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LIBERA UNIVERSITÁ
DI DANZA E TEATRO
- MANTOVA –
LIBERA UNIVERSITA’ DI DANZA E TEATRO
MANTOVA
Piazza Togliatti, 13
46047 Porto Mantovano (Mantova)
Tel. / Fax: 0376-396824
Cell.: 328-3374518
Sito Internet: www.univeristadidanza.it
E-mail: [email protected]
Indice
Introduzione
pag. 3
Riferimento Socio-culturale
pag. 5
Nascita del Movimento Hip Hop
pag. 12
I Graffiti e l’Hip Hop
pag. 21
Anima musicale dell’Hip Hop
pag. 24
Principi dell’Hip hop
pag. 38
Hip Hop e Mass-media
pag. 47
Diffusione del movimento Hip Hop in Italia
pag. 50
La danza Hip Hop
pag. 57
Conclusioni
pag. 62
Dizionario di terminologia Hip Hop
pag. 63
" Si dice <chi controlla la cultura, controlla le persone>. Ora come ora la
nostra cultura non è controllata da noi stessi e certi aspetti della nostra
cultura sono esaltati in maniera controproducente. La gente chiama l 'Hip
Hop cultura. L 'Hip Hop è una sottocultura…
Kwane Toure una volta mi ha
detto: <L 'Hip Hop ha preso molte cose in prestito dalla cultura nera. Tu sei
in
grado di fare Hip Hop perchè ci sono state persone che hanno contribuito
alla cultura nera. Perciò, dal momento che fai Hip Hop, dovresti farlo con un
solo scopo: eccellere in ciò che fai e restituirlo alla tua cultura così da
contribuire al progresso della tua gente. Se non fai questo, è un suicidio,
non
un progresso. > ".
INTRODUZIONE
Iniziamo con una breve introduzione storica, che serve a chiarire il quadro
politico in cui versava
l'
America del periodo in cui si svolge la nostra storia. Indicativamente,
questo periodo attraversa
gli anni Sessanta, Settanta, gli anni Ottanta e i primi anni Novanta. Si
passa quindi da Martin
Luther King e il suo assassinio al presidente Nixon, da Reagan al primo
George Bush.
Il tema del razzismo in America è sempre stato discusso e sentito dalla
popolazione; soprattutto
negli stati del Sud, i neri venivano separati dai bianchi nei trasporti
pubblici, nei locali e nelle
scuole. Il pioniere della lotta per i diritti dei neri fu Martin Luther King
(1929-1968). Divenne
pastore di una chiesa dell'Alabama nel 1954 e da quel giorno promosse una
lotta non violenta,
per far cessare le discriminazioni; un esempio lo si può avere citando l'
episodio che lo portò al
riconoscimento nazionale: nel 1955, una sarta di colore si rifiutò di cedere
il suo posto ad un
bianco sull'
autobus, com'
era consuetudine. Quando la donna venne arrestata e condannata, i
neri, guidati da King, decidono di boicottare i trasporti pubblici. Un anno
dopo 27 città del Sud
cedono e mettono fine alla segregazione sui trasporti municipali. Fu allora
che King divenne
presidente dell'associazione per i diritti civili dei neri. Ovunque, dove i
neri erano vittime di
razzismo, King è presente. Nel 1963 guida la marcia su Washington e davanti a
250 mila
manifestanti, pronuncia il suo discorso:
“Io sogno che un giorno i miei quattro figli vivranno in un paese dove non si
giudicherà dal colore
della pelle, ma dalla natura del loro carattere... "
Nel 1964 il presidente Johnson firma la legge sui diritti civili: tutti gli
Americani, bianchi e neri,
sono uguali. Lo stesso anno King riceve il premio Nobel per la pace. Sarà nel
1968 che King
verrà assassinato, episodio che dimostra come i programmi per la difesa dei
diritti dei neri non
fossero stati comunque del tutto accettati.
Il presidente Johnson non si presenta alle elezioni dello stesso anno e gli
succede il repubblicano
conservatore anticomunista Nixon, il quale deve dimettersi in seguito ad uno
scandalo di
intercettazioni illegali che sdegna l'
opinione pubblica. E' la volta di Jimmy Carter, onesto
georgiano esponente dei "buoni sentimenti" della provincia americana. In
politica interna, Carter
si fa paladino di una maggiore trasparenza etica e dei diritti dei neri. In
politica estera, si fa
sostenitore dei "diritti dell'
uomo", criticando le violazioni che di essi vengono fatte in varie parti del
mondo.
Viene sconfitto da Reagan nelle elezioni del 1980. Con Reagan è tornata al
potere l'
America
Repubblicana, con l'
intento dichiarato di riportare il paese ai valori del privatismo e
dell'
individualismo trionfanti, contro l'
interventismo statalistico dei democratici. Reagan stimola
l'
iniziativa privata, gli investimenti, l'
occupazione. I risultati sono stati per un verso di
rivitalizzazione degli investimenti e delle tecnologie, per l'
altro di approfondimento di differenze
sociali, in primo luogo tra bianchi e neri. L'
America viene rilanciata con un'
immagine forte ed
intransigente, ma con un debito pubblico senza precedenti.
Il suo successore, George Bush, subentrato nel 1988, ha ripercorso in un
certo modo la parabola
di Reagan: notevoli successi in politica estera, mentre la politica interna
vedeva un carico fiscale
leggero per aumentare il benessere e favorire gli affari. Purtroppo, questo
portò soltanto ad un
aumento del debito pubblico e ad un aggravio dei dislivelli sociali. Ed è
proprio in questi anni che
l'
Hip Hop inizia.
RIFERIMENTO SOCIO-CULTURALE
Il fenomeno, perchè proprio di fenomeno si può parlare, dell'
Hip Hop non è semplicemente uno
stile di musica e danza, ma un passo importante della storia, un modo di
sfuggire a realtà
abbandonate alla propria povertà e disperazione, e non si può capire
esattamente da cosa nasce
se non si ha ben chiaro il contesto che lo generò, il senso di necessità e di
rivoluzione che lo
provocò e che ne fece la moda e la forza che si vedono oggi.
AMERICA, NEW YORK, ANNI SETTANTA.
A seguito di un rinnovamento urbano voluto dal sindaco di New York, tutte le
persone di colore di
origine afro-americana e ispanacaraibica provenienti dalle più disparate zone
della Grande Mela,
furono costrette a trasferirsi nel South Bronx. Questa "ricollocazione"
avvenne senza nessun tipo
di gradualità e creò una tensione sociale ed economica impossibile da
gestire, in quanto il
trapianto forzato creò una forte "crisi di rigetto". Si ci ribellava,
infatti, ad una situazione che aveva
abbandonato queste persone nella penuria di risorse cittadine, di solide
"leadership" e con un
assai limitato peso politico. Tale ribellione caratterizzò il decennio
successivo.
Non soltanto il quartiere del South Bronx versava in una simile situazione,
ma con lui anche i
quartieri di Harlem, nel Queens e a Brooklyn. Il South Bronx, però, fu quello
che venne sempre
preso ad esempio dai media, basti pensare al film "Fort Apache", ambientato
proprio in questo
luogo, che nell'
immaginario popolare rappresentò sempre il simbolo delle disgrazie d'
America.
Questi quartieri vennero descritti dai media stessi proprio come terre
dimenticate da Dio, una
specie di Far West degli anni Settanta. Testimoni che ne videro e ne vissero
l'
atmosfera
raccontano di come non si potesse giocare in strada senza rischiare di
prendersi una pallottola in
testa, o di come l'
incendio di immensi stabili fosse all'
ordine del giorno e rappresentasse il
passatempo preferito della gioventù dell'epoca. Il paesaggio urbano, infatti,
era caratterizzato
dalla violenza, dalla droga, dall'abbandono e dalla povertà. Chi sopravvisse
se ne stupisce...
"Perchè credi sia ancora qui? Penso di doverlo al fatto che ho sempre corso
veloce”
BG
In realtà, più che dimenticati da Dio, questi posti erano stati dimenticati
dalle amministrazioni
cittadine, che chiudevano gli occhi davanti ad una realtà così povera e
disperata, fingendo che
non esistesse, se non quando c'
era da addossare la colpa a qualcuno per la criminalità o per
situazioni e idee scandalose che inevitabilmente fuoriuscivano da essi.
Guardando nello specifico i vari quartieri ci si rende conto, però, di una
realtà che non era fatta
solo di criminalità. E'vero che non si poteva camminare per strada senza
essere derubati ed è
vero che ogni singolo isolato diventava una sorta di rifugio dal quale era
meglio non uscire, ma
questo avvenne esclusivamente per proteggere le persone che ci vivevano.
All'interno di un
isolato si creava una sorta di territorio personale degli individui che vi
abitavano, in cui tutto era
alla portata di tutti; se si usciva da questo territorio si rischiava di
mettere a repentaglio la propria
incolumità per la paura degli abitanti degli altri isolati di perdere quel
poco che avevano. Non è
esagerato dire che la gente avrebbe ucciso qualcuno solo per l'
invasione del proprio territorio. Le
strade erano un campo di battaglia, i quartieri somigliavano a roccaforti
delimitate da frontiere.
