Anno A
3ª DOMENICA DI AVVENTO
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Is 35,1-6a.8a.10 - Il nostro Dio viene a salvarci.
Dal salmo 145 - Rit.: Vieni, Signore, a salvarci (oppure: Alleluia, alleluia, alleluia).
Gc 5,7-10 – Rinfrancate i vostri cuori, perché la venuta del Signore è vicina.
Canto al Vangelo - Alleluia, alleluia. Lo spirito del Signore è su di me, mi ha mandato
a portare il lieto annunzio ai poveri. Alleluia.
 Mt 11,2-11 - Sei tu colui che deve venire, o dobbiamo attenderne un altro?
Tutto è possibile a Dio
Questa domenica è tradizionalmente chiamata, con espressione latina, la domenica
«Gaudete», una festa di gioia. La 1a lettura infatti inizia con un insistente appello alla
letizia: «Esulti, canti con gioia e con giubilo».
Perché rallegrarsi, quali sono i motivi per gioire? La cronaca quotidiana e la nostra
esperienza personale forse ci offrono un’enorme quantità di motivi per piangere, fare
lutto, riconoscere i nostri continui insuccessi. Anzi, può sembrare addirittura forzato e
artificioso l’invito della liturgia e sembra più realistico un atteggiamento pessimistico e
rassegnato. Anche se a noi personalmente le cose vanno bene, non è forse vero che tanta
gente soffre, muore, fatica invano, è sola, è oppressa, vittima di ingiustizie? Invece che
un grido di gioia, non sarebbe più pertinente alla nostra condizione una protesta, un urlo
di rabbiosa rivolta contro il male o anche un rassegnato e malinconico, perché impotente
e condannato alla sterilità, ma significativo silenzio?
Le nostre obiezioni all’appello alla gioia provengono tutte dalla constatazione
dell’impossibilità di vincere il male, dal senso di fallimento e di impotenza che proviamo
di fronte alla vita e al mondo. Chi mai può e vuole cambiare veramente la qualità della
nostra esistenza? Ci vorrebbe un «miracolo», ma sembra troppo sperarlo o pretenderlo o
anche crederlo.
Le possibilità di Dio
Agli Israeliti deportati in esilio a Babilonia sembrava impossibile e impraticabile un ritorno
in patria: come attraversare il deserto, la steppa, quando le mani sono fiacche e le
ginocchia vacillanti? Sarebbe come voler far camminare speditamente o far saltare uno
zoppo e far parlare un muto! L’ideale di una patria fraterna e pacifica sembra perduto per
sempre.
Ebbene, il profeta si alza e proclama coraggiosamente che le possibilità di Dio a favore del
suo popolo non sono esaurite (Is 35,1-10). Ciò che è impossibile all’uomo, Dio lo farà: «La
terra bruciata diventerà una palude, il suolo riarso si muterà in sorgenti di acqua. I luoghi
dove si sdraiavano gli sciacalli diventeranno canneti e giuncaie» (v. 7: purtroppo omesso
dalla liturgia!). Acqua nel deserto: ecco il «miracolo» di Dio, l’impossibile reso possibile.
Una strada «nuova» sarà aperta nel deserto, una strada appianata e la chiameranno:
«Via santa»: su di essa ritorneranno i riscattati dal Signore e verranno in Sion con giubilo.
Gioia e felicità li seguiranno e fuggiranno tristezza e pianto. Gli esuli potranno ritornare in
patria.
Ciò che agli uomini sembrava impossibile è compiuto da Dio: «Coraggio! Non temete...
Egli viene a salvarvi». La gioia è la conseguenza dell’agire «miracoloso» di Dio. Anche
oggi il Signore viene a salvarci e a rendere possibile la nostra gioia. La nostra storia, per
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quanto cattiva e corrotta sia, può ancora cambiare e rinascere per opera di Dio. Crediamo
noi nelle inesauribili possibilità divine?
La pazienza dell’attesa
Ebbene, se è possibile il miracolo, perché esso non avviene subito? Noi forse vorremmo
impazientemente che l’ingiustizia e il male del mondo fossero spazzati via d’un lampo.
