Pubblicità occulta nei servizi giornalistici: il giudizio sulla natura del

TAR Lazio/sentenza 08.10.2005 n° 8113.
Pubblicità occulta nei servizi giornalistici:
i toni enfatici connotano i messaggi
come pubblicitari in quanto privi di toni
distaccati e di contenuti imparziali ed obiettivi.
Con la decisione in commento il T.A.R. Lazio conferma un principio giurisprudenziale oramai
consolidato, in forza del quale è possibile pervenire al giudizio sulla natura “occulta” di un
messaggio promozionale in base ad elementi presuntivi gravi, precisi e concordanti a prescindere
dalla prova storica del rapporto di committenza sussistente tra soggetto “committente” ed agente
incaricato della diffusione della comunicazione pubblicitaria (T.A.R. Lazio, I^, 3.3.2004 n.2020).
La vicenda esaminata dal giudice di merito riguarda l’utilizzazione a scopi pubblicitari di un
servizio giornalistico presentato su una rivista periodica, nel cui contesto ad apparente carattere
informativo-scientifico si celava un messaggio sostanzialmente pubblicitario.
L’Autorità garante della concorrenza e del mercato, accogliendo i rilievi formulati dalla sezione
provinciale di una associazione di consumatori, censurava gli articoli asseritamente “pubblicitari”,
disponendo a carico della società editoriale responsabile della rivista la cessazione della diffusione
dei suddetti messaggi.
Il giudice di merito rigetta il ricorso presentato dalla società editoriale avverso il provvedimento
dell’autorità garante ricalcando i percorsi argomentativi tracciati sul medesimo tema da due
precedenti pronunce dello stesso T.A.R. romano: l’art. 4, comma 1, del D. Lgs. n. 74/1992 (Norme
in materia di pubblicità ingannevole e comparativa) vieta qualsiasi “camuffamento” di un
messaggio pubblicitario sotto sembianze diverse allorché la dissimulazione della natura
pubblicitaria del messaggio sia di per sé idonea ad indurre in errore il destinatario, pregiudicandone
il comportamento economico (T.A.R. Lazio, I^, 19.6.2003 n. 5450) e non appare plausibile che, per
informare i lettori su alcuni prodotti, il periodico, anziché sottolineare gli aspetti sostanziali e
concreti che ne giustificano la segnalazione rispetto ad altri prodotti similari, faccia uso di
espressioni immaginifiche (T.A.R. Lazio, I^, 22.5.2002 n. 4563).
D’altronde, qualora i toni enfatici e le espressioni comparative usate nella stesura dell’articolo
connotino i messaggi comunicati come inequivocabilmente pubblicitari in quanto privi dei toni
distaccati e dei contenuti imparziali ed obiettivi che contraddistinguono le informazioni di carattere
scientifico, ne consegue una ovvia valutazione circa la loro matrice “promozionale”.
Inoltre il T.A.R. non ritiene degno di pregio il profilo di doglianza secondo cui l’Amministrazione
non avrebbe alcun interesse attuale a perseguire condotte illecite ormai cessate, dal momento che i
fatti contestati risalirebbero ad un’epoca (oltre sei anni prima) che varrebbe a svuotare di significato
la permanenza della contestazione.
Invero, il principio degli illeciti di “mera condotta” milita nel senso di sanzionare l’azione illecita a
prescindere dall’effetto, più o meno attuale e concreto, che essa abbia prodotto. All’opposto,
accogliendo le argomentazioni della ricorrente si perverrebbe alla conclusione “aberrante” di
consentire l’agevole elusione della normativa in materia di pubblicità ingannevole, diffondendo per
una sola volta messaggi sempre differenti (e ritirandoli spontaneamente, di volta in volta, dal
mercato).
(Altalex, 27 ottobre 2005. Nota di Filippo Di Camillo)
Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio - Sezione I
Sentenza 8 ottobre 2005, n. 8113
FATTO
Con richiesta di intervento pervenuta in data 2.4.1999, l’Associazione Provinciale (omissis)
segnalava, ai sensi del D. Lgs. n.74/1992, quale “pubblicità non trasparente” i servizi - a cura della
giornalista (omissis) - apparsi sulla rivista (omissis) (nella specie: nel numero 25 del 17 luglio 1992,
pagg. 18-19; e nel numero 31 del 6.8.1993, pagg. 14-15), relativi ad un metodo di depilazione
denominato (omissis).
