SU Preti VIcentini http://www.ansa.it/piemonte/notizie/2014/04/10

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SU Preti VIcentini
http://www.ansa.it/piemonte/notizie/2014/04/10/nosiglia-preghiera-per-preti-rapiti_2f0726ab-40334202-9d1c-f8ebf07628b7.html
http://www.agensir.it/sir/documenti/2014/04/00284610_religiosi_rapiti_in_camerun_mons_nosiglia.html
http://mediterranews.org/2014/04/missionari-rapiti-in-camerun-mons-nosiglia-su-voce-del-popolo/
______________Sir
COMUNIONE E LIBERAZIONE
Sessant'anni
vissuti con passione
dentro il mondo
Nel libro "In cammino dentro il mondo - Storia di CL" di Massimo Camisasca, oggi vescovo di Reggio
Emilia-Guastalla, il racconto dei primi trent'anni (1954-1984). Dalle distinzioni con l'Azione Cattolica alla
predilezione di Giovanni Paolo II. Un pezzo di storia del cattolicesimo italiano che ha visto fiorire dopo il
Concilio Vaticano II varie forme di laicato. Poi la sfida e i rischi delle opere
Luigi Crimella
Non è detto che i prossimi 40-50 anni siano così fertili di nascite di associazioni e movimenti laicali cattolici,
così come lo è stato l’ultimo mezzo secolo. Realtà quali i Focolari, Cammino neocatecumenale,
Rinnovamento nello Spirito Santo, Opus Dei, Comunione e liberazione, e una miriade di altre aggregazioni
un po’ in tutti i Paesi cattolici, sono sorte o subito prima o subito dopo il Concilio Vaticano II (1962-65).
C’era aria di novità, tra i fedeli laici, dopo la seconda guerra mondiale, ma c’erano anche preti e religiosi che
“credevano” nel laicato, lo spingevano a emergere dal silenzio in cui era rimasto fino ad allora, a
partecipare attivamente alla vita della Chiesa e anche a quella della società. E il laicato, una volta “emerso”,
ha iniziato a parlare. L’Azione Cattolica, che in Italia pressoché da sola aveva retto il confronto con il regime
fascista e sostenuto la formazione di molti tra quelli che poi sarebbero divenuti i primi governanti e politici
cattolici nelle fila della Dc, a un certo punto ha dovuto assistere all’ esplosione di carismi associativi molto
diversi dal proprio. Il caso di Comunione e Liberazione è stato uno di questi, e forse il più clamoroso sotto il
profilo del confronto e anche di una certa “conflittualità” intra-cattolica. Le propaggini di questa
divaricazione di prospettive hanno avuti momenti di forte vivacità dialettica (anni ‘70-‘90) e sono giunte
quasi fino ai nostri giorni. Personaggi “carismatici” quali Giuseppe Lazzati (sulla via della beatificazione), o
Giuseppe Dossetti, entrambi di formazione Ac, hanno duramente contestato l’impostazione “integralista”
(così la dipingevano) con la quale don Luigi Giussani andava formando schiere numericamente sempre più
rilevanti di giovani “ciellini”.
Il confronto Lazzati-Giussani. Lazzati rimproverava a don Giussani una presenza crescente di Cl “nel corpo
della cristianità come concezione e movimento totale di vita cristiana mirante a investire tutti i livelli”,
definendola una “forma di vero integrismo”. E don Giussani come replicava? Che Cl “ha voluto e vuole
indicare all’uomo di oggi non ‘una’ strada, ma ‘la’ strada, e questa strada è Cristo”. Quindi, aderendo a Gesù
ne derivava per il cristiano una “nuova ontologia realizzata dalla incarnazione”. Tutto cambiava, nel
profondo, e niente era più come prima: ogni dimensione della vita, da quelle più strettamente intime,
private, personali, a quelle pubbliche, sociali, culturali, economiche, era una cosa nuova e diversa. Questo l’
“integrismo” dei ciellini, che però per Lazzati cozzava contro l’esigenza di apertura e dialogo con tutti gli
uomini, anche gli avversari, che esigevano quindi l’ “autonomia”, “laicità” e “secolarità dei valori naturali”,
che potevano essere riconosciuti anche senza un riferimento diretto a Dio, da uomini di qualunque credo e
convincimento. Due posizioni teoreticamente divergenti, e che infatti rimasero tali per decenni, fino alla
morte dell’uno, il Lazzati professore, giornalista e politico, e dell’altro, il don Giussani guida carismatica,
prete fedele alla Chiesa, creatore involontario di un movimento che - aveva dichiarato più volte - in realtà
non aveva mai pensato di fondare.
