A proposito di apprendimento

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Progetto sperimentale “L’età di Leonardo” per il miglioramento dell’insegnamento/apprendimento
nel biennio delle scuole secondarie di secondo grado della provincia di Pisa
Provincia di Pisa
Assessorato alla
Pubblica Istruzione
A proposito
di apprendimento:
la valutazione
Seminario di lavoro sulla valutazione a scuola
Pisa, giovedì 12 aprile 2007
IPSSAR “G. Matteotti”, via Garibaldi 194
Ore 10-13:30
Presentazione del seminario
Rosa Dello Sbarba
Assessora alla Pubblica Istruzione della Provincia
Interventi programmati
Di cosa parliamo quando parliamo di valutazione degli apprendimenti
Domenico Chiesa
Segreteria tecnica del Viceministro Mariangela Bastico
Valutare perché, cosa, come, con quali strumenti
Renella Bandinelli
Dirigente scolastico Istituto Montale di Pontedera
Dibattito
Pausa pranzo
ore 15-17
Saperi e competenze
Bruno Losito
Università Roma Tre
Dibattito
Prospettive e impegni concreti da proporre alle scuole
1
Pisa 12 aprile 2007
A proposito di apprendimento: la valutazione
Materiali di riflessione per il seminario
Un inquadramento del tema sulla valutazione
Per tentare di esprimere il mio pensiero sulla valutazione, provo ad inquadrarlo nella cornice più ampia del processo
didattico-formativo.
IL PROCESSO FORMATIVO
Un processo organizzato è una serie di attività correlate, coordinate e finalizzate svolte da RISORSE che operano una
trasformazione su elementi di ingresso (INPUT) con lo scopo di ottener un risultato (OUTPUT) tenuto conto di regole e
limiti prefissati (VINCOLI) alla realizzazione del processo.
Proviamo a calare questa definizione generale nello specifico di un processo formativo.
Cominciamo con l’individuare l’input e l’output.
L’input possiamo identificarlo con le condizioni in ingresso dello studente (abilità, conoscenze, competenze..), mentre
l’output è rappresentato dalle sue condizioni formative in uscita dal processo.
L’obiettivo del processo è organizzare apposite attività affinché ogni studente realizzi quell’apprendimento che gli consente
di raggiungere quelle conoscenze e abilità, insomma quelle competenze, che concretizzano le condizioni formative previste
come output.
Per quanto riguarda le risorse, cioè i soggetti che svolgono le attività finalizzate alla trasformazione desiderata, i protagonisti
fondamentali sono due: il docente e il discente. Tuttavia non sono da trascurare altri attori (compagni di classe, famiglie,
agenzie esterne alla scuola) che recitano un ruolo a volte non del tutto secondario.
Infine il quarto fattore in gioco, i vincoli, è fondamentalmente rappresentato dal corpo normativo che governa l’attività
didattica e da tutta quella serie di confini (a volte elastici, altre volte più rigidi) di carattere organizzativo ed economico che
limitano la disponibilità di risorse umane, materiali e temporali.
VALUTAZIONE E PROCESSO FORMATIVO
Fissato schematicamente, almeno in prima approssimazione, il processo formativo, si tratta di vedere quale ruolo gioca, al
suo interno, la VALUTAZIONE.
In generale la valutazione si fonda sul principio che qualunque forma di attività organizzata è finalizzata ed ha bisogno di
essere costantemente controllata al fine di verificare se le procedure attuate e l’impiego delle risorse producono il risultato
fissato negli obiettivi.
Per quanto riguarda l’attività di valutazione a scuola il principio a cui attenersi è quello secondo il quale quelle che insegnanti
ed alunni compiono, nell'ambito della scuola, sono anch'esse attività organizzate e finalizzate, perciò hanno bisogno, come le
altre, di essere controllate e verificate.
Se ci rifacciamo allo schema precedente del processo formativo, possiamo in quadrare la valutazione rispetto ad almeno due
dimensioni:
1) Valutazione di PRODOTTO
a. Valuta il risultato ottenuto (output effettivo)
b. Valuta gli scostamenti rispetto al risultato previsto (output obiettivo)
2) Valutazione di PROCESSO
a. Valuta le attività effettivamente svolte dalle risorse
b. Valuta l’entità degli scostamenti tra attività effettivamente svolte e attività previste in sede di progettazione
c. Valuta il contributo delle attività svolte sul risultato effettivo (output effettivo)
d. Valuta quali cambiamenti apportare al processo per migliorare i risultati.
Per poter effettuare una valutazione è necessario avere a disposizione informazioni attendibili, quindi strumenti di misura e di
verifica efficaci. Tutte le valutazioni sopra ricordate presuppongono perciò la presenza di questi indispensabili supporti.
A COSA E’ SERVITA LA VALUTAZIONE TRADIZIONALMENTE?
La scuola superiore, ha avuto in passato un obiettivo neanche tanto nascosto: selezionare la classe dirigente del paese. Con
questo obiettivo, accettato dai più, andava avanti solo chi era all’altezza di farlo.
Per individuare i migliori era dunque coerente operare in modo selettivo, “valutando” chi era in grado di proseguire e chi no.
In questa ottica il voto è stato uno strumento eccellente per fissare, in graduatorie di merito, la posizione di ogni studente in
relazione agli altri e in relazione ad un valore soglia (la sufficienza).
La scuola non aveva grandi necessità di valutare il processo, era sufficiente valutare i prodotti, per selezionare quelli buoni,
dagli “scarti”.
In effetti il voto, con la sua capacità di sintesi e la sua inequivocabilità numerica ha assolto egregiamente al compito di
certificare il “valore” delle prestazioni scolastica dello studente.
LA VALUTAZIONE NELLA SCUOLA DI OGGI
Che tipo di valutazione viene attualmente realizzata nelle nostre scuole?
2
Non c’è dubbio che la valutazione di prodotto, in particolare la valutazione del risultato effettivo (output effettivo), viene
regolarmente eseguita in modo formale e pubblico a tutti i livelli. La manifestazione esplicita di questo tipo di valutazione è
testimoniata dal VOTO decimale in tutte le sue utilizzazioni: nelle verifiche scritte, orali e pratiche dell’attività scolastica
ordinaria, nelle classificazioni quadrimestrali e finali. In quel numero è concentrata l’entità del risultato ottenuto da ogni
singolo studente in relazione ad ogni singola disciplina.
