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Marco Biagini
INDIVIDUO E PERSONA: IMPLICAZIONI PEDAGOGICHE
Persona e contemporaneità
Il concetto di persona costituisce, nel panorama contemporaneo, un oggetto imbarazzante
non facilmente collocabile secondo coordinate precise. Comunemente è associato ad altri
termini quali soggetto, individuo, io, confondendosi in un orizzonte indicante una realtà
unitaria che trova in se stessa, in tutto o in parte, la causa della propria esistenza.
L'unitarietà, tuttavia, non rappresenta adeguatamente la ricchezza ontologica e semantica
della persona: con quest'ultima, infatti, si intende indicare da una parte un essere
caratterizzato da potenzialità che attendono di essere attuate e dall'altra l'accoglimento di
un numero elevato di significati che difficilmente possono trovare un punto di sintesi.
Proprio per questi motivi la cultura occidentale, pur riconoscendo fin dall'antichità la
centralità e la pregnanza del concetto di persona, lo ha frequentemente sostituito con
termini ritenuti equivalenti ma meno compromissori.
In qualsiasi caso, qualunque termine si scelga per indicare la realtà individuale, è
innegabile che quest'ultima ha conquistato un'autonomia sempre più ampia nei confronti
della comunità di appartenenza, producendo, nelle sue forme estreme, quel ripiegamento
narcisistico così diffuso nella cultura occidentale. E' corretto, di conseguenza, parlare di
affrancamento dai vincoli di natura ideologica, sociale ed economica che per molti secoli
hanno caratterizzato lo sviluppo umano.
Paradossalmente, accanto a questa dinamica liberatrice, è comparso un fenomeno dal
significato del tutto opposto: il progressivo depauperamento delle facoltà critiche individuali
e l'adesione a manifestazioni massificanti. In altri termini, una volta conquistata la propria
autonomia, il soggetto ha rinunciato a rafforzare le prerogative acquisite, concentrando le
proprie energie verso la conservazione del benessere materiale e delegando la gestione
della cosa pubblica ad altri. Si tratta di un fenomeno complesso, caratterizzato da
numerose variabili, non solo di ordine politico: molti studiosi, ad esempio, hanno fatto
notare come il processo di massificazione si accompagni al predominio e all'invadenza
della tecnica. Libertà e nuovi assoggettamenti caratterizzano la condizione dell'uomo oggi,
riaprendo interrogativi che sembravano sorpassati, uno su tutti in particolare: quale
immagine dell'io esce dalla modernità e si affaccia sulla scena attuale? Rispondere a
questa domanda non solo significa tracciare un bilancio di quanto accaduto, ma anche
valutare la possibilità di incidere sulle vicende personali e sociali del proprio tempo.
1
Individuo e persona: implicazioni pedagogiche
L'individuo della modernità
Come abbiamo precedentemente segnalato, la parabola dell'uomo moderno si snoda
attraverso più passaggi che trovano nel pensiero seicentesco il loro momento iniziale. I
pensieri di Cartesio e di Locke offrono le basi concettuali per fondare una nuova
antropologia, per molti versi inconciliabile nei confronti di quella passata.
Il filosofo francese, facendo coincidere il soggetto con il pensiero, aprirà la strada al
dominio della ragione e alla possibilità di quest'ultima, attraverso la delineazione di un
nuovo metodo, di conoscere il mondo. L'empirista inglese, non accontentandosi di ridurre
la realtà umana a conoscenza, segnalerà all'uomo del proprio tempo la possibilità di
liberarsi dai vincoli politici e sociali del passato, acquisendo un'autonomia fino a quel
momento impensabile. Ragione ed autodeterminazione costituiranno i pilastri concettuali
irrinunciabili del nuovo soggetto, permettendogli di cominciare un percorso caratterizzato,
per causa della tecnica, da conquiste sempre nuove.
