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Brano : Ab urbe condita X, 16
Autore : Livio
Originale
[16] Comitiis perfectis ueteres consules iussi bellum in Samnio gerere prorogato in sex menses imperio.
Itaque insequenti quoque anno L. Volumnio Ap. Claudio consulibus P. Decius, qui consul in Samnio relictus
a collega fuerat, proconsul idem populari non destitit agros, donec Samnitium exercitum nusquam se proelio
committentem postremo expulit finibus. Etruriam pulsi petierunt et, quod legationibus nequiquam saepe
temptauerant, id se tanto agmine armatorum mixtis terrore precibus acturos efficacius rati, postulauerunt
principum Etruriae concilium. Quo coacto, per quot annos pro libertate dimicent cum Romanis, exponunt:
omnia expertos esse si suismet ipsorum uiribus tolerare tantam molem belli possent; temptasse etiam haud
magni momenti finitimarum gentium auxilia. Petisse pacem a populo Romano, cum bellum tolerare non
possent; rebellasse, quod pax seruientibus grauior quam liberis bellum esset; unam sibi spem reliquam in
Etruscis restare. Scire gentem Italiae opulentissimam armis, uiris, pecunia esse; habere accolas Gallos, inter
ferrum et arma natos, feroces cum suopte ingenio tum aduersus Romanum populum, quem captum a se
auroque redemptum, haud uana iactantes, memorent. Nihil abesse, si sit animus Etruscis qui Porsinnae
quondam maioribusque eorum fuerit, quin Romanos omni agro cis Tiberim pulsos dimicare pro salute sua
non de intolerando Italiae regno cogant. Samnitem illis exercitum paratum, instructum armis, stipendio
uenisse, et confestim secuturos, uel si ad ipsam Romanam urbem oppugnandam ducant.
Traduzione
16 Concluse le elezioni, ai consoli uscenti venne data disposizione di proseguire la guerra nel Sannio, con la
concessione di sei mesi di proroga al loro incarico. E cos? anche l'anno successivo, durante il consolato di
Lucio Volumnio e Appio Claudio, Publio Decio - lasciato dal collega nel Sannio in qualit? di console continu? come proconsole a saccheggiare senza tregua le campagne, fino a quando riusc? finalmente a
espellere l'esercito sannita, che non aveva mai avuto il coraggio di affidarsi allo scontro aperto. I Sanniti
respinti si diressero in Etruria: pensando con quell'esercito tanto massiccio, mescolando preghiere e
minacce, di poter meglio raggiungere lo scopo pi? volte vanamente inseguito per vie diplomatiche, chiesero
che venisse convocata un'assemblea dei capi Etruschi. Una volta riuniti, ricordarono agli Etruschi per quanti
anni avessero combattuto contro i Romani in difesa della loro libert?: avevano tentato ogni via, pur di riuscire
a sostenere soltanto con le proprie forze una guerra tanto onerosa, arrivando perfino a chiedere il sostegno
(a dire il vero ben poco efficace) dei popoli circostanti. Avevano chiesto al popolo romano di ottenere la
pace, quando non erano pi? in grado di sostenere la guerra. Avevano ricominciato a combattere, perch? una
pace da servi era ben pi? pesante di una guerra da liberi. La sola speranza residua era riposta negli
Etruschi. Sapevano che era la gente pi? ricca d'Italia quanto ad armi, uomini e denaro, e che come vicini
avevano i Galli, un popolo nato tra il ferro e le armi, gi? disposto alla guerra per la sua stessa natura, e in
particolare nei confronti dei Romani, che essi ricordavano, certo senza vana millanteria, di aver sottomesso
e obbligato a un riscatto a peso d'oro. Se solo negli Etruschi albergava ancora lo spirito che in passato
aveva animato Porsenna e i suoi antenati, non mancava nulla perch? essi, cacciati i Romani da tutta la terra
al di qua del Tevere, li costringessero a lottare per la propria salvezza, invece che per un insopportabile
dominio sull'Italia. L'esercito sannita era l?, pronto per loro, con armi e denaro per pagare i soldati, disposto
a seguirli su due piedi, anche se avessero voluto portarlo ad assediare addirittura Roma.