Nella scuola attuale, tutti gli altri tipi di valutazione (valutazione del processo), per quanto ne so, quando vengono effettuati,
rappresentano una attività di scarsa rilevanza, approssimata e quasi mai formalizzata.
In altre parole l’essenza della valutazione nella scuola di oggi, credo che si estrinsechi essenzialmente in un’unica attività:
dare i “VOTI” agli studenti, quindi in maniera non troppo dissimile da quanto è avvenuto in passato. Forse l’obiettivo
esplicito non è più quello di un tempo, anche se, a giudicare dagli esiti della dispersione nel primo anno delle superiori,
qualche dubbio serio resta.
Il dibattito sulla valutazione degli addetti ai lavori si concentra perciò tutto sulla ricerca del modo più corretto, più giusto di
valutare (cioè di dare i voti).
Ci si addentra nei meandri delle dispute sugli strumenti di verifica, sull’utilizzo delle prove oggettive, dei test a scelta
multipla, delle prove a risposte chiusa ed aperta, delle griglie di valutazione; insomma di tutta quell’insieme di tecniche di
misurazione e di teorie docimologiche la cui padronanza dovrebbe garantire una valutazione ineccepibile.
Sia ben chiaro, non sto dicendo che un docente non debba avere nel suo bagaglio strumentale questi arnesi del mestiere, anzi!
Voglio dire solo che concentrare l’attenzione esclusivamente su questi aspetti fa perdere di vista completamente tutti le altre
dimensioni della valutazione, e fornisce alla problematica una interpretazione assolutamente riduttiva.
LA VALUTAZIONE NELLA SCUOLA DELL’OBBLIGO
Ma nella scuola di oggi e, segnatamente, nel biennio unitario di cui stiamo discutendo, gli obiettivi su cui tutti, almeno in
apparenza, sembriamo concordare, sono ben diversi.
In una scuola in cui è necessario “farsi carico dell’istruzione per tutti e per ciascuno dall’infanzia all’adolescenza” la
valutazione ha fondamentalmente un’altra funzione.
Se è necessario “che si avvii un processo innovativo in grado di incidere sulla quotidianità del fare scuola che
presuppone come pre-condizione l’assunzione, da parte della scuola, della intenzionalità di “prendersi in carico”
l’istruzione di tutti e ciascuno fino a 16 anni”, lo strumento valutativo deve essere utilizzato in tutta la sua ampiezza
pluridimensionale.
Come pensare infatti di cambiare, di migliorare gli esiti, se non si valuta a tutto tondo l’efficacia del processo formativo?
Le informazioni ricavabili dalle valutazioni possono essere determinanti per migliorare gli interventi didattici, ma sono
assolutamente nulle se sono basate esclusivamente sui voti. Provo a spiegarmi meglio con un esempio.
Ci siamo abituati, fra le varie tecniche, ad usare le “griglie di valutazione”. Il fine è quello di raggiungere una sorta di
“oggettività” nella valutazione che consenta di determinare, attraverso il filtraggio della verifica tra le maglie della griglia, un
voto “calibrato” che assicura l’equità e la correttezza del giudizio finale.
Al termine di questa operazione, tutt’al più, si allega alla prova la griglia per testimoniare il rigore valutativo adottato.
Quello che però viene registrato e documentato didatticamente è, essenzialmente il risultato numerico della verifica, il voto.
Ora se c’è una informazione utile, dal punto di vista valutativo, per ogni singolo studente e per l’insegnante in relazione a
tutta la classe, è proprio nascosta nella griglia.
Attraverso di essa è possibile disarticolare l’esito della prova del singolo alunno mettendo in evidenza dettagli significativi
sulla comprensione del tema in esame.
Esaminando poi complessivamente le prove di tutti gli alunni, è possibile ricavare informazioni cruciali sugli aspetti
contenutistici e concettuali per i quali l’attività didattica non è stata efficace.
Per non dire che, se costruite in maniera oculata, le griglie utilizzate per una disciplina, possono contemplare alcuni elementi
comuni ad altre materie di insegnamento, permettendo così una analisi e una valutazione incrociata con altri colleghi del
consiglio di classe, basate su aspetti comuni delle verifiche.
Tutta questa ricchezza informativa viene ad essere irrimediabilmente perduta se i fattori valutativi presi in considerazione
confluiscono in voto che magari è, a sua volta, frutto di una operazione di sintesi algebrica quale la media tra altri voti.
(Fortunato Nardelli S. Giuliano Terme 28/01/07)
Considerazioni in risposta a: “Un inquadramento del tema sulla valutazione” di Fortunato Nardelli
Caro Fortunato, rispondo solo oggi alla tua mail, perchè grazie al fatto che sono a casa allettata per l'influenza ho finalmente
un po' di tempo per dedicare alle tue considerazioni la dovuta attenzione. Già da quello che dicevi all'incontro del 26 gennaio
ho subito capito che avevamo molte affinità riguardo al modo di concepire il concetto di valutazione scolastica. Mi sono letta
con molta attenzione il tuo file e non solo lo condivido in pieno, ma sono disposta anche ad approfondire con te se c'è un
modo perchè si possa attuare un cambiamento nel modo attuale di valutare gli studenti che finalmente ci faccia prendere le
distanze dal modo tradizionale che non fa altro che confondere le idee agli insegnanti.
Sono d'accordo con te che il voto sul registro e il voto in pagella al momento valutano solo il risultato ottenuto e tralasciano
completamente (o quasi, se mi sforzo, al più, di farci entrare la differenza tra la situazione dello studente in entrata e quella in
uscita!) il processo.
3
Io mi occupo da anni per il Matteotti di chiarire ai colleghi (distribuire materiale, organizzare incontri di autoaggiornamento,
ecc.) quali sono gli strumenti per le valutazioni oggettive (differenza tra prove chiuse e aperte, griglie di valutazione, terze
prove agli esami di stato, prove per l’esame di qualifica, ecc.).