Questo tipo di realtà lasciò spazio ad un associazionismo notevole: i ragazzi
facenti parte dello
stesso isolato trovarono importante cominciare a girare in gruppo,
inizialmente soltanto perchè
l'
assomigliare ad un branco di animali selvaggi sembrava bello, successivamente
per questioni di
sicurezza personale, di sopravvivenza. Nacquero così le cosiddette GANG, vere
e proprie bande
che offrivano protezione, rifugio e amicizia a tutti gli appartenenti. Se non
si faceva parte di una
gang, si era esposti, senza via di scampo, a rapine, pestaggi ed a
maltrattamenti giornalieri.
La maggior parte della concentrazione di gang si trovava a New York e a Los
Angeles. La loro
proliferazione fu un fenomeno causato proprio dalla necessità di proteggersi.
A New York è vero
che rappresentavano un problema, ma è anche vero che erano il capro
espiatorio delle
amministrazioni cittadine. L'
enfasi posta su di esse fu imputabile più ad una strategia dei media
che alla loro effettiva pericolosità.
"A causa dei media si ha un 'immagine sbagliata. Voglio dire, se vedi un
gruppo di persone e gli
mostri rispetto, loro ti dimostreranno lo stesso rispet…sono solo ragazzini
che giocano, sai …"
BG
I media, infatti, proprio come le istituzioni o le persone che vivevano
lontane anni luce da questa
realtà, presentavano qualsiasi attività dei giovani di questi quartieri come
qualcosa di negativo,
violento, illegale. E questo modo di vedere la loro vita veniva accettato da
tutti come assoldato,
perchè chiudere gli occhi di fronte ad una realtà disperata è più facile che
affrontarla, giudicarla e
condannarla è più facile che contemplarne le cause e cercare di eliminarle.
Se si pensa che
queste situazioni di povertà e violenza sono favorite proprio dalla
noncuranza, questo giudizio
risulta ancora più disprezzabile. Un esempio di questo lo si ha con il
basket: i giovani neri e latini,
e più in generale i poveri, non avevano niente da fare in questi quartieri.
E'così che si mettevano
nei guai. Magari gli unici campi da basket erano situati al fitness club e si
dovevano pagare o
erano riservati ai soci. La gente allora si ritrovava in strada a giocare e
subito c'
è chi si affretta a
dire che questa è un'
attività delle gang, mentre è proprio la pallacanestro che tiene le persone
lontane dai guai. E se a dirlo sono quelli che abitualmente vivono finendoci,
c'
è da crederci.
Ad esempio nel 1971 lo Stevenson, uno dei più grandi licei bianchi del Bronx,
riaprì trovando una
maggior concentrazione di ragazzi di colore (neri ed ispanici), rispetto ai
ragazzi bianchi. Questo
episodio è significativo in quanto da questo momento ogni gang cominciò ad
adottare un proprio
colore: i ragazzi bianchi si coagularono in gang per non restare in
minoranza, formarono i
Minister, mentre le gang nere divennero i Black Spades.
Questo colore divenne ben presto il salvacondotto delle persone appartenenti
alla gang, divenne,
infatti, l'
unico mezzo per allontanarsi dal proprio isolato, invadendone quindi un
altro, senza
essere derubati o, peggio, uccisi. Se si faceva parte di una gang (e il
colore serviva proprio a
dimostrarlo) significava che si avevano almeno altre dieci persone alle
spalle, per proteggerci o
vendicarci.
Questo associarsi provocò una serie di disperati e sanguinolenti scontri che
si protrassero per
almeno due anni e che fecero affibbiare al Bronx il nome di "Lil'Vietnam"
(piccolo Vietnam), a
causa delle frequenti sparatorie e lotte.
L'
attività delle gang ha raggiunto la punta massima tra il 1968 e il 1974, i
Black Spades erano
quella più numerosa e più pericolosa, il cui padrino è Afrika Bambaataa, che,
come vedremo, ha
un'
importanza fondamentale per l'
Hip Hop.
La realtà a Los Angeles è completamente diversa: almeno fino alla fine dello
scorso millennio la
presenza delle gang è stata ben radicata, e la violenza è apparsa "gratuita",
motivata
esclusivamente dall'affiliazione a un colore piuttosto che ad un altro, anche
se alcune erano vere
e proprie organizzazioni criminali. La gente si confronta tuttora con il
problema delle gang. Il
contatto quotidiano ha reso la loro percezione sul territorio un fatto
normale. L'
espansione di una
realtà di questo tipo può essere imputata al fatto che i giovani non hanno
strumenti per arrivare
ad un'
indipendenza di giudizio e si ritrovano a vivere in condizioni di degrado e
totale ignoranza,
per cui risulta semplice l'
identificazione con un "colore".
Il problema delle gang non è limitato ovviamente a Los Angeles o New York. L'
ossessiva
mistificazione dei media favorisce un fenomeno di imitazione del
"gangsterismo" che attecchisce
in posti apparentemente immuni dove poi si ritrovano persone che si
identificano con le gang, ad
esempio, nel film "Colors" del 1988. Il "gangsterismo" divenne un abito alla
moda che portava
però in dote violenza e morte.
Da questo primo quadro generale, si può dedurre erroneamente che le gang
rappresentassero
soltanto criminalità e violenza. In realtà, queste persone offrivano un
servizio di difesa, come già
accennato, al territorio.
Basti pensare che i già citati Black Spades raccoglievano denaro da destinare
ad opere
comunitarie e si assicuravano che le persone potessero recarsi a votare
regolarmente, cosa che
per noi può sembrare scontata, ma per l'
atmosfera dell'
epoca risultava straordinariamente
difficile.
Un esempio di positività delle gang lo si fa in riferimento alla droga. La
droga era uno dei problemi
più gravi all'
interno delle comunità, in quanto molti erano attratti da una facile via di
fuga dalla
miseria e dai facili guadagni che procurava in un momento di vuoto economico
creato dallo
scomparire dei tipici lavori della classe operaia nelle periferie. La
disperazione di chi vuole a tutti i
costi migliorare la propria situazione e non ha la possibilità di farlo, ha
fatto sì che la droga
diventasse la quotidianità di questi quartieri.
"Con l'erba faccio più soldi in una sera, che in due settimane a spaccarmi la
schiena! "
Josè, 23 anni, arrestato per spaccio.
Afro-americani e caraibici sono tra i più esposti al fenomeno della droga,
che si diffuse
rapidamente nei quartieri più poveri, troppo rapidamente per alcuni. Ci sono
teorie, infatti, che
vedono il governo americano e la CIA coinvolte in questa diffusione, in
quanto già dalla guerra del
Vietnam l'
esercito degli Stati Uniti stimò che il 10% dei soldati faceva uso di eroina
ed il 5% ne
era dipendente. Al loro ritorno a casa l'
eroina venne usata come scudo contro l'
emarginazione e
la disoccupazione. Si andò a formare una vera e propria rete commerciale a
fronte di un forte
accrescimento della domanda, rete capitanata dai Drug Dealer che ne gestivano
l'
importazione e
la distribuzione. Il mercato dell'
eroina "nera" divenne così un potente concorrente per il racket
italiano e irlandese.
Questa facile diffusione fu possibile anche grazie alla corruzione politica
delle forze di polizia; si
sviluppò così un network inarrestabile di attività criminali intorno alla
rete di distribuzione, che
incentivava "lavoro" e che finì, quindi, per essere incentivato dalla
comunità stessa e dalla polizia,
perchè, in fondo, portava speranza, benessere ed un mucchio di dollari. Le
istituzioni politiche
usarono a proprio favore questa tolleranza della comunità, in quanto la droga
stordiva ed
impegnava una massa di persone che potenzialmente avrebbero potuto creare dei
problemi se
non fossero rimaste relegate nei loro quartieri.
Successivamente all'
eroina, negli anni Ottanta si diffuse "la polvere dell'
angelo" (LSD) che
stordiva per qualche istante e che spingeva a reazioni poco controllabili.
In ogni quartiere era presente uno spacciatore che presidiava particolari
zone. In una realtà in cui
si viveva soltanto all'
interno del proprio isolato o al massimo del proprio quartiere, lo scopo
principale divenne la ricerca della droga o della compagnia dei tossici.
E'più facile essere cattivi.
Nel 1974 le gang cominciarono a disgregarsi per questioni di droga: venivano
decimate dagli
arresti o dagli scontri con le altre bande e molti fondatori morivano a causa
dell'
eroina. Questa
situazione creò un sentimento di ribellione a una situazione che aggiungeva
tensione alle già
difficili condizioni di vita. Per questo le gang cominciarono a lavorare per
eliminare il problema
della droga, in quartieri dove le forze dell'
ordine e le istituzioni politiche sembravano averlo
favorito. Queste infatti non lo ritenevano un problema tale (al di là delle
ovvie parole dei politici),
da affrontare con risolutezza, in quanto concentrato in aree definite
marginali.
Le gang cominciarono a coalizzarsi contro i pusher del luogo, ma spesso il
pusher faceva parte
della loro comunità, era cresciuto con loro, quindi, secondo il loro punto di
vista, un cosiddetto
"fratello". Si cominciò, quindi, ad arruolare mercenari provenienti da altri
comunità perchè
portassero a termine il cosiddetto "lavoro sporco”. L’arruolamento è un
elemento importante, in
quanto rappresenta il primo passo verso l’apertura: non si è più confinati in
quartieri o soggetti
isolati, ma ci si coalizza contro un problema comune, per una lotta nuova che
porti alla crescita
della comunità, all’eguaglianza. Per la prima volta le gang non combattevano
più tra loro, ma
cercavano insieme di vincere la miseria, la disperazione e la povertà.
