GIORDANO BRUNO E IL MULTIVERSO. SCIENTIFICIZZAZIONE DELLA METAFISICA O METAFISICIZZAZIONE DELLA SCIENZA? di PAOLO MUSSO e VALERIA ASCHERI Relazione per il convegno di studio su Giordano Bruno della facoltà Teologica dell’Italia Meridionale “San Tommaso d’Aquino” di Napoli Capodimonte Napoli, 17-18 Febbraio 2000 Pur non essendo degli esperti del settore, crediamo di non sbagliare dicendo che il principale motivo dell’odierna ammirazione per Bruno non sono le sue (abbastanza confuse) speculazioni ermetiche e neppure le sue polemiche teologiche, ma essenzialmente la sua concezione dell’universo, per la quale molti vedono in lui un precursore della moderna cosmologia scientifica e anche di quella ricerca di altri esseri intelligenti nel cosmo che da pura speculazione teorica sta oggi cominciando a tradursi in concreta pratica scientifica attraverso le ricerche in campo bioastronomico e, in particolare, il programma SETI. Come filosofi della scienza, noi intendiamo qui esaminare se ed eventualmente in che misura tale rivendicazione sia giustificata. E’ certamente vero che Bruno fu il primo a sostenere una visione “aperta” del cosmo, in cui non vi era più posto per le “sfere celesti”, che la “rivoluzione a metà” del copernicanesimo aveva invece ancora mantenuto. Tuttavia egli pervenne a tale conclusione a partire dalla sua concezione di un cosmo infinito (e non viceversa). Ora, benché tale infinità del cosmo venga comunemente addotta come la principale prova della vicinanza della sua concezione a quella della scienza moderna, essa è in realtà estremamente problematica. Ciò non è immediatamente evidente perché un certo modo improprio di parlare (dovuto in gran parte proprio ai cosmologi) ci ha abituato a identificare, più o meno inconsciamente, l’infinito con il “grandissimo”. Ma i due concetti sono in realtà perfettamente distinti e qualitativamente diversi: l’infinito non è un “grandissimo ancora più grande”, è proprio un’altra cosa. Ora, quale universo, all’interno della moderna cosmologia scientifica, sarebbe realmente infinito? Certamente non quello del cosiddetto “modello standard” (meglio noto come Big Bang). Quest’ultimo è infatti sì grandissimo, al di là di ogni immaginazione, ma non è per niente affatto infinito, né nel tempo né nello spazio, tant’è vero che sappiamo calcolarne, con una buona approssimazione, sia l’età che la massa totale. E’ bensì vero che esso è “illimitato”, nel senso che non possiamo uscirne, per quanto lontano ci spingiamo, ma ciò dipende dal fatto che l’universo einsteiniano, a causa della gravità, si richiude su se stesso, incurvando ogni possibile traiettoria, non da una sua pretesa “infinita” estensione spaziale: proprio come noi possiamo camminare all’infinito sulla superficie della Terra senza tuttavia mai uscirne, non già perché essa sia infinita, ma soltanto perché essa è curva. Una tale critica potrebbe sembrare ingenerosa nei riguardi del filosofo nolano, dati i tempi in cui scriveva. Così non è, però: Aristotele (in ciò assai più moderno non solo di lui, ma anche di Newton) aveva già posto correttamente la questione quasi duemila anni prima, notando che sia il tempo che lo spazio erano proprietà dei corpi e non “contenitori assoluti” e dunque era assurdo chiedersi che cosa ci fosse “fuori” dall’universo anche supponendolo finito1. Ora, una delle due ragioni per cui Bruno sostenne l’infinità dello spazio fu proprio perché altrimenti “fuori” di esso dovrebbe esserci il nulla2. Non sappiamo dire (questo è compito degli storici) se e quanto questa sua idea abbia influenzato gli scienziati a lui posteriori, e Newton in particolare, ispirandogli l’idea Università di Genova, Dipartimento di Filosofia, Sezione di Epistemologia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale, Sezione San Tommaso d’Aquino, Napoli [email protected] Università di Genova, Dipartimento di Filosofia, Sezione di Epistemologia [email protected] Cfr. ARISTOTELE, Fisica, 4-11. Cfr. G. BRUNO, De l’infinito universo e mondi, in G. Aquilecchia (ed.), Dialoghi italiani, Firenze1985, 280-283. 