Ho addirittura collaborato (assieme ad altre 3 colleghe del Matteotti) con Vertecchi ed il CEDE per la produzione di esempi
di terze prove pubblicate nel volume del 1999 "Proposte per le terze prove", edito da Franco Angeli, con presentazione di
Vertecchi, a cura del CEDE. Le nostre sono le numero 61.
Questo te lo dico non per vantarmene, ma al contrario, per riconoscere che, anche se già fin da allora sentivo che non era
sufficiente passare alle prove oggettive per risolvere il problema della valutazione ma che c'era bisogno di considerazioni più
approfondite, non sono riuscita ad andare molto oltre. In pratica fino ad oggi nella mia scuola, a fatica, siamo riusciti a fare
nostro il concetto di prova oggettiva (nel senso che la maggior parte degli insegnanti è in grado di produrre prove di verifica
che comportino un punteggio o comunque una griglia di valutazione), ma siamo ancora ben lontani dal fare nostro il concetto
che la valutazione è anche di processo.
Questo perchè c'è una forte resistenza degli insegnanti a mettersi in gioco e ad accettare che si possa mettere in discussione il
proprio operato. Io in particolare faccio fatica a far capire ai colleghi che il problema non è dover essere giudicati noi, ma è
affinare la nostra professionalità usando i risultati ottenuti dai ragazzi (l'output effettivo) per provare a migliorare il nostro
intervento didattico. A livello mio personale non ho mai smesso di cercare strade alternative e questa mia mail è per aprire
un'altra porta al mio apprendimento. Al momento posso dire che tra le cose fondamentali che ho capito e fatto mie e che
credo che dovrei comunicare con più efficacia (ma non ci riesco!) sono due:
1.
Gli insegnanti abbiamo l’obbligo morale di porci la domanda: "so relazionarmi con la classe, rispettando tutti e
chiedendo rispetto in cambio del mio?".
L'apprendimento dei ragazzi è strettamente collegato alla motivazione e quindi alla capacità dell'insegnante di entrare
in relazione positiva non solo con gli studenti più "facili", ma con tutti gli studenti della classe. E' quindi collegato con
la capacità dell'insegnante ad essere "accogliente" e "non respingente", a saper essere assertivo ma anche a saper
evitare di essere noioso. Quest’ultima è una cosa che appena la dico suscita un vespaio, perchè sembra che significhi
voler sminuire l'importanza e la serietà dell'intervento didattico.
Al contrario, secondo me, è una consapevolezza che verrebbe incontro ad un effettivo disagio nella nostra tipologia di
scuola (professionale). Ne ho avuto una conferma tangibile 2 o 3 anni fa quando l’allora funzione strumentale di
sostegno agli studenti (prof. D’Iglio) ha somministrato a tappeto a tutti gli studenti un questionario (costruito e
somministrato senza che io ne fossi a conoscenza e potessi in qualche modo influenzare), in cui si chiedeva qual era il
maggior ostacolo a seguire proficuamente le lezioni. Una percentuale altissima di studenti ha risposto: la noia. Questo
è stato riferito in collegio dalla funzione strumentale, ma sembra non aver avuto alcun effetto su nessuno se non su di
me (per consolidarmi in una convinzione che avevo raggiunto per altre strade).
Essere noioso e non rendersene conto secondo me è mancanza di rispetto verso gli studenti: io partecipo a molti corsi
di aggiornamento e sono diventata particolarmente intollerante quando (per fortuna raramente: ho imparato a
scegliere!) mi trovo davanti a dei formatori che "mi annoiano": lo trovo offensivo nei miei confronti perchè non si
tiene conto del fatto che sto spendendo del tempo della mia vita in quella attività!
2.
Un ottimo modo per sperimentare e diffondere il concetto di rispetto delle risorse individuali degli studenti è
l'apprendimento cooperativo. Ne ho sentito parlare per la prima volta al corso B delle TIC per i referenti delle
tecnologie informatiche nelle scuole (corso in cui ho potuto vivere sulla mia pelle "lezioni interessantissime" accanto a
"lezioni offensive"). Poi l'anno scorso ho partecipato alle riunioni organizzate da Isabella Ghilarducci al Concetto
Marchesi ed ho avuto modo di sperimentarlo in alcune "lezioni" nelle mie classi e, visti i risultati chiaramente
interessantissimi, lo sto sperimentando su tutte le mie classi quest'anno, con risultati ottimi. In particolare, per la prima
volta nella mia carriera, pur valutando (anch’io, ohimè!) in maniera oggettiva i "prodotti", in una delle mie due classi
prime ho avuto alla fine di questo primo quadrimestre risultati tutti sufficienti (con voti dal 6 al 9).
Purtroppo durante lo scrutinio di questa prima sono stata attaccata da alcuni colleghi (2 o 3, non tutti, per fortuna!) che mi
accusavano di avere dei risultati a dir poco strani perchè "statisticamente impossibili". Quando ho replicato che i risultati
erano oggettivi, che potevo dimostrarli e che erano collegati all’efficacia della metodologia dell’apprendimento cooperativo,
gli stessi colleghi mi hanno detto che non era comunque possibile che studenti poco dotati come Caio e Sempronio potessero
oggettivamente avere la sufficienza in Inglese. Tutto ciò è successo giovedì scorso alle 18.00, quando già ero febbricitante
per l'influenza e spero che, a causa di ciò, io possa aver frainteso alcune affermazioni. Il mio sospetto è però che ci sia una
forte resistenza a credere che sia possibile trovare strade alternative serie per motivare e coinvolgere tutti gli studenti (o
almeno tutti quelli che non abbiano davvero gravi ostacoli socio affettivi alla motivazione ad apprendere) e per fare ottenere
dei risultati accettabili (a livello di sufficienza, intesa come livello minimo ma accettabile) a tutti, anche se con carenze
cognitive o socio affettive.