Si è soliti indicare con il termine individuo la nascita dell'uomo moderno, volendo
significare la comparsa di un io non ulteriormente scomponibile e dai contorni più netti,
meno caratterizzato dalla variabile spirituale, etica e affettiva. L'individuo moderno,
secondo questa prospettiva, sarebbe un uomo semplificato, teso esclusivamente al
raggiungimento dei propri interessi. L'immagine contiene un fondo di verità, ma andrebbe
adeguatamente approfondita per non cadere in facili riduzionismi. Se è vero, infatti, che il
Settecento e l'Ottocento hanno sovente proposto un quadro eccessivamente ottimistico
dello sviluppo umano, non bisogna dimenticare che il razionalismo cartesiano e ancora di
più il giusnaturalismo lockiano hanno liberato energie inespresse, aprendo un paradigma
non completamente negativo: si pensi al fatto che una volta acquisiti i diritti considerati
irrinunciabili (vita, libertà, proprietà), l'individuo ha potuto produrre quella fitta rete
associazionistica così vitale per la democrazia contemporanea. Contrariamente a quanto
si crede, la condizione isolazionistica non è tipica dell'uomo della modernità ma della
contemporaneità. Si pensi, ad esempio, a come Tocqueville descrive il comportamento
dell'uomo statunitense della prima metà dell'Ottocento:
"Gli Americani di tutte le età, condizioni e tendenze, si associano di continuo. Non soltanto
possiedono associazioni commerciali e industriali, di cui tutti fanno parte, ne hanno anche di mille
altre specie: religiose, morali, gravi, futili, generali e specifiche, vastissime e ristrette. Gli Americani
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si associano per dare feste, fondare seminari, costruire alberghi, innalzare chiese, diffondere libri,
inviare missionari agli antipodi; creano in questo modo ospedali, prigioni, scuole."1
Un'immagine grandiosa, probabilmente non estendibile al panorama europeo del tempo,
ma che ben fa comprendere quanto sia ancora lontana la crisi esistenziale novecentesca.
Cosa provocherà allora quella repentina involuzione nella quale precipiterà di lì a poco la
cultura occidentale? E' lo stesso Tocqueville, con una preveggenza davvero unica, a
spiegarcelo: i germi antidemocratici contenuti nella democrazia stessa. La caratteristica
centrale di quest'ultima, infatti, è quella di basarsi sulla "eguaglianza delle condizioni", sul
tentativo di offrire ad ogni cittadino le stesse opportunità sia nel campo economico-sociale
che poltico-giuridico. Si tratta non solo di una condizione originaria del sistema
democratico, ma anche di un principio ispiratore connaturato alla democrazia stessa.
Con il procedere di quest'ultima, tuttavia, compare un effetto imprevisto che Tocqueville
individua con chiarezza: l'uguaglianza degenera nel conformismo, facendo inevitabilmente
convergere le diversità culturali e comportamentali dei singoli verso esiti massificanti, del
tutto ostili ad ogni differenza. Nasce in altri termini quella che nel Novecento sarebbe stata
chiamata la cultura di massa, un enorme corpo unitario pronto a fagocitare ogni
manifestazione individuale. Accade, in tal modo, che l'esaltazione dell'individuo, tipica
della modernità, possa trasformarsi in acritica adesione alla volontà di chi governa le
strategie del consenso, quelle comunicative e mediatiche in particolar modo. Tocqueville
impiega
la
celebre
espressione
"tirannide
della
maggioranza"
per
esprimere
adeguatamente questo stato di cose: negli ordinamenti democratici il controllo delle menti
e delle azioni non necessita della figura del tiranno, potendo contare su strumenti più
sofisticati e penetranti. Sorge, in tal modo, una forte omologazione culturale, dove un
potente pensiero unico avvolge ed indirizza ogni singola volontà. Terribili e profetiche, a
questo proposito, le parole di Tocqueville:
"Se il dispotismo si affermasse nelle nazioni democratiche di oggi, c'è da presumere che avrebbe
altre caratteristiche: sarebbe più esteso e più mite e avvilirebbe gli uomini senza tormentarli (…)
Immaginiamo sotto quali nuovi aspetti il dispotismo potrebbe prodursi nel mondo: vedo una folla
innumerevole di uomini simili ed uguali che non fanno che ruotare su se stessi, per procurarsi
piccoli e volgari piaceri con cui saziano il loro animo."2
1
2
A.. de Tocqueville, Scritti politici. La democrazia in America, Torino, Utet, 1988, p. 597.
Ivi, pp. 811 - 812.
3
Individuo e persona: implicazioni pedagogiche
Considerazioni divenute, purtroppo, evidenti verità un secolo più tardi. Arrivati a questo
punto, però, prima di completare la parabola relativa alla comparsa dell'individuo a partire
dall'età moderna, dobbiamo analizzare un concetto, quello di massa, che già qualche volta
è comparso nel nostro discorso e che avrà grande centralità nel panorama
contemporaneo.