1 2 dello spazio e del tempo assoluti: è però certo che, se e nella misura in cui tale influsso ci fosse stato, esso sarebbe da riguardarsi semmai come negativo, in quanto tale idea è stata un freno potente allo sviluppo della scienza, che solo il genio di Einstein ha saputo rimuovere. Una scienza non scientifica Se dunque la cosmologia bruniana è molto lontana, per non dire agli antipodi, rispetto alla odierna visione relativistica, dovremo forse concludere che la tanto decantata modernità e “scientificità” della sua filosofia è solo frutto di un abbaglio? In realtà le cose sono più complesse. Esiste infatti, oggi, una cosmologia (o, più esattamente, tutta una famiglia di differenti teorie cosmologiche), sorta sulla base di una particolare interpretazione della cosiddetta “teoria inflazionaria” di Alan Guth, che è effettivamente affine a quella di Bruno: essa però, come vedremo subito, non è quella che si è affermata nel tempo secondo i canoni della razionalità scientifica occidentale e galileiana, ma è sostenuta da un gruppo di scienziati che ad essa, almeno in parte, si oppongono, anche se non sempre in maniera del tutto esplicita e cosciente. Tale teoria, pur nelle sue differenti versioni (nei cui dettagli tecnici -complicatissimi- qui non entreremo: diremo solo che le principali sono quelle di Andrej Linde, Denis Sciama e Lee Smolin), ha per caratteristica fondamentale quella di prevedere che il nostro universo non sia unico, ma sia solo un caso particolare di una serie infinita, che per tale ragione è stata ribattezzata “Multiverso”3. E’ molto istruttivo esaminare brevemente le loro motivazioni: scopriremo infatti che sono le stesse di Bruno. Oltre all’argomento (errato) precedentemente citato, infatti, la seconda (e probabilmente la principale) motivazione data dal Nolano alla sua teoria dell’infinità del cosmo sta nella sua concezione di Dio: per lui infatti il cosmo è infinito perché la potenza di Dio non può in alcun modo essere limitata, e dunque tutti i possibili devono essere realizzati (è il cosiddetto “principio di pienezza”: ‹‹Come vuoi tu che Dio, e quanto alla potenza e quanto a l’operazione e quanto a l’effetto (che in lui son medesima cosa), sia determinato [...] più tosto che, come dir si può, termino interminato di cosa interminata?››4), mentre d’altro canto nessuno di essi -uomo compreso- può essere preferito da Dio rispetto agli altri (principio che chiameremo “di indifferenza”: ‹‹Perchè l'essere de l'altro non ha minor raggione che l'essere de l'uno, e l'essere di molti non minor che de' l'uno e l'altro, e l'esser de' infiniti che di molti››5). E’ impressionante vedere come le ragioni addotte da questi autori contro il Big Bang (che prevede la finitezza dell’universo) e contro il cosiddetto principio antropico (che constata come tale universo presenti una incredibile, precisissima “regolazione” fin nelle sue costanti fondamentali per permettere proprio la nostra esistenza) siano esattamente le stesse. Linde (esposto da Weinberg): ‹‹Non ci sarebbe alcun mistero nel fatto che i valori che osserviamo siano proprio quelli che permettono l’apparire della vita intelligente [...] Solo in quelle parti dell’universo in cui le costanti hanno valori appropriati c’è qualcuno che si può porre simili domande››6. Sciama: ‹‹Se esistesse un’ampia gamma di universi (forse tutti quelli possibili), non sarebbe strano che ve ne fossero alcuni dotati delle particolari proprietà necessarie per la vita [...] A dire il vero, il nostro universo [finito] è molto stravagante: il suo modello sottostante sembra essere quello di un creatore pigro