Per concludere il mio intervento rispetto al tuo, io sento un forte disagio durante gli scrutini perché mi rendo conto che gli
studenti vengono ancora comunque valutati, come dici tu, per il loro output effettivo, senza tenere in considerazione altri
fattori importantissimi legati alla persona dello studente (effettive capacità e risorse personali, motivazione, impegno) e
all’intervento didattico (efficacia dell’ intervento, capacità dell’insegnante di coinvolgere tutta la classe, di valorizzare ed
usare tutte le risorse degli studenti, di comunicare, farsi capire, entrare in relazione, riuscire a motivare, riuscire a capire
blocchi degli studenti ed intervenire per smuoverli, ecc.).
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Questo si trasforma poi con estrema facilità in frustrazione degli studenti, demotivazione a studiare e quindi… dispersione
scolastica.
Finché continueremo a valutare con le stesse pagelle che si usavano ai miei tempi (ahimè più di 40 anni fa!) il problema sarà
di difficile risoluzione.
Riconfermo quindi che sono d’accordo con te che tutto questo è un nodo cruciale se si vuole che la scuola sia veramente
dell’obbligo. Se non si risolve questo problema, gli altri interventi rischiano di essere soltanto “palliativi”.
Sono quindi disponibile a continuare questa riflessione con te e con quant’altri vogliano partecipare.
(Piera Caruso Pisa, 10 febbraio 2007)
Essere scuola oggi: la valutazione
In qualunque sistema la valutazione è il nodo centrale di ogni processo perché serve per il miglioramento, per il
cambiamento, lo sviluppo, la piena valorizzazione delle risorse impiegate.
Nella scuola la valutazione è un processo centrale, sistemico e sistematico: sistemico in quanto tutte le variabili
significative devono essere costantemente monitorate e valutate, (domanda e offerta di formazione e al loro interno i processi
di organizzazione, erogazione, gestione, monitoraggio e controllo), sistematico perché tale processo deve accompagnare il
processo “in progress”, durante il suo svolgimento, e quindi secondo una scansione temporale compatibile con interventi
efficaci e ed adeguati alla soluzione dei problemi che emergono nel processo, in grado di orientare il cambiamento verso il
“migliore” raggiungimento degli risultati programmati e le finalità istituzionali.
Nella prospettiva dell’innalzamento dell’obbligo di istruzione, tenendo presente anche la prospettiva della prossima
ammissione agli esami di Stato, nel cercare di fronteggiare le difficoltà e il gap fra “il reale livello di ingresso degli studenti
nei diversi ordini di secondaria superiore” e “il livello di ingresso atteso dagli insegnati della secondaria superiore”, non solo
nel primo, ma anche negli anni successivi, parliamo di VALUTAZIONE, limitandoci in questo primo approccio alla
valutazione degli apprendimenti degli studenti quale risultato finale (non prodotto finale) del processo di
Insegnamento/Apprendimento.
Fermo restando che la valutazione trova la sua radice nella “decisione didattica”, cioè nelle scelte della
programmazione didattica disciplinare e di classe, che stabilisce finalità e obiettivi misurabili sulla base di indici adeguati,
significativi e coerenti, prima di dare una risposta, interroghiamoci sull’analisi di processo cercando di enucleare tutte le
variabili di sistema che vi interagiscono e vi concorrono.
Partiamo da CHI, per passare poi al COSA, e procedere con ordine al QUANDO, COME e PERCHE’, l’ordine non
è prescrittivo al processo, ma serve per codificare e coordinare le azioni che portano al risultato.
CHI valuta: la valutazione è un processo di comunicazione e non solo un mero adempimento burocratico: necessita
di trasparenza e di condivisione fra le parti (docente e studente) dei criteri dei modi e dei tempi e degli strumenti; deve servire
a rendere consapevole lo studente delle sue competenze, emergere dall’autovalutazione e contribuire a promuovere la
responsabilizzazione, motivazione e partecipazione dello studente al proprio processo di apprendimento.
COSA si valuta: sono sufficienti i compiti in classe o dovrebbero essere predisposte griglie di osservazione per
tenere conto di tutti gli aspetti che contribuiscono al processo di apprendimento, compresi quello del livello della prestazione
di insegnamento erogata e delle condizioni in cui viene erogata? Con quali criteri e secondo quali parametri? Sono rilevanti i
tempi individuali di apprendimento e le mappe mentali di ogni studente? I livelli di partenza sono quelli rilevati o quelli
teoricamente attesi dai docenti sulla base di consuetudini didattiche immutabili?
QUANDO si valuta: I tempi di apprendimento dovrebbero essere dettati dalla programmazione, ma anche dalla
possibilità del monitoraggio tramite il feed back, il regolamento dell’autonomia prevede che si possano modificare i tempi e i
modi tradizionali.
COME si valuta: criteri, indicatori di livello, griglie di osservazione, scala docimologica di Bloom, ecc.
L’essenziale è la trasparenza e la condivisione dei criteri ai diversi livelli: dei docenti fra loro, fra docenti e studenti, fra
scuola e famiglia, fra scuola e contesto territoriale di riferimento.
PERCHE’ si valuta: per certificare gli apprendimenti, ma gli apprendimenti devono essere “adeguati” al livello di
competenze richiesto al termine del percorso.
Dovremmo superare il concetto di promosso o bocciato, non più dire cosa gli studenti non sanno, ma cosa sanno e
quali competenze hanno raggiunto valutando se queste sono adeguate alla prosecuzione del percorso o se devono essere
consolidati certi apprendimenti invece di altri, forse anche consentire di frequentare il curricolo successivo per le discipline
consolidate e recupero dei percorsi non frequentati con profitto
Credo che uno dei limiti al processo di valutazione è l’assenza totale di punti di riferimento, l’assenza totale di
criteri condivisi o di livelli di competenze accettati come “standard”, per cui il “sapere” la competenza in uscita è un concetto
completamente diverso per ogni insegnate.
La conseguenza è che PISA OCSE ci colloca fra i paesi dove è più debole il livello di competenza raggiunto dai
nostri giovani nel sistema scolastico.
Ciò è tanto più grave quando, da un’analisi più attenta, emerge che il nostro sistema scolastico non è in grado di
riequilibrare le disuguaglianze sociali, anzi le aggrava.
