Marco Biagini INDIVIDUO E PERSONA: IMPLICAZIONI PEDAGOGICHE Persona e contemporaneità Il concetto di persona costituisce, nel panorama contemporaneo, un oggetto imbarazzante non facilmente collocabile secondo coordinate precise. Comunemente è associato ad altri termini quali soggetto, individuo, io, confondendosi in un orizzonte indicante una realtà unitaria che trova in se stessa, in tutto o in parte, la causa della propria esistenza. L'unitarietà, tuttavia, non rappresenta adeguatamente la ricchezza ontologica e semantica della persona: con quest'ultima, infatti, si intende indicare da una parte un essere caratterizzato da potenzialità che attendono di essere attuate e dall'altra l'accoglimento di un numero elevato di significati che difficilmente possono trovare un punto di sintesi. Proprio per questi motivi la cultura occidentale, pur riconoscendo fin dall'antichità la centralità e la pregnanza del concetto di persona, lo ha frequentemente sostituito con termini ritenuti equivalenti ma meno compromissori. In qualsiasi caso, qualunque termine si scelga per indicare la realtà individuale, è innegabile che quest'ultima ha conquistato un'autonomia sempre più ampia nei confronti della comunità di appartenenza, producendo, nelle sue forme estreme, quel ripiegamento narcisistico così diffuso nella cultura occidentale. E' corretto, di conseguenza, parlare di affrancamento dai vincoli di natura ideologica, sociale ed economica che per molti secoli hanno caratterizzato lo sviluppo umano. Paradossalmente, accanto a questa dinamica liberatrice, è comparso un fenomeno dal significato del tutto opposto: il progressivo depauperamento delle facoltà critiche individuali e l'adesione a manifestazioni massificanti. In altri termini, una volta conquistata la propria autonomia, il soggetto ha rinunciato a rafforzare le prerogative acquisite, concentrando le proprie energie verso la conservazione del benessere materiale e delegando la gestione della cosa pubblica ad altri. Si tratta di un fenomeno complesso, caratterizzato da numerose variabili, non solo di ordine politico: molti studiosi, ad esempio, hanno fatto notare come il processo di massificazione si accompagni al predominio e all'invadenza della tecnica. Libertà e nuovi assoggettamenti caratterizzano la condizione dell'uomo oggi, riaprendo interrogativi che sembravano sorpassati, uno su tutti in particolare: quale immagine dell'io esce dalla modernità e si affaccia sulla scena attuale? Rispondere a questa domanda non solo significa tracciare un bilancio di quanto accaduto, ma anche valutare la possibilità di incidere sulle vicende personali e sociali del proprio tempo. 1 Individuo e persona: implicazioni pedagogiche L'individuo della modernità Come abbiamo precedentemente segnalato, la parabola dell'uomo moderno si snoda attraverso più passaggi che trovano nel pensiero seicentesco il loro momento iniziale. I pensieri di Cartesio e di Locke offrono le basi concettuali per fondare una nuova antropologia, per molti versi inconciliabile nei confronti di quella passata. Il filosofo francese, facendo coincidere il soggetto con il pensiero, aprirà la strada al dominio della ragione e alla possibilità di quest'ultima, attraverso la delineazione di un nuovo metodo, di conoscere il mondo. L'empirista inglese, non accontentandosi di ridurre la realtà umana a conoscenza, segnalerà all'uomo del proprio tempo la possibilità di liberarsi dai vincoli politici e sociali del passato, acquisendo un'autonomia fino a quel momento impensabile. Ragione ed autodeterminazione costituiranno i pilastri concettuali irrinunciabili del nuovo soggetto, permettendogli di cominciare un percorso caratterizzato, per causa della tecnica, da conquiste sempre nuove. Si è soliti indicare con il termine individuo la nascita dell'uomo moderno, volendo significare la comparsa di un io non ulteriormente scomponibile e dai contorni più netti, meno caratterizzato dalla variabile spirituale, etica e affettiva. L'individuo moderno, secondo questa prospettiva, sarebbe un uomo semplificato, teso esclusivamente al raggiungimento dei propri interessi. L'immagine contiene un fondo di verità, ma andrebbe adeguatamente approfondita