Il sostegno di Giovanni Paolo II. Dalla parte di don Giussani (come spiega bene Massimo Camisasca, oggi
vescovo di Reggio Emilia-Guastalla, autore di “In cammino dentro il mondo - Storia di CL”, San Paolo, 2014),
ci fu fin dal 1975 Giovanni Paolo II, che nel ricevere il movimento in udienza aveva lodato, innalzato e
incoraggiato la loro esperienza. C’era un motivo storico, non sempre adeguatamente considerato per
questa predilezione di Karol Wojtyla per i “ciellini”. In quegli anni furono numerosi i giovani seguaci di don
Giussani che partivano per “viaggi turistici” verso la Polonia, portando nei doppi fondi delle loro scassate
automobili libri religiosi, aiuti in denaro, bibbie, testi e documenti vietati dalle autorità comuniste. Uno dei
destinatari era proprio l’entourage del giovane vescovo di Cracovia, che poi diverrà Papa di Roma,
scuotendo e infine contribuendo ad abbattere l’impero sovietico. L’altro era l’ambiente di Lech Walesa, che
genererà Solidarnosh e i primi moti di ribellione nei cantieri di Danzica. Solgenitsin era lo scrittore preferito
di generazioni di giovani cattolici che compravano i libri della Jaca Book. E sul piano teologico e pastorale
figure come Angelo Scola, Luigi Negri (poi vescovi e il primo cardinale) crescevano alla scuola di teologi
come Hans Urs von Balthasar e di Joseph Ratzinger.
Presenza internazionale. Cosa è oggi Comunione e Liberazione? Il libro di mons. Camisasca si ferma ai primi
30 anni della storia del movimento (1954-1984), oggi presente in oltre 70 paesi del mondo. Per l’Italia citare
realtà quali il “Meeting per l’amicizia tra i popoli” di Rimini, oppure la “Compagnia delle opere” (Cdo), o il
“Banco Alimentare” e quello “farmaceutico”, o ancora la casa editrice Jaca Book, senza contare i tanti
politici che si sono formati al suo interno, vuole dire richiamare un pezzo non indifferente della storia
cattolica del nostro paese. Cl è esattamente il contrario di una concezione populista della storia, dove un
popolo indifferenziato diventa artefice del suo destino. Invece, per l’ontologia ciellina, è vero il contrario:
proprio l’identità cristiana assunta fino in fondo conduce a azioni conseguenti e chiare. E’ integralismo? Una
volta Giovanni Paolo II disse: “è il movimento che mi sta più a cuore”. Una ragione ci sarà stata per tale
predilezione!
_____________Corriere della sera
Ordine d’arresto per Dell’Utri,
ma lui è latitante in Libano
Martedì è attesa la sentenza definitiva in Cassazione nel processo in cui è stato condannato a 7 anni in
secondo grado per concorso esterno in associazione mafiosa
di Redazione Online
E’ latitante in Libano, per evitare una condanna e il carcere: Marcello Dell’Utri, colpito da un ordine di
custodia cautelare da parte della terza sezione della Corte di appello di Palermo, risulta irreperibile. L’ex
senatore del Pdl, condannato a sette anni per mafia, era in attesa della sentenza definitiva, prevista per
martedì prossimo. Ma probabilmente non sarà in aula ad ascoltarla. La notizia è stata rivelata dalla Stampa.
Secondo gli investigatori, che hanno cercato invano di eseguire la misura e da settimane monitorano le sue
mosse, l’ex senatore avrebbe due passaporti diplomatici e dal Libano sarebbe pronto a spostarsi.
Il divieto di espatrio negato
Già due anni fa, quando la Cassazione doveva decidere sulla sua sorte, l’ex senatore si rifugiò nella
Repubblica Dominicana. Poi ritornò quando venne a sapere che la condanna era stata annullata con rinvio.
Stavolta la Procura generale ci aveva provato, a chiedere il divieto di espatrio, considerando il fatto che
Dell’Utri ha più passaporti diplomatici di Paesi stranieri e che dalle intercettazioni ambientali gli inquirenti
avevano intuito che esisteva il rischio di fuga. Ma la Corte di appello, che aveva già negato la richiesta di
arresto nel marzo dello scorso anno, aveva rigettato la richiesta.
Guinea o Libano?
L’ordinanza di custodia cautelare a carico dell’ex senatore di Forza Italia Marcello Dell’Utri è stata emessa
martedì dai giudici della terza sezione della corte d’appello di Palermo, presieduta da Raimondo Lo Forti,
che a marzo dell’anno scorso confermarono la condanna del politico a 7 anni per concorso in associazione
mafiosa. La corte ha motivato l’ordine di arresto con il pericolo di fuga. Tre settimane fa la procura
generale, sulla base di un’intercettazione di una conversazione del fratello di Dell’Utri, da cui si potevano
dedurre le intenzioni dell’ex manager di Publitalia di lasciare il Paese, e degli accertamenti della Dia che da
tempo tenevano sotto controllo l’imputato, aveva chiesto il divieto di espatrio con sequestro del
passaporto. Ma l’istanza venne rigettata dalla corte in quanto per i reati di criminalità organizzata l’unica
misura cautelare ipotizzabile è la custodia in carcere. La Procura generale ha fatto ricorso contro il rigetto al
tribunale del riesame che ha confermato l’orientamento dei giudici di appello. Da qui la nuova richiesta,
questa volta di arresto, che risale a lunedì sera scorso. I giudici l’hanno accolta e depositato il
provvedimento martedì.Ma ormai era troppo tardi: l’imputato non è stato trovato in casa.