La valutazione è solo l’ultimo atto di un processo che deve essere ripensato non a livello di “ingegneria scolastica”,
ma soprattutto con riferimento agli apprendimenti rispetto ai diversi gradi o momenti del percorso educativo rispetto al quale
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non si può accettare che certe competenze di base non siano raggiunte da tutti ai livelli di età che le teorie psico pedagogiche
della crescita ritengono ottimali.
Occupiamoci della valutazione, ma teniamo presente che cominciamo dal momento terminale del processo e
cerchiamo di ricostruirlo dal basso verso l’alto con un perorso che problematizzi le fasi del processo.
(Renella Bandinelli)
Valutare: cosa e perche'?
La discussione di questi decenni riguardo al problema della valutazione con il relativo insuccesso di approdare a schemi
oggettivi, codificabili per tutti, rimanda al significato che ognuno di noi attribuisce a questa parola.
Probabilmente la ragione di fondo per cui non si riesce a trovare un accordo sta nell'ambiguita' che risiede nel concetto di
valutazione e nel suo volersi sostituire, per certi aspetti, al processo stesso di apprendimento. Domandiamoci infatti quanto del
processo valutativo generalmente in uso sia teso a migliorare quello di apprendimento e quanto invece a cercare di semplificare
per noi una realta' molto complessa quale quella che ogni singolo studente ci presenta con la propria personalita', estrazione
sociale, livello di maturazione, tempi, modi, canali di comunicazione, disponibilita', affettivita' ed altri elementi ancora.
Ogni ragazzo, anche se ha un minimo comun denominatore con quelli della sua eta', e' tuttavia un mondo singolo su cui in teoria
dovremmo agire individualmente, scegliendo quei metodi che piu' sono consoni al suo modo di apprendere, lasciandogli spazio
per le proprie riflessioni che possono avere tempi molto diversi, o addirittura infiniti se non si attivano i canali giusti.
La cosa importante, che troppo spesso tendiamo ad accantonare, e' la ragione per cui la scuola esiste e cioe' quella di far
maturare nei ragazzi interessi e capacita': questo attraverso una serie di contenuti che abbiamo selezionato perche', a ragione o a
torto, li abbiamo ritenuti culturalmente validi. La tradizione della nostra scuola, consolidata in tanti anni di immobilismo, ci
induce a dare per scontato questo obiettivo (peraltro raramente raggiunto soprattuto relativamente al primo punto), e a far
convergere la nostra attenzione sulla valutazione quasi che dallo studio di questo problema potesse scaturire come per
miracolo, la soluzione al primo.
In realta' la valutazione e' un elemento intrinseco non dell'insegnamento ma solo della scuola: per esempio quando, nei tempi
antichi, insegnare era un'attivita' che coinvolgeva due sole persone, docente e alunno, non sussisteva nessun problema di
valutazione, ma il processo di apprendimento seguiva il suo ritmo naturale, dettato dalla individualita' dei protagonisti in ugual
misura; il dover valutare si e' imposto quando la scuola e' diventata un servizio sociale; la societa' ha investito capitali (nel senso
di energie e denaro) in essa e chiede come ammortamento di tale capitale un prodotto finito che soddisfi a certe richieste;
richieste che sono dettate sia da esigenze concrete del mondo del lavoro, sia, in maniera piu' traslata, (ma non per questo meno
importante), da esigenze culturali riconosciute irrinunciabili per un inserimento costruttivo e critico nel mondo esterno in cui
sempre di piu' e' importante l'interpretazione dei fenomeni che non la pura constatazione della loro esistenza.
Data l'innegabile importanza di tale servizio e' chiaro che si deve anche sottostare alle regole del gioco che la societa' impone
perche' rinnegarlo vorrebbe dire tornare indietro di secoli in un processo di miglioramento della qualita' del mondo che ci
circonda; cio' non toglie pero' che si possa e si debba contenere il problema della valutazione entro i confini che esso deve avere
e non oltre.
Assumiamo quindi che si debba alla fine di un anno o di un biennio (e comunque alla fine del ciclo di studi) decidere se uno
studente e' in condizioni di proseguire gli studi ( o di prendere un diploma): la domanda e' la seguente: e' necessario, per arrivare
correttamente a questo momento drammatico, passare attraverso tutte quelle tappe, considerate essenziali, della valutazione
frammentata in verifiche scritte, orali, griglie interpretative e, se si', e' necessario corredarle inesorabilmente di voto o giudizio?
Alla prima parte della domanda si puo' ancora rispondere affermativamente ma certamente no alla seconda. Infatti e' vero che il
momento della verifica e' importante sia per gli studenti che in questo modo provano in maniera autonoma a ragionare su
quello che e' stato fatto coralmente e a selezionare il capito dal frainteso, sia per l'insegnante che in quest'occasione puo' valutare
il proprio lavoro e decidere in conseguenza se e' il caso di tornare indietro, di accelerare il passo o di cercare strade diverse per
rendere piu' comprensibile l'argomento;
ma tutto questo puo' risultare evidente solo se si e' sfrondato il campo dalla tensione, talvolta dalla paura vera e propria, del
risultato. Risultato paradossalmente richiesto dagli studenti, quasi a ricercare certezze, nel bene e nel male, come se il voto fosse
di per se' un ente oggettivo capace di deresponsabilizzarli e di sostituirsi alla coscienza del sapere.
Perche' sta proprio in questo punto il nodo centrale da sciogliere: l'acquisizione della consapevolezza individuale del livello di
conoscenza e di maturazione; nella richiesta di un giudizio e' nascosta la ricerca,un po' aristotelica se si vuole, del proprio livello
all'interno della classe,del volersi collocare in una delle fasce in cui la classe e' graduata, come se la crescita culturale fosse
relativa a quella dei compagni e non un fatto esistente in se' e per se'; e questo e' un fenomeno che non e' genuino, insito nella
mentalita' dei ragazzi, ma e' un atteggiamento mentale indotto dalla tradizione scolastica precedente e da un certo tipo di
competitivita' preso a prestito dal mondo esterno alla scuola, in prima istanza la famiglia.