L’Associazione segnalava altresì la presunta ingannevolezza di altri messaggi pubblicitari, sempre
relativi al predetto metodo di depilazione, apparsi su varie pubblicazioni periodiche, sostenendo che
erano tutti atti a indurre in errore i consumatori laddove dichiaravano la definitività del trattamento
di depilazione radicale pubblicizzato.
Con il provvedimento impugnato l’ Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, in parziale
conformità con il parere dell’AGCOM, ha accertato e dichiarato la “ingannevolezza” degli articoli
pubblicati nella rivista (omissis) n.25 del 17 luglio 1992, n.6 del 12 febbraio 1993 e n.22 del 24
giugno 1993, disponendo la cessazione della diffusione dei suddetti messaggi.
Con il ricorso in esame - notificato il 29.11.1999 e depositato il 9.12.1999 - la società ricorrente
chiede l’annullamento del predetto provvedimento, lamentandone la illegittimità per erronea
applicazione degli artt.1, 2 e 4, commi 1 e 3 lett.”b”, del D. Lgs. n.74 del 1992.
Ritualmente costituitasi, con memoria depositata in data 1.6.2005 l’Amministrazione resistente ha
eccepito l’infondatezza del ricorso chiedendone il rigetto con vittoria di spese.
All’udienza dell’8.6.2005, uditi i Difensori delle parti, i quali hanno insistito nelle rispettive
richieste ed eccezioni, la causa è stata posta in decisione.
DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
Con unico articolato motivo di gravame, la società ricorrente lamenta violazione, per erronea
applicazione, de gli artt.1, 2 e 4, commi 1 e 3 lett.”b”, del D. Lgs. n.74 del 1992, deducendo che il
provvedimento dell’ Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (d’ora innanzi denominata
semplicemente “Autorità”) è illegittimo in quanto qualifica indebitamente come “pubblicitari” gli
articoli per cui è causa, pur in assenza di un contratto o accordo fra il produttore ed il periodico che
ha pubblicato gli articoli;
riguarda articoli pubblicati in epoca assai risalente (oltre sei anni prima), mai più riproposti; e si
riferisce - pertanto - ad illeciti certamente ormai prescritti;
qualifica come “ingannevoli” messaggi che certamente non sono tali.
Nessuno dei profili di doglianza può essere condiviso.
1.1. In merito al profilo sub a), va rilevato quanto segue.
Secondo un principio giurisprudenziale costituente ormai jus receptum nell’Ordinamento, in
materia di “pubblicità occulta” è possibile pervenire alla individuazione dello scopo
promozionale sulla base di elementi presuntivi gravi, precisi e concordanti, anche in
mancanza della prova storica del rapporto di committenza; prova che - del resto difficilmente può essere acquisita, essendo nella esclusiva disponibilità delle parti (TAR Lazio,
I^, 3.3.2004 n.2020).
D’altra parte la Sezione ha anche affermato:
che l’art.4, comma 1, del D.Lgs. n.74/1992 vieta qualsiasi “camuffamento” di un messaggio
pubblicitario sotto sembianze diverse, siano esse quelle di un normale servizio giornalistico o quelle
- parimenti svianti - di qualsiasi altra forma di comunicazione, allorché la dissimulazione della
natura pubblicitaria del messaggio sia di per sé idonea ad indurre in errore il destinatario,
pregiudicandone il comportamento economico (TAR Lazio, I^, 19.6.2003 n.5450);
e che “non appare plausibile che, per informare i lettori su alcuni prodotti, il periodico, anziché
sottolineare gli aspetti sostanziali e concreti che ne giustificano la segnalazione rispetto ad altri
prodotti similari, abbia - invece - fatto uso di espressioni immaginifiche …” (TAR Lazio, I^,
22.5.2002 n.4563).
2
Ora, nel caso dedotto in giudizio l’Autorità ha ampiamente motivato in merito alle ragioni che la
inducono a ritenere che il messaggio abbia, in effetti, “natura pubblicitaria”; e tale motivazione
appare congrua e conforme ai precedenti.
