, pertanto, i relativi verbali di accertamento sono curati dall'ufficio contravvenzioni del Comando di Polizia Municipale ed i proventi derivanti dall'accertamento del contenuto di questi verbali verranno successivamente devoluti al Comune e non al concessionario. Riassumendo: le sanzioni per la sosta vietata, o comunque per il divieto di lasciare l'autoveicolo in sosta oltre il tempo indicato nel ticket, sono determinate dal codice della strada ed il loro importo è determinato dal Ministero della giustizia; i proventi di queste sanzioni sono per legge devoluti al Comune, qualora la violazione sia accertata da un dipendente abilitato del Comune o comunque, in base al combinato disposto dell'articolo 17, comma 132, l. 15 maggio 1997, n. 127 e dell'art. 68, l. 23 dicembre 1999, n. 488, dai dipendenti di enti o società a cui sia stato affidato un servizio pubblico o che siano concessionari di un servizio in senso lato come, nel caso che ci riguarda, i dipendenti del concessionario della gestione e del controllo dei parcheggi pubblici a pagamento in superficie abilitati con provvedimento del Sindaco. 3.3. IL RAPPORTO INTERCORRENTE TRA L'ENTE PROPRIETARIO DELLA STRADA ED IL CONCESSIONARIO La gestione dei parcheggi pubblici comunali è stata definita come un servizio a rilevanza industriale (3); questo servizio, pertanto, rientra nella disciplina di cui all'art. 113, d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (Testo Unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali), il quale stabilisce, al comma 4, che se l'erogazione del servizio è separata dalla gestione degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali, gli enti locali per la gestione stessa si avvalgono: 1. di soggetti allo scopo costituiti nella forma di società di capitali con la partecipazione totalitaria di capitale pubblico, cui può essere affidata direttamente; 2. di imprese idonee da individuare mediante procedure ad evidenza pubblica. Ai sensi del comma 5 del citato art. 113, inoltre, l'erogazione del servizio avviene mediante l'affidamento dello stesso: a) a società di capitali individuate attraverso l'espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica; b) a società a capitale misto pubblico privato nelle quali il socio privato venga scelto attraverso l'espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica che abbiano dato garanzia di rispetto delle norme interne e comunitarie in materia di concorrenza secondo le linee di indirizzo emanate dalle autorità competenti attraverso provvedimenti o circolari specifiche; c) a società a capitale interamente pubblico a condizione che l'ente o gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l'ente o gli enti pubblici che la controllano. Le aree destinate al parcheggio sulle quali la sosta dei veicoli è subordinata al pagamento di una somma da riscuotere mediante dispositivi di controllo di durata della sosta sono determinate da un'ordinanza del Sindaco, previa deliberazione della giunta (art. 7, n. 1, lett. f, d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285). Anche le tariffe relative alla sosta regolamentata vengono determinate con ordinanza del Sindaco, previa deliberazione della Giunta (art. 7, lett. f, codice della strada), in conformità ai criteri previsti dall'art. 117, D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267. Qualora i servizi pubblici, come accade nel servizio dei parcheggi a pagamento, siano gestiti da soggetti diversi dall'ente proprietario delle strade per effetto di particolari convenzioni e concessioni dell'ente stesso o per effetto del modello organizzativo di società mista, la tariffa è riscossa dal soggetto che gestisce il servizio stesso (art. 117 Testo Unico cit.). Secondo l'art. 7, comma 7, D.lgs. n. 285/1992 in particolare, i proventi dei parcheggi a pagamento spettano agli enti proprietari delle strade (nel caso che ci riguarda il Comune) e sono destinati all'installazione, costruzione e gestione di parcheggi in superficie, sopraelevati e sotterranei e al loro miglioramento; le somme eventualmente eccedenti sono destinate alla realizzazione di interventi dedicati al miglioramento della mobilità urbana. L'inciso di cui al comma 7 dell'art. 7, codice della strada, tuttavia, che sancisce che i proventi dei parcheggi a pagamento, "in quanto spettanti agli enti proprietari della strada", sono destinati agli scopi sopra indicati, può essere interpretato sia nel senso che i suddetti proventi spettano in ogni caso al Comune in quanto ente proprietario della strada, che nel senso secondo il quale tali proventi spettano all'ente proprietario salvo diversa convenzione tra l'ente stesso ed il concessionario. Quest'ultima interpretazione sembra essere la più fedele a ciò che accade normalmente nella realtà operativa, ove, in genere, ai concessionari che si occupano non solo del semplice controllo delle soste a pagamento, ma anche della gestione del suolo pubblico (per esempio la manutenzione delle strutture costituenti i parcheggi, la manutenzione delle attrezzature meccaniche e della segnaletica orizzontale e verticale, la progettazione e costruzione dei parcheggi in superficie e sotterranei), il Comune devolve in via esclusiva i proventi della gestione dei parcheggi stessi. Si configurano pertanto, in base al contenuto della convenzione stipulata, differenti rapporti intercorrenti tra l'ente proprietario della strada ed il concessionario, rapporti ove i proventi delle tariffe per la sosta, pertanto sono normalmente devoluti al concessionario. In base al comma 11 dell'art. 113, Testo Unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, i rapporti degli enti locali con le società di erogazione del servizio e con le società di gestione delle reti e degli impianti si realizzano mediante contratti di servizio, che sono allegati ai capitolati di gara. Prima di concludere i contratti di servizio, tuttavia, il servizio stesso deve ovviamente essere concesso dall'ente proprietario delle strade; la forma giuridica di questa concessione non sempre pare possa essere categoricamente identificata attraverso la gara ad evidenza pubblica. Per fare chiarezza sulla qualificazione del rapporto avente ad oggetto la gestione dei parcheggi, infatti, è necessario richiamare la Direttiva comunitaria n. 18/2004 del 31 marzo 2004 in materia di procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi. Per il Legislatore comunitario gli appalti di servizi sono quei contratti a titolo oneroso stipulati per iscritto tra uno o più operatori economici (l'imprenditore, il fornitore e il prestatore di servizi) e una o più amministrazioni aggiudicatrici che hanno per oggetto la prestazione di servizi ai sensi della presente direttiva (art. 1, n. 2, lett. d), Direttiva 2004/18/CE del 31 marzo 2004), ossia, nello specifico, le prestazioni di cui all'Allegato II della medesima Direttiva; l'attività di gestione dei parcheggi, pertanto, potrebbe rientrare o nei servizi di manutenzione e riparazione, o nei servizi di supporto e sussidiari per il settore dei trasporti, o, infine, nei servizi residuali, così come indicati nel menzionato allegato. Le concessioni di pubblico servizio, invece, sono quei contratti che presentano le stesse caratteristiche di un appalto pubblico di servizi, ad eccezione del fatto che il corrispettivo della fornitura di servizi consiste unicamente nel diritto di gestire i servizi o in tale diritto accompagnato da un prezzo (art. 1, n. 4, Direttiva 2004/18/CE del 31 marzo 2004). Dalla disamina della Direttiva, pertanto, sembra che l'unica fondamentale differenza che intercorra tra un appalto di pubblici servizi ed una concessione di servizi risieda nella circostanza per la quale nella prima ipotesi il corrispettivo è pagato direttamente dall'amministrazione aggiudicatrice al prestatore di servizi, mentre nella seconda la remunerazione del prestatore di servizi proviene dagli importi versati dai terzi per l'utilizzo del servizio pubblico. Il differente inquadramento della gestione di un servizio pubblico, nella forma dell'appalto o della concessione, pertanto, pone dei dubbi in merito alla stessa possibilità di bandire una gara per l'aggiudicazione del servizio. L'applicabilità della menzionata Direttiva al caso specifico della gestione dei parcheggi pubblici, infatti, è stata recentemente anche messa in discussione (4). Riassumendo: il Comune può affidare, con una convenzione di carattere amministrativo, la gestione delle proprie strade, ed in particolare il servizio dei parcheggi pubblici, a dei concessionari, i quali, in base al contenuto della convenzione stipulata, possono limitarsi a controllare le soste e ad elevare le sanzioni, oppure possono gestire gli stessi parcheggi; le tariffe relative alla sosta regolamentata vengono determinate dall'Amministrazione comunale, la quale, in base al contenuto della convenzione stipulata, devolve i proventi delle stesse ai concessionari. 3.4. IL RAPPORTO INTERCORRENTE TRA IL CONCESSIONARIO E L'UTENTE A differenza di quanto avviene tra l'ente proprietario delle strade e la società concessionaria, il rapporto che si configura tra chi gestisce il suolo pubblico per la sosta dell'autoveicolo e l'utente è attualmente considerato come un rapporto di diritto privato. Questa impostazione, dopo un lungo dibattito, è confermata anche dalla natura giuridica della tariffa pagata per il tempo della sosta dell'autoveicolo. La tariffa, infatti, è attualmente definita dalla legge stessa come un corrispettivo del servizio pubblico (art. 117 T.U. cit.), commisurato ai tempi e ai luoghi della sosta in una particolare strada, e non come un tributo o una prestazione patrimoniale imposta (5). Questa considerazione trova conforto anche nella circostanza per la quale il pagamento della sosta è una scelta dell'utente non priva di alternative (6) ed anche in quella per la quale il corrispettivo per la sosta del veicolo è soggetto all'imposta sull'IVA (7). In passato, la giurisprudenza riteneva che l'imposizione del pagamento di un compenso per la sosta regolamentata fosse legittimo esclusivamente nel caso in cui il parcheggio fosse vigilato (8), in ragione del fatto che solo in tale ipotesi si riteneva che il pagamento trovasse una giustificazione nel rapporto privatistico venutosi ad instaurare tra utente e Comune a causa dell'affidamento e della presa in custodia del veicolo parcheggiato. Accanto al menzionato rapporto privatistico, infatti, si riteneva che esistesse un rapporto parallelo di tipo pubblicistico attinente agli interessi generali sul semplice uso del parcheggio; nel caso di parcheggio incustodito, pertanto, non si riteneva configurabile un rapporto di tipo privatistico ed il pagamento di una tariffa era considerato come versamento di un corrispettivo senza causa.Dopo l'introduzione del nuovo codice della strada, e con particolare riferimento al suo art. 7, ed a seguito della privatizzazione dei pubblici servizi, la giurisprudenza (9) è ormai pacificamente orientata a ritenere che la sosta dei veicoli in aree urbane rientri in un contratto di diritto privato fra Comune, o società di esso concessionaria, ed automobilista anche nel caso di parcheggi incustoditi, in quanto anche in relazione a questi trova giustificazione un rapporto privatistico relativo alla prestazione assicurata dal Comune attraverso la predisposizione di aree delimitate e di parchimetri. Il parcheggio in zone regolamentate, pertanto, può essere attualmente configurato, indipendentemente dall'obbligo di custodia, come un rapporto di diritto privato la cui causa fondamentale è il godimento del suolo pubblico (10) contro il pagamento di un corrispettivo, che viene chiamato "tariffa", rapporto ove i soggetti contraenti sono da una parte il concessionario, dall'altra chi posiziona l'autoveicolo in sosta. Questo rapporto si perfeziona tacitamente, ovvero per comportamenti concludenti (11): colui che ha la disponibilità della strada offre a chiunque (12), in via permanente, la possibilità di sostare sul suolo demaniale a determinate condizioni (proposta contrattuale), mentre il gesto di colui che parcheggia il proprio autoveicolo all'interno delle strisce blu esprime la volontà di concludere il contratto con colui che ha la disponibilità della strada (accettazione contrattuale). Successivamente, con il pagamento della tariffa, l'utente adempie al programma contrattuale già accettato con il solo gesto del parcheggiare l'auto. Il perfezionamento del contratto, infatti, avviene in un momento anteriore al versamento della tariffa; se quindi l'utente non versa il corrispettivo o se lo versa in misura minore rispetto al tempo si sosta utilizzato, egli andrà incontro ad un inadempimento contrattuale(13). Il contratto che si instaura tra l'utente e colui che gestisce il suolo demaniale, pertanto, potrebbe essere inquadrato nella categoria dei contratti atipici (14) ed in particolare in quello di parcheggio. La giurisprudenza è ormai pacifica nel ritenere che se nel negozio di parcheggio è compresa anche la custodia del veicolo, si applicheranno le norme sul contratto di deposito, mentre se il contratto di parcheggio è privo dell'obbligo di custodia, si applicherà la disciplina appartenente alla locazione (15). In genere, la custodia è compresa nel rapporto qualora esistano specifiche aree destinate al parcheggio alle quali si accede attraverso sistemi automatici, anche indipendentemente dalle eventuali condizioni generali di contratto predisposte dall'impresa che gestisce il parcheggio che escludano un obbligo di custodia (16). Nel caso dei parcheggi in superficie, pertanto, non essendo ricompreso l'obbligo di custodia, si potrebbe configurare un contratto atipico di parcheggio caratterizzato dal contenuto del negozio tipico della locazione, ove un soggetto che ha la disponibilità di un bene (suolo demaniale), concede in godimento il bene stesso contro un determinato corrispettivo (tariffa per la sosta). Si potrebbe porre il problema, a questo punto, di individuare il soggetto in capo al quale possa rilevarsi il potere di disposizione del suolo demaniale asservito all'uso pubblico, ovvero se questo soggetto debba essere rappresentato dal Comune o dal concessionario. Il locatore, infatti, può ben essere un soggetto diverso dal proprietario del bene da locare, ma il locatore è il soggetto che deve in ogni caso avere, in base a qualsiasi titolo idoneo, una disponibilità giuridica sul bene stesso. Così, ove il concessionario si limiti al semplice controllo delle soste ed all'accertamento delle multe, non pare si possa rinvenire un potere giuridico di disposizione in capo alla stessa, ma piuttosto un semplice controllo sulle facoltà dominicali concesse all'utente dal Comune; in questo caso, quindi, il contratto di parcheggio si perfeziona tra il Comune e l'utente, piuttosto che tra il concessionario che controlla le soste e l'utente. Qualora il concessionario non si limiti al semplice controllo delle soste, ma le sia affidata, tramite convenzione, anche la responsabilità della gestione in senso lato dei parcheggi pubblici, però, il Comune, ente proprietario della strada, conferisce al concessionario anche un potere giuridico di disposizione della strada stessa, seppur limitato nei termini stabiliti nella convenzione stipulata tra Comune e concessionario. In tal caso, pertanto, il contratto di parcheggio viene direttamente concluso tra il concessionario e l'utente, e non tra il Comune e l'utente. È bene precisare che il concessionario, in questo ultimo caso, non occupa l'area demaniale a discapito della collettività sottraendola all'uso pubblico, ma, in presenza di determinati limiti imposti dal Comune, gestisce in proprio i parcheggi pubblici, esercitando così una vera e propria attività soggetta al rischio imprenditoriale (17), rischio invero difficilmente configurabile nella semplice attività di controllo delle soste. Il concetto di contratto di parcheggio tra concessionario ed utente, d'altra parte, ha senso solo ed esclusivamente nella misura in cui il concessionario abbia la disponibilità del parcheggio stesso, così come il concetto stesso di utente ha significato solo allorquando il concessionario eserciti un'attività di impresa. Ai sensi dell'art. 3, d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206 infatti, i "consumatori" e gli "utenti" sono definiti come quelle persone fisiche che agiscono per scopi non riferibili all'attività imprenditoriale e professionale eventualmente svolta. Quando il concessionario, pertanto, non si pone come mero intermediario tra il Comune e l'utente, ma, invece, come soggetto imprenditoriale avente la disponibilità delle strade in base ad apposita convenzione, esso si identifica come il soggetto locatore dei parcheggi rispetto agli utenti. Riassumendo: se il concessionario esercita la gestione dei parcheggi, lo stesso esercita un'attività di tipo imprenditoriale; esercitando un'attività imprenditoriale, il concessionario conclude con gli utenti dei contratti di diritto privato riconducibili, in particolare, alla categoria del contratto di parcheggio; il parcheggio nelle strisce blu, essendo un contratto di parcheggio senza custodia, è soggetto alle norme sulla locazione in quanto applicabili; questo contratto si perfeziona tacitamente ai sensi dell'art. 1327 c.c., ovvero mediante l'inizio dell'esecuzione (Cass. civ. sez. I, 24 luglio 1999, n. 8027); in particolare, l'atto di parcheggiare nelle strisce blu rappresenta il momento perfezionativo del contratto essendo lo stesso il primo atto esecutivo del contenuto del contratto di parcheggio ed il versamento dell'importo determinato nelle tariffe nelle macchine automatiche rappresenta il momento dell'adempimento del programma contrattuale (18). La tariffa rappresenta, infatti, il corrispettivo per il godimento del servizio pubblico. Dalle sopra esposte considerazioni, pertanto, deriva che l'utente che parcheggia senza biglietto ha in ogni caso concluso un contratto e quindi è inadempiente all'obbligo di pagare il corrispettivo; la stessa riflessione può essere estesa anche al caso dell'utente che lascia parcheggiata la propria autovettura per il periodo eccedente il tempo per il quale ha pagato. L'inadempimento, ai sensi del principio generale sancito dall'art. 1218 c.c., dà diritto al risarcimento del danno, risarcimento che deve comprendere sia la perdita subita dal creditore, che il mancato guadagno (art. 1223 c.c.). Nel caso in esame, pertanto, attesi fra l'altro i costi del servizio di controllo gravanti sull'ente concessionario, non sembra potersi ritenere sufficiente la determinazione del risarcimento del danno nel solo importo evaso. 