Questo nuovo spirito portò alla nascita della CREW, contrapposta alla gang,
un gruppo di
persone accomunate da interessi, obiettivi e stati d’animo. La crew offriva
la stessa protezione
della gang, ma, in maniera positiva, in quanto indirizzava la lotta non
contro altri quartieri, bensì
contro le istituzioni, contro la povertà, nel tentativo di migliorare la
propria condizione e quella
della comunità. Nascevano sotto le case, dove i ragazzi si ritrovavano a
bere, a fumare erba ed a
passare il tempo tra divertimenti e ricerca di guai. Ben presto queste crew
divennero una famiglia
per i loro componenti, che arrivavano da situazioni familiari disastrose,
offrendo loro appoggio e
sicurezza, garantendo loro il rispetto degli altri. Se non si fa parte di una
crew si è come orfani, in
balia delle brutture dell’uomo. La scelta dei membri non è casuale. Ogni
componente deve
dimostrare di poter dare un contributo alla causa,perché tutti devono
partecipare in maniera attiva
alla crescita della comunità. Per selezionare nuovi membri qualche crew
istituisce veri e propri riti
di iniziazione, arrivando, ad esempio, a mettere la matricola in mezzo a
dieci/dodici persone e a
riempirla di botte. Questo è un prezzo che viene pagato volentieri, in quanto
è niente in confronto
all’isolamento: se si è soli si è deboli.
I legami all’interno di una crew erano qualcosa di indistruttibile: non si
tratta solo di un gruppo di
amici, si sostituisce proprio alla famiglia, in quanto spesso questi ragazzi
vivono situazioni
complicate e inesistenti, la violenza domestica o l’indifferenza sono realtà
con cui si è costretti a
fare i conti fin dalla nascita. La crew è la tua casa:
“è incredibile, per loro è come una famiglia, che li protegge, che li fa
ridere, divertire. Mangiano
assieme, vivono assime.”
Nile Rodgers
Nella crew si divide tutto, è la famiglia, è il gruppo in cui si mette in
secondo piano sé stessi per
rappresentarlo, è un mezzo per riaffermare con fierezza le proprie origini, è
il luogo dove la
consapevolezza si consolida, dove si rappresenta la propria gente e si lotta
per essa e questo
genera orgoglio. Negli anni Settanta imperava un forte bisogno di
identificazione, di esigenza di
rappresentare il proprio quartiere e la propria cultura facendo in modo di
diffonderla per tutta la
città, questo era l’obiettivo della crew. È un’istituzione, votata alla
tutela dei suoi elementi e
basata sul “mutuo soccorso”.
Specialmente le ragazze, maggiormente esposte alla violenza domestica,
finivano con il legarsi
visceralmente alle amiche che componevano la crew e che spesso venivano da
situazioni simili.
Infatti non solo i membri si proteggono a vicenda, ma se una crew femminile
ha bisogno di
protezione, interverrà sempre una crew maschile.
La crew organizzava i cosiddetti "party fuorilegge", ossia momenti in cui gli
appartenenti si
aggregavano e si univano nello svago, nel fumo, nell'
alcool, ma pur sempre uniti. Inoltre forniva
servizi socialmente utili, a volte più efficaci di quelli istituzionali.
Alcuni gruppi aiutavano a
produrre eventi ricreativi, organizzavano incontri per i giovani, con persone
che parlassero con
loro, aiutavano le ragazzemadri lavoratrici, facendo baby-sitting, etc.
La crew è suddivisa gerarchicamente: chi ha più cervello sta a capo ed è
paragonato al
Presidente degli Stati Uniti, presiede il congresso (composto da suoi pari),
decide in quale
maniera dev'
essere il suo quartiere, coordina i membri e li gratifica. Ogni membro della
crew è un
re, il cui nome viene sempre abbinato a quello della crew stessa, per
esempio: James Top (Top è
il nome della crew). Ogni crew ha una precisa identità caratterizzata dalla
personalità dei
componenti. In un luogo di armonia non è difficile portare avanti questo tipo
di organizzazione.
I legami divennero ben presto così indistruttibili che per i componenti non
fu più possibile lasciare
il resto del gruppo. Uscire dal branco significava attirare pericoli, andare
a cercare una soluzione
ai guai, lasciandovi il resto del gruppo. Neanche chi vuole cercare una vita
migliore altrove se la
sente di lasciare i compagni che per anni lo hanno aiutato a migliorarsi e a
crescere, perchè non
è da tutti avere la possibilità di cambiare ambiente. La crew tiene sul fondo
e impedisce di
allontanarsi dalla melma in cui si è nati, aiuta a "digerire" un mondo nel
quale non ci si riconosce,
rendendo ancora più difficile scappare verso l'
ignoto: l'
idea di avere qualcosa di proprio rende
complicato il distacco.
Molto spesso la stampa scandalistica approfittava del termine "gang",
definendo tutti i gruppi di
ragazzi come tali, in senso negativo e dispregiativo, quando magari ci si
riferiva semplicemente
ad una crew, che può essere composta da ragazzi sì cattivi, ma più spesso
buoni. (La gang,
nell'
immaginario collettivo, è sinonimo di violenza e criminalità.) In realtà le
cose sono ben
diverse: infatti crew e gang sono due cose distinte. La gang promuove la
criminalità, la crew ha
familiarità con la violenza perché essa fa parte dell'
ambiente in cui i componenti vivono. La
violenza, infatti, è vista come un mezzo di difesa e di rispetto.
NASCITA DEL MOVIMENTO HIP HOP
Nonostante una situazione palesemente disastrosa, gli effetti degradanti
delle politiche adottate
dal governo della città passarono relativamente inosservate sino al 1977,
quando un evento
sconvolse tutti gli equilibri. In quell'
anno infatti tutti i giovani furono testimoni di un grandissimo
blackout che colpì la città di New York. Tutta la città letteralmente si
spense. Questo provocò una
perdita del controllo: gli oppressi presero coraggio e la polizia si ritrovò
indifesa. Finalmente la
loro forza venne prepotentemente mostrata all'
establishment ed essa avrebbe dovuto farci in
conti. Non serviva più la sua musica, la sua arte, la sua moda. Questo evento
segna, infatti, la
vera nascita dell'
Hip Hop.
Per il istituzioni divenne impossibile far finta di non vedere: i giovani dei
quartieri negletti, sotto
forma di bande, erano andati in esplorazione per Manhattan e, tornati nei
loro quartieri generali,
avevano cominciato ad organizzarsi per una nuova e grande battaglia che
doveva svolgersi con
una violenza verbale, non fisica, ma straordinariamente comunicativa.
Una scoperta scientifica non è generalmente attribuibile a un singolo
individuo ma è frutto
dell'
intuizione, della ricerca e della sperimentazione di molte teste. Questo è
quanto accadde per
l'
Hip Hop. Ci sono dei personaggi davanti ai quali è necessario chinare il capo
in segno di
riverenza, ma questi pionieri, questi "maestri", non furono che la punta di
un iceberg che da
tempo navigava nelle acque dell'
Hudson.
La divisione a compartimenti stagni delle varie aree urbane e degli stessi
quartieri, pur creando
isolamento, aveva, paradossalmente, contribuito alla fermentazione di nuove
forme di
espressione. I luoghi della decadenza divennero un calderone di creatività. I
giovani neri,
portoricani, afro-caraibici cominciarono a riunirsi, influenzandosi a
vicenda, nelle strade dei vari
quartieri, nei playground, nelle metropolitane e nei parchi. Lentamente
convogliarono le loro
abilità "ricreative" da occupazioni marginali a un materiale grezzo da
utilizzare per nuove forme di
creatività e resistenza. La città non offriva una cura valida al degrado e
alla disperazione? Queste
persone ne crearono una su misura: si chiamava "partying". La gente
cominciava ad annoiarsi, a
volersi divertire e rilassare, a scappare dall'
apatia nella quale l'
avevano lasciata.
Era l'
era della disco: a Manhattan si ci riversava nei club alla ricerca di musica,
sesso e droga. In
quel periodo nacque il mito dello "Studio 54", la discoteca divenne un
paradiso terrestre in cui
tutto era lecito, dove i barman erano stelle al pari dei cantanti, degli
attori e degli artisti, dove il
sesso era consumato liberamente come un rituale catartico, dove le menti
degli avventori-adepti
si fondevano, aiutati da un uso spregiudicato delle droghe, in un’orgia di
sensi.
Ma fuori dalla Manhattan dei ricchi, senza un soldo, che cosa si poteva fare?
Sembrava un labirinto senza uscita, dentro al quale, però, si nascondeva una
chiave preziosa
che avrebbe aperto la porta al futuro. In quel periodo i Dj delle Black
Radios a New York
inventavano il "talk over", la presentazione dei dischi con sovrapposizione
di parlato, e,
contemporaneamente, alcuni cantastorie metropolitani, inneggiavano all'
orgoglio nero (blackness)
con uno stile a metà tra parlato e cantato, su tappeto musicale di sapore
jazzistico: questi furono i
promotori del rap.