per non cadere in facili riduzionismi. Se è vero, infatti, che il Settecento e l'Ottocento hanno sovente proposto un quadro eccessivamente ottimistico dello sviluppo umano, non bisogna dimenticare che il razionalismo cartesiano e ancora di più il giusnaturalismo lockiano hanno liberato energie inespresse, aprendo un paradigma non completamente negativo: si pensi al fatto che una volta acquisiti i diritti considerati irrinunciabili (vita, libertà, proprietà), l'individuo ha potuto produrre quella fitta rete associazionistica così vitale per la democrazia contemporanea. Contrariamente a quanto si crede, la condizione isolazionistica non è tipica dell'uomo della modernità ma della contemporaneità. Si pensi, ad esempio, a come Tocqueville descrive il comportamento dell'uomo statunitense della prima metà dell'Ottocento: "Gli Americani di tutte le età, condizioni e tendenze, si associano di continuo. Non soltanto possiedono associazioni commerciali e industriali, di cui tutti fanno parte, ne hanno anche di mille altre specie: religiose, morali, gravi, futili, generali e specifiche, vastissime e ristrette. Gli Americani 2 Marco Biagini si associano per dare feste, fondare seminari, costruire alberghi, innalzare chiese, diffondere libri, inviare missionari agli antipodi; creano in questo modo ospedali, prigioni, scuole."1 Un'immagine grandiosa, probabilmente non estendibile al panorama europeo del tempo, ma che ben fa comprendere quanto sia ancora lontana la crisi esistenziale novecentesca. Cosa provocherà allora quella repentina involuzione nella quale precipiterà di lì a poco la cultura occidentale? E' lo stesso Tocqueville, con una preveggenza davvero unica, a spiegarcelo: i germi antidemocratici contenuti nella democrazia stessa. La caratteristica centrale di quest'ultima, infatti, è quella di basarsi sulla "eguaglianza delle condizioni", sul tentativo di offrire ad ogni cittadino le stesse opportunità sia nel campo economico-sociale che poltico-giuridico. Si tratta non solo di una condizione originaria del sistema democratico, ma anche di un principio ispiratore connaturato alla democrazia stessa. Con il procedere di quest'ultima, tuttavia, compare un effetto imprevisto che Tocqueville individua con chiarezza: l'uguaglianza degenera nel conformismo, facendo inevitabilmente convergere le diversità culturali e comportamentali dei singoli verso esiti massificanti, del tutto ostili ad ogni differenza. Nasce in altri termini quella che nel Novecento sarebbe stata chiamata la cultura di massa, un enorme corpo unitario pronto a fagocitare ogni manifestazione individuale. Accade, in tal modo, che l'esaltazione dell'individuo, tipica della modernità, possa trasformarsi in acritica adesione alla volontà di chi governa le strategie del consenso, quelle comunicative e mediatiche in particolar modo. Tocqueville impiega la celebre espressione "tirannide della maggioranza" per esprimere adeguatamente questo stato di cose: negli ordinamenti democratici il controllo delle menti e delle azioni non necessita della figura del tiranno, potendo contare su strumenti più sofisticati e penetranti. Sorge, in tal modo, una forte omologazione culturale, dove un potente pensiero unico avvolge ed indirizza ogni singola volontà. Terribili e profetiche, a questo proposito, le parole di Tocqueville: "Se il dispotismo si affermasse nelle nazioni democratiche di oggi, c'è da presumere che avrebbe altre caratteristiche: sarebbe più esteso e più mite e avvilirebbe gli uomini senza tormentarli (…) Immaginiamo sotto quali nuovi aspetti il dispotismo potrebbe prodursi nel mondo: vedo una folla innumerevole di uomini simili ed uguali che non fanno che ruotare su se stessi, per procurarsi piccoli e volgari piaceri con cui saziano il loro animo."2 1 2 A.. de Tocqueville, Scritti politici. La democrazia in America, Torino, Utet, 1988, p. 597. Ivi, pp. 811 - 812. 