Massa: implicazioni e significati
Il termine massa3 comunemente viene impiegato quale sinonimo di folla, maggioranza,
popolo, ecc. In questo senso è possibile dire che risente di un uso piuttosto libero, quasi
che non impegnasse chi lo utilizza ad un atteggiamento rigoroso. Acquisisce un rilevante
interesse a partire dall'Ottocento quando i soggetti sociali, aumentando considerevolmente
di numero, pongono dinamiche del tutto nuove mai comparse in passato. Di queste si
interessano le nuove scienze dell'uomo, psicologia e sociologia in particolar modo,
cercando di descriverne le variabili comportamentali e sociali. Apparve chiaro fin da subito
che la massa si caratterizzava per l'estensione numerica, la forza di impatto e il
coinvolgimento emotivo. Rimangono, a questo proposito celebri le parole di Ortega y
Gasset che, condividendo i tratti evidenziati sopra, li integra con il concetto di
agglomerazione e pieno:
"Le città sono piene di gente. Le case piene di inquilini. Gli alberghi, pieni di ospiti. I treni, pieni di
viaggiatori. I caffè, pieni di consumatori. Le strade piene di passanti. Le anticamere dei medici più
noti, piene di ammalati. Gli spettacoli, non appena non sono troppo estemporanei, pieni di
spettatori. Le spiagge, piene di bagnanti. Quello che prima non soleva essere un problema
incomincia ad esserlo quasi ad ogni momento: trovar posto."4
Secondo la prospettiva di Ortega y Gasset anche in altre epoche storiche sono comparse
moltitudini rilevanti, incapaci tuttavia di imporsi alle minoranze elitarie preposte a funzioni
di governo e alla gestione della cosa pubblica. Tipica della situazione moderna, al
contrario, è la conquista dell'intera società da parte della massa e l'insofferenza di
quest'ultima per ogni diversità o manifestazione minoritaria; come lo stesso filosofo
spagnolo dice "ormai non ci sono più protagonisti: c'è soltanto un coro".
3
" 'Massa' viene dal greco maza, pasta per fare il pane, che deriva dal verbo mazein, impastare; il suo
successivo campo di applicazione sarà tanto ampio (p. es. in fisica, chimica, geologia, architettura) quanto
comunque legato intuitivamente a simile idea di aggregato, volume, quantità complessiva." (M. Russo,
Massa e potere nell'antropologia inconcettuale di Canetti, in "Filosofia politica", XVI, dicembre 2002, p. 478.
4 J. Ortega y Gasset, La ribellione delle masse, in Id., Scritti politici, Torino, Utet, 1979, p. 812.
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La pretesa della massa di costituire l'attore principale della scena politica contemporanea
venne avvertita con nettezza dai maggiori intellettuali, andando a costituire uno dei motivi
centrali di quella che è stata definita la "cultura della crisi". Risultò allo stesso tempo chiaro
che ben difficilmente si sarebbe potuto indagare un fenomeno di tale portata con categorie
appartenenti al passato. Non a caso la maggior parte degli studi si dedicò ad un'opera di
denuncia, evidenziando i pericoli insiti nella comparsa di una forza sociale così innovativa.
Precedentemente abbiamo indicato nella estensione numerica, nella forza di impatto e nel
coinvolgimento emotivo i tratti maggiormente caratterizzanti la massa. Quest'ultima,
tuttavia, fatica ad essere definita con precisione e, ad ogni nuova valenza acquisita, si
dischiudono nuove zone d'ombra da interpretare e giustificare. In questo senso è possibile
dire, come Russo ha messo bene in evidenza, che la massa rappresenta un concetto
limite che permette ad altri (folla, gruppo, comunità, ecc.) di assumere una conformazione
maggiormente precisa. Rappresenterebbe, in questa accezione, uno "spazio" a partire dal
quale nuove entità prendono forma, assumendo la funzione di condizione iniziale
indeterminata.
La massa, tuttavia, assume anche il ruolo di momento terminale dove, i fenomeni che
precedentemente avevano assunto una propria fisionomia, vanno a risolversi. In questo
senso acquisisce una connotazione minacciosa, quale potenza pronta a cancellare ogni
forma di individualità determinata. Si potrebbe di conseguenza affermare che, a livello
sociale, la massa è passata da un'accezione positiva ad una negativa, da nuova forza
politica pronta a rivendicare le proprie prerogative a energia distruttiva tendente a
fagocitare qualsiasi forma di individualità.