Le strade, i quartieri, i parchi divennero presto teatro di una rivoluzione
non violenta, alimentata
da una moltitudine di giovani armati di desiderio di gioia, divertimento e
riscatto che li avrebbe
accomunati sotto una stessa bandiera. Un’equipe di giovani intrattenitori
stava sintetizzando una
nuova sostanza, una medicina che avrebbe salvato molte vite e che era pronta
per essere testata
su quei giovani che l'
aspettavano lungo le fatiscenti strade dei loro quartieri dimenticati: l'
Hip Hop.
Questa equipe, che verrà ricordata come "THE OLD SCHOOL", fu la generazione
che ha dato
vita all '
Hip Hop. Padri fondatori o giovani pionieri, provenienti dal Bronx o dalla
parte più a nord di
Manhattan, spinti dalla voglia di divertirsi, dalla ricerca della fama, dal
bisogno di trovare qualche
spicciolo. E soprattutto dalla voglia di cambiare la propria condizione. I
loro nomi sono: Dj Kool
Herc, Afrika Bambaataa e Grandmaster Flash. La loro musica, le loro
performance e il seguito
che seppero crearsi rappresentano un punto di partenza e un punto di rottura
con ciò che c'
era
prima. Essi furono i leader di una rivoluzione quando forse ancora non lo
sospettavano. Si usciva
e si sentiva quella musica, nelle radio underground, in strada, in
improvvisate feste nei parchi o
nei quartieri. La gente saltava e ballava e altra gente ne imitava le mosse.
"Ci stavamo calando in questa cultura chiamata Hip Hop divertendoci! ".
BG
La old school riveste press'
a poco il periodo tra il 1970 e il 1980. I suoi ingredienti principali sono
semplici ritmi e cadenze che interrompevano il BEAT (ossia il battito del
ritmo) invece di
avvolgerlo semplicemente, come era comune. Generalmente anche i soggetti
trattati erano
semplici: i tempi che correvano, specialmente se buoni, le feste, l'
amicizia e solo qualche volta
riguardavano una manciata di temi sociali e politici. Inoltre la old school
annovera tra i suoi rapper
molte artiste donne, anche se non raggiungevano mai il livello di fama dei
loro colleghi maschi. Il
rap di questo periodo è stato inoltre contaminato dalla disco, dal soul e dal
funk. L’lelemento
fondamentale della old school è ciò che significava per i giovani di allora:
sentivano finalmente di
essere parte di qualcosa che apparteneva loro e di cui non solamente
godevano, ma che
avevano contribuito a far crescere. Era diverso da quello che i loro genitori
avevano, qualcosa a
cui avevano dato loro un nome. Ora era possibile condividere con altri la
propria gioia, la propria
energia, finalmente comunicare le proprie angosce, i propri desideri, parlare
di quello che non
andava bene e di come combattere quella odiosa situazione che li accomunava.
Sudati, si
guardavano negli occhi e battevano le mani incitando gli altri a fare lo
stesso. Lo facevano in pista
o da una pedana, con due "turntables" (i nostri giradischi) o, meglio ancora,
da un microfono
stretto tra le mani. Non si era soltanto trovato "qualcosa da fare" ma si
stava sviluppando un
prezioso canale di comunicazione all'
interno della comunità, che contribuì a fare crescere la
consapevolezza, amplificando il grido di ribellione e il desiderio di
cambiamento al di fuori delle
proprie mura.
Stava prendendo forma una nuova era dominata dalla spontaneità e dal
desiderio-necessità di
esprimersi. Ragazzi armati di ceste piene di dischi si radunavano nei parchi
e suonavano per ore,
divertendosi. Quando questi party all'
aperto cominciarono a essere una costante si iniziò a
distinguere tra un buon sound system e uno mediocre.
“A quell' epoca giravano tanti sound system ma ce ne era uno da leggenda, uno
che metteva gli
altri a dormire. Tutti lo sapevano.”
Così viene preso il sound di uno dei promotori del rap: Dj Kool Herc. Nato in
Giamaica e avendo
familiarità con i sound system della sua isola, aveva incominciato a girare i
dischi nei party e nei
club con il suo potentissimo impianto chiamato "Herculords" con cui
diffondeva nell'
aria un suono
ben diverso dalla disco che allora spopolava. La tecnica di Kool Herc
consisteva nel protrarre i
"BREAK" (una sezione o interludio musicale o di percussione durante una
canzone che viene
presa dalle parti principali di un'
altra canzone, come vedremo più avanti.) strumentali delle
canzoni in un collage infinito e ipnotico che lui definiva "BREAK SPINNING".
La sua bravura
stava nel ricombinare, ricontestualizzandoli, generi differenti.
Il secondo pioniere della old school è, come già accennato, Afrika Bambaataa
(nato il 10 aprile
1969), il quale era un Dj, leader della comunità del South Bronx. Kevin
Donovan, il vero nome,
nacque a New York e, molto giovane, fondò, con altri, la gang Bronxdale
Projects-area (la gang
dell'
isolato Bronxdale) chiamata The Savage Seven (i sette selvaggi). Dopo un
breve viaggio in
Africa, decise di cambiare il proprio nome in Afrika Bambaataa Aasim. Fu
impressionato dal
coraggio dei guerrieri Zulu che resistevano all'
esercito Britannico nel film "Zulu" di Michael Caine,
tanto che ne prese il nome (ripreso a sua volta da un capo zulu del XVIII
secolo), che può essere
tradotto alla grande con: "leader affezionato", dal film.
Dopo questa visita in Afrika, Bambaataa decide di usare il suo leadership per
convincere chi
faceva parte della gang ad essere qualcosa di più utile e positivo per la
comunità; questo diede
vita a "L'
Organizzazione", che successivamente divenne la "ZULU NATION", un gruppo di
razzialmente e politicamente attenti rappers, il primo gruppo di rappers, che
erano anche BBOYS, GRAFFITI ARTISTS e altri che erano coinvolti in questa
cultura chiamata Hip Hop.
La data ufficiale della sua nascita è il 12 novembre 1973.
Queste persone guadagnarono fama dai primi degli anni Ottanta fino a metà
degli anni Novanta.
Bambaataa, che era un giovane collezionista di vinile, possedeva gran parte
dei dischi di Erk.
Ebbe in regalo dalla madre un rudimentale sound system per la fine della
scuola e cominciò con
quello a portare la sua musica nelle strade. Guardando meglio alla sua
musica, cui era totalmente
votato, si nota come la sua importanza come DJ stesse nel fatto che la sua
cultura musicale
ampliò notevolmente la gamma dei suoni e, di conseguenza, di break iniettati
negli Street Party.
Fu lui, infatti, ad aprire alla musica soul, alla electro europea e al rock
(cosa strana per un afroamericano) che divenne, come vedremo, fondamentale
per il gruppo dei RunDMC per la
penetrazione nell'industria della musica (o mainstream, corrente principale).
La sua Organizzazione, la Zulu Nation, si ispirava ai Movimenti per i Diritti
Civili, a quelli contro la
guerra in Vietnam, al Folk che aveva fatto da colonna sonora in quegli anni.
La sede nacque nel
suo Bronx ma, per come è stata concepita, l'
organizzazione assunse da subito un carattere
"universale", tanto da creare un immediato imbarazzo al governo cittadino che
si prodigò per
eliminarla. La Zulu Nation e il Centro Comunitario del Bronx River Project
che la supportava,
vennero fatti presto chiudere dal sindaco.
Molti sono i motivi che fanno ritenere Afrika Bambaataa una delle figure
cardine nella cultura Hip
Hop. La sua rivoluzione consistette nel fatto che per la prima volta l'
Hip Hop cavalcò l'
onda del
successo che aveva saputo creare. Non fu un caso che, a dare vita ad un'
organizzazione di
questo stampo, fosse un ex membro della più temibile gang di New York che
aveva sempre
predicato una vita "alternativa". Era sempre stato un grande comunicatore ed
un gran
diplomatico. Conosceva sempre qualche membro di tutte le altre gang presenti
a New York: se
c'
era un conflitto lui cercava di ricomporlo. Non ha mai negato che per lui
fare parte di una gang
fu una cosa più che altro educativa: aveva capito che, non appena una gang
alzava la voce, il
governo si affrettava a fare qualcosa. La violenza, aveva capito Bambaataa o
Bam, come tutt'
ora
lo chiamano a New York, richiamava l'
attenzione, rendeva visibili ai cittadini i problemi e, sebbene
non necessaria, obbligava chi governava a prendere delle misure per sedarla.
Si stava
costruendo qualcosa che avrebbe ridotto il livello di violenza cittadina, ma
al tempo stesso non la
escludeva come un'
arma talvolta necessaria.
Bambaataa aveva sviluppato una coscienza politica perlopiù estranea ai suoi
coetanei. Lo slogan
che accompagnò la nascita di questa organizzazione, "PEACE, LOVE, UNITY AND
HAVING
FUN" (pace, amore, unità e divertimento), riassumeva lo spirito che pervadeva
l'
Hip Hop degli
esordi. Ma dietro questo sorriso c'
era una rabbia espressa in maniera diversa dalle gang degli
anni Settanta: meno violenta ma più penetrante.