Qual'e quel genitore che non ha domandato al figlio reduce da un insuccesso scolastico "ma gli altri come sono andati"?;
questa e' in fondo una domanda onesta ma che suggerisce una contraddizione fra la concezione di oggettivita' del voto visto
come punto fermo, elemento sicuro con cui fare i conti, e la sua insita relativita' rispetto ai risultati altrui, per non parlare poi
della relativita' rispetto all'uso che ne possono fare insegnanti diversi. Del resto gli insegnanti stessi , senza volerlo, correggendo
una verifica scritta, considerano gli estremi e graduano gli altri in livelli intermedi: anche valutando una classe si pone la soglia
della accettabilita' su un certo valore e poi ci si discosta da questa promuovendo e bocciando; e l'anno dopo, nella stessa classe il
problema si ripropone invariato, l'unica differenza e' che e' cambiata la soglia, per cui quelli che l'anno precedente erano
considerati positivi adesso risultano i peggiori e pertanto sono valutati nagativamente.
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C'e' al fondo di questo comportamento una nostra sicurezza di aver individuato all'interno dei programmi che svolgiamo, le cose
facili, difficili, noiose , divertenti, essenziali o superflue, e non c'e' piu' la disponibilita' al riscontro del giudizio degli studenti.
Non e' un caso che la soglia della sufficienza anche per gli insegnanti cambia nel tempo a seconda di quante volte si e' fatto un
certo programma e si diventa sempre piu' esigenti quasi che meglio si sanno le cose noi, meglio le dovrebbero sapere anche gli
studenti: e' ovvio che non e' cosi': noi siamo sempre gli stessi e loro cambiano anno dopo anno.
Ma allora se la relativita' del voto, (o del giudizio) e' cosi' evidente, se le sue implicazioni incidono cosi' nel profondo perche'
usarlo? Si puo' rispondere che il voto e' comunque, per quel che vale, un mezzo asettico per comunicare un messaggio, per
capirsi in un linguaggio codificato, per non lasciare ambiguita', per gratificare i migliori, per spronare i piu' deboli e tante ragioni
del genere; e che poi comunque ci sono tante altre cose che vengono valutate al di la' delle prove storiche.
E' ban accetto naturalmente quell'insegnante che si annota tutto, l'intervento sporadico, la puntualita' nelle consegne dei
compiti, la disponibilita' al dialogo, la crescita di interesse e tanti altri sintomi del processo di apprendimento ma anche
quest'ultimo deve fare i conti con l'interpretazione che lo studente da' delle sue annotazioni che sono pur sempre viste come
strumenti intermedi di valutazione e che quindi rischiano di inficiare quel rapporto di coesistenza pacifica e di collaborazione
che sono necessari per una crescita disinteressata degli studenti e dell'insegnante al tempo stesso. Una cosa e' certa: o uno si
scrive tutto e quindi valuta tutto ogni giorno ( e in questo senso sono utili anche le griglie piu' fini) oppure lavora liberamente
senza giudicare momento per momento e solo ogni tanto si ferma e prova a fare un consuntivo ragionato (e condiviso dagli
studenti) dello stato dei lavori.
La mia esperienza mi dice che questa seconda ipotesi e' attuabile anche se non facilmente esportabile e passa attraverso un
percorso costellato da un certo numero di scogli.
Lo scoglio piu' grosso e' quello di far capire ai ragazzi e ai genitori questo metodo di valutazione e di insegnamento:
i primi compiti sono il banco di prova del metodo: l'agitazione e la tensione sono ancora vistose e si pone la necessita' di
dimostrare che si puo' lavorare senza paura e che la cosa importante e' comunque "lavorare" che vuol dire "apprendere".
Secondo scoglio (indotto) e' l'abitudine alla copiatura, arte ormai affinata nel tempo, che non conosce confini, smaliziata e
perseverante, ormai esistente in se' e per se': non esiste repressione che interrompa questa sotterranea catena di informazioni,
punta di diamante delle cosiddette strategie di sopravvivenza nella scuola; l'unico modo che mi e' venuto in mente e' quello di
sostituirmi alla "copia" e di invitare gli studenti a chiedere a me laddove siano in difficolta', con il duplice scopo di evitare le
copiature, inutili e disoneste, e di recepire un maggior numero di informazioni sulle carenze dei singoli, in modo da sapere su
quale fronte agire per il recupero. Quello che succede e' facilmente immaginabile, sono due ore d'inferno ma produttive, in cui
colgo l'occasione per spiegare ai piu' ignoranti, che avrebbero consegnato in bianco e perso due ore, cose essenziali che
altrimenti non avrebbero mai avuto il coraggio di chiedere; in cui mi limito a dare un avvio a coloro che si fermano su un punto
preciso; in cui mi diverto a condurre i piu' bravi a ragionare in modo diverso e stimolante. Sarebbe assurdo pretendere di dare un
voto a tali compiti a meno che non fossi disposta a dare un voto a me stessa, ma due cose sono certe: una che io capisco meglio
quello che sanno, due che la loro tranquillita' e' maggiore e, non fosse altro per questo, rendono di piu' che in stato di stress.
Terzo scoglio e' la disponibilita' a venire alla lavagna a fare esercizi, data la convinzione diffusa che meno si parla meno si
rischia. Ci vuole un po' ma alla fine sono loro stessi che chiedono di venire perche' devono capire qualcosa, e non e' un caso che
quelli bravi, alla lavagna ci stanno raramente, di solito nelle occasioni in cui si fanno cose piu' complicate e a quel punto sono
io che chiamo le persone adatte.
Si puo' obiettare che in questo modo non si gratificano abbastanza i bravi ma ci sono tanti modi di gratificare che questo non e'
davvero un problema: basta per esempio rivolgersi a questi come persone piu' esperte degli altri e chiedere loro di lasciare agli
altri il tempo di pensare prima di rispondere, oppure pretendere da questi soluzioni e percorsi alternativi ed altri metodi ancora; e
d'altra parte per qualche alunno gratificato con un buon voto quanti sono quelli frustrati per uno cattivo, che rischiano la
disaffezione o l'abbandono di una materia, che sono disposti ad adeguarsi all'immagine che il loro voto crea?