Dall'individuo al soggetto
La disamina intorno al percorso condotto dall'individuo nell'epoca moderna ha offerto un
panorama dai tratti ambivalenti: da una parte la conquista di una maggiore libertà ed
autonomia nei confronti dei vincoli economici e sociali del passato, dall'altro la ricaduta
dell'individuo in situazioni di natura massificante che lo hanno ancorato a condizionamenti
ancora più pericolosi di quelli tradizionali. Il monito kantiano - "agisci in modo da trattare
l'umanità, in te e negli altri, mai soltanto come mezzo, ma sempre come fine" - corre il
rischio di essere cancellato dalle stesse forze impiegate dall'uomo nel tentativo di darsi
una nuova condizione. All'oppressione sociale e culturale della massa, dagli esiti
omologanti, fa riscontro il pericolo sempre più minaccioso della tecnica, pronta a ridurre
qualsiasi manifestazione, anche quella umana, a semplice prodotto misurabile e
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Individuo e persona: implicazioni pedagogiche
quantificabile. Compare, di conseguenza, il rischio dell'isolazionismo, l'incapacità
dell'uomo della contemporaneità di intravedere un futuro diverso che non sia
semplicemente quello del consumatore di oggetti e prodotti pensati da altri. Nel 1951
Adorno notava:
"Quel che un tempo i filosofi chiamavano vita, si è ridotto alla sfera del privato, e poi del puro e
semplice consumo, che non è più se non un'appendice del processo materiale di produzione,
senza autonomia e senza sostanza propria."5
L'uomo potrà evitare i rischi isolazionistici della condizione individuale se saprà ritrovare la
propria soggettività, la capacità di coniugare progettualità e significato del proprio agire. E'
una considerazione, questa, attorno alla quale convergono numerosi contributi apparsi
negli ultimi decenni, miranti non solo ad evidenziare il senso di estraneità ed alienazione
caratterizzanti
l'uomo
contemporaneo,
ma
anche
l'individuazione
di
modelli
comportamentali alternativi.
Emblematico di questo orientamento è la riscoperta di relazioni improntate al dono, alla
cessione di servizi e beni senza che quest'ultimi comportino una contropartita di natura
economica. Solitamente siamo portati a pensare che comportamenti di questo tipo
esistano nelle società pre-industriali non caratterizzate dal dominio dell'economia su ogni
altro aspetto della vita comunitaria. Un occhio più attento coglierebbe, tuttavia, una realtà
ben diversa, dove il volontariato, le banche del tempo, la donazione di organi e tante altre
manifestazioni dello stesso segno occupano un posto preponderante nella nostra vita. Si
tratta, di conseguenza, di valorizzare quegli aspetti dell'uomo contemporaneo non
riconducibili allo schema utilitaristico ed indicabili con il desiderio del legame, l'esigenza di
vedere nell'altro non solo l'antagonista ma anche colui che assegna senso alla propria
esistenza:
"La scommessa, in altri termini, consiste nel supporre che gli uomini non siano motivati solo
dall'interesse e dalla ricerca dell'utile, dal desiderio di acquisire e di distinguersi, che riduce il
legame sociale a puro strumento di fini prettamente individualistici; ma che agiscano anche spinti
da un insieme di motivazioni, come la generosità e il desiderio di dare, l'alleanza e l'amicizia, che