che ha esaurito le sue forze nel creare un solo universo›› 7 . Smolin: ‹‹Non si potrà ritenere soddisfacente nessuna filosofia cui l’esistenza di stelle e galassie sembri assai poco probabile o che riposi su inspiegabili e inspiegate coincidenze [...] La [mia] teoria predice dunque che il nostro universo possiede questi ingredienti per la vita non perché la vita sia qualcosa di speciale, ma Per certi versi analoga sarebbe pure la teoria “a molti mondi” di Hugh Everett, che però nasce da una sua -piuttosto stravagante- interpretazione della fisica quantistica e che pertanto qui tralasceremo. Per un esame critico di tutta la questione, tanto dettagliato quanto accessibile anche ai non addetti ai lavori, si veda il recente ed ammirevole libro di R. TIMOSSI, Dio e la scienza moderna, Milano 1999. 4 BRUNO, De l’infinito universo e mondi, 289 [il corsivo è nostro]. 5 Ivi 289. 6 In TIMOSSI, Dio e la scienza moderna, 253. 7 In ivi, 288 e 294: il “forse” è chiaramente pleonastico. 3 perché questi ingredienti sono tipici degli universi che si possono trovare nella nostra collezione››8. A prima vista da tutto ciò sembrerebbe doversi concludere che la vicinanza di Bruno alla cosmologia moderna non solo è effettivamente provata, ma era altresì ancora più stretta di quanto si pensasse. Questa è però solo una faccia della verità. Una tale vicinanza in effetti esiste, ma essa non è in alcun modo indice di una supposta maggior “scientificità” della filosofia di Bruno stesso, bensì della pericolosa deriva in senso indebitamente metafisicizzante di alcuni settori della scienza contemporanea, tra i quali certa cosmologia è sicuramente in prima fila. Nessuna delle teorie precedentemente citate è infatti, propriamente parlando, una teoria scientifica. Ciò può apparire sorprendente, dato che esse sono state tutte proposte da eminenti scienziati e si basano su complesse formule matematiche, ma non è questo in realtà ciò che rende scientifica una teoria: per sé, infatti, anche la più stramba elucubrazione numerologica sulle piramidi egiziane potrebbe ben condividere entrambe queste caratteristiche (e, di fatto, ciò qualche volta è anche realmente accaduto). Il vero segno distintivo della scienza, vale a dire di quel metodo di conoscenza della realtà fisica ideato quattro secoli fa a Firenze da Galileo Galilei, è un altro, e cioè la possibilità di controllo sperimentale, in qualsiasi modo si cerchi poi di chiarire e giustificare ciò a livello teorico. Ora le teorie suddette, per esplicita ammissione dei loro stessi ideatori (Smolin per tutti: ‹‹Ciò che presento è decisamente una speculazione o, se volete, una fantasia››, pur rivendicandone la legittimità9), escludono espressamente -e non soltanto di fatto, si badi bene, ma proprio in linea di principio- ogni possibile conseguenza osservabile all’interno del nostro universo, il solo che, anche in base ad esse, resti a noi accessibile. Di conseguenza esse, pur utilizzando per così dire “materiali di costruzione” tratti dalla scienza, sono, a tutti gli effetti, teorie metafisiche nel senso stretto del termine. Ciò, è chiaro, non è di per sé negativo. Lo è però il fatto che esse non vengano in genere riconosciute come tali, perché questo permette di stendere un velo che nasconde le vere (e largamente insufficienti) ragioni su cui si basano. Ora, tali ragioni non stanno, come abbiamo visto, nella realtà empirica. E nemmeno, aggiungiamo subito, sono rintracciabili in una maggiore semplicità o economia: ché anzi questo principio (il celeberrimo “rasoio di Occam”, che vieta “la moltiplicazione degli enti senza necessità”) vi milita chiaramente contro. La motivazione di fondo che sta alla base di tutte queste teorie (nonché di quella, oggi caduta in disuso, dello “stato stazionario” di Fred Hoyle, ancor più simile a quella di Bruno, dato che prevedeva