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COrriere della sera
Aborto, una giovane donna muore dopo aver assunto la «RU 486»
Viale, il «padre della pillola abortiva», chiede di «non strumentalizzare l’accaduto». E aggiunge: «Decine
di milioni le donne hanno assunto la RU486 nel mondo»
di Redazione Online
Una donna di 37 anni è morta, mercoledì notte, all’ospedale Martini di Torino dopo un’interruzione
volontaria di gravidanza tramite la pillola abortiva RU486. Il caso, anticipato venerdì mattina dal quotidiano
«La Stampa», è stato confermato dalla direzione dell’ospedale. Si tratterebbe del primo episodio del genere
in Italia, mentre negli Stati Uniti sono già stati registrati otto casi di intolleranza letale al farmaco. La
procura di Torino ha disposto l’autopsia.
Il padre della pillola abortiva: «No strumentalizzazioni»
Il «padre della pillola abortiva», il ginecologo Silvio Viale, respinge «ogni strumentalizzazione» sul caso.
Viale, che dirige il principale servizio italiano per IVG presso l’Ospedale Sant’Anna di Torino, osserva come
sono «decine di milioni le donne che hanno assunto la RU486 nel mondo» e «40 mila solo in Italia».
«L’episodio - aggiunge Viale - ricorda la prima e unica morte in Francia nel 1991, agli inizi del suo uso, che
indusse a modificare il tipo di prostaglandina per tutti gli interventi abortivi introducendo il misoprostolo
(Cytotec). Sono gli altri farmaci, gli stessi che si impiegano per le IVG chirurgiche, i maggiori sospettati di un
nesso con le complicazioni cardiache». Viale, nel dirsi addolorato per quanto accaduto, sostiene che sin da
ora si possa «affermare che non vi è alcun nesso teorico di causalità con il mifepristone (RU486), perché
non ci sono i presupposti farmacologici e clinici.
Disposta l’autopsia
ll mifepristone è regolarmente autorizzato dall’Aifa anche per le IVG chirurgiche del primo trimestre e per
le ITG del secondo trimestre, per cui le buone norme di pratica clinica prescriverebbero di utilizzarlo nel
100% delle IVG e, se non è cosi, è solo per motivi politici e organizzativi». «A differenza del mifepristone afferma Viale - sono gli altri farmaci utilizzati nelle IVG, sia mediche che chirurgiche, che possono avere
effetti cardiaci, seppure raramente: la prostaglandina (gemeprost) in primo luogo, già individuata come
responsabile di decessi e complicazioni cardiache, ma anche l’antidolorifico (ketorolac) ampiamente
utilizzato off-label in gravidanza e l’antiemorragico (metilergometrina) utilizzato in Italia di routine in quasi
tutti gli aborti in ospedale e a domicilio. Anche la gravidanza può essere un fattore di rischio. In attesa che
l’autopsia indichi la causa della morte ribadisco che ben difficilmente, per non dire con ragionevole
certezza, la RU486 potrà essere chiamata come responsabile diretta o indiretta delle complicazioni che
hanno portato al decesso».
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COrriere
Esplora il significato del termine: Legge 40, dieci anni dopo come un secolo
di ANGELO PANEBIANCO
Ora che con la sua sentenza la Corte costituzionale ha dichiarato illegittimo il divieto di fecondazione
eterologa seppellendo così, di fatto, la legge 40 varata dieci anni fa (nel 2004), si può fare un confronto fra il
clima di allora e quello di oggi. Nel 2004, quando la legge venne approvata dal Parlamento, e ancora nel
2005, quando su quella legge si tenne un referendum, il Paese si spaccò in due, venne trascinato dentro
una specie di «scontro di civiltà». Il fronte che vinse allora, per via politica, e che adesso esce sconfitto per
via giurisdizionale, sembra quasi silente. Poche e isolate sono state, fino ad ora, le voci cattoliche che si
sono levate a criticare la sentenza. Nel suo complesso, la Chiesa sembra orientata a scegliere una condotta
prudente, di implicita, più o meno rassegnata, accettazione dell’esito che si è determinato.
Che cosa è cambiato? Diverse cose e in diversi luoghi: nella Chiesa, nella società, nella politica italiana.
Quanto alla Chiesa, il cambiamento si chiama Francesco. Nel 2004 era ancora alla testa della Chiesa
(sarebbe morto l’anno successivo) Giovanni Paolo II, il Papa venuto dal freddo, il Papa che aveva fatto della
lotta contro la secolarizzazione la vera cifra del suo Pontificato. Seguito da papa Ratzinger, un Pontefice
che, del predecessore, con un diverso stile, avrebbe continuato l’opera. Quelli che giornalisticamente (ma
non certo nella dottrina cristiana) vengono chiamati «temi etici» - in buona sostanza, la difesa, in tutti i suoi
aspetti, della famiglia naturale - erano al centro delle preoccupazioni e delle azioni di quei Papi e, per
conseguenza, della Chiesa nel suo insieme.
