L’astronomia egizia Il periodo egizio non ha portato significativi progressi nella conoscenza della struttura del cielo e del moto dei pianeti. Agli Egizi dobbiamo però due decisive innovazioni nella misurazione del tempo, così indovinate da essere sopravvissute, attraverso i millenni, fino ad oggi: la durata dell’anno di 360 giorni, più 5 supplementari, e la suddivisione del giorno in 24 ore. La prima deriva dalla correzione del calendario dei Babilonesi, che prevedeva 360 giorni. La seconda è il risultato di una semplice osservazione. Gli Egizi vedevano sorgere, in media, 12 astri per notte. Questi vennero scelti per segnare lo scorrere delle ore notturne. D’altra parte dieci erano le ore fra l’alba ed il tramonto. Aggiungendo due ore, rispettivamente per la durata dell’albore mattutino ed il crepuscolo serale, essi giunsero ad un totale di 24. Altre suddivisioni del tempo di invenzione egizia sono, invece, andate perdute. Una di queste prevedeva periodi di 10 giorni, detti decani, durante i quali era sempre la stessa stella della notte a sorgere per ultima, sul far del giorno. Questa stella, che i Greci chiameranno eliaca, è riconoscibile per il fatto che, visibile all’orizzonte al primo chiarore dell’alba, scompare poco dopo all’aumentare della luce del Sole. Diversa dalla nostra era anche la durata delle stagioni: gli Egizi ne conoscevano solo tre, che scandivano i cicli dell’attività agricola. L’inizio dell’anno era segnato dal sorgere eliaco di Sirio, che annunciava lo straripamento del Nilo, e dava inizio alla prima stagione dell’anno, detta inondazione (akhet). Seguivano l’inverno (peret, letteralmente “uscita della terra dalle acque”) e l’estate (shemon, ossia “mancanza d’acqua”). Gli Egizi credevano nell’influsso delle posizioni degli astri sulla vita dell’uomo, erano, cioè, cultori dello zodiaco. I decani negli affreschi di Ferrara La volta celeste