Si puo' anche obiettare che sara' difficile per me bocciare qualcuno, senza avere i voti ovvero le prove tangibili: a parte che
bocciare non e', e non deve essere, l'aspirazione di nessun insegnante , comunque capita anche a me di dare insufficienze, anche
nette; il problema pero' anche qui e' di rendere via via consapevoli gli studenti del loro grado di conoscenza o meglio di
evoluzione nella conoscenza: se siamo riusciti a costruire un rapporto onesto e non ambiguo, (e gli studenti sono onesti quasi
senza eccezione e quelle poche comunque ben riconoscibili) il problema non si pone: sono loro stessi ad avvertire le carenze e a
riconoscere le difficolta'; certo per me e' difficile bocciare quel ragazzo che cerca con tutte le forze di seguire e di migliorare a
dispetto delle sue difficolta', ma penso proprio che la causa di questo non stia nella mancanza dei voti ma in una filosofia di
vita e di scuola piu' profonda, che sta a monte di questa, che in fondo e' solo una scelta didattica.
(Donata Foa')
Riflessioni sulla valutazione
Non c'è dubbio che riflettere sulla valutazione significa gettare un sasso che allarga cerchi concentrici di cui bisogna
obbligatoriamente tenere conto.
Perché
 prima di tutto è necessario avere abbastanza chiaro che cosa riteniamo necessario che gli alunni affidati al nostro
insegnamento apprendano e siano capaci di mettere in atto.
Questo significa riflettere sulla disciplina che insegniamo, e
trovare i nodi fondamentali: è meglio ovviamente farlo nei
dipartimenti disciplinari, e con aggiornamenti, studi, etc
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
in secondo luogo, strettamente intrecciato a questo primo punto, separato solo per la comodità di avere un altro percorso
mentale su cui riflettere: messi a punto obiettivi e competenze, in che modo affrontare percorsi rigorosi che ne facilitino
l'apprendimento?
E questo ci porta a pensare ai modi didattici, legati ai
diversi obiettivi e alle diverse competenze, agli strumenti
più efficaci e ovviamente più coinvolgenti e motivanti.....

Primo e secondo punto, dopo una riflessione generale astratta non possono che essere organizzati concretamente nella e
per la classe che abbiamo davanti
Il che vuol dire che dobbiamo conoscere gli alunni, capirne i
modi di apprendimento, i livelli emotivi: senza precipitazione,
per non cadere nei pregiudizi, e con strumenti diversi, a volte
più "ludici", spesso cognitivi.

Sembra, a questo punto di esserci allontanati dalla valutazione, di avere preso un'altra strada, ma è quel sistema di cerchi
concentrici che la valutazione comporta che ci costretto ad allargare lo sguardo: se riflettiamo bene, è chiaro che valutare
significa andare a vedere se l'interazione insegnamento-apprendimento ha avuto buon esito
Allora, dalla parte degli insegnanti significa
ripensare, e fare il punto sul loro lavoro con la
classe, sugli obiettivi, sugli "argomenti", sulla
didattica...
PATTO
FORMATIVO
Ma soprattutto di questo aspetto della valutazione devono essere partecipi gli
alunni. Infatti molto spesso per loro la valutazione, che spesso coincide tout court
con le verifiche, è un momento buio, da temere.
Un po' perché c'è l'idea, spesso purtroppo rispecchiata in una realtà di fatto, che è
la persona ad essere valutata attraverso la verifica, ma soprattutto perché non
viene passata l'idea che verificare dovrebbe coincidere con valutare se abbiamo
imparato a fare qualcosa, o ancora dobbiamo fare dei passi in più, e a capire se ci
sono state fasi dell'insegnamento non chiare.
Verifica e valutazione come prova per se stessi
E acquisizione di consapevolezza per richieste agli insegnanti.
Gli strumenti della valutazione, le verifiche, costituiscono un altro punto su cui riflettere:

le verifiche sono legate molto più di quello che verrebbe fatto di pensare a prima vista, alle tecniche didattiche
dell'insegnamento
Una didattica trasmissiva e frontale
non può che prevedere verifiche rituali
e "sacrali", che interrompono il
discorso del docente per dare spazio
alla risposta dell'allievo.
Una didattica interattiva e laboratoriale permette di avere molte occasioni di
osservazione e di continue , "leggere" verifiche, in momenti, modi, e con
strumenti diversi
( brevi domande, interventi spontanei degli alunni, spiegazioni di alunni a
compagni, esercizi individuali e a gruppi, etc....)
lavorando così anche una verifica più complessa ed individuale perde la
pesantezza che la connota in questo momento
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comunque :
 nessun tipo di verifica dovrebbe essere di per sè, da sola, definitiva e "tombale"
Valutare significa raccogliere una serie di
osservazioni, di competenze, di conoscenze, di
atteggiamenti e di abilità di studio ( su cui
ovviamente si è lavorato)

Le verifiche più complesse dovrebbero tener conto delle intelligenze diverse e dei diversi approcci alle discipline, e non
essere quindi "compatte": dovrebbero permettere di riscontrare livelli diversi di apprendimento e di conoscenze negli
alunni

Non si dice nemmeno ( con la bella figura retorica della reticenza) che le verifiche ovviamente sono costruite e pensate e
tarate sulle competenze, le abilità e le conoscenze che pensiamo di avere stimolato in un determinato tempo: è ovvio che
non lo si dice, perché è talmente normale che il ricordarlo potrebbe essere offensivo.
Un ultimo punto, molto importante: quello che è stato detto prima sembra caricare di un peso enorme la professione
insegnante: non è così.
Perché il percorso della valutazione, che è in buona parte il percorso dell'insegnamento, fa presto a diventare carne e sangue
della pratica didattica: richiederà forse una riflessione più approfondita all'inizio, qualche prova, continui aggiustamenti di
tiro ( ne facciamo tutti continuamente), e un po' di fatica nel costruire le verifiche, ma presto diventa una risorsa, anche contro
l'oppressione burocratica di una valutazione che ha come finalità solo i non ricorsi dei genitori.
Risorsa, leggerezza: forse sono parole che non siamo abituati a mettere con valutazione, ma dovremmo provarci.
E naturalmente condivisione: con gli alunni, con il consiglio di classe, con i genitori, con il dirigente.
