L’altro giorno un mio amico mi ha chiesto se conoscevo un buon detective.
Preoccupato che volesse far seguire sua moglie, spiare il suo vicino o commettere
qualche altra follia, mi sono sentito rassicurato quando mi ha detto che il suo
interesse era solo professionale. È un romanziere e stava pensando di passare al
genere poliziesco, quindi cercava un eroe che facesse al suo caso. Secondo me un
cronista di nera poteva andar bene e potevo suggerirgli il nome di qualcuno?
Il problema, ho provato a spiegargli, è che i cronisti di nera non indagano
direttamente sui delitti. Girano intorno a quelli che lo fanno nella speranza di
raccogliere qualche briciola di informazione da trasformare, sul giornale del giorno
dopo, in qualcosa che possa passare per un pasto completo. Di questi tempi, la
concorrenza 24 ore al giorno delle televisioni, delle radio e di internet significa che i
cronisti di nera hanno così paura di perdere l’ultima briciola, per quanto minuscola,
che si aggirano in branchi sulla scena del delitto e collaborano tra loro più di quanto i
loro lettori o spettatori possano immaginare. La mischia dei media che si gettano su
un fatto di cronaca nera assomiglia a quelle scene che si vedono a scuola quando i
ragazzi fanno capannello, confrontano i loro appunti, e poi corrono a rispondere a
tutte le domande del test che hanno saltato. In breve, il mio amico romanziere
avrebbe avuto qualche difficoltà a costruire in modo convincente la figura solitaria e
leggermente eccentrica del suo eroe (o della sua eroina) prendendo a modello un
cronista di nera.
Avrebbe anche un altro problema: il tipo di azioni illegali delle quali questi
giornalisti si occupano per la maggior parte del tempo. Oggi i delitti sembrano più
abietti, più violenti, non tanto oggetto di intriganti storie di mistero quanto di racconti
dell’orrore. Non sono sicuro che i delitti siano in realtà più abietti di prima, sembra
che lo siano semplicemente per il modo in cui li trattano i media. Ci vengono riportati
solo i fatti scioccanti ed eccessivamente violenti perché, in buona misura, è la
televisione a decidere quali sono le notizie importanti, e il suo metodo basato su
poche frasi a effetto e 30 secondi di filmato favorisce le notizie semplificate e brutali
piuttosto che quelle più sottili e sfaccettate. Quindi abbiamo un concentrato di
rapimenti di bambini, aggressioni nelle strade, omicidi nel mondo della malavita, e
sparatorie nei campus universitari.
Nella narrativa, il delitto è una cosa molto diversa – le cose non succedono in
modo così caotico. È un mondo di aspri rancori, di complotti, di coscienze
tormentate, in cui i possibili sospetti sono sempre più di uno. Qualcuno potrebbe dire
che queste cose non sono mai successe veramente ma sono state inventate. Eppure
fino a qualche decina di anni fa il tipo di delitti di cui parlavano i giornali erano molto
simili a quelli che si trovavano nei romanzi. C’erano persone che avvelenavano chi si
metteva tra loro e un’eredità, donne che attiravano le loro rivali in amore in una villa
isolata e le colpivano a morte con un asciugacapelli, e piccoli impiegati di banca
apparentemente innocui che rubavano milioni ai loro datori di lavoro per soddisfare i
desideri delle donnine allegre delle quali si erano invaghiti e per le quali avevano
organizzato la scomparsa delle loro noiose mogli. Ereditiere, case di campagna, ville
sontuose, gelosia, cedimenti alla lussuria a lungo repressa, e la nascita di progetti
omicidi nella mente di persone che fino a quel momento erano state rispettabilissime,
erano temi comuni. I giornali spesso dedicavano pagine e pagine a storie
assolutamente indistinguibili dalla trama di quei romanzi gialli che non solo erano
estremamente popolari allora ma lo sono ancora di più oggi.
Delitti del genere vengono ancora commessi. È cambiato solo quello che
decidiamo di raccontare, e il modo in cui i giornali e le riviste lo raccontano. Non
solo ci lasciamo condizionare dalla televisione, ma nelle redazioni di oggi, con poco
personale che tende a consultare Google piuttosto che prendersi la briga di uscire, ci
affidiamo sempre più ai portavoce ufficiali, alle conferenze stampa, e alle congetture
dei canali televisivi. Dovremmo resistere a questa tendenza a fare branco e andare a
cercare storie più ricche di dettagli, carattere, e magari complessità. Forse dovremmo
rovesciare la domanda che mi ha fatto il mio amico e invece di chiederci se il
giornalismo può fornire un eroe alla narrativa, domandarci se la narrativa non
dovrebbe ispirare il giornalismo. È una cosa su cui riflettere: articoli di giornale ricchi
di dettagli, dialoghi, descrizioni, la sensazione di essere sul posto, il tutto di una
lunghezza decente e popolato di personaggi che non sono soltanto nomi, età e
occupazioni. Magari storie scoperte in qualche remoto angolo di provincia e non solo
gli argomenti del giorno nella metropoli.
In questo modo, almeno alcune delle persone che vedo leggere romanzi gialli sul
treno che mi porta in città, la mattina potrebbero essere tentate di tornare a leggere il
giornale. (bt)