L’Autorità ha infatti ritenuto che i toni enfaticamente (ed eccessivamente) entusiastici con i quali il
prodotto è stato presentato - come “metodo rivoluzionario” che ha fatto compiere, nel campo
dell’estetica, “un gigantesco passo in avanti” - e le espressioni comparative utilizzate (atte ad
evidenziarne solamente i pregi, in vittoriosa antitesi con i soli difetti del metodo tradizionale),
abbiano connotato i messaggi in questione come inequivocabilmente pubblicitari in quanto privi dei
toni distaccati e dei contenuti imparziali ed obiettivi che contraddistinguono (e che devono
contraddistinguere) le informazioni di carattere scientifico o i messaggi a scopo puramente
informativo.
Ed anche l’indicazione della possibilità di “usufruire di una seduta della durata di 30 minuti,
scontata del 50% presso uno dei centri elencati …” ha il chiaro ed inequivocabile sapore di un
messaggio pubblicitario volto all’acquisizione di clientela; e non certo il tono di una informativa di
carattere scientifico.
Ragioni, queste, di per sé sufficienti per affermare che il provvedimento ben resiste alla dedotta
censura.
1.2. Quanto al profilo di doglianza di cui sub b), esso è inammissibile e infondato.
1.2.1. Inammissibile in quanto la Difesa della ricorrente non ha indicato quale sarebbe la norma da
cui deriverebbe - a suo avviso - la invocata prescrizione degli illeciti.
1.2.2. Ed infondato in quanto in effetti nessuna norma stabilisce quale sia il termine di prescrizione
al quale è soggetta l’azione sanzionatoria dell’Autorità; e nessuna norma stabilisce, comunque - e
per quanto qui specificamente interessa - che essa sia soggetta ad un termine di prescrizione infradecennale.
1.2.3. Né può essere condiviso il profilo di doglianza secondo cui l’Amministrazione non avrebbe
alcun interesse attuale a perseguire condotte illecite ormai cessate.
Nell’Ordinamento vige, invero, il principio opposto: nei cc.dd. “illeciti di mera condotta” l’azione
illecita viene sanzionata - infatti - a prescindere dall’effetto, più o meno attuale e concreto, che essa
abbia prodotto (ed addirittura - ciò che avviene nel caso dei cc.dd. “illeciti di mero pericolo” - anche
se essa non sia giunta a produrne alcuno).
Del resto, se il principio invocato dalla ricorrente fosse realmente operante nell’Ordinamento,
sarebbe oltremodo agevole eludere la normativa in materia di pubblicità ingannevole, diffondendo
per una sola volta messaggi sempre differenti (e ritirandoli spontaneamente, di volta in volta, dal
mercato). Ciò, evidentemente, assicurerebbe l’impunità, essendo evidente che non sarebbe mai
possibile - in casi di tal genere - giungere ad irrogare la sanzione “in tempo reale”.
Ragioni, queste, per le quali secondo il pacifico orientamento della giurisprudenza, la dichiarazione
della “ingannevolezza” di un messaggio pubblicitario non implica che esso sia “attualmente” in
diffusione (TAR Lazio, I^, 27.1.2003 n.412; Id., 21.10.2003 n.8919).
1.3. Quanto al profilo di doglianza sub c), è sufficiente sottolineare che con provvedimento del
26..5.1999 l’Autorità aveva posto a carico della società (omissis) s.r.l. l’onere di provare l’esattezza
dei dati e delle affermazioni di fatto (in ordine alla definitività del risultato conseguibile con il
prodotto pubblicizzato) contenuti nei messaggi; e che la documentazione prodotta è stata ritenuta
insufficiente sotto svariati aspetti (peraltro tutti esposti nel provvedimento impugnato, che sul punto
motiva specificamente).
Il che evidenzia definitivamente come il messaggio sia risultato - al di là di ogni opinione soggettiva
– “obiettivamente” ingannevole proprio in quanto diffusivo di fatti “obiettivamente” non veri o non
provati scientificamente.
E che pertanto il comportamento dell’Autorità è da considerare non soltanto corretto, ma addirittura
alla stregua di un “atto dovuto”, non potendo essa far altro che applicare la regola di cui allo stesso
art.7, comma 4, del D.Lgs. n.74/1992, in forza del quale se la prova richiesta è insufficiente a
fornire la dimostrazione, i dati di fatto devono essere considerati inesatti.
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2. In considerazione delle superiori osservazioni, il ricorso va respinto.
Si ravvisano giuste ragioni per compensare le spese.
P.Q.M.
il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio - Sezione Prima - respinge il ricorso indicato in
epigrafe.
Compensa tra le parti le spese di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio dell’8 giugno 2005.
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