Papa Francesco ha fatto altre scelte. Non ha certo abbandonato la difesa di principio della famiglia naturale
(solo gli sciocchi potrebbero pensarlo) ma ha chiarito, fin dai primi discorsi che inaugurarono il suo
Pontificato, che non su quei temi avrebbe caratterizzato la sua azione. Alla inflessibilità e alla energia - c’è
chi le dice genuinamente evangeliche e chi le dice, forse più grossolanamente, latinoamericane - sui temi
della ingiustizia sociale, non corrisponde una uguale energia spesa nel confronto/scontro su altri argomenti:
in particolare, contro chi sostiene e incoraggia i cambiamenti, dovuti a una combinazione di innovazioni
tecnologiche e di mutamenti del costume, che investono la famiglia (e le concezioni della famiglia) nel
mondo occidentale, Italia inclusa.
È probabile che molti prelati, che avrebbero forse levato le loro voci con durezza qualche anno fa, oggi
tacciano perché non è ancora a tutti chiaro quali direzioni sceglierà e, soprattutto, in quale modo deciderà
di confrontarsi con il mondo secolare, su diversi temi sensibili, la Chiesa di papa Francesco.
In questi dieci anni è anche cambiato molto nel costume italiano. Dicono i sondaggi (quale che ne sia
l’affidabilità, soprattutto su temi come questi) che si è largamente diffusa una concezione pluralistica della
famiglia, l’idea che di famiglie possano essercene legittimamente di tipi diversi, anche molto lontani da ciò
che un tempo si intendeva per famiglia naturale. Come sempre, le motivazioni sono le più varie. Alcuni
applaudono al cambiamento considerandolo un segno di progresso, altri sono semplicemente rassegnati di
fronte a quella che ritengono la sua inevitabilità. Soprattutto, là dove il cambiamento è favorito, come nel
caso dell’impianto di ovuli fecondati, dalla tecnologia, è idea diffusa che resistere al cambiamento sia una
fatica inutile. La tecnica, soprattutto quando si sposa con il mercato, ha una forza irresistibile. Prima o poi
travolge qualunque argine legale le venga velleitariamente opposto.
E ci sono, infine, le vicissitudini della politica italiana e, soprattutto, i problemi della nostra malandata
democrazia. Proprio il caso della legge 40 è un buon punto di osservazione. Documentava ieri il Corriere
(Mario Pappagallo, pagina 3) che nel corso di questi dieci anni ben trentadue sentenze hanno smantellato
la legge pezzo per pezzo. Attraverso un lungo lavorio compiuto dai tribunali ordinari e dalla Consulta. E ciò
che è accaduto alla legge 40 è accaduto ad altre leggi, votate dal Parlamento, su altri temi controversi. È un
bene? È un male? Quello che è certo è che gli spazi decisionali degli organi rappresentativi, dei luoghi
deputati alla rappresentanza della volontà popolare così come si manifesta attraverso libere elezioni, sono
ormai assai ristretti. Potremmo dire: la politica propone, l’organo giurisdizionale dispone.
Ma, si dice, c’è il vincolo di costituzionalità. Sarà, ma occorre per lo meno riconoscere che si tratta di un
vincolo piuttosto elastico, variamente interpretabile (tanto è vero che sulla legge 40 la Corte si è spaccata in
due: otto contro sette). E il vincolo risulta più o meno stringente a seconda di quanto debole oppure forte,
screditata oppure rispettata, risulti, nel momento storico dato, la politica rappresentativa. Se, ad esempio,
la politica fosse stata forte e rispettata, la Corte costituzionale non si sarebbe mai potuta permettere
l’invasione di campo che ha fatto sentenziando sulla legge elettorale.
Una buona ragione per ridare credibilità alla politica rappresentativa è anche quella di allentare il vincolo, di
non spostare definitivamente su tribunali, Corti, e relativi funzionari, il monopolio in ultima istanza
dell’interpretazione della volontà popolare.
A proposito di costume, va segnalato infine quanto siano stati inappropriati certi commenti sulla sentenza
della Corte in materia di fecondazione. È legittimo pensarla come si vuole. Non lo è invece immiserire
questioni così essenziali per la vita sociale tutto appiattendo e tutto riducendo, semplicisticamente, a uno
scontro fra cosiddetti amanti del progresso e cosiddetti oscurantisti.
Corriere della sera
Angelo Panebianco Legge 40, dieci anni dopo come un secolo
di ANGELO PANEBIANCO
Ora che con la sua sentenza la Corte costituzionale ha dichiarato illegittimo il divieto di fecondazione
eterologa seppellendo così, di fatto, la legge 40 varata dieci anni fa (nel 2004), si può fare un confronto fra il
clima di allora e quello di oggi. Nel 2004, quando la legge venne approvata dal Parlamento, e ancora nel
2005, quando su quella legge si tenne un referendum, il Paese si spaccò in due, venne trascinato dentro
una specie di «scontro di civiltà». Il fronte che vinse allora, per via politica, e che adesso esce sconfitto per
via giurisdizionale, sembra quasi silente. Poche e isolate sono state, fino ad ora, le voci cattoliche che si
sono levate a criticare la sentenza. Nel suo complesso, la Chiesa sembra orientata a scegliere una condotta
prudente, di implicita, più o meno rassegnata, accettazione dell’esito che si è determinato.
