la parola della domenica Anno liturgico C omelia di don Angelo

la parola della domenica
Anno liturgico C
omelia di don Angelo nella V Domenica di Quaresima
secondo il rito ambrosiano
17 marzo 2013
Dt 6,4a; 26,5-11
Sal 104
Rm 1,18-23a
Gv 11,1-53
Penso che voi immaginiate come sia difficile, quasi impossibile, oggi commentare la parola
di Dio, svestendoci dei sentimenti e della commozione per un evento dello spirito che
abbiamo vissuto insieme, credenti e non credenti, in questa settimana , qualcosa che fatica
a stemperarsi nei nostri cuori. E penso che voi mi perdonerete se gli eventi che abbiamo
vissuto forse, in qualche misura, cerchino di farsi luce anche in questa mia riflessione, spero
non prevaricando sulla Parola.
Forse siamo usciti o stiamo uscendo o siamo sulla soglia di una uscita come chiesa. Se però
non lasciamo solo Gesù che conduce fuori, un Papa che conduce fuori.
Già un invito a uscire era custodito nel libro del Deuteronomio, un invito fatto ai nostri padri
e, quindi anche a noi. Eravamo schiavi in Egitto: “Gli egiziani” è scritto “ci maltrattarono, ci
umiliarono e ci imposero una dura schiavitù. Allora gridammo al Signore, al Dio dei nostri
padri e il Signore ascoltò la nostra voce, vide la umiliazione, la nostra miseria e la nostra
oppressione: il Signore ci fece uscire dall’Egitto con mano forte e braccio teso”. Ci fece
uscire. “Uscire”, “camminare”, “entrare”, i verbi del popolo di Dio. Verbi anche per noi: uscire
da schiavitù che appesantivano il cammino di una chiesa. Ora ci tocca camminare, un giorno
entreremo. Il Signore ha ascoltato la nostra voce, sull’uscita splende il suo nome: “Rendete
grazie al Signore” invitava oggi il salmo “invocate il suo nome, proclamate tra i popoli le sue
opere, a lui cantate e inneggiate, meditate le sue meraviglie”. Rendiamo grazie al Signore!
Uscire, camminare, entrare. Sono anche i verbi che ritroviamo nel vangelo di Lazzaro
risvegliato dal sonno di morte, verbi consegnati alla comunità che stenta a credere in una
forza che vinca i segni della morte, i discepoli, le sorelle, i Giudei venuti a consolare per il
morto, noi oggi.
“Già manda cattivo odore” dice Marta. Come se fosse una situazione compromessa,
compromessa per sempre. E quante cose mandano cattivo odore! L’ultima, la più carica
nella sua parvenza di irrimediabilità, al punto da sembrare assoluta nel cattivo odore, la
morte.
E ancora una volta il primo passo chiesto dal racconto sembra essere quello di uscire, uscire
con un atto di fede in Gesù.
Un sapiente monaco anni fa lo sottolineva in un suo commento al nostro brano, scriveva:
“L’evangelista narra il cammino di Gesù verso il villaggio, il cammino di Marta verso Gesù, il
suo ritorno a chiamare Maria, che ‘veloce’ si orienta verso Gesù. Tutto è in movimento, ma
tutto deve anche uscire dalla paralisi della morte. Tutti i personaggi lasciano il luogo in cui si
trovano. Tutti escono: Gesù e i discepoli dalla Transgiordania; i giudei da Gerusalemme,
Marta dal villaggio; Maria con i giudei dalla sua casa e dal villaggio; Lazzaro dalla tomba. Se
Gesù, arrivato presso Betania, si ferma e non entra nella casa del lutto, si rimette ben presto
in cammino col gruppo verso il luogo dove sfida la morte, mentre il movimento degli altri
personaggi converge verso di lui” (Benedetto Calati).