3.5. LA CLAUSOLA PENALE Accertato il tipo di rapporto che intercorre tra utente e concessionario, ci si chiede ora se il concessionario stesso possa prevedere una clausola che imponga al fruitore del servizio di parcheggio pubblico il pagamento, a titolo di penale, di un importo superiore al costo della tariffa oraria di parcheggio. In caso di sosta vietata, i proventi delle sanzioni, come sopra esposto, vengono devoluti al Comune, anche qualora la violazione sia accertata da un dipendente abilitato dell'ente concessionario; la perdita patrimoniale causata dal mancato pagamento della tariffa esatta da parte dell'utente, pertanto, grava interamente sul concessionario, il quale sembra non disporre di mezzi adeguati per recuperare i mancati guadagni. Si pone quindi il problema di esaminare se il concessionario possa far pagare all'utente inadempiente un importo adeguato che gli consenta di recuperare la perdita subita e, in caso positivo, di come determinare l'ammontare di detto importo. L'utente inadempiente, infatti, potrebbe essere tenuto o a pagare l'importo giornaliero massimo della sosta, in caso di mancato totale versamento del corrispettivo del ticket e nell'impossibilità di determinare l'inizio della sosta (che però potrebbe essere provato dal contraente), o, in caso di parziale versamento, a pagare un importo relativo ad una frazione di ora per l'ulteriore tempo si sosta non pagato. La soluzione sembra dunque individuabile nello stabilire in via anticipata un risarcimento liquidato in modo forfetario per ogni tipo di violazione, ovvero, detto in altri termini, nella previsione di una clausola penale. La giurisprudenza (19), in proposito, ha affermato che in linea di massima la previsione di una clausola penale, in caso di mancato pagamento della tariffa per la sosta, è legittima, in quanto legittima è la costituzione, all'origine, di un rapporto di diritto privato fra concessionario ed automobilista, e ciò anche con riferimento al caso dei parcheggi incustoditi. Essendo il sopra indicato rapporto di tipo privatistico, pertanto, il concessionario potrebbe considerarsi libero di determinare le condizioni contrattuali che ritiene più opportune, tra le quali anche quella concernente la penale. Ovviamente, così come per tutte le clausole della convenzione con cui viene concesso l'affidamento del servizio pubblico, anche la clausola penale dovrà necessariamente essere approvata dal Comune. A conforto di questo orientamento vi è anche un dato normativo particolarmente esplicativo, ovvero il comma 132 dell'art. 17, l. 15 maggio 1997, n. 127: "I comuni possono con provvedimento del sindaco, conferire funzioni di prevenzione e accertamento delle violazioni in materia di sosta a dipendenti comunali o delle società di gestione dei parcheggi, limitatamente alle aree oggetto di concessione. La procedura sanzionatoria amministrativa e l'organizzazione del relativo servizio sono di competenza degli uffici o dei comandi a ciò preposti. I gestori possono comunque esercitare tutte le azioni necessarie al recupero dell'evasioni tariffarie e dei mancati pagamenti, ivi compresi il rimborso delle spese e delle penali". È quindi palese che l'Azienda che gestisce un parcheggio incustodito a pagamento possa determinare e conseguentemente agire per ottenere l'adempimento delle penali previste per l'inadempimento. Essendo il contratto di parcheggio, tuttavia, un rapporto che riguarda l'erogazione di un servizio in forma imprenditoriale a degli automobilisti, come sopra visto, si pone il problema di stabilire i limiti della clausola penale nell'ambito di un rapporto privatistico fra imprenditore e consumatore. La clausola penale è, infatti, una condizione contrattuale particolarmente problematica, che necessita di essere accompagnata da alcuni "accorgimenti" al fine di non essere qualificata come clausola vessatoria. In proposito, si deve precisare che il problema della vessatorietà della clausola penale sorge soltanto in relazione a quei contratti predisposti, unilateralmente, per disciplinare una serie indefinita di rapporti (contratti per adesione), ovvero ai casi in cui le parti contraenti non siano sullo stesso piano e non abbiano la possibilità di poterla rendere oggetto di una trattativa individuale, salvo le clausole di cui al comma 2 dell'art. 36 del codice del consumo. L'eventuale clausola penale posta dal concessionario per il mancato pagamento del ticket, pertanto, sebbene vada ricondotta nei suoi tratti strutturali e funzionali allo schema tipico della penale, è una clausola le cui differenze, rispetto alla fattispecie dell'art. 1382 c.c., la riconducono evidentemente alla disciplina del d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206 (cosiddetto "Codice del consumo"). Premesso che la clausola penale non è menzionata nell'elenco di cui al secondo comma dell'art. 1341 c.c. e che pertanto pare possa essere pacificamente inserita in un contratto disciplinato da condizioni generali predisposte unilateralmente da uno dei contraenti, così come nel caso in esame, l'indagine si sposta sulla vessatorietà della stessa ai sensi dell'art. 33 del d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206. L'art. 33, comma 2, lett. f) del codice di consumo, conformemente al principio già indicato nel più generale art. 1341 c.c., non qualifica la penale come clausola vessatoria tout court, ma sancisce che la stessa si presume sia vessatoria, fino a prova contraria, solo qualora abbia per oggetto o per l'effetto di imporre al consumatore, in caso di inadempimento o di ritardo nell'adempimento, il pagamento di una somma di denaro a titolo di risarcimento d'importo manifestamente eccessivo. La legge, pertanto, subordina la presunzione della vessatorietà alla dimostrazione della sua manifesta eccessività e ciò proprio in quanto la clausola penale non è considerata abusiva in quanto tale. La vessatorietà di una simile clausola, quindi, dovrà essere valutata solo in relazione alla sua "manifesta eccessività" e ciò, stando alla lettera dell'art. 33, codice del consumo, con solo riferimento all'importo pecuniario in essa stabilito; nel caso in cui la predetta valutazione dia esito positivo, la clausola (e non l'intero contratto ai sensi dell'art. 36, comma 1, codice del consumo) potrà essere dichiarata nulla dal giudice, anche d'ufficio (art. 36, comma 3, codice del consumo). La disciplina del codice di consumo, poiché non indica quale sia il termine di confronto per determinare quando l'importo della penale sia manifestamente eccessivo, lascia spazio ad una valutazione di merito pressoché discrezionale. In assenza di determinazione normativa è da tenere in considerazione la tesi di chi (20) sostiene che il parametro di riferimento potrebbe essere identificato nell'interesse del debitore. Con particolare riferimento al tema che ci interessa, infatti, la giurisprudenza ha affermato che la clausola penale è abusiva qualora abbia ad oggetto, o comunque per effetto, quello di imporre al consumatore il pagamento di una somma di denaro di 30 volte superiore alla tariffa base; è stato inoltre affermato che ha natura decettiva il verbale di contestazione di mancata corresponsione della tariffa oraria di sosta che, rilasciato contestualmente al verbale di irrogazione di sanzione amministrativa elevato dal concessionario per violazione del codice della strada in veste di ausiliario del traffico, è tale da ingenerare confusione nell'utente circa la natura della sanzione ed il soggetto creditore; per le sopra esposte ragioni, il Tribunale di Roma, con sentenza del 28 giugno 2003, ha sostenuto che l'applicazione di una clausola del genere da parte di un concessionario del servizio di parcheggi comunali a pagamento deve essere inibita. La vessatorietà della clausola penale, pertanto, può essere contestata sia con riferimento all'importo della stessa, che con riguardo alla chiarezza con cui la stessa deve essere resa nota agli utenti. Riassumendo: la previsione di una clausola penale da parte del concessionario dei parcheggi in superficie per il mancato pagamento della tariffa di sosta è legittima, in quanto, considerato il rapporto di tipo privatistico che viene ad instaurarsi fra concessionario ed utente, può rientrare nelle facoltà che possono essere attribuite al concessionario stesso in base alla convenzione con il Comune; la clausola penale, tuttavia, deve in ogni caso essere informata ai principi di ragionevolezza, trasparenza, chiarezza ed equità, pena la sua nullità ai sensi dell'art. 33, comma 2, lett. f), codice del consumo. 3.6. CONCLUSIONI Dalle sopra esposte considerazioni, si possono trarre le seguenti conclusioni: − qualora il concessionario ha titolo per gestire e disporre dei parcheggi pubblici in superficie, lo stesso instaura dei rapporti di diritto privato con gli interessati alla sosta; − il rapporto che si conclude tra il concessionario e gli utenti interessati alla sosta nelle aree demaniali a pagamento in superficie è un contratto atipico di parcheggio con il contenuto tipico della locazione; − tale rapporto si perfeziona tacitamente ai sensi dell'art. 1327 c.c., di talché l'utente che parcheggia senza biglietto o che lascia parcheggiata la propria autovettura per un periodo eccedente il tempo per il quale ha pagato ha in ogni caso concluso un contratto, anche con riferimento al tempo eccedente, e quindi è inadempiente all'obbligo di pagare il corrispettivo; − l'inadempimento, ai sensi del principio generale sancito dall'art. 1218 c.c., dà diritto al risarcimento del danno, risarcimento che deve comprendere sia la perdita subita dal creditore, che il mancato guadagno (art. 1223 c.c.). − attesi fra l'altro i costi del servizio di controllo gravanti sull'ente concessionario, non è sufficiente la determinazione del risarcimento del danno nel solo importo evaso; − se il concessionario conclude dei contratti di diritto privato, all'interno del programma contrattuale il concessionario stesso può legittimamente determinare le proprie condizioni di contratto, tra le quali anche la previsione della penale per l'inadempimento; − il concessionario che gestisce i parcheggi esercita un'attività di impresa e pertanto lo stesso assume la qualifica di "contraente forte" rispetto agli automobilisti, che, a loro volta, possono essere classificati come "utenti" o "consumatori", con tutte le conseguenze di legge che derivano da queste definizioni; − la penale è per natura ed effetti diversa dalla sanzione amministrativa pecuniaria per il divieto di sosta: la sanzione è determinata dalla legge, la penale da un regolamento interno del concessionario; i proventi della penale sono devoluti al concessionario, i proventi delle sanzioni sono devoluti al Comune; − la previsione di una penale, è consentita, purché venga resa nota all'utente, sia con riferimento alla possibilità per l'automobilista di prenderne adeguata conoscenza, che con riferimento alla percezione che l'utente deve avere della differente natura della stessa rispetto alla sanzione amministrativa pecuniaria e del diverso soggetto creditore che l'ha prevista; − è vessatoria e quindi illecita la penale che determini il pagamento di un importo manifestamente eccessivo; − nel caso di penali illecite, oltre alla sanzione della nullità nel rapporto fra concessionario ed utente, le associazioni dei consumatori e degli utenti, rappresentati dagli automobilisti, sono legittimate ad agire, ai sensi della l. 30 luglio 1998, n. 281 a tutela degli interessi collettivi, contro il concessionario richiedendo, in particolare, al giudice competente: a) di inibire gli atti e i comportamenti lesivi degli interessi dei consumatori e degli utenti; b) di adottare le misure idonee a correggere o eliminare gli effetti dannosi delle violazioni accertate; c) di ordinare la pubblicazione del provvedimento su uno o più quotidiani a diffusione nazionale oppure locale nei casi in cui la pubblicità del provvedimento possa contribuire a correggere o eliminare gli effetti delle violazioni accertate. _____________ (1) Nella pratica si è riscontrata raramente l'ipotesi in cui il Comune affida il servizio di gestione dei parcheggi mediante un appalto di servizi; la concessione del servizio pubblico è la forma più diffusa, nonostante esistano alcuni casi in cui il rapporto tra Ente e Società rientri o nel pubblico appalto di servizi o nel cosiddetto affidamento in house, ove il servizio viene direttamente affidato a soggetti formalmente distinti dall'Ente pubblico, ma sui quali quest'ultimo esercita un penetrante potere di controllo analogo a quello che eserciterebbe se la stessa attività fosse svolta direttamente. A differenza del pubblico appalto di servizi, infatti, la concessione di servizi è caratterizzata dal fatto che la controprestazione che il gestore del servizio in questione ottiene dall'amministrazione aggiudicatrice consiste nel diritto di sfruttare, ai fini della sua remunerazione, la propria prestazione (cfr. ordinanza 30 maggio 2002, causa C358/00, Buchhändler-Vereinigung, nonché la sentenza 7 dicembre 2000, causa C-324/98, Telaustria e Telefonadress). Un ulteriore elemento di differenziazione tra le figura sopra indicate, inoltre, risiede nella circostanza per la quale nella concessione del servizio il concessionario sopporta i rischi collegati alla prestazione del servizio ed ottiene la sua controprestazione, quantomeno parzialmente, dagli utenti del servizio, attraverso la riscossione di un prezzo. Al contrario, nel pubblico appalto di servizi il compenso per la prestazione eseguita viene pagato dall'amministrazione aggiudicatrice, che, tra l'altro, sopporta il rischio collegato alla fornitura del servizio. Nel caso che ci riguarda, pertanto, la fattispecie si realizza mediante una concessione della gestione dei parcheggi. (2) Si ricordano, tra le tante, Pret. Bologna, 1 febbraio 1995, in N. Lugaresi, Traffico e mobilità urbana: disciplina giuridica, Rimini, 1998, 141, per la quale è illegittima l'ordinanza di ingiunzione che irroga una sanzione amministrativa per violazione del divieto di sosta, qualora essa sia accertata non direttamente dalla polizia municipale, ma su segnalazione di personale dipendente dell'azienda di trasporti. (3) Cons. Stato, sez. V, 15 aprile 2004, n. 2155, in Foro amm. CDS, 2004, 1123; T.A.R. Campania Napoli, sez. I, 30 aprile 2003 n. 4203, in Foro amm. TAR, 2003, 1332, 2015, con nota di Sinisi. (4) Nel 2001 la Gemeinde Brixen (il "comune di Bressanone") aveva trasformato la Servizi Municipalizzati Bressanone, azienda