3 Individuo e persona: implicazioni pedagogiche Considerazioni divenute, purtroppo, evidenti verità un secolo più tardi. Arrivati a questo punto, però, prima di completare la parabola relativa alla comparsa dell'individuo a partire dall'età moderna, dobbiamo analizzare un concetto, quello di massa, che già qualche volta è comparso nel nostro discorso e che avrà grande centralità nel panorama contemporaneo. Massa: implicazioni e significati Il termine massa3 comunemente viene impiegato quale sinonimo di folla, maggioranza, popolo, ecc. In questo senso è possibile dire che risente di un uso piuttosto libero, quasi che non impegnasse chi lo utilizza ad un atteggiamento rigoroso. Acquisisce un rilevante interesse a partire dall'Ottocento quando i soggetti sociali, aumentando considerevolmente di numero, pongono dinamiche del tutto nuove mai comparse in passato. Di queste si interessano le nuove scienze dell'uomo, psicologia e sociologia in particolar modo, cercando di descriverne le variabili comportamentali e sociali. Apparve chiaro fin da subito che la massa si caratterizzava per l'estensione numerica, la forza di impatto e il coinvolgimento emotivo. Rimangono, a questo proposito celebri le parole di Ortega y Gasset che, condividendo i tratti evidenziati sopra, li integra con il concetto di agglomerazione e pieno: "Le città sono piene di gente. Le case piene di inquilini. Gli alberghi, pieni di ospiti. I treni, pieni di viaggiatori. I caffè, pieni di consumatori. Le strade piene di passanti. Le anticamere dei medici più noti, piene di ammalati. Gli spettacoli, non appena non sono troppo estemporanei, pieni di spettatori. Le spiagge, piene di bagnanti. Quello che prima non soleva essere un problema incomincia ad esserlo quasi ad ogni momento: trovar posto."4 Secondo la prospettiva di Ortega y Gasset anche in altre epoche storiche sono comparse moltitudini rilevanti, incapaci tuttavia di imporsi alle minoranze elitarie preposte a funzioni di governo e alla gestione della cosa pubblica. Tipica della situazione moderna, al contrario, è la conquista dell'intera società da parte della massa e l'insofferenza di quest'ultima per ogni diversità o manifestazione minoritaria; come lo stesso filosofo spagnolo dice "ormai non ci sono più protagonisti: c'è soltanto un coro". 3 " 'Massa' viene dal greco maza, pasta per fare il pane, che deriva dal verbo mazein, impastare; il suo successivo campo di applicazione sarà tanto ampio (p. es. in fisica, chimica, geologia, architettura) quanto comunque legato intuitivamente a simile idea di aggregato, volume, quantità complessiva." (M. Russo, Massa e potere nell'antropologia inconcettuale di Canetti, in "Filosofia politica", XVI, dicembre 2002, p. 478. 4 J. Ortega y Gasset, La ribellione delle masse, in Id., Scritti politici, Torino, Utet, 1979, p. 812. 4 Marco Biagini La pretesa della massa di costituire l'attore principale della scena politica contemporanea venne avvertita con nettezza dai maggiori intellettuali, andando a costituire uno dei motivi centrali di quella che è stata definita la "cultura della crisi". Risultò allo stesso tempo chiaro che ben difficilmente si sarebbe potuto indagare un fenomeno di tale portata con categorie appartenenti al passato. Non a caso la maggior parte degli studi si dedicò ad un'opera di denuncia, evidenziando i pericoli insiti nella comparsa di una forza sociale così innovativa. Precedentemente abbiamo indicato nella estensione numerica, nella forza di impatto e nel coinvolgimento emotivo i tratti maggiormente caratterizzanti la massa. Quest'ultima, tuttavia, fatica ad essere definita con precisione e, ad ogni nuova valenza acquisita, si dischiudono nuove zone d'ombra da interpretare e giustificare. In questo senso è possibile dire, come Russo ha messo bene in evidenza, che la massa rappresenta un concetto limite che permette ad altri (folla, gruppo, comunità, ecc.) di assumere una conformazione maggiormente precisa. Rappresenterebbe, in questa accezione, uno "spazio" a partire dal quale nuove entità prendono forma, assumendo la funzione di condizione iniziale indeterminata. La massa, tuttavia, assume anche il ruolo di momento terminale dove, i fenomeni che precedentemente avevano assunto una propria fisionomia, vanno a risolversi. In questo senso acquisisce una connotazione minacciosa, quale potenza pronta a cancellare ogni forma di individualità determinata. Si potrebbe di conseguenza affermare che, a livello sociale, la massa è passata da un'accezione positiva