Che cosa è cambiato? Diverse cose e in diversi luoghi: nella Chiesa, nella società, nella politica italiana.
Quanto alla Chiesa, il cambiamento si chiama Francesco. Nel 2004 era ancora alla testa della Chiesa
(sarebbe morto l’anno successivo) Giovanni Paolo II, il Papa venuto dal freddo, il Papa che aveva fatto della
lotta contro la secolarizzazione la vera cifra del suo Pontificato. Seguito da papa Ratzinger, un Pontefice
che, del predecessore, con un diverso stile, avrebbe continuato l’opera. Quelli che giornalisticamente (ma
non certo nella dottrina cristiana) vengono chiamati «temi etici» - in buona sostanza, la difesa, in tutti i suoi
aspetti, della famiglia naturale - erano al centro delle preoccupazioni e delle azioni di quei Papi e, per
conseguenza, della Chiesa nel suo insieme.
Papa Francesco ha fatto altre scelte. Non ha certo abbandonato la difesa di principio della famiglia naturale
(solo gli sciocchi potrebbero pensarlo) ma ha chiarito, fin dai primi discorsi che inaugurarono il suo
Pontificato, che non su quei temi avrebbe caratterizzato la sua azione. Alla inflessibilità e alla energia - c’è
chi le dice genuinamente evangeliche e chi le dice, forse più grossolanamente, latinoamericane - sui temi
della ingiustizia sociale, non corrisponde una uguale energia spesa nel confronto/scontro su altri argomenti:
in particolare, contro chi sostiene e incoraggia i cambiamenti, dovuti a una combinazione di innovazioni
tecnologiche e di mutamenti del costume, che investono la famiglia (e le concezioni della famiglia) nel
mondo occidentale, Italia inclusa.
È probabile che molti prelati, che avrebbero forse levato le loro voci con durezza qualche anno fa, oggi
tacciano perché non è ancora a tutti chiaro quali direzioni sceglierà e, soprattutto, in quale modo deciderà
di confrontarsi con il mondo secolare, su diversi temi sensibili, la Chiesa di papa Francesco.
In questi dieci anni è anche cambiato molto nel costume italiano. Dicono i sondaggi (quale che ne sia
l’affidabilità, soprattutto su temi come questi) che si è largamente diffusa una concezione pluralistica della
famiglia, l’idea che di famiglie possano essercene legittimamente di tipi diversi, anche molto lontani da ciò
che un tempo si intendeva per famiglia naturale. Come sempre, le motivazioni sono le più varie. Alcuni
applaudono al cambiamento considerandolo un segno di progresso, altri sono semplicemente rassegnati di
fronte a quella che ritengono la sua inevitabilità. Soprattutto, là dove il cambiamento è favorito, come nel
caso dell’impianto di ovuli fecondati, dalla tecnologia, è idea diffusa che resistere al cambiamento sia una
fatica inutile. La tecnica, soprattutto quando si sposa con il mercato, ha una forza irresistibile. Prima o poi
travolge qualunque argine legale le venga velleitariamente opposto.
E ci sono, infine, le vicissitudini della politica italiana e, soprattutto, i problemi della nostra malandata
democrazia. Proprio il caso della legge 40 è un buon punto di osservazione. Documentava ieri il Corriere
(Mario Pappagallo, pagina 3) che nel corso di questi dieci anni ben trentadue sentenze hanno smantellato
la legge pezzo per pezzo. Attraverso un lungo lavorio compiuto dai tribunali ordinari e dalla Consulta. E ciò
che è accaduto alla legge 40 è accaduto ad altre leggi, votate dal Parlamento, su altri temi controversi. È un
bene? È un male? Quello che è certo è che gli spazi decisionali degli organi rappresentativi, dei luoghi
deputati alla rappresentanza della volontà popolare così come si manifesta attraverso libere elezioni, sono
ormai assai ristretti. Potremmo dire: la politica propone, l’organo giurisdizionale dispone.
Ma, si dice, c’è il vincolo di costituzionalità. Sarà, ma occorre per lo meno riconoscere che si tratta di un
vincolo piuttosto elastico, variamente interpretabile (tanto è vero che sulla legge 40 la Corte si è spaccata in
due: otto contro sette). E il vincolo risulta più o meno stringente a seconda di quanto debole oppure forte,
screditata oppure rispettata, risulti, nel momento storico dato, la politica rappresentativa. Se, ad esempio,
la politica fosse stata forte e rispettata, la Corte costituzionale non si sarebbe mai potuta permettere
l’invasione di campo che ha fatto sentenziando sulla legge elettorale.
Una buona ragione per ridare credibilità alla politica rappresentativa è anche quella di allentare il vincolo, di
non spostare definitivamente su tribunali, Corti, e relativi funzionari, il monopolio in ultima istanza
dell’interpretazione della volontà popolare.