A seguito dello scioglimento dei Black Spades, di cui anche Bambaataa faceva
parte, un gruppo
di ex affiliati cominciò a scortarlo durante le sue esibizioni nei party,
costituendo un gruppo di
fedelissimi. Dopo la fondazione della Zulu Nation questo gruppo divenne
sempre più numeroso,
facendo in modo che l'
Hip Hop si sviluppasse e si diffondesse in tutto il mondo proprio grazie
all'
Organizzazione. A lei, ad esempio, si deve il primo festival internazionale
dell'
Hip Hop a cui
parteciparono miti del movimento come Futura 2000, Rock Steady Crew, etc. Ci
volle del tempo
perchè vi fosse una vera e propria affermazione a livello mondiale, ma fu
importante notare come
le potenzialità comunicative di questa nascente cultura andassero oltre le
barriere culturali e
linguistiche. L'
Hip Hop portò un messaggio di ribellione che accomunava tutti gli oppressi,
le
minoranze e tutti coloro che si rifiutavano di restare succubi. La stessa
Zulu era una grande
famiglia capace di accomunare sotto un'
ala protettrice fatta di regole semplici e comuni tutti i suoi
membri, come ad esempio:
"Credo nella validità del vecchio e nuovo Testamento e nel Corano"
"Credo nella verità, qualunque essa sia. Se la verità o l'idea che porti a
noi è supportata da fatti,
noi come Amazulu ne troveremo la prova. La verità è verità"
"Credo che la religione non debba creare schiavi o zombie, ma debba essere
invece promotrice
di libertà, giustizia, uguaglianza per tutti gli esseri umani"
"Credo che il razzismo distruggerà la civiltà"
"Credo che l'umanità debba smettere di distruggere ciò che la circonda"
"Credo nella giustizia, uguale per tutti"
"Credo nella pace ",
"L 'Universal Zulu Nation sta per: CONOSCENZA, SAGGEZZA, COMPRENSIONE,
LIBERTA',
GIUSTIZIA, UGUAGLIANZA, PACE, UNITA', AMORE, RISPETTO, LAVORO, DIVERTIMENTO,
SUPERAMENTO DEL NEGATIVO DA PARTE DEL POSITIVO, ECONOMIA, MATEMATICA,
SCIENZA, VITA, VERITA " EVENTI FEDE E NELL'UNICITA' DI DIO"
"Una cultura giovane e urbana che si associa indissolubilmente con la musica
rap e con lo stile e
le mode dei residenti Afro-americani"
"Credo nella musica rap".
L'
Hip Hop si proponeva, quindi, come« lifestyle» (stile di vita)
rivoluzionario.
Il terzo pioniere della old school è il Dj GRANDMASTER FLASH, egli contribuì
ad raffinare una
delle tecniche base del rap: lo scratching. La storia racconta che ad
inventare lo scratching fu
Grand Wizard Theodore all'
età di tredici anni, ma che fu poi Flash a diffondere, perfezionata,
questa tecnica. Essa consisteva nel muovere il disco avanti e indietro
creando al contatto della
puntina con il solco, un effetto sonoro che poteva entrare in contrasto o
accompagnare lo
sviluppo melodico della musica che girava sull'
altro piatto. Questo non danneggiava il disco, in
quanto la puntina rimaneva all'
interno dell'
incanalatura della superficie e non si muoveva
orizzontalmente strisciandola. Flash definì lo scratching come:
"nient'altro che l'eco che senti dritto nelle orecchie quando getti il suono
sulla folla"
Ci sono molti tipi di scratch, come lo strappare, la fiammata, l'
orbita, il granchio, il cinguettare, il
pizzicotto e gli scratch scarabocchiati. I nomi si riferiscono al tipo di
rumore, al tipo di movimento
o di attrezzatura necessaria per provocarli o al nome del Dj che li ha
sviluppati. Alcuni Dj hanno
rielaborato una tecnica di annotazione e scrittura per imparare e trasmettere
tutti questi modi di
scratching, ma la loro tecnica ancora non si è diffusa. Normalmente lo
scratching non esclude i
beat, il break, il parlato e una composizione musicale, anzi, prende spunto
spesso da una
canzone già costruita. Quando i vinili cominciarono ad andare in disuso e il
mercato presentò i
primi CD, i Dj inventarono un sistema per fare lo scratching su particolari
CD-R, da questo
sistema nacquero raccolte di musiche scratchate e lo scratching divenne un
vero e proprio
genere musicale.
Grandmaster Flash, nato come Joseph Saddler alle Barbados il primo gennaio
1958, migrò con la
famiglia negli Stati Uniti e crebbe nel Bronx. Visse nell'
atmosfera di New York a noi nota e imparò
da Kool Herc l'
arte del mixaggio, del beat e del break.
Lui usava copie doppiate di un singolo e due giradischi ma aggiunse a questo
una capacità tutta
sua di usare una mano sola per entrambi, insieme ad un mixer, per lanciare il
break (un punto del
ritmo della batteria isolato); il singolo suonava normalmente e veniva
interrotto per sovrapporci il
break, il break poteva essere ripetuto grazie all'
utilizzo del mixer per smuovere i piatti, mentre un
secondo singolo veniva inserito. La velocità e la capacità di utilizzare una
sola mano, gli diedero il
soprannome di Flash, dovuto anche al fatto che durante la scuola veniva
sempre visto girare con
un amico di nome Gordon.
A Flash si deve anche l'
invenzione del cutting.
Flash comincia la sua carriera partecipando a party illegali e lavorando con
altri rappers, ad
esempio Lovebug Starsky e Kurds Blow, per poi formare verso la fine degli
anni Settanta, la band
Grandmaster Flash & the 3 Mc'
s. Con l'
aggiunta di nuovi membri, il gruppo divenne presto
Grandrnaster Flash & The Furious Five. Il gruppo ottenne consensi e
riconoscimenti, ma nel
1989, dopo una serie di album pubblicati con successo, si sciolse a causa
della morte per
overdose di uno dei componenti.
La maestria di questi Dj, comunque, accrebbe la loro fama e alimentò un vero
e proprio culto
della persona. Nel clima elettrico dei party il carisma di questi
"sacerdoti/performer" offriva alle
folle di giovani un indirizzo.
Se si verificava una rissa o se veniva percepita qualche tensione, spesso era
lo stesso Dj a
dissolverla, perchè le sue parole e la sua musica avevano una funzione
curativa. In un articolo
del "Village Voice" del 1982 venne riportato che durante un party Bambaataa,
accorgendosi di
una rissa, avesse smesso di suonare e, preso il microfono, avesse
semplicemente detto:
"Vi piace? La musica. Sto parlando di quella!"
Con il passare del tempo, con i Dj cominciarono a presentarsi performer che
dal vivo
intrattenevano la folla, la eccitavano ed esaltavano l'
opera degli stessi Dj: era nato l'
MC
(MASTER OF CERIMONY). Il numero dei ragazzi che saltavano sul palco e
stringevano un
microfono dando sfogo alle proprie tensioni e comunicando la propria verità,
crebbe senza sosta.
Intrattenevano il pubblico prendendosi cinque minuti di notorietà che
funzionavano bene anche
con le ragazze.
Sembrava un virus inarrestabile, una malattia da molti definita come
"microfonite", un acuto e
intenso desiderio di afferrare un microfono ovunque e in ogni momento. La
loro capacità di
stregare le folle divenne memorabile. Gli argomenti preferiti non sono molto
difficili da
immaginare. Se forse una inconscia consapevolezza del potere della parola
portasse Dj
Hollywood ad ammonire i giovani
"Potete essere come dei registratori, sapete ......... vi accendono...... vi
fanno dire ciò che
vogliono... non lasciate che lo facciano!"
e in generale i rapper esortassero i giovani neri a non sprecare la loro vita
facendosi manipolare,
a rimanere a scuola, a star lontani dalle droghe pesanti e ad essere fieri
del colore della propria
pelle…Il clima festoso portava a qualsiasi entusiasmo.
L'
MC è una figura, quindi, che ne ha viste tante e nella sua vita ha dovuto
combattere per avere
uno spazio nel cuore delle persone per poter "flippare" la sua musica. L'
MC canta fino
all'
esaurimento delle sue energie e rappresenta la gente che gli vuole bene o le
storie che ha
vissuto, sempre in perfetto stile metrico. In questa forma di testimonianza
spicca ai vertici il FREE
STYLE, che consiste nel fare mcing, (nell'
inventare, cioè, le parole al momento), senza una
preparazione, su una base spesso "pronunciata" da un Dj (definito da molti
anche come beatboy)
vocale. Questa capacità di improvvisazione è abbastanza rara: molti rapper
preparano una sorta
di base per poi lasciarsi andare, ma senza quella base non sono in grado di
rappare.
I primi MC ad esibirsi al fianco dei Dj furono i già citati Starsky e Dj
Hollywood. La sinergia tra
queste due figure prefigurò la nascita di quelle che sono alla base della
produzione di musica rap
moderna: producer e MC.
Quest'
onda di non violenza promossa, come abbiamo visto, dai promotori dell'
Hip Hop ha portato
i giovani ad esprimersi in diverse maniere. Nascono così i graffiti e la
danza, di cui ci occuperemo
più avanti, e, cosa che ci interessa particolarmente perchè impregna tutta la
cultura Hip Hop, le
competizioni, che erano svolte all'interno di un cerchio in cui i due
competitori dovevano rappare
o ballare cercando di sbalordire la folla: quando superavano l'
altro in stile e bravura, avevano
vinto.