L’apostolo Giacomo ci insegna lo stile divino della pazienza (Gc 5,7-10): «Guardate
l’agricoltore: egli aspetta pazientemente il prezioso frutto della terra finché abbia ricevuto
le piogge d’autunno e le piogge di primavera». La pazienza è l’altra faccia della fede, è la
capacità di conformarsi allo stile e all’atteggiamento di Dio che non rimanda
indefinitamente: «Siate pazienti anche voi, rinfrancate i vostri cuori, perché la venuta del
Signore è vicina». Pazienza è avere un animo grande, capacità di guardare lontano e di
attendere senza nervosismi, di sopportare le difficoltà del presente senza perdere di vista
precisamente «la vicina venuta del Signore».
L’impazienza è propria di coloro che hanno sempre di che lamentarsi gli uni degli altri,
come se il presente dovesse già essere perfetto e assoluto come sarà soltanto alla fine.
Con questi brontoloni sempre insoddisfatti e pedanti si ingrigisce e si appesantisce la vita
della comunità cristiana, che diviene priva di gioia e di slancio. «Il giudice è alle porte»:
Gesù Cristo saprà giudicare la comunità cristiana e fare giustizia. Non pretendiamo di
essere noi i giudici e dire l’ultima parola! Come i profeti hanno saputo attendere con
longanimità l’adempimento delle promesse, così i cristiani dovrebbero saper
«rinfrancare», irrobustire i loro cuori nella speranza che non demorde dall’oggetto della
sua attesa, ma non si lascia andare a sterili frettolosità, a nervosismi isterici e lamentosi.
Il cristiano dovrebbe saper lavorare intensamente nel presente, nel quotidiano, con il
senso della «relatività» di tutto, rispetto alla venuta finale del suo Signore.
Il messaggero precursore
Chi è Giovanni Battista? Nella lettura evangelica odierna (Mt 11,2-11), Gesù risponde:
«Tra i nati di donna non è sorto uno più grande di Giovanni Battista; tuttavia il più piccolo
nel regno dei cieli è più grande di lui». Giovanni è «più di un profeta», è «il messaggero
che preparerà la via davanti a me»: l’elogio del Battista è grande, soprattutto perché è
fatto da Gesù stesso. Eppure egli appartiene a un mondo che sta per finire e anche il più
piccolo del regno dei cieli sarà più grande di lui. Gesù, infatti, inaugura un’epoca nuova
nella storia e introduce tra gli uomini il regno dei cieli.
Giovanni Battista appartiene all’Antico Testamento, al tempo dell’attesa, come dimostra
la domanda che egli fa per mezzo dei suoi discepoli a Gesù: «Sei tu colui che deve venire
o dobbiamo attenderne un altro?». Giovanni rappresenta un mondo che ha esaurito tutte
le possibilità di sperare e di agire: egli esorta, minaccia, predica la conversione,
conferisce un battesimo di acqua, ma tutto ciò è quel che l’uomo può fare. Ed è
insufficiente a cambiare il mondo. In fondo, Giovanni è un «moralista», che giudica,
condanna, esorta e consiglia. Ora ci vuole uno che crei qualcosa di nuovo.
Gesù risponde: «Andate e riferite: i ciechi ricuperano la vista, gli storpi camminano, i
lebbrosi vengono guariti, i sordi riacquistano l’udito, i morti risuscitano». Con Gesù è
cominciato un mondo nuovo; ciò che all’uomo era impossibile viene compiuto da Dio.
Intorno a Gesù sorge una comunità di donne e uomini nuovi, capaci di credere, sperare e
amare: essi trovano una rinnovata energia di vivere.
Tra loro molti sono anche guariti da malattie e disturbi fisici, che non raramente sono
conseguenza ed effetto di «paralisi» interiori.
Siamo noi capaci di credere in Gesù, di affidarci a lui e di stare con lui come comunità
cristiana, dando origine a una comunità dove sono possibili anche oggi i «miracoli» della
fede e dell’amore che dà forza, fa vivere, ridona slancio e coraggio, risana e rinvigorisce?
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