A proposito di costume, va segnalato infine quanto siano stati inappropriati certi commenti sulla sentenza
della Corte in materia di fecondazione. È legittimo pensarla come si vuole. Non lo è invece immiserire
questioni così essenziali per la vita sociale tutto appiattendo e tutto riducendo, semplicisticamente, a uno
scontro fra cosiddetti amanti del progresso e cosiddetti oscurantisti.
Angelo Panebianco
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Corriere
Il farmaco inutile contro l'aviaria pagato dai governi oltre tre miliardi
Ricerca indipendente "smonta" il Tamiflu:inefficace per influenza suina e dei polli
di CORRADO ZUNINO
Il farmaco inutile contro l'aviaria pagato dai governi oltre tre miliardiROMA - Il costoso farmaco Tamiflu che
ci avrebbe salvato dall'aviaria, che avrebbe impedito il passaggio dell'influenza dai polli all'uomo su scala
mondiale e combattuto un'epidemia che nei grafici clinici avrebbe potuto fare 150mila morti soltanto in
Italia, non è servito a niente. Solo a gonfiare i bilanci della Roche spa, multinazionale svizzera che grazie alle
ondate di panico collettivo ha venduto nel mondo, solo nel 2009, confezioni per 2,64 miliardi di euro. Due
miliardi e sei per un solo farmaco che, si calcola, a quella data è stato utilizzato da 50 milioni di persone.
Inutilmente.
CRONISTORIA L'emergenza dell'aviaria / DALL'ARCHIVIO La guida del giugno 2009
Già. Un gruppo di scienziati indipendenti - Cochrane collaboration - ha ripreso in questi giorni un suo studio
realizzato nel 2009 sul rapporto tra l'antivirale Tamiflu e l'influenza suina (seimila casi mortali nel mondo). E
se allora l'organizzazione medica no profit sosteneva che non c'erano prove a sostegno dell'utilità del
medicinale per la suina, ora si spinge oltre e lo stampa sul British medical journal: per l'influenza aviaria (62
morti accertati, fino al 2006) l'antivirale della Roche è stato inutile.
Lo si certifica adesso, ma per dieci anni una teoria di stati nel mondo, sull'onda della speculazione emotiva,
ha accumulato milioni di confezioni, buttato valanghe di denaro pubblico e, dopo cinque stagioni, buttato
anche le confezioni scadute. Secondo la controricerca il Tamiflu (dai 35 ai 70 euro a scatola, secondo
richiesta e Paese) contrappone alle influenze gli stessi effetti del più conosciuto paracetamolo. Non ha
prevenuto la diffusione della pandemia, né ha ridotto il rischio di complicazioni letali. Ha attenuato solo, nei
primi quattro giorni del contagio, alcuni sintomi. Una tachipirina, non certo la panacea per epidemie da
kolossal.
Ecco servito un nuovo caso di inganno Big Pharma, segnalato da ricercatori che hanno rilevato errori e
mancanze in ogni stadio del processo: la produzione, le agenzie di controllo, le istituzioni di governo. Gli
uffici stampa della Roche hanno tempestivamente replicato, ieri: la ricerca è incompleta e frammentaria. È
un fatto, però, che il Tamiflu passerà alla storia della farmaceutica contemporanea come il medicinale più
gonfiato e redditizio.
L'influenza aviaria venne descritta per la prima volta in Piemonte, nel 1878, ma è dal 1996 che si è scoperta
pericolosa per l'uomo. Da allora e per dieci anni focolai hanno toccato cinque continenti. Hong Kong
l'origine, poi l'approdo in Australia, Cile, Centro America, Olanda, Belgio, Germania, quindi Canada, Stati
Uniti, Sudafrica, di nuovo Sud-Est asiatico, il resto dell'Asia, ancora Europa. Centocinquanta milioni di
volatili contagiati e, alla fine, 62 umani morti (in media un normale ceppo influenzale, ogni anno, provoca
nel mondo 700 mila decessi). Grazie all'Organizzazione mondiale della sanità, spinta dai centri di controllo
medico americani, a metà dei Duemila il Tamiflu Oseltamivir diventa il farmaco elettivo per il trattamento
dell'influenza aviaria.
Nel novembre 2005 il presidente George W. Bush richiede al congresso 7,1 miliardi di dollari per prepararsi
a una pandemia, 1,4 miliardi sono necessari per acquistare farmaci antivirali. Si scoprirà che uno degli
articoli su cui si basavano le evidenze scientifiche per lanciare il Tamiflu era uno studio fatto su un solo
paziente. Si scoprirà, soprattutto, che il brevetto del farmaco è stato dal 1997 al 2001 della società Gilead, il
cui presidente era Donald Rumsfeld, segretario di Stato americano dell'amministrazione Bush dal 2001 al
2006: Rumsfeld mai ha lasciato il pacchetto di azioni Gilead e tutt'oggi riceve il 22 per cento dei profitti
derivanti dalla vendita del Tamiflu.