Rappando insultavano il compagno, lo umiliavano, si dimostravano migliori di
lui, fino ad ottenere
quel consenso che portava loro alla vittoria. Era un modo non violento per
arrivare a capo di una
disputa o di un litigio e prese molto piede proprio in questi anni.
Ma come si relaziona questa cultura nascente con l'
Industria musicale, con Hollywood, con le
etichette, soprattutto bianche, e con il grande pubblico?
Se il rap è nato per denunciare situazioni scandalose, povertà, violenza,
delinquenza e
abbandono, come riesce ad uscire dai quei luoghi che significano proprio
tutto questo? Questo
senso di ribellione che si riscontra nelle parole dei suoi promotori, come
dei loro successori, ha
uno sbocco o rimane rintanato nei parties illegali e nei quartieri delle gang
e delle crew?
L'
Hip Hop, con la sua poesia intrisa di vita quotidiana e di cultura di strada,
non potè non
raggiungere le orecchie del potere, proprio per la grande forza con cui si
sviluppò e c'
è da dire
che le infastidì non poco. Dj, MC, B-Boys e Graffitti Writers erano tutti
parte di una nascente
sottocultura ed interagirono portandola sempre più in alto finchè non affiorò
sulla superficie di
quella "mainstream", fu allora che l'
inequivocabile segno di vittoria per l'
Hip Hop decretò al tempo
stesso la morte di quella Old School che lo aveva generato.
Nacque così la New School, che, a livello di tempo, prende il periodo che va
dal 1985 al 1988,
circa. Ovviamente non c'
è una netta linea divisoria tra le due Scuole, questa divisione avvenne tra
la metà degli anni Ottanta e i primi anni Novanta. La Old School era basata
in primo luogo su
musiche disco e, successivamente, su elementi elettronici, la New School
invece focalizza
l'
attenzione su campioni di beat elettronici, che diventeranno poi, insieme al
break, la cosa più
importante. Intorno al 1990 gruppi come i citati Grandmaster Flash & The
Furious Five e Afrika
Bambaataa erano visti appartenenti alla Old School, mentre i neo gruppi Run
DMC, Eric B e
Rakim and EPMD appartenevano alla New School. Infatti, si dice che il pezzo
"Sucker MC'
s" di
Run DMC sia la prima vera espressione di questa nuova scuola, anche se
appartenente alla
prima metà degli anni Ottanta.
Verso la metà degli anni Novanta, molta gente attribuiva alla Old tutte le
canzoni che erano nate
negli anni Ottanta, ma questa definizione è ingiusta, in quanto non tiene
conto dei numerosi stili
che sono nati proprio in quegli anni.
E'interessante notare alcuni elementi caratteristici di questa nuova scuola,
come ad esempio lo
stile che si sviluppò a Miami, chiamato infatti Miami Bass, fatto di
elettronica pura, contornata da
un basso pesante; oppure il cosiddetto "gangster rap", ossia il rap che parla
di crimini, illegalità,
portato avanti da Ice T e NWA.
La principale differenza tra le due scuole può sintetizzarsi dicendo che
nella Old non erano
utilizzati i campioni, (pezzi di canzoni famose e già edite, tecnica che è
stata largamente diffusa
solo a metà degli anni Ottanta), e si basava sostanzialmente su hits disco e
funk, mentre la New
abbraccia questa nuova tecnica, facendone la sua peculiarità, preferendo i
campioni di canzoni
funk, ma scegliendone anche in altri generi.
Successivamente, verso la fine degli anni Novanta, si sviluppò una terza
scuola: la Now School o
The Next School, ma approfondiremo questo argomento più avanti. Vediamo ora
come l'
Hip Hop
arriva dilagando nelle classifiche mondiali.
I GRAFFITI E L’HIP HOP
Come abbiamo accennato, una parte importante dell'
Hip Hop furono i graffiti, riconducibili alla
voglia d'
esprimersi dei ragazzi all'
interno del Bronx. Questo ulteriore elemento diede un contributo
decisivo alla diffusione del movimento Hip Hop nel territorio vergine di
Manhattan e poi nell'
intero
paese. Ciò che successe con i graffiti diede la misura delle potenzialità
dell'
Hip Hop.
In essi, infatti, si concentrarono la grandezza artistica, la capacità di
piacere e soprattutto due
virtù che contribuiranno alla definitiva affermazione dell'
Hip Hop: visibilità e penetrazione.
Il potere comunicativo dei graffiti è innegabile: si pensi ai disegni
preistorici che tanto ci hanno
rivelato sulla storia della nostra specie. I graffiti non moriranno mai. Essi
da sempre raccontano la
vita e la storia, mettendole a disposizione delle moltitudini.
Questo viaggio al centro della terra non è altro che un viaggio all'interno
delle coscienze della
gente.
Il proliferare dei graffiti rese visibili non solo i problemi della città, ma
anche i desideri, la rabbia, la
voglia di riscatto dei suoi cittadini.
Ciò che ne fece un elemento di rottura fu la capacità di infrangere le
barriere territoriali e porre
fine alla divisione e all'
isolamento che esistevano durante l'
era delle gang, che pure già avevano
cominciato ad indebolirsi.
Nato come concetto di affermazione personale legato alla territorialità, il
graffito, quasi
inconsciamente, si tramutò in un veicolo senza frontiere. Il proposito dei
writers, chiamati così
proprio per questa loro specialità, era quello di "dominare" prima di tutto
il proprio quartiere, il che
rientrava pienamente nella logica del tempo. C'
era già una consapevolezza nell'
azione, ma
mancava ancora un'
idea chiara del perchè e del per come. Si agiva di istinto. Inizialmente chi
fondava gang o crew per migliorare la propria condizione era contrario ai
graffiti, in quanto non
era ancora in grado di vedere quali benefici avrebbero potuto portare.
La genialità dei writers tuttavia portò alla rivoluzione. Il proprio nome, il
nome della propria crew,
cominciò a valicare quei confini ormai sentiti come una prigione. Diventò
fondamentale trovare la
maniera di diffondere rapidamente il proprio nome. La scelta cadde sui treni
della metropolitana.
Presto l'
obiettivo divenne dominare una linea della Subway; questo perchè c'
era un vero e proprio
sconforto, un forte sentimento contro la società, le sue tecnologie, le sue
istituzioni.
I writers le presero proprio d'
assalto, pur sapendo di fare qualcosa di illegale e pericoloso, ma non
potevano rinunciarci. Non era solo un gioco, c'
era qualcosa contro la società in ballo. E se anche
c'
era il rischio, se non la certezza di essere presi, lo si faceva ugualmente.
Molti writers che sono rimasti feriti, anche gravemente, durante gli
incidenti, non smettevano di
disegnare:
"Il gioco vale la candela"
Master Case 2, che perse un braccio a causa di un graffito.
Presto i ragazzi si resero conto della notorietà che avevano acquisito. L'
orgoglio di vedere il
proprio nome ovunque nel quartiere, pensarono, sarebbe decuplicato se fossero
riusciti ad uscire
da quei confini. I treni, passando attraverso i diversi quartieri, crearono
una comunicazione
indiretta tra le varie comunità e moltiplicarono la consapevolezza di un
cambiamento
inarrestabile. La sensazione di essere dei "paladini mascherati" dà un gusto
particolare alle azioni
dei writers. Essere conosciuti da tutti e da nessuno li avvicinava ai supereroi dei fumetti. Se i
protagonisti restavano avvolti in un'
aura di mistero, la loro opera si presentava quotidianamente
e violentemente davanti agli occhi di tutti.
La maggior parte dei graffitisti sostiene che il movimento fu iniziato da un
adolescente che si
firmava TAXI 183, un ragazzo greco di nome Demetrios che veniva dalla
l83esima Ovest. Taxi fu
il re dei pennarelli tra il 1970 e il 1972, eppure il fenomeno dei graffiti
era già stato analizzato negli
anni Sessanta. Ci furono, infatti, numerosi studi su questo argomento, come
lo studio di R.
Lincoln Keiser sul gruppo Vice Lords, che presenta numerose fotografie di
scritte murali, o il
saggio di Herbert Kohl, '
'
Names, Graffiti and Culture", un'
analisi sia delle ragioni che stanno dietro
ai graffiti che delle sigle usate dagli artisti al posto del loro vero nome.
Kohl, in particolare,
osservò i cambiamenti all'
interno del graffitismo, quando i programmi anti povertà della fine degli
anni Sessanta resero legale lo scrivere sui muri come forma d'
espressione collettiva di giovani
neri, portoricani e pittori impegnati socialmente. Quest'
arte, all'
aperto e legalizzata, partendo dai
gessetti colorati e dai pennarelli, portò a forme più elaborate. Ogni
quartiere gridava la propria
identità con un differente stile calligrafico: nel Bronx si usavano lettere
tondeggianti, ed
esistevano uno stile di Manhattan, uno stile di Queens e uno di Brooklyn,
chiamato "Wildstyle".