fanno del legame sociale il fine stesso dell'azione."6
5
6
T. W. Adorno, Minima Moralia. Meditazione della vita offesa, Torino, Einaudi, 1979, p. 3.
E. Pulcini, L'individuo senza passioni, Torino, Bollati Boringhieri, 2001, p.177
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L'agire umano non può essere ricondotto esclusivamente all'aspetto economico o di
gestione del potere, ma deve includere anche quelle manifestazioni improntate alla
gratuità e all'offerta disinteressata; si tratta di riconoscerne l'esistenza, ribaltando l'assioma
che vuole l'uomo guidato preminentemente dal motivo dell'interesse. L'elemento, tuttavia,
sul quale riflettere è la possibilità di sfuggire alla dicotomia individualismo-collettivismo in
base alla quale interpretare la società. L'uomo utilitarista e quello comunitario spiegano
solo parzialmente l'agire umano, enfatizzando nel primo caso la libertà sciolta da qualsiasi
legame e nel secondo caso la costrizione esercitata sugli individui dai valori e dalle norme
comunitarie. Compare, di conseguenza, un terzo paradigma che più che al valore d'uso o
di scambio dei servizi, assegna centralità al valore di legame:
"Se accettiamo il terzo paradigma, dobbiamo allora aggiungere che esiste un altro tipo di valore,
quello legato alla capacità che beni e servizi, se donati, hanno di creare e riprodurre relazioni
sociali: un valore che potrebbe essere chiamato valore di legame, in quanto, con tale approccio, il
legame diventa più importante del bene stesso ."7
Bisogna, tuttavia, prestare molta attenzione nell'individuare con nettezza le caratteristiche
proprie del dono, non confondendo quest'ultimo con ogni forma di cessione. Come
abbiamo visto in precedenza il valore del dono consiste nella possibilità di creare dei
legami sociali ed in questo senso è stato l'antropologo Marcel Mauss a sottolinearne la
struttura triadica: donare-ricevere-contraccambiare. Solo se chi riceve sarà in grado a sua
volta di donare (secondo modalità e tempi del tutto liberi) la relazione avrà un alto valore
sociale e pedagogico. Il dono non può tramutarsi, come molte volte capita nelle
massificanti maratone televisive, in vago gesto caritatevole dove il ricevente viene di solito
dipinto con i contorni del nullatenente o del disgraziato. In questi casi è più opportuno
parlare di vittime di un sistema produttivo alienante, dove i valori della persona vengono
subordinati a motivazioni economiche. Non di rado, inoltre, proprio queste modalità di
sanare le contraddizioni del modello capitalistico "mitigano" i sensi di colpa di coloro che
partecipano ai benefici del sistema, rendendo di fatto nullo ogni possibile cambiamento.
Un esempio di cessione di servizi riconducibile alle caratteristiche del dono (donarericevere-contraccambiare), senza che questo comporti una situazione umiliante per il
ricevente, è costituito dalle banche del tempo. Sorte da qualche decennio nelle maggiori
capitali continentali con la dizione di sistemi locali di scambio o circuiti di scambio hanno
trovato grande sviluppo negli ultimi anni, introducendo all'interno dello scambio
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Individuo e persona: implicazioni pedagogiche
commerciale nuove modalità relazionali, riconducibili alla finalità di denotare lo scambio di
un nuovo significato morale. Chi aderisce a questo circuito assegna al tempo un nuovo
significato:
"Chi scambia compie un gesto molto importante: libera il tempo. Lo libera da ogni equazione
economica: nella Banca del Tempo un'ora vale un'ora, a prescindere dal servizio scambiato; lo
libera per sé stesso, per imparare a darlo con fiducia e a riceverlo senza sensi di colpa. Nessuno
quando scambia perde del tempo."8
Emerge, in tal modo, un discorso dalle forti valenze pedagogiche. L'idea pedagogica,
infatti, quando non viene meno al proprio compito confondendosi con la prassi
abitudinaria, mantiene una forte valenza critica nei confronti del reale, evidenziandone le
contraddizioni e indicandone (ma non sempre questo accade) ipotetiche vie di soluzione.
E' lecito asserire, a questo proposito, che ciò che maggiormente contraddistingue l'idea
pedagogica non è il motivo epistemologico né didattico, bensì esistenziale, l'individuazione
di quelle che Giovanni Maria Bertin chiama le prospettive esistenziali tipiche, intendendosi
con queste ultime la capacità di indicare modelli comportamentali da contrapporre a
situazioni alienanti o massificanti. Non intendiamo con questo dire che il lavoro
epistemologico e didattico non siano centrali per la fondazione di una scienza pedagogica,
al contrario: mai come negli ultimi decenni ci si è accorti della necessità di valorizzare sia il
momento riflessivo che metodologico al fine di arrivare ad un vero approccio scientifico.
Emerge, tuttavia, la necessità di fronteggiare il "disincanto" caratterizzante la società
contemporanea e la conseguente scomparsa di ogni direzione di senso, attraverso
l'indicazione di prospettive che sappiano oltrepassare la situazione di stallo verificatasi.