In quei giorni di allarmi a comando, il segretario di Stato impose la somministrazione obbligatoria del suo
farmaco alle truppe nordamericane. E i governi occidentali si superarono negli ordinativi alla Roche, che
faticò a star dietro alle richieste: 2,3 milioni di dosi la Svizzera, 5,4 milioni il Canada, 13 milioni la Francia,
14,6 milioni la Gran Bretagna.
L'Italia, governo Berlusconi, Storace ministro della Salute, autorizzò l'acquisto di antivirali per il 10 per cento
della popolazione: sei milioni di confezioni. La Roche spa, tra il 2003 e il 2005, quadruplicò le vendite nel
mondo.
Sull'allarme aviaria, ha rivelato l'ultimo numero dell'Espresso, la procura di Roma sta indagando su
un'ipotesi impaurente: il virus esistente, in Italia, fu trasformato ad arte in un'epidemia in procinto di
esplodere. Psicosi generata da ricercatori e industrie farmaceutiche (in questo caso la Merial di Noventa
Padovana) che portò il governo Berlusconi (ter) a spendere 50 milioni per vaccini poi rimasti inutilizzati. Per
ora è stata indagata per associazione a delinquere, insieme ad altre 38 persone, Ilaria Capua, virologa di
fama internazionale, deputato di Scelta civica.
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La repubblica
Usa, si dimette la Sebelius dopo le polemiche sulla riforma sanitaria di ObamaUsa, si dimette la Sebelius
dopo le polemiche sulla riforma sanitaria di Obama
Il ministro della Sanità sarà sostituita da Sylvia Mathews Burwell proprio quando l'Obama Care dà i primi
segnali positivi dopo una fase di avvio caratterizzata da diversi inconvenienti
WASHINGTON - Kathleen Sebelius, ministro della Sanità degli Stati Uniti, lascia l'incarico, si dimette, poco
più di una settimana dopo la conclusione della prima fase della Obamacare, la riforma sanitaria fortemente
voluta dal presidente Barack Obama, che dopo un avvio disastroso, ha infine raggiunto e superato i sette
milioni di iscritti, una soglia fissata sei mesi fa, quando la legge entrò in vigore.
Lo ha reso noto la Casa Bianca, aggiungendo che al posto di Sebelius, il presidente nominerà nelle prossime
ore Sylvia Mathews Burwell, attuale direttore dell'Ufficio Gestione e Bilancio, che dovrà spianare la strada
alla prossima fase di di iscrizioni, che inizierà a novembre.
Dopo una marea di critiche seguite all'avvio della riforma, segnata dall'inaccessibilità al sito web per
l'iscrizione e da numerosi altri disservizi, il primo aprile scorso Obama ha potuto infine cantare vittoria,
annunciando un risultato addirittura superiore alle aspettative dell'amministrazione e di certo al di sopra di
quelle di moltissimi detrattori che ancora oggi si battono per la sua abolizione.
Di certo, ben pochi immaginavano che, dopo il disastroso avvio, la legge, denominata ufficialmente
Affordable Care Act, potesse raggiungere il traguardo dei sette milioni. E invece Obama ha potuto il primo
aprile affermare che "questa riforma è un bene per l'economia e per l'intero Paese. Non c'è ragione di
tornare indietro". Anche perchè ora "milioni di americani hanno le stesse opportunità. La legge sta
funzionando, sta aiutando milioni di americani".
Una legge che peraltro ha causato nelle sue prime fasi un tracollo della popolarità del presidente, subito
dopo la sua rielezione, nel gennaio 2014.
Ora però Obama, secondo alcune fonti, vuole mettersi le critiche alle spalle, metterci una pietra sopra, e
guardare avanti con uno spirito rinnovato verso le elezioni di medio termine, che a novembre
riguarderanno l'intera Camera dei Rappresentanti e un terzo del Senato. Al tempo stesso, altre fonti
affermano che i repubblicani potrebbero sfruttare l'audizione al Congresso per la conferma della nomina
del nuovo segretario alla Sanità per tornare all'attacco contro l'Obamacare.
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La stampa
Ucraina, scade l’ultimatum
di Kiev agli attivisti filo-russi
Putin minaccia di chiudere il rubinetto del gas. Telefonata Obama-Merkel
Scade alle 11.00 ora di Kiev (le 10.00 in Italia) l’ultimatum di Kiev agli attivisti filorussi che hanno occupato il
palazzo dell’amministrazione regionale di Donetsk e la sede dei servizi segreti di Lugansk, nell’est del Paese.
L’altro ieri il ministro dell’Interno Arseni Avakov aveva concesso 48 ore di tempo per i negoziati,
minacciando poi l’uso della forza. Ieri il presidente ad interim Oleksandr Turcinov aveva proposto
un’amnistia per quanti lasceranno gli edifici deponendo le armi.
Intanto il presidente Usa Barak Obama ha avvertito che una nuova escalation in Ucraina porterà a nuove
sanzioni americane ed europee contro Mosca. In un comunicato pubblicato stanotte dopo una
conversazione telefonica con la cancelliera tedesca Angela Merkel, Obama ha sottolineato «il bisogno per
gli Stati Uniti, l’Unione europea e gli altri paesi partner di prepararsi a rispondere con nuove sanzioni a
un’escalation russa» in Ucraina.