un unico universo infinito nel tempo e nello spazio che si espande da sempre mediante la creazione continua di materia, in quantità però così piccole da non essere osservabili) è infatti quella di togliere di mezzo il “problema dell’inizio” e con esso (almeno nelle intenzioni dei loro autori) quello dell’Iniziatore, cioè di Dio. Guth: ‹‹E’ forte la tentazione di fare un passo avanti e ipotizzare che tutto l’universo sia nato letteralmente dal nulla [...] un supremo pasto gratis››10. Sciama: ‹‹Non sappiamo se esiste un Creatore che sia in grado di interferire con l’universo. Ovviamente ci potrebbe essere, ma io considero obiettivo proprio della fisica il tentativo di spiegare quello che osserviamo senza far ricorso a una interferenza esterna››11. Smolin, il più drastico: ‹‹Dunque non c’è mai stato un Dio››12. E Fred Hoyle, da parte sua, non perde occasione per ripetere che non sopporta il Big Bang (nome che egli stesso ha coniato, all’origine con intenti spregiativi) ‹‹perché ricorda troppo il racconto della Genesi››. Ora, è vero che Bruno non pare avere avuto la stessa intenzione: egli infatti parla esplicitamente dell’esistenza di un Dio. Tuttavia di quale Dio si tratta? A giudicare dai testi, ci sembra che vi sia più di una ragione per ritenere che si tratti di un Dio panteisticamente inteso, ma non è questo il punto che ci preme sottolineare. Quello che vorremmo invece mettere in evidenza è che oggettivamente, al di là cioè delle intenzioni stesse di Bruno (e di chiunque altro), adottando questa concezione è inevitabile finire in qualche forma di panteismo, più o meno velato. Il punto cruciale è sempre l’osservazione fatta in precedenza: l’infinito non è semplicemente un “grandissimo più grande ancora”. Un universo “grandissimo”, ma tuttavia finito, come quello del Big Bang, è infatti compatibile con l’idea di un Dio che lo crea liberamente e liberamente sceglie gli 8 9 In ivi 298 e 305. In ivi 297. In ivi 257. In ivi 290. 12 In ivi 308. 10 11 esseri che lo abiteranno (ovvero le leggi in base a cui essi si evolveranno, il che, da questo punto di vista, è esattamente la stessa cosa). Non così invece l’universo di Linde, di Sciama, di Smolin (e di Bruno...). In un cosmo veramente infinito, infatti (e non solo “infinito per modo di dire”), devono necessariamente (e contemporaneamente) essere realizzati tutti i possibili: è perciò chiaro che in esso Dio tende irresistibilmente ad identificarsi con la struttura e la legge immanente del mondo. Forse la sua trascendenza può ancora essere salvaguardata considerando che Egli resterebbe pur sempre libero di creare o non creare l’universo nel suo insieme (per quanto anche ciò sia dubbio, essendo la motivazione che tutti i possibili devono essere realizzati). Ma certamente, una volta presa la decisione di creare, non vi sarebbe più alcuna libertà da parte Sua: l’universo potrebbe essere solo ciò che è, e, in particolare, se esso è tale da poter accogliere degli esseri intelligenti in un qualche suo punto, deve anche necessariamente accoglierne altri, anzi, infiniti altri (Bruno: ‹‹Esistono innumerevoli soli; innumerevoli terre ruotano attorno a questi similmente a come i sette pianeti ruotano attorno a questo sole. Questi mondi sono abitati da esseri viventi››13), dato che in esso devono necessariamente esservi infiniti luoghi infinitamente simili. Il limite di questa posizione Resta ancora da dire che tale posizione, oltre che incompatibile con un Dio personale, è altresì insostenibile. In primo luogo, infatti, essa risulta inadeguata rispetto al suo obiettivo, perché non toglie comunque che l’universo resti non autosufficiente quanto all’essere. Per dirla con Hawking (che pure un tentativo di eliminare il Creatore, benché per una via diversa, l’aveva fatto): ‹‹Rimane ancora la domanda: perché l’universo si dà la pena di