Gli artisti si associavano, memori delle preesistenti bande di quartiere e la
loro audacia crebbe
enormemente, passando da sigle tracciate nervosamente a enormi murales pieni
di dettagli e a
treni che venivano completamente coperti di disegni durante la notte. Nessuna
altra città al
mondo possiede un'
arte così invadente: per quindici anni la città è stata in guerra con la sua
comunità artistica adolescente.
"I graffiti non sono una forma di espressione particolarmente durevole…Per il
ricco e per il
potente è diverso, lui può esprimere le sue pretese territoriali e l'identità
sociale in forme più
durevoli. Una gang può dipingere il suo nome sui muri del quartiere, ma
questo non è nulla in
confronto ai simboli delle corporation impressi sugli edifici, o al club di
un ricco che affida alla
pietra il suo desiderio di potere e d'importanza"
Herbert Kohl
Per i residenti dei quartieri "bene", i più ricchi, cioè, il diffondersi dei
graffiti divenne sinonimo di
decadenza della città. Molti pensarono di trasferirsi nelle zone residenziali
degli Stati confinanti
come New Jersey e Connecticut. Ciò che queste tranquille famiglie in fuga
vedevano come un
declino era in realtà la resurrezione di tutti quei cittadini che erano stati
abbandonati a se stessi
dalla città e ora richiamavano la sua attenzione.
I graffiti divennero un vero e proprio "incubo" per i sindaci dell'
epoca John Lindsay e Abe Beame,
ma tutta questa tensione finì col produrre un enorme interesse per la loro
produzione.
Nel 1973 la prima esposizione di tele in una galleria suscitò quasi scandalo:
i graffiti cominciarono
ad essere considerati "arte" e l'
arte era di casa a Manhattan.
La consacrazione era arrivata anche grazie agli sforzi di un uomo assai
lungimirante: Fred
Braithwaite, meglio conosciuto come Fab Five Freddie, iniziò ad organizzare e
promuovere
graffitari in Downtown Manhattan, aumentando esponenzialmente la loro
visibilità.
Proprio in occasione di queste esposizioni cominciarono a vedersi da quelle
parti i Dj e gli MC,
che presto si sarebbero resi protagonisti di storici party organizzati a
Manhattan e frequentati da
folle di B-Boys. Il centro della Terra era stato raggiunto.
ANIMA MUSICALE DELL’HIP HOP
Poco alla volta, dunque, la cultura Hip Hop uscì dai confini aperti del
ghetto per approdare tra le
mura dei club e delle sale di registrazione: spazi angusti destinati,
paradossalmente, ad offrire
palcoscenici internazionali all'
anima musicale del Bronx. Questo primo contatto con l'
industria
culturale conservava un aspetto "artigianale", quasi "a conduzione
familiare".
Fino al 1979, e da qui nasce anche la difficoltà a ripercorrere le tappe
dell'
evoluzione storica
dell'
Hip Hop, l'
unica documentazione sulla musica del Bronx era costituita da cassette,
nastri per
lo più clandestini, registrati nei party o nei club, oppure da autoproduzioni
destinate ad un giro
intimo di amici, taxisti, parenti, ragazzini di strada armati di enormi
registratori. Questo artigianato
portava i segni del successo e aspettava soltanto che qualcuno fosse disposto
a correre il rischio
di puntare su quello che per molti pareva essere un ronzino ma che, in
realtà, si sarebbe
dimostrato un purosangue. Una forza agiva estendendosi a macchia d'
olio: il "passaparola". Le
note, le rime degli MC cominciavano a risuonare nelle orecchie di tutti e
diventò quasi impossibile
non sapere, non conoscere e quel che più conta, non esserne attratti. La
forza innovatrice di
questa musica stava nell'
incontrare originalità e nell'impossibile omologazione.
La mancanza di collegamento tra l'
industria e quello che stava accadendo nel Bronx contribuì a
lasciar crescere questa musica in un'
isola di creatività indipendente e incontaminata. Mentre la
disco, per la sua frivolezza, meglio si adattava ad una classe sociale più
ricca, l'
Hip Hop divenne
a tutti gli effetti musica popolare, nata per le strade, consumata in quelle
stesse strade e rivolta a
chi in strada aveva imparato a vivere. I giovani MC che si limitavano ad
esaltare i vestiti costosi,
lo champagne, le macchine da sogno e qualunque genere di lusso, vivevano in
realtà nella
consapevolezza che fossero speranze difficilmente realizzabili. Era un modo
per esorcizzare la
povertà di cui, comunque, andavano in qualche maniera fieri; un modo per
prendere le distanze
dal mondo ovattato della disco in cui, sogni a parte, stentavano ad
identificarsi. In realtà quei
sogni stavano per prendere forma. L'
industria era ormai dietro l'
angolo. Il primo tentativo andò a
vuoto per l'
eccessiva prudenza dei produttori.
La Fatback Band fece uscire il primo disco rap, intitolato "King Tim III".
Questo album venne
pubblicato come il lato "B" di una cassetta che conteneva anche una
canzoncina mielosa e passò
inosservato alle masse. Tuttavia ispirò molti MC aprendo la strada ad altre
produzioni che
cominciarono a rimpiazzare la circolazione delle cassette pirata. Questa band
cominciò a
registrare molto prima di questo disco. Il loro primo singolo, intitolato
"Street Dance" fu registrato
dalla Perception Record nel 1973. Successivamente uscì "Fatbacking" e poi la
canzone che
effettivamente regalò al gruppo la produzione dell'
album chiamata "Spanish Hustle" del 1976.
Nonostante il primo insuccesso, la band continuò il lavoro fino ai primi anni
degli anni Ottanta.
Nel settembre del 1979 RAPPER'
S DELIGHT della SUGARHILL GANG fu il primo disco
pubblicato da una nuova etichetta chiamata Sugarhill, situata in West Street
a Englewood, in New
Jersey. L'
etichetta era finanziata per un terzo dal milionario Morris Levy della casa
discografica
Roulette Records, impresa condotta con lungimiranza industriale dalla ex
cantante di R&B Sylvia
Robinson e dal marito Joe Robinson. I componenti della band, tutti
provenienti da New York City,
si facevano chiamare: Wonder Mike, Big Bank Hank e Master Gee.
Con Sylvia il rap scoprì nuove pratiche come il commercialismo a buon
mercato, l'
abitudine di
incidere i lati "B" dei dischi con basi e pezzi strumentali, la pratica delle
cover di successi della
disco music. Dal punto di vista commerciale, il primo disco rap della
Sugarhill ebbe un esordio
esaltante. Rapper'
s Delight raggiunse il trentaseiesimo posto delle classifiche americane e il
quarto nella classifica statunitense R&B, benchè l'
Hip Hop venisse spacciato per breve capriccio.
La Sugarhill non raggiunse mai il top delle classifiche, nonostante avesse
parecchi validi singoli
minori come "Apache", "Eighth Wonder", ad esempio, ma continuò in tour fino
al 1999. Proprio
grazie al successo di questa loro iniziale canzone, molti sostengono che il
termine "rap" sia stato
ripreso dal suo titolo. Il successo portò loro il disco di platino e furono
la prima Hip Hop Band a
raggiungere un traguardo simile.
Quando dalla metà degli anni Settanta si registrò un vero e proprio boom
della musica nera a
livello internazionale poca, se non nulla, fu la considerazione riservata al
rap. La Sugarhill aveva
invece dimostrato che quei suoni, nati e prodotti agli angoli delle strade, a
lungo bistrattati dai
vecchi produttori, erano pronti ad affacciarsi a un nuovo mercato. All'
inizio non mancò la
confusione, in primo luogo perchè si trasferiva su disco della musica nata
dai sound system e poi
perchè la foga del momento portò alla ribalta personaggi ben lungi dall'
essere artisti. Poco alla
volta, però, la macchina prese a funzionare.
Inizialmente, ci furono non pochi problemi. E'il caso di Nile Rodgers,
artista che, come Bernard
Edwars, suo partner negli CHIC, vide una sua canzone ("Good Times") finire
nelle classifiche di
tutto il mondo senza che il suo nome figurasse tra gli autori e di
conseguenza senza che vedesse
un dollaro. Nile aveva tentato di far ascoltare alle case discografiche
proprio questo brano, Good
Times, ma, a causa della forte presenza dei cosiddetti break nel pezzo, i
discografici si erano
dimostrati perplessi, incerti. Si domandavano come le persone, sentendo alla
radio questi break
rappati, avrebbero potuto capire la musica e di conseguenza comprarla.
E'importante notare che
proprio gli Chic inventarono questo tipo di break, di cui abbiamo già parlato
sopra, che fu
l'
ingrediente usato dai Dj per la nascita e la diffusione dell '
Hip Hop e la base per i balli dei
breaker. Soprattutto, gli Chic divennero importanti perchè conferirono, a
seconda di come i break
venivano utilizzati, dignità e rispetto ai Dj e ai breaker che ci
improvvisavano sopra. Rodgers, pur
non sentendosi parte in causa dell'
allora nascente movimento, riconosce oggi il ruolo che la sua
musica ebbe nel suo sviluppo. Egli sa che ha dato agli Hip-Hopper la base per
creare la loro
musica e il loro rap e la cosa non gli è mai dispiaciuta: era indice che i
suoi dischi avevano
seguito, ma possedeva anche la curiosità di musicista nel vedere come un
altro artista fosse in
grado di ricontestualizzare la sua musica in maniera sempre diversa. E così
successe La musica
che si sentiva di più come sotto fondo della parte rappata, non importa chi
fosse il rapper, era
proprio Good Times, che ben presto divenne un "must", ossia un capo stipite
da imparare per
forza, se non si è in grado di scratchare Good Time, non si è bravi come Dj.