(Nella Lucia Zini)
Insegnare e valutare
Dopo una serie di consigli di classe di fine quadrimestre (senza Preside, of course) fatti all'insegna di: "sbrigati a scrivere i
voti che poi li copiamo", ho ripensato a tutte le sollecitazioni che ci hai fatto l'altro giorno e ne è nato quanto segue: il
problema della valutazione è un problema enorme, ed essendo solo l'ultimo momento del processo educativo, possiamo solo
individuare gli errori più macroscopici, le cose che proprio non si devono fare, ma poi ci vuole un cambiamento di mentalità
da parte degli
insegnanti che deve essere accompagnato con molta pazienza e competenza dalle istituzioni.
Dato che però le valutazioni, qualunque forma sia quella scelta, servono sia ai docenti che agli studenti e sono comunque
difficili da cambiare, non si potrebbe puntare a cambiare invece il metodo di lavoro, il tipo di rapporto docente-studente?
Soprattutto nei primi anni di applicazione del biennio unitario, si dovrebbe dare un segnale forte dell'importanza di un lavoro
che non
pensi a valutare ma a costruire conoscenze: penso a indicazioni/facilitazioni dall'alto che favoriscano la continuità didattica
nel biennio, che prevedano un progetto culturale disteso sui due anni (non so se nei gruppi sul curricolo sono previste unità
didattiche di questo tipo, in modo da suggerire azioni (e valutazioni) che facciano capire ai docenti, ma anche agli studenti,
che non solo le valutazioni quadrimestrali ma anche quella di fine anno sono tappe di avvicinamento al traguardo del
biennio).
Ripartirei intanto dal ruolo dei consigli di classe in una realtà in cui spesso i genitori sono assenti (per ora lasciamo stare le
scuole
privilegiate), ribadendo alcune cose che avevo detto alla riunione.
A differenza della scuola media un ragazzo/a di quattordici anni è già in grado di partecipare attivamente alle scelte
scolastiche. Allora perché non prevedere che i consigli di classe siano aperti a tutti gli studenti e non solo ai due
rappresentanti? Ad esempio si potrebbero fare dei consigli di classe aperti ai genitori e altri agli studenti.
Perchè poi non seguire l'esempio inglese e nominare ogni docente del consiglio di classe come tutor di quattro o cinque
ragazzi? Questo responsabilizzerebbe tutti i docenti e non solo il coordinatore.
Una delle esperienze positive dell'accoglienza nella nostra scuola è l'incontro genitori, studenti e docenti che si fa all'inizio
dell'anno per le classi prime. L'anno scorso abbiamo ripetuto l'iniziativa durante tutti i ricevimenti delle famiglie e alla fine
dell'anno per la consegna delle schede abbiamo dato a ogni famiglia un CD con i lavori dei ragazzi e le foto delle varie
attività scolastiche. Le famiglie che sono intervenute (quasi tutte) hanno apprezzato molto e direi che questi incontri aiutano
a creare un clima costruttivo e a migliorare il rapporto scuola-famiglia.
Se vogliamo poi che i ragazzi lavorino "con noi" e non contro di noi, dobbiamo anche considerarli un pò di più, e farli
partecipi
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dell'organizzazione della vita scolastica. Altre attività che mi sembra possano cambiare l'atteggiamento dei ragazzi verso la
scuola sono le giornate di scuola aperta in cui gli studenti stessi accolgono le famiglie e i visitatori , e presentano le attività
che svolgono nei vari laboratori (nelle scuole d'arte è abbastanza semplice ma penso che anche nei licei si faccia, magari più
"nobilmente" con iniziative quali le settimane scientifiche) E' troppo pensare di creare negli studenti l'orgoglio di appartenere
a una scuola? Certo, questo orgoglio dovrebbero averlo prima di tutto i professori...
Mi sembra comunque scontato che cambiare la modalità di insegnare che si segue generalmente oggi: io spiego, tu studi, io ti
interrogo, sia il primo passo, ma anche quello più importante perchè aprirebbe la strada al cambiamento radicale della scuola,
per cui poi gli altri problemi, come ad esempio la valutazione, potrebbero essere risolti molto più facilmente. Nei laboratori si
lavora fianco a fianco maestro e allievi, non ci si preoccupa di valutare ma di insegnare, si compiono gli stessi gesti, il
maestro "aiuta" l'allievo a risolvere problemi, l'allievo ruba il lavoro al maestro: la didattica laboratoriale ha come grande
vantaggio proprio il fatto che quando si fa ricerca siamo tutti "uguali" e che a volte gli allievi superano il maestro...il quale
dovrebbe esserne molto contento.
Mi fermo qui nella mia "riforma della scuola".
(Ornella Sebellin)
Ragionamenti di fondo
Nel processo di valutazione si distingue:
-
la MISURAZIONE (assunzione di dati e informazioni con il massimo di “oggettività” possibile,
riferiti agli obiettivi di apprendimento)
la VALUTAZIONE (interpretazione dell’insegnante e del consiglio di classe degli elementi forniti
dalla misurazione)
Sono oggetto della valutazione:
-
l’apprendimento
i fattori che influenzano l’apprendimento (sia i fattori non cognitivi riferiti agli studenti che
l’impianto didattico messo in atto dalla scuola)
La valutazione dunque:
-
rappresenta uno degli strumenti che determinano la qualità dell’apprendimento
è un atto conoscitivo che necessita la condivisione e la consapevolezza degli obiettivi da parte di
tutti i soggetti (insegnanti, studenti e genitori)
Proposte concrete agli insegnanti sulla valutazione
-
fare prove per classi parallele
fare tante verifiche leggere
scambiarsi le prove tra insegnanti delle stesse discipline
stabilire gli obiettivi comuni per ogni dipartimento disciplinare
costruire verifiche che permettano misurazione di abilità e conoscenze di livelli diversi
valutare solo dopo aver misurato e misurare molte cose
non confondere gli obiettivi di comportamento con quelli cognitivi
dare sempre una seconda possibilità ai ragazzi
verificare solo ciò che si è insegnato (contenuto nel patto formativo)
tenere in considerazione il trend, lo sviluppo del ragazzo
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