esistere? Se ritiene, può dire che Dio sia la risposta a questa domanda››14. Ma soprattutto essa risulta contraddittoria rispetto a se stessa, in quanto restano pur sempre valide (benché in forme adattate alle nuove teorie) le obiezioni già fatte a suo tempo da San Tommaso al molteplice quantitativo in atto. In un universo infinito, infatti, dovrebbero esistere al tempo stesso oggetti posti ad una distanza finita ed altri posti ad una distanza infinita. Ma allora dovrebbe esserci anche un punto P dopo il quale la distanza passa da finita a infinita. Se però tale punto esistesse, ciò vorrebbe dire che un qualsiasi punto posto alla distanza P+n, con n piccolo a piacere, si troverebbe ad una distanza infinita benché sia n che P siano, per ipotesi, finite, il che è contraddittorio. Inoltre in un tale universo dovrebbero esistere, di necessità, non solo infiniti mondi, ma altresì, come detto, infiniti infinitamente simili. Ma ciò implicherebbe a sua volta l’esistenza di infinite condizioni al contorno infinitamente simili. Essendo infinite, esse dovrebbero ovviamente estendersi a tutto l’universo. Tuttavia in esso dovrebbero anche esistere infiniti mondi infinitamente dissimili, il che implicherebbe a sua volta infinite condizioni al contorno infinitamente dissimili, le quali anch’esse dovrebbero estendersi a tutto l’universo, il che, di nuovo, è contraddittorio. Potrebbe sembrare che l’ipotesi del multiverso eviti queste difficoltà, in quanto ogni singolo universo potrebbe essere finito pur restando infinita la loro serie, ma non è così. Se infatti gli universi fossero veramente infiniti, e non solo “tantissimi” (se fossero solo “tantissimi” non vi sarebbe sostanzialmente differenza rispetto all’universo singolo, perché esisterebbero comunque un’origine e una direzione privilegiata), anche tra di essi dovrebbero essercene infiniti infinitamente simili ed altri infiniti infinitamente dissimili. Ma anche questo implicherebbe l’esistenza di infinite condizioni al contorno al tempo stesso infinitamente simili e infinitamente dissimili (perlomeno al momento della loro nascita), che dovrebbero quindi estendersi, contraddittoriamente, all’intera serie. Inoltre in una serie infinita di universi, siccome tutti i possibili devono necessariamente realizzarsi, ve ne saranno per forza alcuni (in realtà infiniti) che sono in espansione e che esistono da un tempo infinito. Ma un universo che si sta espandendo da un tempo infinito è necessariamente infinito anche nello spazio e questo ci fa ricadere nel caso criticato originariamente da Tommaso. Insomma, l’infinito materiale in atto implica sempre contraddizione. In conclusione, quindi, un’analisi obiettiva ci porta a dire che la cosmologia di Giordano Bruno non ha anticipato, in effetti, nessuna teoria scientifica moderna, ma solo alcune moderne teorie 13 14 BRUNO, De l’infinito universo e mondi, 276. In TIMOSSI, Dio e la scienza moderna, 262. metafisiche, elaborate a partire dalla cosmologia scientifica ma non verificabili in linea di principio e per di più viziate da evidenti contraddizioni interne. Va però anche detto che se da un punto di vista oggettivo il modello del Big Bang (il solo modello scientifico di cui oggi disponiamo, giova ribadirlo, per quanto sia ben lontano dallo spiegare tutto) è più vicino al cosmo tolemaico che a quello di Bruno, soggettivamente (cioè da un punto di vista psicologico) è invece vero il contrario. L’apporto del Nolano allo sviluppo della nascente scienza dell'universo ci sembra quindi da rintracciare essenzialmente nell’aver contribuito a diffondere un determinato clima culturale, importante nella sua epoca, più che in qualche idea precisa che possa ancora essere ritenuta valida ed attuale oggi, nella nostra epoca. Qualsiasi cosa ne pensino certi cosmologi, che Bruno, in realtà, vogliono solo usarlo.