ad una negativa, da nuova forza politica pronta a rivendicare le proprie prerogative a energia distruttiva tendente a fagocitare qualsiasi forma di individualità. Dall'individuo al soggetto La disamina intorno al percorso condotto dall'individuo nell'epoca moderna ha offerto un panorama dai tratti ambivalenti: da una parte la conquista di una maggiore libertà ed autonomia nei confronti dei vincoli economici e sociali del passato, dall'altro la ricaduta dell'individuo in situazioni di natura massificante che lo hanno ancorato a condizionamenti ancora più pericolosi di quelli tradizionali. Il monito kantiano - "agisci in modo da trattare l'umanità, in te e negli altri, mai soltanto come mezzo, ma sempre come fine" - corre il rischio di essere cancellato dalle stesse forze impiegate dall'uomo nel tentativo di darsi una nuova condizione. All'oppressione sociale e culturale della massa, dagli esiti omologanti, fa riscontro il pericolo sempre più minaccioso della tecnica, pronta a ridurre qualsiasi manifestazione, anche quella umana, a semplice prodotto misurabile e 5 Individuo e persona: implicazioni pedagogiche quantificabile. Compare, di conseguenza, il rischio dell'isolazionismo, l'incapacità dell'uomo della contemporaneità di intravedere un futuro diverso che non sia semplicemente quello del consumatore di oggetti e prodotti pensati da altri. Nel 1951 Adorno notava: "Quel che un tempo i filosofi chiamavano vita, si è ridotto alla sfera del privato, e poi del puro e semplice consumo, che non è più se non un'appendice del processo materiale di produzione, senza autonomia e senza sostanza propria."5 L'uomo potrà evitare i rischi isolazionistici della condizione individuale se saprà ritrovare la propria soggettività, la capacità di coniugare progettualità e significato del proprio agire. E' una considerazione, questa, attorno alla quale convergono numerosi contributi apparsi negli ultimi decenni, miranti non solo ad evidenziare il senso di estraneità ed alienazione caratterizzanti l'uomo contemporaneo, ma anche l'individuazione di modelli comportamentali alternativi. Emblematico di questo orientamento è la riscoperta di relazioni improntate al dono, alla cessione di servizi e beni senza che quest'ultimi comportino una contropartita di natura economica. Solitamente siamo portati a pensare che comportamenti di questo tipo esistano nelle società pre-industriali non caratterizzate dal dominio dell'economia su ogni altro aspetto della vita comunitaria. Un occhio più attento coglierebbe, tuttavia, una realtà ben diversa, dove il volontariato, le banche del tempo, la donazione di organi e tante altre manifestazioni dello stesso segno occupano un posto preponderante nella nostra vita. Si tratta, di conseguenza, di valorizzare quegli aspetti dell'uomo contemporaneo non riconducibili allo schema utilitaristico ed indicabili con il desiderio del legame, l'esigenza di vedere nell'altro non solo l'antagonista ma anche colui che assegna senso alla propria esistenza: "La scommessa, in altri termini, consiste nel supporre che gli uomini non siano motivati solo dall'interesse e dalla ricerca dell'utile, dal desiderio di acquisire e di distinguersi, che riduce il legame sociale a puro strumento di fini prettamente individualistici; ma che agiscano anche spinti da un insieme di motivazioni, come la generosità e il desiderio di dare, l'alleanza e l'amicizia, che fanno del legame sociale il fine stesso dell'azione."6 5 6 T. W. Adorno, Minima Moralia. Meditazione della vita offesa, Torino, Einaudi, 1979, p. 3. E. Pulcini, L'individuo senza passioni, Torino, Bollati Boringhieri, 2001, p.177 6 Marco Biagini L'agire umano non può essere ricondotto esclusivamente all'aspetto economico o di gestione del potere, ma deve includere anche quelle manifestazioni improntate alla gratuità e all'offerta disinteressata; si tratta di riconoscerne l'esistenza, ribaltando l'assioma che vuole l'uomo guidato preminentemente dal motivo dell'interesse. L'elemento, tuttavia, sul quale riflettere è la possibilità di sfuggire alla dicotomia individualismo-collettivismo in base alla quale interpretare la società. L'uomo utilitarista e quello comunitario spiegano solo