L'idea pedagogica, in altri termini, difficilmente può presentare un discorso compiuto,
privilegiando il momento critico su tutti gli altri, come ben ha chiarito G. M. Bertin:
"In quanto idea, essa dà evidenza, in primo luogo, alle eventuali incongruenze, parzialità,
unilateralità di tali tendenze, ed eventualmente ne smonta l'enfasi e ne denuncia la retorica; in
secondo luogo fa valere (al loro interno o contro di esse) istanze alternative, misconosciute,
conculcate, deformate o mistificate dall'attualità."9
7
M. Aime, Da Mauss al MAUSS, in, M. Mauss, Saggio sul dono, Torino, Einaudi,2002, p. XIII
Citazione tratta da www.regioneemilia-romagna.it/banchedeltempo. Nel sito si possono trovare ulteriori indicazioni
relativamente al significato e alla strutturazione del servizio.
9
G.M. Bertin, Nietzsche. L'inattuale, idea pedagogica, Firenze, La Nuova Italia, 1977, p. 6.
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Il recupero dell'idea di persona accoglie questa istanza, evidenziando la necessità di
indicare un percorso educativo che liberi le energie finora compresse dai fattori alienanti
presenti nella società. A livello pedagogico, tale necessità è stata sottolineata in particolar
modo dalla corrente personalistica e da quella fenomenologica. La prima sottolinea il fatto
che una teoria educativa che non ponga la persona come dato iniziale di qualsiasi
considerazione, corre il rischio dell'impersonale, della possibile ricaduta oggettivistica.
Questo concetto è stato così ribadito da G. Flores d'Arcais:
"Il primum è la persona, anzi, più chiaramente, la mia persona, la persona che io sono. E' il dato
iniziale, il presupposto autenticamente primo: o, se si preferisce altro linguaggio, si dica la mia
esperienza, quella esperienza che io, in quanto persona, vivo, conosco e realizzo."10
La ricerca ossessiva condotta all'interno della storia del pensiero di individuare un principio
ordinatore della realtà esterno all'uomo va rigettato. Quest'ultimo non potrà mai trovare
piena realizzazione se subordinato ad una causa esterna, qualunque nome essa assuma.
Partendo da questo punto irrinunciabile è possibile indicare nell'intenzionalità e nel
trascendimento le modalità esistenziali tipiche della persona. Quest'ultima, infatti, deve
essere intesa (e in questo vi è una netta consonanza con la prospettiva fenomenologica)
come continua apertura verso l'altro, ammettendo l'impossibilità per l'uomo di isolarsi dai
propri simili. Come abbiamo detto precedentemente, si tratta di un riconoscimento e non di
un'imposizione, perché in tal senso si ricadrebbe nel rischio dell'oggettivismo (anteporre
una realtà alla persona) e dell'impersonale. Il trascendimento, inoltre, invita l'uomo a non
accettare acriticamente la situazione data, ma di ricorrere alla progettazione quale
tentativo di superare situazioni unilaterali e alienanti.
La pedagogia fenomenologica di stampo husserliano concorda con molte tesi
personalistiche, evidenziando, tuttavia, il carattere processuale e finalistico del concetto di
persona. Quest'ultima è l'esito finale di un profondo percorso di riconoscimento che trova
nella coscienza l'unica realtà in grado di resistere alla riduzione trascententale. L'individuo,
tuttavia, non può accettare una concezione neutrale della propria condizione, scoprendosi
- attraverso un articolato percorso di riflessione - quale unità psico-fisica dotata di
spiritualità. Il pensiero fenomenologico, in tal modo, offre importanti contributi che possono
trovare pieno sviluppo in ambito educativo, recuperando quella centralità e pienezza del
soggetto così fortemente avvertita dalla cultura contemporanea. L'uomo non ha solamente
10
G. Flores d'Arcais, Le "ragioni" di una teoria personalistica dell'educazione, La Scuola, 1987, p. 126.
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Individuo e persona: implicazioni pedagogiche
bisogno di un riconoscimento formale, comunque irrinunciabile, intorno alla propria
collocazione, ma necessita anche di un percorso di scoperta e di formazione al fine di far
emergere la propria ricchezza. Si pone, in tal modo, un argine alla deriva nichilistica, così
fortemente presente nel panorama dell'ultimo secolo, invitando chiunque, non solo chi è
coinvolto a livello educativo, a rivalutare concetti ed itinerari dati per sorpassati.
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