del comune, in una società per azioni denominata Stadtwerke Brixen AG (la "ASM Bressanone Spa"). Il capitale sociale di questa era interamente detenuto dal comune. Nel 2002 il comune di Bressanone aveva concluso con la ASM Bressanone Spa una convenzione con cui le affidava per un periodo di nove anni la gestione di un parcheggio di circa 200 posti. Come corrispettivo per la gestione del parcheggio, la ASM Bressanone Spa riscuoteva le tasse di parcheggio. Inoltre garantiva il servizio di locazione gratuita di biciclette ed accettava che il mercato settimanale continuasse a tenersi in quell'area. Infine, le spettavano la manutenzione ordinaria e straordinaria dell'area e tutte le relative responsabilità. La società Parking Brixen GmbH, che gestiva un altro parcheggio nel comune di Bressanone, aveva contestato dinanzi al Tribunale amministrativo, Sezione autonoma per la provincia di Bolzano, l'attribuzione della gestione del parcheggio alla ASM Bressanone Spa. A suo avviso, il comune di Bressanone avrebbe dovuto effettuare un bando di gara pubblica. Il comune di Bressanone aveva fatto valere in quella sede la circostanza per la quale lo stesso controllava per intero laASM Bressanone Spa, cosicché non vi sarebbe stata aggiudicazione di un appalto o concessione a favore di terzi. In tale contesto, il T.A.R. aveva deciso di sottoporre due questioni pregiudiziali alla Corte di Giustizia delle Comunità europee. La sezione I della Corte, nella causa C-458/03 13.10.05, aveva rilevato, innanzitutto, che la direttiva che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi si applica agli appalti che comportano un corrispettivo pagato direttamente dall'amministrazione aggiudicatrice al prestatore di servizi, ma non alle concessioni di servizi. Nella fattispecie, la remunerazione del prestatore di servizi proveniva dagli importi versati dai terzi per l'utilizzo del parcheggio. Tale forma di remunerazione implicava che il prestatore assumesse il rischio della gestione dei servizi in questione, delineando in tal modo una concessione di pubblici servizi. Pertanto, trattandosi di una concessione di pubblici servizi, la direttiva non era stata ritenuta applicabile. Tuttavia, la Corte aveva sottolineato che l'autorità pubblica è in principio tenuta a rispettare le norme generali del TrattatoCE, quali la libertà di stabilimento e la libera prestazione dei servizi, nonché i principi di parità di trattamento, di non discriminazione e di trasparenza. L'applicazione di queste regole, infatti, è esclusa solamente nel caso in cui l'autorità pubblica concedente eserciti sull'ente concessionario un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e l'ente realizzi la maggior parte della sua attività con l'autorità che lo detiene. Tale controllo deve consentire all'autorità concedente di avere un'influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni importanti dell'ente.Nel caso di specie, la ASM Bressanone Spa aveva goduto di un vasto margine di autonomia che aveva escluso che il comune esercitasse su di essa un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi. Infatti, il suo oggetto sociale era stato ampliato ad altri settori − in particolare quelli del trasporto di persone e merci − e le sue attività erano state estese a tutta l'Italia ed all'estero, ed, infine, il suo capitale doveva essere aperto ad altri azionisti. Inoltre, erano stati conferiti ampi poteri al Consiglio di amministrazione, senza che in pratica venisse esercitato alcun controllo gestionale da parte del comune. Conseguentemente, l'attribuzione non poteva essere considerata un'operazione interna a cui le regole e i principi comunitari fossero inapplicabili. La Corte aveva concluso, quindi, che la totale mancanza di gara nel caso di un'attribuzione di concessione di pubblici servizi come quella sopra indicata non fosse conforme al diritto comunitario. (5) In tal senso, si ricorda Pret. Torino, 23 ottobre 1992, in N. Lugaresi, Traffico e mobilità urbana: disciplina giuridica, Rimini, 1998, 141, 142, per la quale il corrispettivo previsto per la sosta in parcheggi senza custodia istituiti dal Comune integra un onere di diritto pubblico, gravante sull'automobilista ex art. 23 Cost., in ossequio ai superiori principi di tutela ambientale e di tutela della salute, previsti dagli artt. 32 e 9 Cost. (6) Corte cost., 29 gennaio 2005, n. 66, in Giur. cost., 2005, 1 ed in Foro it., I, 2005, 1307. (7) Sez. un. civ., 9 ottobre 2001, n. 12367, in Dir. e giust., 2001, 39, 37 ss. (8) Tra le tante, in particolare, si ricordano Cass. civ., 13 gennaio 1988, n. 179; Cass. civ., 9 agosto 1985, n. 4420; Cass. civ., 17 febbraio 1983, n. 1215; Cass. civ., 4 giugno 1981, n. 3606; Cass. civ., 4 aprile 1979, n. 1945; tutte in N.Lugaresi, Traffico e mobilità urbana: disciplina giuridica, Rimini, 1998, 144 ss. (9) Significativa in tal senso è Cass. civ., 24 luglio 1999, n. 8027, in Corr. giur., 2000, 183 ss., con nota di Fittipaldi. (10) T.A.R. Emilia Romagna Parma, 4 febbraio 1992, n. 17, in Foro amm., 1993, 190. (11) Cass. civ., 24 luglio 1999, n. 8027, cit., considera tale parcheggio come un contratto che si perfeziona ai sensi dell'art. 1327 c.c. (12) Con riferimento ai parcheggi custoditi, si veda Cass. civ., 26 febbraio 2004, n. 3863, in Dir. e giust. 20/2004, 33, con nota di De Giorgi, ed in Mass. Giust. civ., 2004, 2 ed in Finanza locale 2004, 76, che considera tali parcheggi come contratti atipici stipulati per facta concludentia, nonché la meno recente Cass. civ., 3 dicembre 1990, n. 11568, in Riv. dir. comm., 1992, II, 381, con nota di Donzella, che considera la predisposizione di un'area per il parcheggio come un'offerta al pubblico. (13) Giudice pace Ascoli Piceno, 18 maggio 2004, in Dir e lav. Marche, 2004, 125. (14) Per un'ampia disamina della problematica relativa ai contratti atipici si rimanda in particolare a De Nova, Il tipo contrattuale, Padova, 1974; Costanza, Il contratto atipico, Milano, 1981; Sacco, Autonomia contrattuale e tipi, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1966, 790 ss. (15) Cass. civ., 26 febbraio 2004, n. 3863, cit.; Cass. civ., 1 dicembre 2004, n. 22598; Trib. Mantova, 18 luglio 2002; App. Milano, 30 maggio 2000. (16) Cass. civ., 26 febbraio 2004, n. 3863, cit. (17) Cons. Stato, sez. V, 15 aprile 2004, n. 2155, cit. (18) Per un'ampia disamina del problema relativo alla conclusione dell'accordo contrattuale, si rimanda a Sacco, La conclusione dell'accordo, I, 1999, 91 ss.; Sacco-De Nova, Il contratto, I, III ed., Torino, 2004, 331 ss. (19) Cass. civ., 24 luglio 1999 n. 8027, cit. (20) Caricato, Le clausole vessatorie nei contratti con i consumatori, a cura di Alpa-Patti, Milano, 1997, I, 237 ss. 4) SULLA NATURA DELLA SOMMA VERSATA PER IL PAGAMENTO. Sempre Gallone, articolo citato, ed in contrasto con quanto sopra sostenuto da Lobianco: <<Escluso quindi che possa instaurarsi un rapporto privatistico tra la società concessionaria a capitale pubblico e l’utente della strada, è allora evidente che si è in presenza di un’attività autoritativa che realizza un depauperamento patrimoniale del privato. Ci si chiede, pertanto, entro quale specifica categoria tributaria possa essere inquadrata tale imposizione pecuniaria. In primo luogo deve essere escluso che possa trattarsi di un canone, dato che quest’ultimo si trova necessariamente in relazione causale con l’uso eccezionale della strada e costituisce, in senso tecnico, il prezzo della concessione con la quale il privato ottiene il godimento di beni demaniali. Allo stesso modo deve essere esclusa la qualificazione di tale imposizione come tariffa. Quest’ultima rappresenta, infatti, il prezzo unitario di un servizio pubblico e costituisce, quindi, un vero e proprio corrispettivo che deve trovare la sua causa nella prestazione fornita dal soggetto pubblico, prestazione che non sussiste nel caso di sosta nelle aree delimitate da strisce blu. Non appare neppure proponibile la qualificazione del pagamento in questione come imposta, dato che con questa si intende una prestazione coattiva dovuta dal soggetto passivo semplicemente sulla base della sua capacità contributiva, senza che rilevi una relazione con l’attività dell’ente pubblico. Da quanto detto appare allora evidente che il pagamento per la sosta mediante dispositivi di controllo della durata debba essere qualificato come una vera e propria tassa, non rappresentando il corrispettivo di una prestazione o il costo di un servizio, bensì un contributo richiesto dal Comune, mediante il concessionario del servizio, ai singoli cittadini. D'altronde, di recente la stessa S.C ha ritenuto che il concessionario non sia tenuto al pagamento della TOSAP, in quanto allo stesso viene attribuito un mero servizio di gestione del parcheggio, con il connesso potere di esazione delle somme dovute dai singoli per l’uso dell’area pubblica. Il termine esazione conferma, a nostro avviso, la natura di tassa del pagamento mediante parcometro. Tale impostazione è stata di recente accolta anche dalla dottrina, laddove è stato osservato come sia la legge stessa (art. 7 C.d.S.) a ritenere il pagamento del ticket per la sosta del veicolo alla stregua non già di un corrispettivo (prezzo contro utilizzo di area pubblica) bensì di una tassa. L’affermazione dell’esistenza di una vera e propria tassa di parcheggio è stata poi effettuata anche da quella parte della dottrina che ritiene che attraverso questo strumento sia possibile realizzare un meccanismo di razionamento delle aree di stazionamento reso necessario dall’esistenza di un livello di domanda nettamente superiore all’offerta." 5) LA SENTENZA N. 66/2005 DELLA CORTE COSTITUZIONALE SULLA NATURA DEL VERSAMENTO. Recentemente, un giudice di merito ha ritenuto di dover sottoporre al vaglio di costituzionalità l’intero sistema introdotto dall’art. 7 C.d.S., in tema di pagamento per la sosta senza custodia. Tuttavia la Corte Costituzionale ha negato il lamentato contrasto con i principi costituzionali peri seguenti motivi:<<Corte costituzionale, 29 gennaio 2005, n. 66, REPUBBLICA ITALIANA, IN NOME DEL POPOLO ITALIANO,LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori ...omissis ... ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 1, lettera d), della legge 13 giugno 1991, n. 190 (Delega al Governo per la revisione delle norme concernenti la disciplina della circolazione stradale) e dell'art. 7, comma 1, lettera f), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), promosso con ordinanza del 28 ottobre 2003 dal Giudice di pace di Roma nel procedimento civile vertente tra Petrangolo Antonio e il Comune di Roma, iscritta al n. 407 del registro ordinanze 2004 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 20, prima serie speciale, dell'anno 2004. Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nella camera di consiglio del 15 dicembre 2004 il Giudice relatore Fernanda Contri. Fatto 1. - Il Giudice di pace di Roma, con ordinanza emessa il 28 ottobre 2003, ha sollevato, in riferimento agli artt. 76, 16, 3 e 23 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 1, lettera d), della legge 13 giugno 1991, n. 190 (Delega al Governo per la revisione delle norme concernenti la disciplina della circolazione stradale) e dell'art. 7, comma 1, lettera f), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada). Il rimettente, innanzi al quale è stata proposta opposizione a sanzione amministrativa per omesso pagamento della somma dovuta per la sosta del veicolo, osserva che l'art. 2, comma 1, lettera d), della legge delega n. 190 del 1991, nel prevedere la facoltà dell'ente proprietario della strada di subordinare il parcheggio e la sosta dei veicoli al pagamento di una somma, non specifica i principi e i criteri direttivi della subordinazione né indica i criteri impositivi. Ad avviso del giudice a quo, sussisterebbe una lesione dell'art. 76 della Costituzione, in quanto sarebbe stata del tutto omessa la determinazione dei principi e dei criteri direttivi e di valutazione sia in ordine alla individuazione delle zone che possono essere sottoposte all'onere del pagamento di una somma per il parcheggio sia in ordine alle tariffe applicabili, non essendo rinvenibili tali criteri nell'art. 2 della legge n. 190 del 1991, che fa riferimento soltanto ad esigenze di tutela della sicurezza stradale, peraltro non invocabili nella fattispecie. Secondo il rimettente, l'omissione nella legge delega dei principi e dei criteri direttivi, stabiliti in maniera uniforme per l'intero territorio nazionale, avrebbe prodotto "situazioni aberranti", in considerazione della continua estensione delle zone soggette al pagamento e dei criteri di determinazione delle tariffe, variabili in relazione non solo alle singole città ma anche alle zone della medesima città e alle ore. L'art. 7, comma 1, lettera f), del nuovo codice della strada, nel tentativo di porre rimedio a tale omissione, avrebbe illegittimamente rimesso al Ministro dei lavori pubblici (ora Ministro delle infrastrutture e dei trasporti) il compito di indicare le direttive cui devono attenersi le delibere delle giunte comunali che stabiliscono le aree destinate a parcheggio, fissando le condizioni e le tariffe. Ad avviso del rimettente, la violazione sarebbe duplice, poiché il Parlamento avrebbe omesso di indicare i principi direttivi e il Governo, in assenza di delega, avrebbe demandato ad un Ministro l'emanazione dei criteri. Un ulteriore profilo di illegittimità costituzionale è individuato dal giudice rimettente nella lesione dell'art. 16 della Costituzione, che garantisce la libertà di circolazione con riferimento anche ai mezzi di trasporto, senza i quali non vi sarebbe una circolazione adeguata, e consente che siano previste delle limitazioni, da attuare con legge formale, ma solo per ragioni di sanità e sicurezza. Nella fattispecie, non solo vi sarebbe una violazione della riserva di legge, poiché la materia è stata rimessa alla discrezionalità del Ministro dei lavori pubblici (ora Ministro delle infrastrutture e dei trasporti), ma difetterebbero anche i motivi di sanità e di sicurezza che possono giustificare le limitazioni al diritto di circolazione. Sussisterebbe poi una violazione del principio di eguaglianza, poiché nell'accesso ad un servizio pubblico, come è la strada, sarebbero privilegiati i cittadini con maggiori capacità economiche, ai quali è concesso di usufruire della strada e delle relative possibilità di parcheggio, mentre ai cittadini meno abbienti sarebbe negato il medesimo diritto in forza di una legge che impone oneri sproporzionati alle capacità economiche dei medesimi. Il rimettente osserva infine che la mancanza di principi e criteri direttivi costituirebbe anche violazione dell'art. 23 della Costituzione, in quanto la legge delega non contiene al riguardo nessuna indicazione, nemmeno con riferimento ai limiti minimi e massimi delle tariffe. Il giudice a quo richiama in proposito il principio affermato dalla giurisprudenza costituzionale, secondo cui il carattere impositivo della prestazione non è escluso per il solo fatto che la richiesta del servizio dipenda dalla volontà del privato, e sottolinea che, come più volte precisato dalla Corte costituzionale, la determinazione delle tariffe di accesso ad un servizio essenziale non può essere rimessa all'arbitrio delle autorità ma deve essere assistita dalle garanzie che la Costituzione ha voluto assicurare attraverso la riserva di legge, con la indicazione almeno dei criteri idonei a delimitare la discrezionalità della pubblica amministrazione per ciò che attiene sia al quantum che ai soggetti passivi, al fine di escludere che la discrezionalità si trasformi in arbitrio. 2. - E' intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la inammissibilità o per l'infondatezza della questione. La difesa erariale sottolinea anzitutto come i criteri direttivi si ricavino agevolmente dal complesso delle disposizioni contenute nell'art. 2, comma 1, lettere d) e f), nelle quali si traduce l'indirizzo parlamentare diretto a limitare l'uso della strada per la sosta. Inoltre, poiché le norme impugnate non hanno carattere innovativo rispetto alla previgente disciplina della circolazione stradale dettata con D.