Nel corso del colloquio telefonico, si legge in una nota, Obama e Merkel hanno parlato «della
preoccupante situazione nell’Ucraina orientale, dove separatisti russi, apparentemente con il sostegno di
Mosca, continuano ad orchestrare una campagna di incitamento e sabotaggio per minare e destabilizzare lo
Stato ucraino». I due leader, continua la nota, hanno di nuovo ribadito la necessità che «la Russia ritiri le
sue truppe dalla regione di confine» e «hanno discusso questioni relative all’imminente incontro dei
ministri degli esteri di Ucraina, Russia, Stati Uniti e dell’alto rappresentante dell’Unione Europea»
Il G7 finanziario, riunito «informalmente» a margine dei lavori del Fondo Monetario Internazionale, ha
discusso delle necessità finanziarie all’Ucraina e della risposta internazionale alla crisi nel Paese. «Il G7 dei
ministri delle finanze e dei governatori delle banche centrali - si legge nella nota diffusa al termine
dell’incontro - ha avuto un breve incontro informale a margine dei lavori del Fondo Monetario
Internazionale (Fmi). Le discussioni hanno coperto i maggiori e più recenti sviluppi dell’economia globale,
temi che rientrano nelle discussione più ampie degli incontri in programma in settimana» per il Fmi.
«Queste discussioni includono la situazione in Ucraina, le sue necessità di finanziamento e la risposta
internazionale. I ministri e i governatori delle banche centrali del G7 si sono detti molto dispiaciuti della
morte di Jim Flaherty», l’ex ministro delle finanze canadese.
_________La stampa
Dopo l’ok della Consulta
resta il vuoto normativo
Ginecologi e coppie devono attendere i regolamenti
PAOLO RUSSO
«Ci vorrà una nuova legge», aveva detto a caldo il ministro della salute, Beatrice Lorenzin. Ma per
trasformare in realtà la fecondazione eterologa serviranno anche regolamenti, decreti legislativi e il
recepimento di direttive europee per mettere ordine al caos su diritti del nascituro, anonimato del
donatore e controlli di sicurezza sui gameti di persone estranee alla coppia, solo per citare qualche punto
controverso. Insomma, altro che applicazione immediata della sentenza emessa ieri l’altro dai giudici
costituzionali.
«Nel comunicato della Corte –spiega Assuntina Amorresi del comitato di bioetica e consulente del
ministero della salute- si dice che il divieto di esercitare qualsiasi diritto sul bambino da parte del donatore
non c’è più. Così come sembra cancellato il divieto a disconoscere la paternità». Questo significa che i centri
per la fecondazione assistita non sapranno che pesci prendere se un donatore si presenterà da loro
chiedendo di mantenere l’anonimato. «Per regolamentare i diritti del donatore e quelli del nato a
conoscere eventualmente genitori, fratelli o parenti stretti biologici servirà una legge», spiega la Amorresi.
Poi sarà necessario creare un registro dei donatori, che ne permetta la rintracciabilità in caso dopo la
donazione si scopra qualche malattia trasmissibile. E analogo registro servirà per i nati da eterologa, per
evitare in futuro congiungimenti tra nati dallo stesso genitore biologico.
Ma il nodo più delicato da sciogliere è quello della sicurezza sanitaria delle donazioni. «Esistono delle
direttive europee su questo», spiega il direttore del Centro trapianti nazionale, Alessandro Nanni Costa. «Il
problema –aggiunge- è che l’Italia ha recepito solo le norme di sicurezza per i gameti delle stessa coppia
non quelle per la donazione da terzi, che sono molto più rigide». Ad esempio nella inseminazione
«omologa» il test anti hiv si fa entro 90 giorni dalla donazione, per essere ripetuto ogni 6 mesi fino a che le
tecniche di procreazione assistita non raggiungono lo scopo. «Tempi che andranno invece molto ridotti per
i donatori esterni, per evitare il sopraggiungere di malattie sessualmente trasmissibili», mette in guardia
Nanni Costa.
Ma superati anche tutti questi ostacoli, ci sono gameti da impiantare nelle nostre «banche del seme» dopo
anni di divieto di eterologa? Teoricamente sì, ma in pratica no, «perché sono quelli non più utilizzati dalle
coppie per l’omologa, alle quali bisognerebbe ora chiedere il permesso per uso terzi», precisa la Amorresi. E
poi problemi ci saranno per gli ovociti. La donazione resta infatti gratuita ma bisognerà vedere quante
donne accetteranno, senza percepire nulla, di sottoporsi alle forti stimolazioni ormonali necessarie a
produrli.
Una matassa che richiederà tempo per essere sbrogliata, nonostante Stefano Rodotà e l’Associazione
Coscioni escludano il Far west. Mentre le prime coppie già bussano alle porte dei Centri di procreazione
assistita per mettersi in lista. Per un’attesa che si preannuncia tutt’altro che breve.
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