parzialmente l'agire umano, enfatizzando nel primo caso la libertà sciolta da qualsiasi legame e nel secondo caso la costrizione esercitata sugli individui dai valori e dalle norme comunitarie. Compare, di conseguenza, un terzo paradigma che più che al valore d'uso o di scambio dei servizi, assegna centralità al valore di legame: "Se accettiamo il terzo paradigma, dobbiamo allora aggiungere che esiste un altro tipo di valore, quello legato alla capacità che beni e servizi, se donati, hanno di creare e riprodurre relazioni sociali: un valore che potrebbe essere chiamato valore di legame, in quanto, con tale approccio, il legame diventa più importante del bene stesso ."7 Bisogna, tuttavia, prestare molta attenzione nell'individuare con nettezza le caratteristiche proprie del dono, non confondendo quest'ultimo con ogni forma di cessione. Come abbiamo visto in precedenza il valore del dono consiste nella possibilità di creare dei legami sociali ed in questo senso è stato l'antropologo Marcel Mauss a sottolinearne la struttura triadica: donare-ricevere-contraccambiare. Solo se chi riceve sarà in grado a sua volta di donare (secondo modalità e tempi del tutto liberi) la relazione avrà un alto valore sociale e pedagogico. Il dono non può tramutarsi, come molte volte capita nelle massificanti maratone televisive, in vago gesto caritatevole dove il ricevente viene di solito dipinto con i contorni del nullatenente o del disgraziato. In questi casi è più opportuno parlare di vittime di un sistema produttivo alienante, dove i valori della persona vengono subordinati a motivazioni economiche. Non di rado, inoltre, proprio queste modalità di sanare le contraddizioni del modello capitalistico "mitigano" i sensi di colpa di coloro che partecipano ai benefici del sistema, rendendo di fatto nullo ogni possibile cambiamento. Un esempio di cessione di servizi riconducibile alle caratteristiche del dono (donarericevere-contraccambiare), senza che questo comporti una situazione umiliante per il ricevente, è costituito dalle banche del tempo. Sorte da qualche decennio nelle maggiori capitali continentali con la dizione di sistemi locali di scambio o circuiti di scambio hanno trovato grande sviluppo negli ultimi anni, introducendo all'interno dello scambio 7 Individuo e persona: implicazioni pedagogiche commerciale nuove modalità relazionali, riconducibili alla finalità di denotare lo scambio di un nuovo significato morale. Chi aderisce a questo circuito assegna al tempo un nuovo significato: "Chi scambia compie un gesto molto importante: libera il tempo. Lo libera da ogni equazione economica: nella Banca del Tempo un'ora vale un'ora, a prescindere dal servizio scambiato; lo libera per sé stesso, per imparare a darlo con fiducia e a riceverlo senza sensi di colpa. Nessuno quando scambia perde del tempo."8 Emerge, in tal modo, un discorso dalle forti valenze pedagogiche. L'idea pedagogica, infatti, quando non viene meno al proprio compito confondendosi con la prassi abitudinaria, mantiene una forte valenza critica nei confronti del reale, evidenziandone le contraddizioni e indicandone (ma non sempre questo accade) ipotetiche vie di soluzione. E' lecito asserire, a questo proposito, che ciò che maggiormente contraddistingue l'idea pedagogica non è il motivo epistemologico né didattico, bensì esistenziale, l'individuazione di quelle che Giovanni Maria Bertin chiama le prospettive esistenziali tipiche, intendendosi con queste ultime la capacità di indicare modelli comportamentali da contrapporre a situazioni alienanti o massificanti. Non intendiamo con questo dire che il lavoro epistemologico e didattico non siano centrali per la fondazione di una scienza pedagogica, al contrario: mai come negli ultimi decenni ci si è accorti della necessità di valorizzare sia il momento riflessivo che metodologico al fine di arrivare ad un vero approccio scientifico. Emerge, tuttavia, la necessità di fronteggiare il "disincanto" caratterizzante la società contemporanea e la conseguente scomparsa di ogni direzione di senso, attraverso l'indicazione di prospettive che sappiano oltrepassare la situazione di stallo verificatasi. L'idea pedagogica, in altri termini, difficilmente