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, che all'art. 4 prevedeva analoga possibilità per i comuni di destinare al parcheggio aree, subordinando la sosta dei veicoli al pagamento di somme, non vi sarebbe nemmeno necessità della specifica indicazione di principi e criteri direttivi, come affermato dalla giurisprudenza costituzionale. Le disposizioni del codice della strada attuano il disegno della delega, delineando i poteri amministrativi degli enti proprietari delle strade e delle autorità comunali secondo i moduli tipici di regolazione dell'attività amministrativa, tra i quali è compresa la sottoposizione dei comuni al potere di direttiva del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, stabilita dall'art. 7, comma 2, lettera f). L'Avvocatura osserva inoltre che l'istituzione delle fasce di parcheggio a pagamento è atto impugnabile dinanzi al TAR e che il rimettente non ha nemmeno individuato l'atto istitutivo di tale parcheggio a pagamento, che avrebbe potuto anche disapplicare, omettendo di motivare in modo sufficiente quanto alla rilevanza della questione sollevata. La difesa erariale sostiene poi l'infondatezza delle censure sollevate in relazione alla pretesa violazione dell'art. 16 Cost., poiché la libertà di circolazione non può intendersi quale libertà di parcheggio gratuito sulla pubblica via; né, a suo avviso, potrebbe invocarsi la riserva di legge prevista dall'art. 23 Cost., quando il pagamento imposto per la sosta del veicolo trovi la sua fonte in un atto volontario dell'utente. Infine, quanto alla dedotta lesione del principio di eguaglianza, l'Avvocatura ritiene che la questione della determinazione delle tariffe e delle relative esenzioni debba essere esaminata con riferimento agli atti che hanno introdotto le tariffe stesse, eventualmente in un giudizio di impugnazione, e che comunque appare ragionevole la scelta operata dal legislatore di dissuadere la sosta nei centri storici. Diritto 1. - Il Giudice di pace di Roma censura l'art. 2, comma 1, lettera a), della legge delega per la revisione delle norme sulla circolazione stradale 13 giugno 1991, n. 190 (Delega al Governo per la revisione delle norme concernenti la disciplina della circolazione stradale) e l'art. 7, comma 1, lettera f), del decreto legislativo n. 285 del 1992 (Nuovo codice della strada), prospettando diversi profili di illegittimità costituzionale delle due citate disposizioni, che consentono di subordinare la sosta dei veicoli al pagamento di una somma di denaro. Le due norme sarebbero in contrasto anzitutto con l'art. 76 Cost., per essere stata del tutto omessa la determinazione dei principi e dei criteri direttivi e di valutazione sia in ordine alla individuazione delle zone che possono essere sottoposte all'onere del pagamento di una somma per il parcheggio sia in ordine alle tariffe applicabili; ed inoltre perché, in assenza di delega del Parlamento, l'indicazione di tali criteri sarebbe stata demandata dal Governo al Ministro dei lavori pubblici (ora Ministro delle infrastrutture e dei trasporti); con l'art. 16 Cost., sotto il duplice profilo della violazione della riserva di legge, in quanto la materia è stata rimessa alla discrezionalità del Ministro dei lavori pubblici (ora Ministro delle infrastrutture e dei trasporti), e del difetto dei motivi di sanità e di sicurezza, i quali soltanto potrebbero giustificare le limitazioni al diritto di circolazione; con l'art. 3 Cost., poiché nell'accesso ad un servizio pubblico, come è la strada, sarebbero privilegiati i cittadini con maggiori capacità economiche, ai quali è concesso di usufruire della strada e delle relative possibilità di parcheggio, mentre ai cittadini meno abbienti sarebbe negato il medesimo diritto in forza di una legge che impone oneri sproporzionati alle capacità economiche dei medesimi; con l'art. 23 Cost., in quanto la determinazione delle tariffe di accesso al servizio essenziale del parcheggio su strade urbane sarebbe stata rimessa all'arbitrio dell'autorità, in difetto della indicazione di criteri idonei a delimitarne la discrezionalità e della previsione di limiti minimi e massimi. 2. - Le censure non sono fondate. 2.1. - La legge di delegazione n. 190 del 1991 è stata più volte esaminata da questa Corte in relazione a censure riferite all'art. 76 Cost. e si è già avuto modo di affermare che la predetta legge, "abilitando in generale il Governo ad adottare disposizioni, aventi valore di legge, intese a «rivedere e riordinare [...] la legislazione vigente concernente la disciplina [...] della circolazione stradale» ha identificato direttamente, quale base di partenza dell'attività delegata, il codice della strada vigente, cioè il testo unico delle norme sulla circolazione stradale approvato con il D.P.R. 15 giugno 1959, n. 393" (sentenze n. 239 del 2003, n. 251 del 2001, n. 427 del 2000, n. 354 del 1998 e n. 305 del 1996). Si è quindi sostenuto che la revisione e il riordino, ove comportino l'introduzione di norme aventi contenuto innovativo rispetto alla disciplina previgente, necessitano della indicazione di principi e di criteri direttivi idonei a circoscrivere le diverse scelte discrezionali dell'esecutivo, mentre tale specifica indicazione può anche mancare allorché le nuove disposizioni abbiano carattere di sostanziale conferma delle precedenti (sentenza n. 354 del 1998). Quest'ultima ipotesi ricorre nella specie, in quanto il previgente codice della strada conteneva già una disposizione del tutto analoga a quella del decreto legislativo in esame, introdotta dall'art. 15 della legge 24 marzo 1989, n. 122 (Disposizioni in materia di parcheggi, programma triennale per le aree urbane maggiormente popolate, nonché modificazioni di alcune norme del testo unico sulla disciplina della circolazione stradale, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 15 giugno 1959, n. 393), che ha modificato l'art. 4 del testo unico n. 393 del 1959, attribuendo ai comuni la facoltà di stabilire aree destinate al parcheggio, sulle quali la sosta dei veicoli è subordinata al pagamento di una somma da riscuotere mediante dispositivi di controllo della durata anche senza custodia del veicolo, e di fissare le relative condizioni e tariffe. La sostanziale identità delle due norme consente allora di affermare che la disposizione contenuta nel nuovo codice della strada è in realtà meramente ricognitiva e confermativa della precedente; il che vale ad escludere la sussistenza della dedotta lesione dell'art. 76 Cost. 2.2. - Il rimettente ha invocato come parametro anche l'art. 16 Cost., a suo giudizio leso per violazione della riserva di legge e per il difetto dei motivi di sanità e sicurezza che soltanto potrebbero giustificare una limitazione del diritto di circolazione. Entrambe le censure sono infondate. Ed infatti, oltre alla considerazione che le lamentate limitazioni al diritto di circolazione risultano comunque poste con lo strumento della legge, è sufficiente osservare, quanto alla doglianza relativa alla pretesa insussistenza delle ragioni che consentono di limitare il predetto diritto, che con la sentenza n. 264 del 1996 questa Corte ha affermato che "il precetto di cui al detto art. 16 non preclude al legislatore la possibilità di adottare, per ragioni di pubblico interesse, misure che influiscano sul movimento della popolazione. In particolare l'uso delle strade, specie con mezzi di trasporto, può essere regolato sulla base di esigenze che, sebbene trascendano il campo della sicurezza e della sanità, attengono al buon regime della cosa pubblica, alla sua conservazione, alla disciplina che gli utenti debbono osservare ed alle eventuali prestazioni che essi sono tenuti a compiere. La tipologia dei limiti (divieti, diversità temporali o di utilizzazioni, subordinazione a certe condizioni) viene articolata dalla pubblica autorità tenendo conto dei vari elementi in gioco: diversità dei mezzi impiegati, impatto ambientale, situazione topografica o dei servizi pubblici, conseguenze pregiudizievoli derivanti dall'uso indiscriminato del mezzo privato. Si tratta pur sempre, però, di una disciplina funzionale alla pluralità degli interessi pubblici meritevoli di tutela ed alle diverse esigenze, e sempre che queste rispondano a criteri di ragionevolezza." In ragione di ciò, si può quindi concludere che le limitazioni in esame sono giustificate in funzione di altri interessi pubblici egualmente meritevoli di tutela, quali quelli attinenti al buon regime della cosa pubblica. 2.3. - Il rimettente sostiene che nell'accesso ad un servizio pubblico, come è la strada, sarebbero privilegiati i cittadini con maggiori capacità economiche, ai quali è concesso di usufruire della strada e delle relative possibilità di parcheggio, mentre ai cittadini meno abbienti sarebbe negato il medesimo diritto in forza di una legge che impone oneri sproporzionati alle capacità economiche dei medesimi. La questione risulta sollevata in modo astratto e ipotetico, poiché manca ogni collegamento con la fattispecie del giudizio a quo, come può del resto rilevarsi dall'ordinanza di rimessione, che non contiene alcun riferimento alle condizioni economiche dell'opponente né ad una eventuale eccezione svolta dal medesimo in relazione ad una pretesa incapacità economica di assolvere l'obbligo di pagamento del parcheggio. Onde l'inammissibilità della questione per difetto di motivazione sulla rilevanza. 2.4. - Risulta, infine, insussistente anche la lamentata violazione della riserva di legge in materia di prestazioni patrimoniali imposte. Come questa Corte ha più volte affermato (si vedano, tra le tante, le sentenze n. 435 del 2001, n. 215 del 1998, n. 180 del 1996 e n. 236 del 1994), rientrano nella nozione di prestazione patrimoniale imposta anche prestazioni di natura non tributaria e aventi funzione di corrispettivo, quando per i caratteri e il regime giuridico dell'attività resa, sia pure su richiesta del privato, a fronte della prestazione patrimoniale appare prevalente l'elemento della imposizione legale. Ai fini dell'individuazione delle prestazioni patrimoniali imposte, non costituiscono profili determinanti né le formali qualificazioni delle prestazioni né la fonte negoziale o meno dell'atto costitutivo né l'inserimento di obbligazioni ex lege in contratti privatistici (sentenza n. 215 del 1998). Deve invece riconoscersi «un peso decisivo agli aspetti pubblicistici dell'intervento delle autorità ed in particolare alla disciplina della destinazione e dell'uso di beni o servizi, per i quali si verifica che, in considerazione della loro natura giuridica, della situazione di monopolio pubblico o della essenzialità di alcuni bisogni di vita soddisfatti da quei beni o servizi, la determinazione della prestazione sia unilateralmente imposta con atti formali autoritativi, che, incidendo sostanzialmente sulla sfera dell'autonomia privata, giustificano la previsione di una riserva di legge» (sentenza n. 236 del 1994). Nel caso in esame, il pagamento per la sosta del veicolo sfugge sia alla nozione di tributo che a quella di prestazione patrimoniale imposta; esso è configurabile piuttosto come corrispettivo, commisurato ai tempi e ai luoghi della sosta, di una utilizzazione particolare della strada, rimessa ad una scelta dell'utente non priva di alternative; sicché il corrispettivo risulta privo di uno dei fondamentali requisiti che questa Corte ha ritenuto indispensabile affinché possa individuarsi una prestazione patrimoniale imposta; e ciò esclude che debba essere assistito dalla garanzia prevista dall'art. 23 Cost. P.Q.M. LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 1, lettera d), della legge 13 giugno 1991, n. 190 (Delega al Governo per la revisione delle norme concernenti la disciplina della circolazione stradale) e dell'art. 7, comma 1, lettera f), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal Giudice di pace di Roma con l'ordinanza in epigrafe; dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 1, lettera d), della legge 13 giugno 1991, n. 190 (Delega al Governo per la revisione delle norme concernenti la disciplina della circolazione stradale) e dell'art. 7, comma 1, lettera f), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), sollevata, in riferimento agli artt. 76, 16 e 23 della Costituzione, dallo stesso Giudice di pace di Roma con l'ordinanza in epigrafe. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 gennaio 2005. DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 29 GEN. 2005>>. Ebbene, tale sentenza appare discutibile soprattutto in relazione alla qualifica attribuita al pagamento poiché sembrano più sostenibili le posizioni richiamate dal Prof. Gallone. Una conferma di tale ultimo assunto potrebbe essere rinvenuta nella decisione con la quale le S.U. della Cassazione (Cass. 9 ottobre 2001 n. 12367 in Foro it., 2002, I, 440) hanno ritenuto che le s.p.a. costituite dai comuni ai sensi della Legge 142 del 1990, titolari della gestione dei proventi della sosta a pagamento, rivestono la qualifica di agenti contabili e, come tali, sono soggetti al giudizio di conto e che, al tempo stesso, gli amministratori di dette società concessionarie possono essere sottoposti all’azione sociale di responsabilità ex art. 2393 c.c. nel caso in cui pongano in essere atti dannosi di cattiva gestione della S.p.A. a capitale pubblico locale. << Le società private, concessionarie della gestione di parcheggi pubblici comunali a pagamento, hanno l'obbligo del rendiconto delle somme riscosse per le tariffe di parcheggio, qualora sia stabilita l'originaria pertinenza di questi proventi ai comuni>> Cassazione civile , sez. un., 09 ottobre 2001, n. 12367,Soc. trasp. automobilistici c. Proc. reg. C. conti Lazio e altro, Finanza locale 2002, 201. Ulteriore conseguenza di tale impostazione, come recentemente ritenuto dalla S.C. (Cass. 22 luglio 2004 n. 13702 in Giust. civ. mass., 2004) che il sindaco di un comune è tenuto, in adempimento degli obblighi di tutela del patrimonio comunale, a proporre tale azione nei confronti degli amministratori della concessionaria. 6. SULLA ILLEGITTIMITA' DELLA CREAZIONE DI STRISCE BLU NELLE AREE LATERALI DELLA CARREGGIATA. V. Gallone, articolo citato:<<Tornando all’analisi della disciplina legislativa della sosta a pagamento, giova precisare come nella legge delega all’attuale T.U. (L. 13 giugno 1991 n. 190) vi fu il tentativo, da parte di qualcuno, di ampliare ulteriormente gli spazi in cui era possibile per i Comuni imporre il pagamento. L’art. 2, lett. d) prevedeva, infatti, la possibilità di subordinare “il parcheggio e la sosta” dei mezzi al pagamento di un corrispettivo. Tale formula è stata però utilizzata dal legislatore del 1992 solo per la regolamentazione della circolazione fuori dai centri abitati (art. 6, n. 4, lett. d), e non per la disciplina di tale fenomeno all’interno degli stessi. Da ciò si deduce che quella di limitare nelle aree urbane la sosta a pagamento esclusivamente nei parcheggi è stata, senza alcun dubbio, una precisa scelta del legislatore, confermata, del resto, dall’art. 7 lett. F, ove è previsto che i Comuni, nei centri abitati, possono stabilire “aree destinate al parcheggio” sulle quali la sosta dei veicoli è subordinata al pagamento di una somma. Nella realtà quotidiana i Comuni hanno invece, nella maggior parte dei casi, collocato i parcometri anche nelle fasce di sosta laterali. Questa operazione, andando oltre il dettato di legge, è del tutto illegittima. Per comprendere meglio tale critica occorre preliminarmente specificare quale siano gli elementi che compongono la sede stradale. Quest’ultima è la superficie delimitata dai confini stradali, e comprende le fasce di pertinenza e la carreggiata (art. 3, n. 146, C.d.S.). Come si può vedere, il legislatore del 1992 ha inserito la nozione di fascia di pertinenza del tutto sconosciuta nel C.d.S. abrogato. A sua volta il C.d.S. qualifica la carreggiata come “parte della strada destinata allo scorrimento dei veicoli”, in genere delimitata da strisce di margine di color bianco (art. 3, n. 7). Chiariti gli elementi che compongono la sede stradale occorre, a questo punto, stabilire dove i Comuni possono istituire le aree di parcheggio che, ripetiamo, sono le uniche deputate ad accogliere i dispositivi di controllo di durata della sosta. I parcheggi sono aree o infrastrutture poste fuori della carreggiata (art. 3, n. 34, C.d.S.), e non costituiscono fasce di pertinenza, bensì vere e proprie pertinenze della strada, per l’esattezza pertinenze di servizi (art. 24, n. 4, C.d.S.). Nella locuzione fascia di pertinenza il termine pertinenza definisce, infatti, un’entità non autonoma, parte integrante della sede stradale situata oltre la carreggiata ed il confine stradale. Una caratterizzazione della fascia di pertinenza si può trovare nella “fascia di sosta laterale” (art. 3, n. 23) che, collocata al lato della carreggiata, è anche destinata agli stalli