Forse ci siamo troppo attardati sul lamento, troppo esitanti a uscire, cioè a rimetterci in
cammino. Dico dentro: rimetterci in cammino dentro, in speranza dentro, in desiderio di passi
dentro. Dobbiamo far nostro quel fremito che trascorre nelle vene della comunità di Betania.
Penso di interpretare tutti voi dicendo che un po’ di quel fremito a uscire e a andare a Gesù
ce lo ha messo nelle vene un Papa che si è dato il nome di Francesco, quasi dicesse:
“Andiamo a riparare la chiesa: non vince l’odore della morte. Usciamo a riascoltare la voce di
Gesù che fa uscire: ‘Lazzaro, vieni fuori!’”. Chiesa vieni fuori! E poi Gesù aggiunge: “
Scioglietelo, liberatelo e lasciatelo andare!”.
Sembravano solo un sogno le parole del Cardinale Martini, le ultime quando disse: ”La
chiesa è stanca, nell'Europa del benessere e in America. La nostra cultura è invecchiata, le
nostre chiese sono grandi, le nostre case religiose sono vuote e l'apparato burocratico della
chiesa lievita, i nostri riti e i nostri abiti sono pomposi. Queste cose però esprimono quello
che noi siamo oggi? (...) Il benessere pesa. Noi ci troviamo lì come il giovane ricco che triste
se ne andò via quando Gesù lo chiamò per farlo diventare suo discepolo. Lo so che non
possiamo lasciare tutto con facilità. Quanto meno però potremmo cercare uomini che siano
liberi e più vicini al prossimo”.
E’ come se il sogno si fosse realizzato: “cercare uomini che siano liberi e più vicini al
prossimo”.
Ma l’invito a sciogliere e a lasciare andare risuona per tutta la chiesa, per tutti noi, per
ciascuno di noi. Penso che non possiamo lasciare solo Papa Francesco nel suo passo,
ritorniamo con lui a camminare nella semplicità, nell’umiltà, nella mitezza, nella povertà nella
trasparenza di una vita veramente evangelica. Camminiamo dietro Gesù.
Sì, è vero, c’è un prezzo. A volte ci prende paura del prezzo, come prendeva paura a
Tommaso e agli altri, era rischioso ritornare, spinti da un’amicizia, in Giudea. Anche oggi la
sequela ha un prezzo, perché gli apparati sempre vedono come un rischio coloro che
prendono alla lettera il vangelo. Ma l’amore se è vero, e Gesù ce lo insegna, accetta di
correre anche questo rischio. Il racconto di Giovanni oggi chiudeva con il complotto contro
Gesù: i suoi segni di liberazione non potevano non generare panico nella autorità,
preoccupate di tenere suddito e in loro potere un popolo. L’amore che libera ha un prezzo.
Ma tu non ti arrendi, troppo è l’amore.
Lasciatemi dire che comunque queste strategie di morte non riescono a velare il fascino che
percorre il nostro racconto. Tutti noi, penso, affascinati dal calore dell’amicizia che scorre in
questo brano. Ce lo ricorda la comunità di Betania, ci ricorda un Gesù profondamente
umano, umano sino al pianto. Un Gesù che toglie ogni distanza: Dio non è distaccato, Dio
parla le parole dell’amicizia: “il nostro amico Lazzaro”! Un calore.
Dobbiamo ringraziare. Anche questo abbiamo respirato nelle prime ore di un papato: questo
calore, fin dalle prime parole del Papa, il suo allontanarsi da tutto ciò che segna distanza,
soggezione, il desiderio di essere benedetto dal suo popolo, il sogno della fratellanza, oserei
dire dell’amicizia. Quasi riudissimo le parole di Gesù: “Non vi chiamo più servi… io vi ho
chiamato amici”.
Noi rendiamo grazie a Dio, gli rendiamo grazie per i suoi prodigi.
Per la riflessione
Uscire e far uscire. Da che cosa?
Sciogliere. Che cosa sciogliere, che cosa liberare?