può presentare un discorso compiuto, privilegiando il momento critico su tutti gli altri, come ben ha chiarito G. M. Bertin: "In quanto idea, essa dà evidenza, in primo luogo, alle eventuali incongruenze, parzialità, unilateralità di tali tendenze, ed eventualmente ne smonta l'enfasi e ne denuncia la retorica; in secondo luogo fa valere (al loro interno o contro di esse) istanze alternative, misconosciute, conculcate, deformate o mistificate dall'attualità."9 7 M. Aime, Da Mauss al MAUSS, in, M. Mauss, Saggio sul dono, Torino, Einaudi,2002, p. XIII Citazione tratta da www.regioneemilia-romagna.it/banchedeltempo. Nel sito si possono trovare ulteriori indicazioni relativamente al significato e alla strutturazione del servizio. 9 G.M. Bertin, Nietzsche. L'inattuale, idea pedagogica, Firenze, La Nuova Italia, 1977, p. 6. 8 8 Marco Biagini Il recupero dell'idea di persona accoglie questa istanza, evidenziando la necessità di indicare un percorso educativo che liberi le energie finora compresse dai fattori alienanti presenti nella società. A livello pedagogico, tale necessità è stata sottolineata in particolar modo dalla corrente personalistica e da quella fenomenologica. La prima sottolinea il fatto che una teoria educativa che non ponga la persona come dato iniziale di qualsiasi considerazione, corre il rischio dell'impersonale, della possibile ricaduta oggettivistica. Questo concetto è stato così ribadito da G. Flores d'Arcais: "Il primum è la persona, anzi, più chiaramente, la mia persona, la persona che io sono. E' il dato iniziale, il presupposto autenticamente primo: o, se si preferisce altro linguaggio, si dica la mia esperienza, quella esperienza che io, in quanto persona, vivo, conosco e realizzo."10 La ricerca ossessiva condotta all'interno della storia del pensiero di individuare un principio ordinatore della realtà esterno all'uomo va rigettato. Quest'ultimo non potrà mai trovare piena realizzazione se subordinato ad una causa esterna, qualunque nome essa assuma. Partendo da questo punto irrinunciabile è possibile indicare nell'intenzionalità e nel trascendimento le modalità esistenziali tipiche della persona. Quest'ultima, infatti, deve essere intesa (e in questo vi è una netta consonanza con la prospettiva fenomenologica) come continua apertura verso l'altro, ammettendo l'impossibilità per l'uomo di isolarsi dai propri simili. Come abbiamo detto precedentemente, si tratta di un riconoscimento e non di un'imposizione, perché in tal senso si ricadrebbe nel rischio dell'oggettivismo (anteporre una realtà alla persona) e dell'impersonale. Il trascendimento, inoltre, invita l'uomo a non accettare acriticamente la situazione data, ma di ricorrere alla progettazione quale tentativo di superare situazioni unilaterali e alienanti. La pedagogia fenomenologica di stampo husserliano concorda con molte tesi personalistiche, evidenziando, tuttavia, il carattere processuale e finalistico del concetto di persona. Quest'ultima è l'esito finale di un profondo percorso di riconoscimento che trova nella coscienza l'unica realtà in grado di resistere alla riduzione trascententale. L'individuo, tuttavia, non può accettare una concezione neutrale della propria condizione, scoprendosi - attraverso un articolato percorso di riflessione - quale unità psico-fisica dotata di spiritualità. Il pensiero fenomenologico, in tal modo, offre importanti contributi che possono trovare pieno sviluppo in ambito educativo, recuperando quella centralità e pienezza del soggetto così fortemente avvertita dalla cultura contemporanea. L'uomo non ha solamente 10 G. Flores d'Arcais, Le "ragioni" di una teoria personalistica dell'educazione, La Scuola, 1987, p. 126. 9 Individuo e persona: implicazioni pedagogiche bisogno di un riconoscimento formale, comunque irrinunciabile, intorno alla propria collocazione, ma necessita anche di un percorso di scoperta e di formazione al fine di far emergere la propria ricchezza. Si pone, in tal modo, un argine alla deriva nichilistica, così fortemente presente nel panorama dell'ultimo secolo, invitando chiunque, non solo chi è coinvolto a livello educativo, a rivalutare concetti ed itinerari dati per sorpassati. 10