di sosta. I parcheggi, al contrario, non devono in nessun caso intralciare la circolazione o limitare la visibilità; devono inoltre essere ubicati in maniera tale da consentire un reciproco e tempestivo avvistamento tra i conducenti che percorrono la strada e quelli in entrata e in uscita dall’area (art. 60, n. 3, reg. al C.d.S.). La scelta del legislatore di installare i parcheggi in modo tale da non costituire pericolo o intralcio risulta anche confermata da un’ulteriore considerazione: l’art. 7, n. 6, C.d.S. del 1992 prevedeva che tali aree dovessero essere ubicate “possibilmente” fuori dalla carreggiata. Il D. lgs. 10 settembre 1993 n. 360 ha, però, opportunamente modificato detto articolo, eliminando il termine “possibilmente”. Alla luce di quanto esposto non vi è quindi alcun dubbio che le aree di parcheggio devono essere ubicate fuori della carreggiata e del tutto autonome rispetto alla sede stradale. Di conseguenza appare evidente come i parcometri debbano essere installati nei parcheggi e non nelle fasce di sosta laterali, la cui ubicazione non può che recare intralcio alla circolazione dinamica. Si potrebbe, però, obiettare che le fasce di sosta laterali sono collocate fuori della carreggiata e che, pertanto, possono essere destinate dai comuni ad aree di parcheggio. Tutto ciò, ovviamente, se si ritiene corretta la nozione di carreggiata quale parte della strada destinata allo scorrimento dei veicoli (art. 3, n. 7, C.d.S.). A nostro modo di vedere questa è invece palesemente errata. Nel C.d.S. abrogato la carreggiata veniva definita quale parte della strada normalmente destinata alla circolazione dei veicoli (art. 2 C.d.S.). Nel Testo Unico del 1992 il termine “circolazione” è stato invece sostituito da quello di “scorrimento”. A questo punto c’è da chiedersi quale sia il motivo di tale modifica. Il termine “scorrimento” è privo di significato tecnico-giuridico, e si riferisce solo alla circolazione dinamica. Il Codice della Strada sembra così operare una netta separazione tra la circolazione statica e quella dinamica, ignorando la definizione di circolazione, contenuta nell’art. 3, n. 9, quale fenomeno complesso che comprende non solo il movimento ma anche la fermata e la sosta dei veicoli. La nuova nozione di carreggiata produce un vero e proprio stravolgimento dell’intera disciplina della sosta e, quindi, anche della circolazione, in particolare all’interno dei centri abitati. L’art. 157, n. 2, C.d.S., inserito nel titolo V relativo alle norme di comportamento in materia di circolazione stradale, prevede, infatti, che nella sosta il veicolo debba essere collocato il più vicino possibile al margine destro della carreggiata, parallelamente ad esso e secondo il senso di marcia, lasciando in questo modo libera al transito la maggior parte della larghezza della strada. Da tale principio fondamentale risulta evidente come la sosta non possa che avvenire all’interno della carreggiata. D’altronde, se il legislatore avesse inteso prevedere lo svolgimento della sosta fuori della stessa, lo avrebbe stabilito espressamente, così come ha fatto nell’art. 157, n. 3, C.d.S., laddove ha statuito che “fuori dei centri abitati i veicoli in sosta devono essere collocati fuori della carreggiata”. Di conseguenza, la carreggiata non può essere ridotta alla parte della sede stradale destinata allo scorrimento dei veicoli, ma deve necessariamente ricomprendere anche quella destinata alla sosta. Se la nozione tecnico-giuridica di carreggiata fosse corretta si arriverebbe alla paradossale conseguenza che, fuori dei centri abitati, qualora non esista la segnaletica orizzontale delimitante la carreggiata, qualsiasi sosta sarebbe lecita a patto che sia possibile uno “scorrimento”. La definizione di carreggiata contenuta nell’art. 3, n. 7, è pertanto errata e incompatibile con il principio fondamentale statuito dall’art. 157 C.d.S. e, quindi, non può non ricomprendere anche le fasce di sosta laterale, con la conseguenza che le stesse non possono essere destinate ad aree di parcheggio. In secondo luogo, giova precisare come con l’introduzione del termine “scorrimento” il legislatore ha ottenuto un solo risultato: quello di “restringere” la carreggiata. Questo risultato non è però assoluto: si pensi, ad esempio, all’ipotesi in cui la sede stradale non presenti alcun tipo di segnaletica orizzontale che delimiti il margine della carreggiata, così come consentito dall’art. 3, n. 7, C.d.S.. In tal caso la larghezza della stessa “varia” in relazione ad una circostanza meramente fattuale: la presenza o meno di veicoli in sosta. Potrebbe quindi accadere che in assenza di veicoli in sosta il margine della carreggiata coincida con il ciglio del marciapiede, mentre, nell’ipotesi contraria, la stessa identica strada avrebbe una carreggiata nettamente più ristretta. L’“elasticità” della carreggiata rende, peraltro, difficile l’accertamento della condotta di guida dei conducenti, i quali devono circolare, in caso di incrocio con altri veicoli, non solo in prossimità del margine destro della carreggiata ma, addirittura, il più vicino possibile allo stesso (art. 143, n. 3, C.d.S.). Se poi si pensa all’ipotesi in cui accanto agli stalli di sosta a pagamento siano presenti quelli riservati a persone con limitata o impedita capacità motoria si incontrano delle ulteriori incongruità. Secondo il Codice della Strada, gli stalli di sosta delimitati dalla segnaletica orizzontale di color azzurro costituirebbero aree di “parcheggio”, mentre quelli riservati, contrassegnati dal color giallo, rappresenterebbero aree di “sosta” riservate. Due aree, assolutamente contigue e con identiche caratteristiche, avrebbero natura giuridica diversa: la prima rappresenterebbe un vero e proprio parcheggio, la seconda un’area riservata alla sosta, e non vi è chi non veda l’incongruenza. I parcheggi, unici luoghi deputati ad accogliere i dispositivi di controllo della durata della sosta, debbono essere “necessariamente” ubicati fuori della carreggiata. Di qui l’illegittimità di tutti quei parcometri installati lungo le strade urbane. Queste ultime sono così classificate dal C.d.S.: autostrade, urbane di scorrimento, urbane di quartiere e locali (art. 2, n. 2). In particolare, le strade urbane di scorrimento devono avere carreggiate indipendenti, ciascuna con almeno due corsie di marcia; nelle stesse la sosta dei veicoli deve avvenire esclusivamente in apposite aree esterne alla carreggiata, con immissioni ed uscite concentrate. Le strade urbane di quartiere sono, invece, quelle ad unica carreggiata, con almeno due corsie, ove la sosta deve avvenire in aree attrezzate con apposita corsia di manovra, esterna alla carreggiata. In entrambe le definizioni viene quindi previsto che le fasce di sosta devono essere esterne alla carreggiata. Alla luce della nozione di carreggiata contenuta nell’art. 3 C.d.S. non si vede per quale motivo il legislatore abbia dovuto effettuare questa specificazione. Al di là di questa osservazione, che comunque denota incertezza da parte dello stesso, giova precisare come le norme sopra citate prevedano una situazione che non corrisponde assolutamente all’attuale realtà urbanistica delle città metropolitane. Appare, infatti, del tutto utopistica la realizzazione delle apposite corsie di manovra per l’ingresso e l’uscita dalle fasce di sosta laterali previste in tutte le strade urbane. Il rischio è che qualora l’art. 2 C.d.S. dovesse essere applicato letteralmente dai Comuni si finirebbe per comprimere ulteriormente il diritto alla sosta dei cittadini. Le osservazioni fin qui esposte ci inducono a ritenere che i Comuni abbiano “confuso” le fasce di sosta laterali con le aree di parcheggio; in particolare, l’errata nozione di carreggiata contenuta nel C.d.S. li ha portati ad installare dispositivi di controllo lungo le strade dei centri abitati, ignorando il principio generale del diritto alla circolazione ed il conseguente diritto alla sosta. Se è vero che la libertà di circolazione non si identifica con la libertà assoluta di circolare e, quindi, di sostare su tutte le strade con il proprio mezzo, dovendo essere limitata al fine di raggiungere la migliore utilizzazione dei beni pubblici, è però altrettanto vero che gli interventi restrittivi devono essere “rispettosi dei diritti dei cittadini”, alcuni dei quali addirittura di rango costituzionale>>. In sostanza, come evidenzia Fabrizio Romeo, <<L’art. 7 del Codice della Strada attribuisce ai Comuni la potestà di regolamentare, per mezzo di ordinanze del Sindaco, la circolazione all’interno dei centri abitati. Tra i vari obblighi, divieti e limitazioni che i Sindaci hanno facoltà di istituire vi è anche la sosta a pagamento sul suolo pubblico, e specificamente il comma 1 lettera f) dispone che è possibile “stabilire, previa deliberazione della giunta, aree destinate al parcheggio sulle quali la sosta dei veicoli è subordinata al pagamento di una somma da riscuotere mediante dispositivi di controllo di durata della sosta”. Un elemento fondamentale di tale disposizione, che però sfugge alla maggior parte delle amministrazioni comunali che la attuano, è il fatto che è possibile istituire la sosta a pagamento solo in apposite “aree destinate al parcheggio”. A questo punto, a scanso di equivoci, e opportuno ricordare che spesso il Legislatore chiarisce preventivamente le definizioni ed i significati della terminologia utilizzata, cosa che per quanto riguarda l’area di parcheggio fa con l’art. 3 c. 1 n°34 C.d.S., dove la stessa viene definita come “area o infrastruttura posta fuori della carreggiata, destinata alla sosta regolamentata (o non) dei veicoli”. E ancora, nell’art. 2 c. 3 C.d.S., lett. E ed F, in cui si definiscono rispettivamente le “strade urbane di scorrimento” e le “strade urbane di quartiere”, vengono previste apposite aree “esterne alla carreggiata” per la sosta dei veicoli, con immissioni ed uscite concentrate e relativa corsia di manovra. Ad una lettura approssimativa di tali disposizioni sembrerebbe quasi che nei centri abitati il Codice della Strada non ammetta la sosta se non fuori dalla carreggiata, in contrasto con quanto stabilito dall’art. 157 c. 2 C.d.S., dove si afferma invece che la sosta si effettua posizionando il veicolo “il più vicino possibile al margine destro della carreggiata, parallelamente ad esso e secondo il senso di marcia”. Così, per sanare tale apparente discrasia, alcuni disattenti interpreti del Codice della Strada sostengono che i veicoli parcheggiati secondo le modalità descritte nell’art. 157 C.d.S. siano fuori dalla carreggiata, rifacendosi forzatamente alla definizione di carreggiata data nel già citato art. 3 C.d.S.. Ma la “carreggiata” è in realtà tutta la “parte della strada parte destinata allo scorrimento dei veicoli”, comprendendo tra le attività complessive che definiscono la scorrimento del flusso veicolare non solo la marcia, ma anche le sue eventuali interruzioni più o meno protratte nel tempo, e definite dall’art. 157 c. 1 C.d.S.. Con tale definizione essa viene distinta concettualmente e funzionalmente dal “marciapiede”, che è invece quella parte della strada destinata esclusivamente al transito dei pedoni (art. 3 c. 1 n° 33 C.d.S.). E per ribadire e rafforzare ulteriormente tale distinzione, nel comma 6 del succitato art. 7 C.d.S. il Legislatore enuncia espressamente che “le aree destinate al parcheggio devono essere ubicate fuori della carreggiata, e comunque in modo che i veicoli parcheggiati non ostacolino lo scorrimento del traffico”. Inoltre, anche se per i più non sarebbe affatto necessario, vale comunque la pena di ricordare qui il valore logico-semantico del lemma “margine”, in considerazione del quale il margine della carreggiata è inconfutabilmente una parte del tutto definito “carreggiata”, e come tale si trova, appunto, sulla carreggiata. Ricapitolando, sappiamo ora con certezza che: 1. le “aree di parcheggio” devono avere una serie di caratteristiche tecniche e strutturali, fra la quali (ma non solo) il fatto di essere ubicate fuori dalla carreggiata; 2. i Sindaci possono subordinare la sosta dei veicoli al pagamento di una somma di denaro, ma possono farlo solo in apposite “aree destinate al parcheggio”; 3. i margini della carreggiata occupati dai veicoli in sosta con le modalità stabilite dall’art. 157 C.d.S. non sono affatto “aree di parcheggio” (almeno non per il Codice della Strada). Da ciò ne deriva quindi che le cosiddette “Zone Blu”, ovvero gli stalli di sosta a pagamento istituiti ai margini delle strade cittadine deputate allo scorrimento del flusso veicolare, sono di fatto giuridicamente illegittime. Per completezza dobbiamo infine prendere atto che alcuni pervicaci sostenitori delle Zone Blu ne fanno proditoriamente discendere la legittimità da un ardito escamotage interpretativo. L’art. 7 c. 1 lett. a), infatti, attribuisce ai Comuni la facoltà di “adottare i provvedimenti indicati nell'articolo 6 commi 1, 2, e 4”. Ma nell’art 6 C.d.S., che regolamenta la circolazione fuori dai centri abitati, in realtà troviamo sostanzialmente tutte le disposizioni poi riprese dal successivo art. 7, con la differenza però che nei commi 1 e 2 l’autorità preposta ad adottare i provvedimenti è il Prefetto, mentre nel comma 4 è l’ente proprietario della strada, che, nel caso di strada comunale, coincide appunto col Comune. L’art. 6 c. 4 lett. d, specificamente, riflette sul Sindaco la facoltà di “vietare o limitare o subordinare al pagamento di una somma il parcheggio o la sosta dei veicoli”, facoltà questa che viene ripresa e più specificamente normata dal successivo art 7 c. 1 lett. f che abbiamo già dettagliatamente analizzato. Ora, dopo che una superficiale interpretazione di tali norme ha fatto si che un massiccio ricorso all’istituzione delle soste a pagamento negli ultimi anni mettesse in moto mastodontici interessi economici, alcuni tentano, con una forzata giustificazione giuridica a posteriori, di farne risalire la legittimità su una presunta differenza semantica tra i termini “parcheggio” e “sosta” utilizzati nell’art. 6 c. 4, attribuendo al termine parcheggio il significato di sosta all’interno di un area di parcheggio, ed al termine sosta quella effettuata sul margine della carreggiata secondo i dettami dell’art. 157 C.d.S.. In tal modo vengono di fatto aggirate tutte le precise disposizioni che limitano la sosta a pagamento solo alle aree di parcheggio con le caratteristiche che abbiamo già analizzato, per estenderla a tutti i siti in cui è possibile effettuare la sosta. Ma tale distinzione è sicuramente una forzatura ingiustificata, e per diverse ragioni. Innanzitutto sul piano linguistico, perché se è vero che il sostantivo “parcheggio” indica indifferentemente sia il luogo fisico in cui si effettua il parcheggio che l’atto del parcheggiare, è pur vero che nella lingua italiana i sostantivi “parcheggio” e “sosta”, quali nominalizzazioni rispettivamente dei verbi “parcheggiare” e “sostare”, vengono indifferentemente usati per indicare l’azione di sospendere la marcia di un veicolo lasciandolo fermo per un periodo di tempo indeterminato, anche con l’allontanamento del conducente dallo stesso, a prescindere dal sito scelto. Diversamente si potrebbe dire, parafrasando la faceta definizione del noto caratterista Nino Frassica, che “si parcheggia nel parcheggio e si sosta nel sosteggio!” Siccome la faccenda che stiamo trattando è alquanto più seria, torniamo a considerarne gli aspetti giuridici, e ci accorgiamo che anche il Codice della Strada stesso usa indifferentemente i due termini come sinonimi, anche quando deve definire il “parcheggio” nella sua accezione di luogo fisico con determinate caratteristiche. Infatti, anche la stessa definizione di “parcheggio” che troviamo nell’art. 3 C.d.S. è espressa in termini di “area destinata alla sosta dei veicoli”, mentre il già citato art. 2 c. 3 recita che “per la sosta sono prevista apposite aree esterne alla carreggiata”. Assodato quindi che la sosta non si effettua solo sulla carreggiata, perché anche l’atto di parcheggiare all’interno di un area di parcheggio può essere definita “sosta”, appare chiaro che laddove l’art. 6 c. 4 C.d.S. indica “il parcheggio o la sosta dei veicoli” in realtà sta usando due sinonimi in senso tautologicamente rafforzativo, e che la “o” che li unisce è usata in questo caso come congiunzione senza alcun valore disgiuntivo. Non vi è pertanto alcun motivo obiettivamente valido, né giuridico né di altra natura, che possa invalidare le precise disposizioni in materia di sosta a pagamento contenute nel successivo art. 7 del Codice della Strada>> (Autore: Fabrizio Romeo). 7) SULLA NECESSARIA ESISTENZA DI AREE GRATUITE IN PROSSIMITA' DI QUELLE A PAGAMENTO. A riprova della validità dei principi affermati dal Prof. Sandro Amorosino circa il rispetto dei limiti di ragionevolezza e proporzionalità dell'azione amministrativa si sottolinea la Corte di Cassazione ha statuito che:<<Sono illegittime per violazione dell'art. 7, comma 8, d.lg. 30 aprile 1992 n. 285 le delibere di giunta comunale e le ordinanze sindacali che, fuori delle zone definite come aree pedonali o a traffico limitato o di quelle definite "A" dall'art. 2 d.m. Lavori pubblici 2 aprile 1968 n. 1444, istituiscono parcheggi a pagamento senza che su parte della stessa area o su altra nelle immediate vicinanze siano riservati spazi adeguati destinati alla libera sosta>> (Conferma Giud. pace Cagliari 3 luglio 2002) Cassazione civile , sez. un., 09 gennaio 2007, n. 116, Com. Quartu Sant'Elena c. S., Giust. civ. 2007, 10 2130, Arch. giur. circol. e sinistri 2007, 3 241. In termini, Cass. 4 dicembre 1984 n. 6348, in Giur. it., 1985, I, 1, 948, citata in motivazione. L'art. 8, comma 7, del nuovo codice della strada, peraltro, riproduce una disposizione già presente nel precedente art. 4, comma 8, d.P.R. 15 giugno 1959 n. 393 con le precisazioni rese necessarie dalle nuove tecniche di controllo di durata della sosta. Nella richiamata pronuncia il Supremo Collegio ha osservato che il giudice di merito non ha esercitato un inammissibile controllo su scelte di merito rimesse all'esercizio del potere discrezionale dell'amministrazione, ma ha solo rilevato vizi di legittimità dei provvedimenti amministrativi istitutivi delle zone di parcheggio a pagamento, consistenti nella violazione dell'obbligo di prevedere anche aree di parcheggio libero. Nel medesimo senso, con riferimento all'art. 4 C.d.S., comma 8, approvato con D.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, si sono già pronunciate le Sezioni Unite, con la sent. n. 6348 del 4 dicembre 1984, n. 6348, secondo cui, in ipotesi di irrogazione di sanzione pecuniaria per la sosta di autoveicolo senza l'osservanza delle fasce orarie, fissate nella relativa zona da ordinanza del sindaco, il controllo del giudice ordinario nel giudizio di opposizione avverso l'ordinanza- ingiunzione irrogativa della sanzione, se resta escluso con riguardo alle valutazioni di merito attinenti all'esercizio del potere discrezionale dell'amministrazione, deve ritenersi consentito con riguardo agli eventuali vizi di legittimità del provvedimento medesimo (sia pure al limitato fine della sua disapplicazione) come quello consistente nella violazione dell'obbligo di istituire zone di parcheggio gratuito e libero in prossimità di aree in cui venga vietata la sosta o previsto il parcheggio solo a pagamento. 8) SENTENZE RILEVANTI. Circolazione stradale - Fermata, sosta, parcheggio - Destinazione di aree a parcheggio a pagamento - Omessa destinazione di aree prossime a parcheggio libero - Illegittimità. Sono illegittime per violazione dell'art. 7, comma 8, d.lg. 30 aprile 1992 n. 285 le delibere di giunta comunale e le ordinanze sindacali che, fuori delle zone definite come aree pedonali o a traffico limitato o di quelle definite "A" dall'art. 2 d.m. Lavori pubblici 2 aprile 1968 n. 1444, istituiscono parcheggi a pagamento senza che su parte della stessa area o su altra nelle immediate vicinanze siano riservati spazi adeguati destinati alla libera sosta. (Conferma Giud. pace Cagliari 3 luglio 2002). Cassazione civile , sez. un., 09 gennaio 2007, n. 116 Com. Quartu Sant'Elena c. S. Giust. civ. 2007, 10 2130 Arch. giur. circol. e sinistri 2007, 3 241 (1-2) In termini, Cass. 4 dicembre 1984 n. 6348, in Giur. it., 1985, I, 1, 948, citata in motivazione. L'art. 8, comma 7, del nuovo codice della strada riproduce una disposizione già presente nel precedente art. 4, comma 8, D.P.R. 15 giugno 1959 n. 393 con le precisazioni rese necessarie dalle nuove tecniche di controllo di durata della sosta. T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 28 maggio 2008, n. 5218 Fatto-Diritto ritenuto in fatto: - che l'art. 7 del codice della strada consente all'Amministrazione comunale di realizzare parcheggi a pagamento, a condizione che vengano contemporaneamente realizzati, nelle immediate vicinanze, parcheggi gratuiti; - che ai sensi della predetta norma, è possibile procedere all'istituzione di parcheggi a pagamento senza la contemporanea istituzione di parcheggi gratuiti solamente "nelle zone di particolare rilevanza urbanistica, opportunamente individuate e delimitate dalla giunta, nelle quali sussistano esigenze e condizioni particolari di traffico"; - che nell'area "Ostiense X-C" il Comune di Roma ha fatto installare parcheggi a pagamento (con orario fino a notte inoltrata) senza riservare alcuna area a parcheggio libero; e che le "strisce blu" (indicative delle piattaforme di parcheggio a pagamento) sono state istituite persino su vie secondarie, prive di abitazioni e di negozi; - che pertanto, con diffida notificata ai sensi dell'art. 140 della L. n. 2006 del 2005, l'associazione ricorrente ha chiesto, unitamente ad alcuni cittadini residenti nel quartiere, di prendere visione degli atti relativi all'istituzione dei parcheggi in questione, al fine di verificare la legittimità dell'azione amministrativa e di tutelare - secondo la propria funzione istituzionale - gli interessi collettivi degli utenti eventualmente pregiudicati; nonché di ridimensionare i parcheggi a pagamento in modo da ripristinare il giusto rapporto fra parcheggi gratuiti e parcheggi a pagamento; - che con nota prot. 79556 del 17.12.2007 l'Amministrazione ha risposto, affermando che i parcheggi a pagamento erano stati istituiti in base alla determinazione dirigenziale n. 1514 del 31.5.2007, a sua volta adottata sulla scorta delle delibere di GC n. 104 del 2004 n. 320 del 2002; - che, pertanto, con il ricorso in esame l'associazione ricorrente ed i cittadini interessati alla realizzazione di parcheggi gratuiti hanno impugnato le predette delibere unitamente a tutti gli altri atti e provvedimenti, ancorché ignoti, propedeutici o comunque connessi alla istituzione dei parcheggi in questione, e ne chiedono l'annullamento con vittoria di spese per le conseguenti statuizioni reintegratorie; - che il Comune di Roma si è costituito in giudizio eccependo l'inammissibilità e comunque l'infondatezza del ricorso; - che si è costituita in giudizio anche l'a.t.a.c. la quale ha preliminarmente eccepito l'inammissibilità del ricorso per tardività e, in subordine, la sua infondatezza; esaminati i motivi di ricorso; ritenuto che l'eccezione di tardività sollevata dall'a.t.a.c. non merita accoglimento in quanto i ricorrenti hanno avuto notizia dell'esistenza e del contenuto specifico e lesivo degli atti impugnati solamente il 17.12.2007, a seguito della risposta del Comune alle loro richieste; considerato che con il primo motivo di gravame i ricorrenti lamentano violazione e falsa applicazione dell'art. 7, commi 7, 8 e 9 del Codice della Strada (D.lgs. n. 285 del 1992), degli artt. 2 e 4 del DM n. 1444 del 1968, dell'art. 3 della l. n. 241 del 1990, ed eccesso di potere per difetto di istruttoria e carenza della motivazione, deducendo che dalla delibera n. 104 del 2004 (sulla scorta della quale sono stati istituiti i parcheggi a pagamento per cui è causa) non si evincono le ragioni giuridiche e l'iter logico che hanno condotto alla sua adozione; e che il ragionamento su cui essa si fonda si appalesa contraddittorio e basato su un'istruttoria sommaria; ritenuto che la doglianza merita di essere condivisa; ritenuto, in particolare: - che la delibera non chiarisce la specifica ragione per la quale a zona è stata definita "di particolare rilevanza urbanistica"; limitandosi, a tal riguardo, a richiamare uno "studio" che non risulta allegato al provvedimento (e che pertanto non può essere considerato idoneo ad integrare una valida motivazione, neanche "per relationem"); - che in ogni caso tale "studio" non appare affidabile essendo stato realizzato, per espressa ammissione della stessa Amministrazione, proprio dalla società s.t.a. s.p.a., la quale non è un "soggetto terzo" (ed imparziale), avendo un evidente interesse alla realizzazione dei parcheggi a pagamento; - che, in definitiva, non v'è traccia - agli atti di causa - di uno studio che dimostri, con dati obiettivi, come (ed in base a quale criterio) il numero dei parcheggi sia stato commisurato al fabbisogno effettivo; ed in che modo le esigenze dei residenti siano state considerate; - che, pertanto, il provvedimento appare adottato in mancanza di una idonea istruttoria; - che, conseguentemente, esso appare altresì sommariamente ed insufficientemente motivato; - che autorevole giurisprudenza (Cass. SS.UU. n. 116/2007) ha già inaugurato un orientamento che stigmatizza come illegittima la violazione, da parte dei Comuni, dell'"obbligo di istituire zone di parcheggio gratuito e libero in prossimità di aree in cui è vietata la sosta o previsto il parcheggio solo a pagamento"; - che, in definitiva, i provvedimenti in forza dei quali sono stati istituiti i parcheggi a pagamento per cui è causa, sono meritevoli di annullamento, siccome viziati da eccesso di potere per carenza istruttoria e difetto di motivazione; ritenuto, infine, che la domanda volta ad ottenere la restituzione delle somme corrisposte a titolo di multa, non possa essere accolta; e ciò in quanto l'infrazione per cui le multe sono state comminate (nella specie: il parcheggio abusivo) si configura come "illecito di mera condotta" (illecito che si perfeziona, cioè, per il puro e semplice fatto della violazione, a prescindere dalla concreta possibilità che la condotta realizzi l'evento dannoso o leda effettivamente un bene o un interesse giuridicamente protetto); ritenuto, in definitiva, che in considerazione delle superiori osservazioni, il ricorso sia da accogliere nei sensi e nei limiti indicati, con conseguente annullamento, per quanto di ragione, dei provvedimenti impugnati, salvi gli ulteriori e motivati provvedimenti che l'Amministrazione intendesse adottare; e che sussistano giuste ragioni per compensare le spese fra le parti; P.Q.M il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sez. II^ , accoglie il ricorso nei limiti indicati in motivazione; e, per l'effetto, annulla i provvedimenti impugnati, salvi gli ulteriori provvedimenti dell'Amministrazione. Compensa le spese fra le parti costituite. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità Amministrativa. Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio del 16.4.2008. DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 28 MAG. 2008. Tribunale di Roma XII Sezione Civile n. 3868 del 19 febbraio 2008 FATTO E DIRITTO L’appello risulta fondato, poiché nel caso in esame è stato violato l’Art. 7, comma 8 del Codice della Strada, poiché il ricorrente contravvenzionato poiché sostava in area adibita a parcheggio a pagamento, contestava la legittimità della contravvenzione in quanto nelle vicinanze il Comune non ha provveduto ad istituire un parcheggio gratuito. Tale circostanza nella città di Roma costituisce fatto notorio, il quale non ha bisogno di alcuna prova ex art. 115, comma 2, c.p.c. In tal senso si è già pronunciata recentemente la Corte di Cassazione a Sezioni Unite n. 116 del 9/01/07. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata e la contravvenzione impugnata n. XXXXXXXXXXX del 1/03/2005 rilevata dall’ausiliare del traffico del Comune di Roma. Per l’effetto condanna il Comune di Roma a rimborsare le spese del doppio grado di giudizio, che liquida in euro 40,00 per esborsi, euro 300,00 per diritti ed euro 400,00 per onorari, oltre spese generali pari al 12,50%, iva e CNAP. Roma 18/2/08 Depositato in cancelleria il 19 Febbraio 2008 Pubblicato il 17/06/2009, da Avv. Davide Binda REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL GIUDICE DI PACE DI ROMA SEZIONE PRIMA CIVILE in persona dell'Avv. Alfonso Colarusso, ha pronunciato, mediante lettura del dispositivo, la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al numero 74701/02, discussa e decisa all'udienza del giorno 31/03/2003 e vertente TRA NOTARNICOLA LARA, con domicilio in Roma, via Dell'Usignolo 103 OPPONENTE E COMUNE DI ROMA OPPOSTO CONTUMACE OGGETTO: opposizione ai sensi dell'art. 22 della Legge 24/11/1981 n° 689 SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con ricorso depositato il 25/10/2002 avverso verbale di accertamento n°20020532887, ricevuto in data 01/10/2002 per il pagamento della somma complessiva di euro 39,02 conseguente alla accertata violazione dell'art. 157/6 c.d.s. in data 31/05/2002, NOTARNICOLA LARA proponeva opposizione contestando la legittimità della delibera con la quale sono stati predisposti dal Comune di Roma gli spazi di parcheggio a pagamento dove è stata accertata la violazione. Il COMUNE DI ROMA restava contumace. Nel corso dell'istruttoria parte ricorrente depositava copia di un articolo relativo ad una sentenza del Giudice di Pace di Bari nonché n° 7 foto del luogo dove è stata accertata violazione. All'udienza dei 3l/03/2003 la causa veniva decisa con lettura del dispositivo in udienza. MOTIVI DELLA DECISIONE L'opposizione è fondata. Sì deve premettere che sia il legislatore che la costante giurisprudenza in materia di sanzioni amministrative attribuisce al Giudice di Pace il potere di disapplicazione del provvedimento presupposto, integrativo della norma in base alla quale si è irrogata la sanzione, con riferimento alla sua legittimità e con esclusione del merito. A conferma di tale orientamento il Giudice di Pace, quale giudice ordinario, titolare di una giurisdizione piena ed esclusiva ai sensi della legge 689/81, è tenuto ad applicare gli atti amministrativi solo dopo aver effettuato il controllo di 1egittimità degli stessi ai sensi dell'art. 5 della legge 20/03/1865 n° 2248. Nel caso di specie all'opponente è stata contestata la violazione dell'art. 157 comma 6 del decreto legislativo 30/04/1992 n° 285 (C.d.S.) perchè sostava senza esporre il titolo di pagamento. Pertanto, sulla base di quanto esposto, si deve rilevare che la sanzione comminata è conseguente alla violazione di una norma (157/6 c.d.s.) che, ai sensi dell'art. 7 dello stesso Decreto Legislativo, presuppone un provvedimento del Comune dove vengono individuate le aree destinate a parcheggio con custodia o controllo del tempo di sosta. Tale provvedimento comunale risulta illegittimo per la chiara violazione dei commi 6 ed 8 dell'art. 7 del C.d.S. in considerazione del fatto che in base al disposto del comma 6 di detto articolo "Le aree destinate al parcheggio devono essere ubicate fuori della carreggiata e comunque in modo che i veicoli parcheggiati non ostacolino lo scorrimento del traffico" ed invece, dalle foto depositate, dall'opponente risulta evidente che gli spazi destinati a parcheggio sono stati predisposti all'interno della carreggiata con notevole restringimento della stessa. Inoltre, ai sensi del successivo comma 8, su parte della stessa area destinata al parcheggio a pagamento o su altra parte nelle immediate vicinanze, il comune deve "riservare una adeguata area destinata a parcheggio rispettivamente senza custodia o senza dispositivi di controllo di durata della sosta". Nel caso di specie non risulta che il Comune di Roma abbia ottemperato a tale normativa non esistendo alcuna zona destinata a libero parcheggio nè nella stesa area nè nelle immediate vicinanze. PQM accoglie il ricorso e compensa le spese di giudizio. Così deciso in Roma, lì 31/03/2003. (Giudice di Pace di Caserta, Avv. Generoso Bello, sentenza del 10.11.06) - www.iussit.it - 13.11.2006 - Nei casi di mancata esposizione del “grattino” nei parcheggi a pagamento, nessuna sanzione amministrativa può essere comminata, perché non prevista da alcuna norma del C.d.S. Chi non espone il "grattino" è solo tenuto al pagamento del parcheggio impegnato per il tempo, calcolato ad ora o frazione di essa. REPUBBLICA ITALIANA UFFICIO DEL GIUDICE DI PACE DI CASERTA- 1a SEZIONE IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Giudice di Pace di Caserta, Avv. Generoso Bello, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al N.ro 4112/06 R.G., avente ad oggetto: opposizione a sanzione amministrativa, ai sensi della L. 689/81:TRA TIZIA , nata a Caserta il …. ed ivi residente alla Via ….. n. …; (opponente) E Comune di Caserta, in persona del Sindaco p. t., (opposto) Conclusioni: come da verbale di causa. Svolgimento del processo Con ricorso pervenuto a mezzo posta in data 4.5.2006, veniva proposta opposizione avversa il verbale di contestazione reso dalla Polizia Municipale di Caserta, n. 703xxx/2006/P del 27.4.2006, il cui originale è stato notificato in data 22.7.2006, conseguente a violazione dell'art. 157, c. 6 e 8, C.d.S. poiché il conducente del veicolo Ford Fiesta, tg. xxxxxxx, in data 27.4.2006, alle ore 10,13, in Caserta, alla Via …. n. …, sostava in area di parcheggio a pagamento senza esporre il grattino. Deduceva, tra l'altro, la ricorrente che l'autovettura era parcheggiata con esposto sul cruscotto il permesso per disabili, nelle strisce blu proprio di fronte alla propria abitazione, il cui lato della carreggiata era stato reso sosta vietata con rimozione. Nel frattempo, l'istante accompagnava, in poco tempo, presso la propria abitazione, nel civico 158, l'anziano genitore intestatario del permesso e le veniva contestato il verbale. Nelle vicinanze non esistevano posti per invalidi. Chiedeva, pertanto, l'annullamento del verbale di contestazione impugnato. Il Giudice, con decreto notificato alle parti, fissava l'udienza di comparizione delle parti stesse. L'opposto Comune di Caserta, costituitosi in giudizio, chiedeva il rigetto della proposta opposizione perché infondata, con vittoria delle spese di giudizio. All'esito dell'udienza di comparizione, il Giudice decideva la causa dando lettura del dispositivo, ai sensi dell'art. 23 della legge n. 689/81 e della Sentenza n. 534/90 della Corte Costituzionale. MOTIVI DELLA DECISIONE La proposta opposizione è fondata e va accolta. Invero, il comma 6 dell'art. 157 C.d.S. dispone testualmente: "Nei luoghi ove la sosta è permessa per un tempo limitato è fatto obbligo ai conducenti di segnalare, in modo chiaramente visibile, l'orario in cui la sosta ha avuto inizio. Ove esiste il dispositivo di controllo della durata della sosta è fatto obbligo di porlo in funzione". Non può, dunque, revocarsi in dubbio che la ricordata norma fa preciso riferimento ai luoghi in cui la sosta è limitata nel tempo e non all'ipotesi di parcheggio a pagamento. Peraltro, è pacifico che in tutti i luoghi in cui la sosta è a tempo limitato (non a pagamento), il conducente del veicolo che espone il cd. "disco orario", sul cruscotto, con l'indicazione dell'orario di inizio della sosta, assolve alla prefata norma, con la conseguenza che, scaduto il tempo stabilito, il conducente deve allontanarsi e lasciare libero il posto in modo da consentire l'avvicendamento con altri veicoli. Diversa è l'ipotesi di parcheggio a pagamento, dove la sosta dei veicoli è consentita per un periodo piuttosto lungo in una zona appositamente riservata dall'autorità competente, con il pagamento di una somma oraria determinata dalla medesima autorità, assistita questa da regolare provvedimento della G.M.. In tale quadro, è del tutto evidente che il conducente del veicolo è solo tenuto al pagamento del parcheggio impegnato per il tempo, calcolato ad ora o frazione di essa, ma certamente non è passibile di sanzione amministrativa per una violazione che non ha commesso, né prevista e neppure sanzionata dal C.d.S.. Sicché, la proposta opposizione è fondata e va accolta, con la conseguenza che il verbale della Polizia Municipale di Caserta va annullato. La natura della controversia ed i motivi che hanno portato all'accoglimento dell'opposizione giustificano la compensazione integrale delle spese di lite. P. Q. M. Il Giudice di Pace di Caserta, definitivamente pronunciando, disattesa ogni contraria istanza ed eccezione, così provvede: 1) Accoglie la proposta opposizione e, per l'effetto, annulla il verbale di contestazione n. 703xxxx/2006/P del 27.4.2006, reso dalla Polizia Municipale di Caserta; 2) Dichiara le spese di giudizio interamente compensate tra le parti. Così deciso in Caserta, all'udienza del 10 Novembre 2006 Il Giudice Coordinatore (Avv. Generoso Bello) CIRCOLAZIONE STRADALE Transito fermata, sosta, parcheggio LS 30 aprile 1992 n. 285 art. 157 D.LG. In tema di parcheggi a pagamento: il Comune non può introdurre alcun tipo di “oblazione” che estingue la trasgressione prima che sia applicata la sanzione amministrativa in favore di chi ha sostato nelle strisce blu senza esporre in auto la ricevuta di pagamento. Cassazione civile , sez. II, 31 maggio 2007, n. 12834 È illegittima l'iscrizione a ruolo dell'ammontare della penale per pretesa infrazione all'obbligo di pagamento della tariffa di sosta di automezzo all'interno delle strisce blu di area comunale, mancando i requisiti della certezza e della liquidità del credito vantato. Giudice di pace Parma, 18 febbraio 2000 Catellani c. Az. cons. trasp. Parma Finanza locale 2000, 1059 9) MODELLO DI RICORSO. All'Ufficio del Giudice di Pace di ................................................. OGGETTO: RICORSO IN OPPOSIZIONE A SANZIONE AMMINISTRATIVA EX ART. 22 L.24.11.1981 N. 689 E SUCC. MOD. Il sig. .........................., nato a .... il ..... C.F. .... , residente in ..... elett.te dom.to in ..... presso lo studio dell'Avv. ..... che lo rapp.ta e difende in virtù di mandato a margine del presente atto con il presente ricorso propone OPPOSIZIONE avverso il VERBALE DI CONTESTAZIONE n. ......... , prot. n. ..... del ...... e notificato in data ..... redatto dal Corpo di Polizia Municipale del Comune di ..............., con cui si ingiunge il pagamento totale di Euro ..... PREMESSO CHE: 1) Il corpo di Polizia Municipale di ..... ha contestato all’odierno esponente che, in data ... alle ore... , il veicolo modello ..... targato.... , di proprietà del ricorrente, veniva lasciato in sosta senza esporre il ticket di pagamento; 2) in data .... veniva notificato all'esponente il verbale di contestazione n. ...... prot. n. ... intimante il pagamento di una sanzione in misura complessiva di Euro..... Tanto premesso l'istante, come sopra rapp.to, dom.to e difeso, PROPONE OPPOSIZIONE avverso il suddetto provvedimento e di ogni altro provvedimento conseguente e/o comunque connesso ove lesivo degli interessi del ricorrente per i seguenti MOTIVI allo scopo di meglio comprendere i motivi che verranno di seguito elencati specificatamente ed ancor prima di analizzare i possibili vizi di incostituzionalità, inesistenza, nullità ed inefficacia del provvedimento medesimo, appare opportuno premettere che in forza del dodicesimo comma dell’art. 23 della legge 24.11.1981 n. 689 è stata abbandonata la tradizionale presunzione di legittimità dell’atto amministrativo, a fronte della quale era l’opponente a dover fornire la prova del contrario: attualmente, invece, in analogia ai principi vigenti in materia di illecito penale, spetta alla P.A. fornire la dimostrazione della sussistenza della violazione amministrativa e dell’inadempimento di essa in capo ai ricorrenti tanto che, in mancanza di detta prova, non sussistendo prova sufficiente sulla responsabilità dell’opponente medesimo, il ricorso deve necessariamente essere accolto. Va altresì aggiunto che, secondo consolidata giurisprudenza, l’opposizione a sanzione amministrativa di cui all’art. 22 della legge n. 689/81, pur formalmente strutturata come giudizio di impugnazione, sostanzialmente tende all’accertamento negativo della pretesa sanzionatoria. Attraverso l’impugnazione dell’atto si perviene, infatti, ad un giudizio di merito: nel quale l’amministrazione irrogante ha veste sostanziale di attore, sotto il profilo dell’onere probatorio, come tra l’altro confermato dal dovere, ad esso imposto dal comma secondo dell’art. 23 legge cit., di << ... depositare in cancelleria, dieci giorni prima della udienza fissata, copia del rapporto con gli atti relativi all’accertamento nonché alla contestazione o notificazione della violazione>>, e dalla prescrizione di cui al comma dodicesimo della medesima norma, secondo la quale:<< ... il pretore accoglie l’opposizione quando non vi sono prove sufficienti della responsabilità dell’opponente …>> (Corte costituzionale, 18 dicembre 1995, n. 507, in Giur. Cost. 1995, fasc. 6). Ugualmente utile appare opportuno, analizzando i singoli vizi che hanno caratterizzato l’intero procedimento amministrativo e che saranno di seguito meglio analizzati, tenere ben presente il suddetto art .23 della legge 24.11.1981 n. 689, dove al suo sesto comma così dispone:<< ... nel corso del giudizio il Giudice dispone, anche d’ufficio, i mezzi di prova che ritiene necessari e può disporre la citazione di testimoni anche senza la formulazione di capitoli>>. 1) Violazione di legge - incompetenza e/o eccesso di potere dei provvedimenti su cui si basa la sanzione impugnata. I provvedimenti che hanno come oggetto diretto ed esclusivo la disciplina della circolazione intesa come spostamenti dei veicoli e, quindi, i flussi di traffico, possono essere di tre tipi: – i piani del traffico; – le ordinanze generali, per intere città o parti di territorio; – le disposizioni adottate dai municipi e dalle circoscrizioni per il traffico locale e di prossimità. Si tratta in tutti e tre i casi di provvedimenti organizzatori del traffico che - in funzione del disegno di modulazione dei flussi di circolazione - hanno contenuti ablatori di facoltà dei cittadini. Tali provvedimenti omettono di rispettare la loro gerarchia formale. I provvedimenti, cioè, dovrebbero esser posti in sequenza logica discendente: i regolamenti; poi il disegno generale, contenuto nel piano urbano del traffico; dal PUT dovrebbero discendere anche i provvedimenti generali, i quali dovrebbero esser coerenti con il disegno generale; anche i provvedimenti di contingenza non dovrebbero esser adottati “alla giornata”, ma dovrebbero essere dei momenti attuativi di una riprogrammazione complessiva del traffico. Anche i provvedimenti di portata più limitata dovrebbero esser adottati in modo coordinato tra circoscrizioni o comuni confinanti. Tutto ciò non è accaduto nella fattispecie ragion per cui il presupposto giuridico su cui è costruita la sanzione impugnata è affetto da palese illegittimità (violazione di legge, incompetenza e/o eccesso di potere). La delibera istitutiva di zone a parcheggio a pagamento è, difatti, illegittima se non rispetta fedelmente l'iter procedimentale e motivazionale prescritto dalla Legge. In tema va ricordata autorevole giurisprudenza (Cass. SS.UU. n. 116/2007), che ha già inaugurato un orientamento che stigmatizza come illegittima la violazione, da parte dei Comuni, dell'obbligo di istituire zone di parcheggio gratuito e libero in prossimità di aree in cui è vietata la sosta o previsto il parcheggio solo a pagamento. Del resto costituisce fatto notorio che le amministrazioni locali hanno frequentemente compiuto atti illegittimi, motivati più da ragioni di tipo economico che da reali e concrete esigenze di regolamentazione della sosta o, comunque, dissuasione dall’uso dei mezzi privati e incentivo all’uso dei mezzi pubblici. 2) Verbale illegittimo perchè privo dell’indicazione del provvedimento istitutivo della zona a strisce blu. Il verbale deve, infatti, contenere l’indicazione del provvedimento attraverso il quale è stata prevista l’istituzione della zona con strisce blu, la motivazione posta alla base dello stesso e l’indicazione circa la determinazione della tariffa applicata alla zona. Il verbale, in quanto parte del procedimento amministrativo deve riportare a pena d'illegittimità tutte dette indicazioni. La carenza di quanto precisato determina l'illegittimità del provvedimento impugnato. 3) Illegittimità della sanzione amministrativa irrogata. Il comma 6 dell'art. 157 C.d.S. dispone testualmente: <<Nei luoghi ove la sosta è permessa per un tempo limitato è fatto obbligo ai conducenti di segnalare, in modo chiaramente visibile, l'orario in cui la sosta ha avuto inizio. Ove esiste il dispositivo di controllo della durata della sosta è fatto obbligo di porlo in funzione>>. Non può, dunque, revocarsi in dubbio che la ricordata norma fa preciso riferimento ai luoghi in cui la sosta è limitata nel tempo e non all'ipotesi di parcheggio a pagamento. Peraltro, è pacifico che in tutti i luoghi in cui la sosta è a tempo limitato (non a pagamento), il conducente del veicolo che espone il cd. "disco orario", sul cruscotto, con l'indicazione dell'orario d'inizio della sosta, assolve alla prefata norma, con la conseguenza che, scaduto il tempo stabilito, il conducente deve allontanarsi e lasciare libero il posto in modo da consentire l'avvicendamento con altri veicoli. Diversa è l'ipotesi di parcheggio a pagamento, dove la sosta dei veicoli è consentita per un periodo piuttosto lungo in una zona appositamente riservata dall'autorità competente, con il pagamento di una somma oraria determinata dalla medesima autorità, assistita questa da regolare provvedimento della G.M.. In tale quadro, è del tutto evidente che il conducente del veicolo è solo tenuto al pagamento del parcheggio impegnato per il tempo, calcolato ad ora o frazione di essa, ma certamente non è passibile di sanzione amministrativa per una violazione che non ha commesso, né prevista e neppure sanzionata dal C.d.S. (in tale senso vedi Giudice di Pace di Caserta, Avv. Generoso Bello, sentenza del 10.11.06, su www.iussit.it del 13.11.2006). 4) Illegittimità delle delibere poste a fondamento della sanzione impugnata. Il verbale d'accertamento impugnato è da dichiarasi nullo ed inefficace per manifesta nullità delle delibere della Giunta Municipale e delle ordinanze del Sindaco di ........................... adottate in materia di parcheggi a pagamento nella zona dove è avvenuta la contestazione; nullità derivante dalla mancata previsione di adeguate aeree destinate al libero parcheggio, come previsto dal comma 8 dell’art. 7 del Codice della Strada. Non sono stati previsti, infatti, parcheggi liberi (né si dava atto della preesistenza di tale parcheggi) nelle immediate vicinanze dell’area interessata, che si ricorda non essere area pedonale, né zona a traffico limitato, né zona definita “A” dall’art. 2 del DM 1444/68 e/o zona di particolare rilevanza urbanistica (e comunque da individuarsi e da delimitare da parte della Giunta comunale sempre che sussistano esigenze e condizioni particolari di traffico). Sul punto si veda Cassazione, Sez. Unite Civili, sentenza 9 gennaio 2007, n. 116. 5) Illegittimità della contestazione. L’art. 7 lett. F del C.d.S. prevede che i Comuni, nei centri abitati, possono stabilire “aree destinate al parcheggio” sulle quali la sosta dei veicoli è subordinata al pagamento di una somma. Nella realtà quotidiana i Comuni hanno invece, nella maggior parte dei casi, destinato a parcheggi, come nella fattispecie, le fasce di sosta laterali. Questa operazione, andando oltre il dettato di legge, è del tutto illegittima. Per comprendere meglio tale critica occorre preliminarmente specificare quale siano gli elementi che compongono la sede stradale. Quest’ultima è la superficie delimitata dai confini stradali, e comprende le fasce di pertinenza e la carreggiata (art. 3, n. 146, C.d.S.). Come si può vedere, il legislatore del 1992 ha inserito la nozione di fascia di pertinenza del tutto sconosciuta nel C.d.S. abrogato. A sua volta il C.d.S. qualifica la carreggiata come “parte della strada destinata allo scorrimento dei veicoli”, in genere delimitata da strisce di margine di color bianco (art. 3, n. 7). Chiariti gli elementi che compongono la sede stradale occorre, a questo punto, stabilire dove i Comuni possono istituire le aree di parcheggio che sono le uniche deputate ad accogliere i dispositivi di controllo di durata della sosta. I parcheggi sono aree o infrastrutture poste fuori della carreggiata (art. 3, n. 34, C.d.S.), e non costituiscono fasce di pertinenza, bensì vere e proprie pertinenze della strada, per l’esattezza pertinenze di servizi (art. 24, n. 4, C.d.S.). Nella locuzione fascia di pertinenza il termine pertinenza definisce, infatti, un’entità non autonoma, parte integrante della sede stradale situata oltre la carreggiata ed il confine stradale. Una caratterizzazione della fascia di pertinenza si può trovare nella “fascia di sosta laterale” (art. 3, n. 23) che, collocata al lato della carreggiata, è anche destinata agli stalli di sosta. I parcheggi, al contrario, non devono in nessun caso intralciare la circolazione o limitare la visibilità; devono inoltre essere ubicati in maniera tale da consentire un reciproco e tempestivo avvistamento tra i conducenti che percorrono la strada e quelli in entrata e in uscita dall’area (art. 60, n. 3, reg. al C.d.S.). La scelta del legislatore di installare i parcheggi in modo tale da non costituire pericolo o intralcio risulta anche confermata da un’ulteriore considerazione: l’art. 7, n. 6, C.d.S. del 1992 prevedeva che tali aree dovessero essere ubicate “possibilmente” fuori dalla carreggiata. Il D. Lgs. 10 settembre 1993 n. 360 ha, però, opportunamente modificato detto articolo, eliminando il termine “possibilmente”. Alla luce di quanto esposto non vi è quindi alcun dubbio che le aree di parcheggio devono essere ubicate fuori della carreggiata e del tutto autonome rispetto alla sede stradale. Di conseguenza appare evidente come non sia possibile creare parcheggi attraverso l'utilizzo di fasce di sosta laterali, la cui ubicazione non può che recare intralcio alla circolazione dinamica. In sostanza, l’art. 7 del Codice della Strada attribuisce ai Comuni la potestà di regolamentare, per mezzo di ordinanze del Sindaco, la circolazione all’interno dei centri abitati. Tra i vari obblighi, divieti e limitazioni che i Sindaci hanno facoltà di istituire vi è anche la sosta a pagamento sul suolo pubblico, e specificamente il comma 1 lettera f) dispone che è possibile “stabilire, previa deliberazione della giunta, aree destinate al parcheggio sulle quali la sosta dei veicoli è subordinata al pagamento di una somma da riscuotere mediante dispositivi di controllo di durata della sosta”. Un elemento fondamentale di tale disposizione, che però sfugge alla maggior parte delle amministrazioni comunali che la attuano, è il fatto che è possibile istituire la sosta a pagamento solo in apposite “aree destinate al parcheggio”. A questo punto, a scanso d'equivoci, è opportuno ricordare che spesso il Legislatore chiarisce preventivamente le definizioni ed i significati della terminologia utilizzata, cosa che per quanto riguarda l’area di parcheggio fa con l’art. 3 co. 1 n. 34 del C.d.S., dove la stessa viene definita come “area o infrastruttura posta fuori della carreggiata, destinata alla sosta regolamentata (o non) dei veicoli”. E ancora, nell’art. 2 co. 3 C.d.S., lett. E ed F, in cui si definiscono rispettivamente le “strade urbane di scorrimento” e le “strade urbane di quartiere”, vengono previste apposite aree “esterne alla carreggiata” per la sosta dei veicoli, con immissioni ed uscite concentrate e relativa corsia di manovra. Ad una lettura approssimativa di tali disposizioni sembrerebbe quasi che nei centri abitati il Codice della Strada non ammetta la sosta se non fuori dalla carreggiata, in contrasto con quanto stabilito dall’art. 157 c. 2 C.d.S., dove si afferma invece che la sosta si effettua posizionando il veicolo “il più vicino possibile al margine destro della carreggiata, parallelamente ad esso e secondo il senso di marcia”. Così, per sanare tale apparente discrasia, alcuni disattenti interpreti del Codice della Strada sostengono che i veicoli parcheggiati secondo le modalità descritte nell’art. 157 C.d.S. siano fuori dalla carreggiata, rifacendosi forzatamente alla definizione di carreggiata data nel già citato art. 3 C.d.S.. Ma la “carreggiata” è in realtà tutta la “parte della strada destinata allo scorrimento dei veicoli”, comprendendo tra le attività complessive che definiscono lo scorrimento del flusso veicolare non solo la marcia, ma anche le sue eventuali interruzioni più o meno protratte nel tempo, e definite dall’art. 157 c. 1 C.d.S.. Con tale definizione essa viene distinta concettualmente e funzionalmente dal “marciapiede”, che è invece quella parte della strada destinata esclusivamente al transito dei pedoni (art. 3 c. 1 n°33 C.d.S.). E per ribadire e rafforzare ulteriormente tale distinzione, nel comma 6 del succitato art. 7 C.d.S. il Legislatore enuncia espressamente che “le aree destinate al parcheggio devono essere ubicate fuori della carreggiata, e comunque in modo che i veicoli parcheggiati non ostacolino lo scorrimento del traffico”. Inoltre, anche se per i più non sarebbe affatto necessario, vale comunque la pena di ricordare qui il valore logico-semantico del lemma “margine”, in considerazione del quale il margine della carreggiata è inconfutabilmente una parte del tutto definito “carreggiata”, e come tale si trova, appunto, sulla carreggiata. Ricapitolando, sappiamo ora con certezza che: 1. le “aree di parcheggio” devono avere una serie di caratteristiche tecniche e strutturali, fra la quali (ma non solo) il fatto di essere ubicate fuori dalla carreggiata; 2. i Sindaci possono subordinare la sosta dei veicoli al pagamento di una somma di denaro, ma possono farlo solo in apposite “aree destinate al parcheggio”; 3. i margini della carreggiata occupati dai veicoli in sosta con le modalità stabilite dall’art. 157 C.d.S. non sono affatto “aree di parcheggio” (almeno non per il Codice della Strada). Da ciò ne deriva quindi che le cosiddette “Zone Blu”, ovvero gli stalli di sosta a pagamento istituiti ai margini delle strade cittadine deputate allo scorrimento del flusso veicolare, sono di fatto giuridicamente illegittime (cfr. ex multis sentenza n. 16237 del 27 marzo 2006 (Giudice di pace Romano – Roma); GdP Roma 27015/03, GdP Roma 30229/03; GdP Roma 14338/04; GdP Roma, 6^ sez. civ., Dr. Borrè, 14.03.2006; GdP Roma 55057/05 e le sentenze di diversi Giudici di Pace di Bari: 1824/01 (Giudice Rizzo) e 16353/03). 6) Illegittimità del verbale notificato. Tra l’altro il verbale opposto risulta nullo in quanto copia meccanizzata, mancante della firma dell'accertatore in originale, come prescritto dalla legge e dalle recenti sentenze messe dalla Giurisprudenza di merito e di legittimità nonché della firma del responsabile dell’ufficio contravvenzioni, in violazione dell’art. 6 quater L. 15/3/91 n. 80, conv. per D.L.. Infatti, il verbale notificato a mezzo posta non è rispondente a quanto prescritto dall’articolo 385 comma 3 del regolamento d'attuazione del C.d.S.. In particolare, essendo stata notificata copia e non originale, essa deve essere sottoscritta dall’agente accertatore. La firma per autentica della copia, posta dal responsabile del procedimento informatico è a stampa e non in originale come prescritto dalla Legge. Vi è violazione degli artt. 13 e 14 della L. 24.11.1981,n. 689 e dell'art. 137 del D.P.R. 15.06.1959, n. 393, in quanto si tratta di verbale redatto ed accertato in data successiva, sulla base di rilievi effettuati, in mancanza di contestazione immediata e personale, molto tempo dopo e da soggetto diverso da colui che avrebbe assistito alla presunta infrazione. 7) Questione d'illegittimità incostituzionale. Si solleva, in riferimento agli artt. 76, 16, 3 e 23 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, lettera d), della legge 13 giugno 1991, n. 190 (Delega al Governo per la revisione delle norme concernenti la disciplina della circolazione stradale) e dell’art. 7, comma 1, lettera f), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada). L’art. 2, comma 1, lettera d), della legge delega n. 190 del 1991, nel prevedere la facoltà dell’ente proprietario della strada di subordinare il parcheggio e la sosta dei veicoli al pagamento di una somma, non specifica i principi e i criteri direttivi della subordinazione né indica i criteri impositivi. Ad avviso del ricorrente, sussiste una lesione dell’art. 76 della Costituzione, in quanto sarebbe stata del tutto omessa la determinazione dei principi e dei criteri direttivi e di valutazione sia in ordine alla individuazione delle zone che possono essere sottoposte all’onere del pagamento di una somma per il parcheggio sia in ordine alle tariffe applicabili, non essendo rinvenibili tali criteri nell’art. 2 della legge n. 190 del 1991, che fa riferimento soltanto ad esigenze di tutela della sicurezza stradale, peraltro non invocabili nella fattispecie. L’omissione nella legge delega dei principi e dei criteri direttivi, stabiliti in maniera uniforme per l’intero territorio nazionale, produce "situazioni aberranti", in considerazione della continua estensione delle zone soggette al pagamento e dei criteri di determinazione delle tariffe, variabili in relazione non solo alle singole città ma anche alle zone della medesima città e alle ore. L’art. 7, comma 1, lettera f), del nuovo codice della strada, nel tentativo di porre rimedio a tale omissione, ha illegittimamente rimesso al Ministro dei lavori pubblici (ora Ministro delle infrastrutture e dei trasporti) il compito di indicare le direttive cui devono attenersi le delibere delle giunte comunali che stabiliscono le aree destinate a parcheggio, fissando le condizioni e le tariffe. La violazione sarebbe duplice, poiché il Parlamento avrebbe omesso di indicare i principi direttivi e il Governo, in assenza di delega, avrebbe demandato ad un Ministro l’emanazione dei criteri. Un ulteriore profilo d'illegittimità costituzionale è individuato nella lesione dell’art. 16 della Costituzione, che garantisce la libertà di circolazione con riferimento anche ai mezzi di trasporto, senza i quali non vi sarebbe una circolazione adeguata, e consente che siano previste delle limitazioni, da attuare con legge formale, ma solo per ragioni di sanità e sicurezza. Nella fattispecie, non solo vi è una violazione della riserva di legge, poiché la materia è stata rimessa alla discrezionalità del Ministro dei lavori pubblici (ora Ministro delle infrastrutture e dei trasporti), ma difettano anche i motivi di sanità e di sicurezza che possono giustificare le limitazioni al diritto di circolazione. Sussiste, inoltre, una violazione del principio di eguaglianza, poiché nell’accesso ad un servizio pubblico, com'è la strada, sarebbero privilegiati i cittadini con maggiori capacità economiche, ai quali è concesso di usufruire della strada e delle relative possibilità di parcheggio, mentre ai cittadini meno abbienti sarebbe negato il medesimo diritto in forza di una legge che impone oneri sproporzionati alle capacità economiche dei medesimi. Infine, la mancanza di principi e criteri direttivi costituisce anche violazione dell’art. 23 della Costituzione, in quanto la legge delega non contiene al riguardo nessuna indicazione, nemmeno con riferimento ai limiti minimi e massimi delle tariffe. In proposito la stessa Corte Costituzionale ha più volte affermato che il carattere impositivo della prestazione non è escluso per il solo fatto che la richiesta del servizio dipenda dalla volontà del privato, e ha precisato che la determinazione delle tariffe di accesso ad un servizio essenziale non può essere rimessa all’arbitrio delle autorità ma deve essere assistita dalle garanzie che la Costituzione ha voluto assicurare attraverso la riserva di legge, con l'indicazione almeno dei criteri idonei a delimitare la discrezionalità della pubblica amministrazione per ciò che attiene sia al quantum che ai soggetti passivi, al fine di escludere che la discrezionalità si trasformi in arbitrio. Lo scrivente precisa, altresì, di non ignorare in tema il recente pronunciamento della Corte Costituzionale (sentenza n. 66 del 29.01.2006) ma deduce che il principio affermato dalla medesima Corte <<Nel caso in esame, il pagamento per la sosta del veicolo sfugge sia alla nozione di tributo che a quella di prestazione patrimoniale imposta; esso è configurabile piuttosto come corrispettivo, commisurato ai tempi e ai luoghi della sosta, di una utilizzazione particolare della strada, rimessa ad una scelta dell’utente non priva di alternative; sicché il corrispettivo risulta privo di uno dei fondamentali requisiti che questa Corte ha ritenuto indispensabile affinché possa individuarsi una prestazione patrimoniale imposta; e ciò esclude che debba essere assistito dalla garanzia prevista dall’art. 23 Cost.>> secondo cui il pagamento in esame è un corrispettivo sia errato dal momento che lo stesso è una tassa per i seguenti motivi. In primo luogo deve essere escluso che possa trattarsi di un canone, dato che quest’ultimo si trova necessariamente in relazione causale con l’uso eccezionale della strada e costituisce, in senso tecnico, il prezzo della concessione con la quale il privato ottiene il godimento di beni demaniali. Allo stesso modo deve essere esclusa la qualificazione di tale imposizione come tariffa. Quest’ultima rappresenta, infatti, il prezzo unitario di un servizio pubblico e costituisce, quindi, un vero e proprio corrispettivo che deve trovare la sua causa nella prestazione fornita dal soggetto pubblico, prestazione che non sussiste nel caso di sosta nelle aree delimitate da strisce blu. Non appare neppure proponibile la qualificazione del pagamento in questione come imposta, dato che con questa s'intende una prestazione coattiva dovuta dal soggetto passivo semplicemente sulla base della sua capacità contributiva, senza che rilevi una relazione con l’attività dell’ente pubblico. Da quanto detto appare allora evidente che il pagamento per la sosta mediante dispositivi di controllo della durata debba essere qualificato come una vera e propria tassa, non rappresentando il corrispettivo di una prestazione o il costo di un servizio, bensì un contributo richiesto dal Comune, mediante il concessionario del servizio, ai singoli cittadini. D'altronde, di recente la stessa S.C ha ritenuto che il concessionario non sia tenuto al pagamento della TOSAP, in quanto allo stesso viene attribuito un mero servizio di gestione del parcheggio, con il connesso potere di esazione delle somme dovute dai singoli per l’uso dell’area pubblica. Il termine esazione conferma la natura di tassa del pagamento mediante parcometro. Tale impostazione è stata di recente accolta anche dalla dottrina, laddove è stato osservato come sia la legge stessa (art. 7 C.d.S.) a ritenere il pagamento del ticket per la sosta del veicolo alla stregua non già di un corrispettivo (prezzo contro utilizzo di area pubblica) bensì di una tassa. Una conferma di tale assunto potrebbe essere rinvenuta nella decisione con la quale le S.U. della Cassazione (Cass. 9 ottobre 2001 n. 12367 in Foro It., 2002, I, 440) hanno ritenuto che le s.p.a. costituite dai comuni ai sensi della Legge 142 del 1990, titolari della gestione dei proventi della sosta a pagamento, rivestono la qualifica di agenti contabili e, come tali, sono soggetti al giudizio di conto e che, al tempo stesso, gli amministratori di dette società concessionarie possono essere sottoposti all’azione sociale di responsabilità ex art. 2393 c.c. nel caso in cui pongano in essere atti dannosi di cattiva gestione della S.p.A. a capitale pubblico locale. Ulteriore conseguenza di tale impostazione, come recentemente ritenuto dalla S.C. (Cass. 22 luglio 2004 n. 13702 in Giust. civ. mass., 2004) che il sindaco di un comune è tenuto, in adempimento degli obblighi di tutela del patrimonio comunale, a proporre tale azione nei confronti degli amministratori della concessionaria. L’affermazione dell’esistenza di una vera e propria tassa di parcheggio è stata poi effettuata anche da quella parte della dottrina che ritiene che attraverso questo strumento sia possibile realizzare un meccanismo di razionamento delle aree di stazionamento reso necessario dall’esistenza di un livello di domanda nettamente superiore all’offerta. Ciò premesso il ricorrente, visto l'art. 98 del D.L. 30/12/1999 e Legge 689/1981, fa istanza al Signor Giudice di Pace affinchè voglia, previa sospensione dell'eventuale esecuzione del provvedimento impugnato, dichiarare nullo e comunque inefficace e/o illegittimo il verbale impugnato e, per l'effetto, disporre l'annullamento totale dello stesso. Con condanna dell'amministrazione soccombente alla refusione delle spese, diritti ed onorari di lite con attribuzione allo scrivente procuratore antistatario. In via istruttoria, ai sensi dell’articolo 210 C.p.c. e della legge n. 689/1981, tenuto conto che l’organo accertatore è tenuto, con inversione dell’onere della prova, a dover dimostrare la fondatezza della propria pretesa sanzionatoria, chiede l’esibizione di tutti i provvedimenti emessi dall'Amministrazione resistente relativi all'istituzione e regolamento delle "strisce blu", tutti gli atti della procedura di affidamento della concessione alla società che gestisce le aree di sosta nonchè tutta la documentazione relativa e/o pertinente. Con ogni più ampia riserva di ulteriormente dedurre, produrre ed articolare mezzi istruttori anche in considerazione del comportamento di parte avversa. Si allegano al presente ricorso i seguenti documenti: 1) Avviso di accertamento impugnato in originale; 2) giurisprudenza rilevante; 3) copia della piantina aerea della strada interessata. Si dichiara che il presente procedimento è esente ai sensi dell'art. 23, co. 10 L. 689/1981. In .... il .....