Nile Rodgers
pensava che l'
aver dato uno strumento ai giovani per esprimersi fosse qualcosa di speciale.
Proprio Rapper's Delight cambiò le cose, in quanto non è altro che Good Time
con la parte
cantata nuova di zecca.
"Ehi, aspettate un attimo! Era bello quando lo facevate nei playgroud, era ok
farlo per divertirsi,
ma non potete venderlo e farvi i soldi! (ride amaramente)" Nile Rodgers
Se il successo di Rapper'
s Delight portò alla luce un inedito problema di diritti d'
autore, Rodgers
non potè fare a meno di notare l'
impatto che quella produzione stava avendo sul pubblico. Egli
stesso ammetteva che era addirittura più grande di Good Times stessa. I due
soci degli Chic,
Rodgers e Edwards, decisero comunque di mettersi in moto. Venne avviata una
battaglia legale
che per la verità durò ben poco. La Sugarhill sapeva che non avrebbe mai
vinto la causa e tutto
finì con un accordo tra le parti. Tuttavia il campionamento ebbe vita
relativamente indisturbata
prima che gli studi legali realizzassero che potevano difendere gli autori
originali e guadagnarci
parecchio.
Passarono diversi anni prima che una seria regolamentazione per l'
utilizzo dei campioni venisse
prodotta e non mancarono le polemiche. Si gridò al razzismo. Gli autori
bianchi non avrebbero
sopportato che le loro musiche potessero arricchire gli artisti di colore.
Dietro tutto questo fervore l'
industria musicale sonnecchiava e fu solo il fiuto per gli affari di
piccole compagnie o singole persone a dare una svolta, spianando la strada ad
un nuovo
mercato che avrebbe poi dominato in tutto il mondo.
Le grandi compagnie, infatti, non ritenevano che l'
Hip Hop fosse un fenomeno destinato a durare.
Un pò per miopia, un pò per ragioni sociali e politiche molti si affrettarono
a etichettare l'
Hip Hop
come un movimento underground, sostenuto da gente che non aveva neanche i
soldi per
comprare i dischi. Ma se l'
industria non si dimostrò reattiva, non si può dire lo stesso per
l'
America bianca che a rigor di logica non era parte del movimento. Gente come
Fab Five Freddie
o il produttore dei RunDMC Russel Simmons devono parte del loro successo ai
finanziatori
bianchi.
Chiaramente non mancarono le polemiche.
Si diceva che i bianchi avessero fatto i soldi sulla pelle dei neri e che, in
pratica, li avessero
derubati. La verità è che la maggior parte degli investitori neri non
credette nell'
Hip Hop mentre i
bianchi, credendo ci e non rubando, hanno fatto i soldi. Le neonate etichette
indipendenti
iniziarono presto a vedere ripagati, sotto forma di "vagonate di dollari", i
loro sforzi.
Gli artisti allora cominciarono ad affidarsi ad esse perchè avevano
dimostrato una superiore
sensibilità culturale per la loro musica.
Personaggi come Sylvia Robinson, Russel Simmons, Luther Campbell (Luke
Records) e Andre
Harrel (Uptown Enterprises) con etichette come Pro file e Tommy Boy diedero
alla produzione
rap una decisiva spinta propulsiva.
Di fronte ai fatturati sempre più elevati di queste etichette indipendenti,
le grandi compagnie
iniziarono a rendersi conto che l'
affare rap aveva superato ogni più rosea aspettativa. I dollari
delle "big label" erano destinati a trionfare.
La tecnica fu quella di assorbire le piccole etichette all'
interno del proprio gruppo e di lasciarne
magari a capo i fondatori, che finivano comunque per perdere gran parte del
controllo: molte delle
piccole compagnie vennero soffocate e finirono così con lo scomparire. Le
erbe selvatiche dei
campi della prima ora erano state abbattute dalla falce della mainstream.
Il terreno sarebbe stato coltivato scientificamente al fine di farlo fruttare
al meglio ma, come in
tutte le produzioni industriali, la qualità avrebbe finito col livellarsi.
Almeno fino alla fine degli anni Ottanta però, il rap sembrò guadagnare più
che perdere
dall'
incontro con le mainstream. Il denaro delle mainstream, almeno inizialmente,
contribuì allo
sviluppo del rap come forma comunicativa, conferendogli uno straordinario
potere di
penetrazione, ma segnò il passaggio da una prima fase disinteressata, ingenua
e pura, ad una
fase arricchita da una nuova e forte consapevolezza del proprio peso
economico e sociale:
questa è la fase in cui, probabilmente, 1'
Hip Hop, e nella fattispecie il rap, hanno espresso le
maggiori qualità.
Se l'
aspetto economico aveva ormai assunto un peso determinante, esso non era
ancora riuscito
a soppiantare l'
influenza che il rap, a livello sociale, era in grado di produrre.
Si parla proprio in questo periodo, infatti, di un rap dell'anima: il "soul
rap". Un elemento
fondamentale del rap su cui vorrei soffermarmi è la PAROLA, sottolineando i
suoi legami con la
pratica religiosa del "sermone" e lo stretto rapporto che quest'
ultima a sua volta aveva instaurato
con l'
industria musicale.
Come a dire: "Nulla si crea e nulla si distrugge, tutto si trasforma".
"Il reverendo JD. Montgomery inizia il suo sermone nella Mt Chapel Baptist
Church, nell'east di
Detroit. Il tema scelto è quello del "Giornale di Dio", e man mano che il
ritmo accelera,
Montgomery sviluppa le sue immagini impressionanti. La congregazione, che il
reverendo
definisce "strilloni di Dio ", risponde ad ogni frase con un coro di "yeah ",
mentre il pastore lancia il
suo attacco contro i giovani neri che respingono la Bibbia come il libro dei
bianchi. "
Questo brano, tratto da una ricerca etnografica di David Toop, contribuisce
ad allargare ancora di
più i confini dell'
origine del rap. Un genere che ha tratto alimento da diversi contesti fino a
disperdersi, con l'
arrivo del successo commerciale, in una miscela indistinta e dissacrata. Tra
i
luoghi aspiratori delle prime manifestazioni Hip Hop è impossibile non citare
le chiese dove i
pastori protestanti lanciano i loro accorati appelli ai fedeli. Il soul rap
nasce dal sermone spiritual.
Il brano solitamente inizia con il tono di una conversazione e si distingue
dal sermone dei bianchi
semplicemente per le risposte date dai fedeli, una reminescenza dell'antica
credenza africana
secondo cui ascoltare in silenzio è un atto scortese, un ricordo delle
reazioni del pubblico mentre
il griot racconta le sue storie tradizionali.
La potenza dell'
oratore nella religione afro-americana è stata il fondamento del soul rap,
uno stile
di canzone parlata che ha rappresentato una delle anticipazioni del rap dell'
Hip Hop. Basti dire
che il padre di Aretha Franklin, il reverendo C.L. Franklin, fu uno dei più
seguiti predicatori di
sermoni. Una moda che contagiò nei primi anni Settanta anche i membri di
alcune gang di New
Orleans: Richard "Mr Clean" White, noto per alcuni furibondi pestaggi, si
sentì obbligato a
recuperare parte del terreno perduto lungo il suo cammino di violenza e
compose un celebre
pezzo intitolato "You got to believe". Anche il soul rap divenne poco alla
volta una fabbrica di
soldi, ma, considerate le sue origini, non perse mai del tutto quel peculiare
rapporto di intimità e
sincera comunione tra il cantante e il singolo ascoltatore. Negli anni
Settanta tre cantanti in
particolare saccheggiarono il rap del deep soul e lo portarono al grande
pubblico internazionale,
diventando grandi star: Barry White, Isaac Hayes e Millie Jackson. (e non è
un caso che proprio
artisti come quelli citati siano stati anche bacino di diretta ispirazione
per gli artisti rap e riserva di
samples, campioni, su cui vennero costruite le basi per le canzoni di
innumerevoli artisti).
Il rap, in particolare, riuscì perfettamente a custodire l'
essenza del gospel. In questo si differenziò
dalla disco music che mai avrebbe potuto ricoprire quel ruolo, a causa dei
temi troppo rapidi e
delle atmosfere eccessivamente ottimistiche.
Se la disco era infatti un divertimento allo stato puro, il rap aveva alla
base una rabbia
comunicativa che gli permetteva di assumere un carattere educativo del tutto
peculiare.
Il rap, e tutto l'
Hip Hop in genere, portava un messaggio con sè, proprio come il sermone di un
pastore. E proprio come un sermone stava per ricevere la risposta dal
pubblico dei fedeli che
cresceva esponenzialmente e si univa al coro con gioia e partecipazione.
Importante è nominare un gruppo che ha influenzato particolarmente il rap di
questo periodo: i
Last Poets; la loro capacità di esprimere con straordinaria violenza verbale
un messaggio
fortemente sociale, risultò particolarmente efficace nel contrastare quella
che, secondo loro, era
l'
apatia nera, l'
autosfruttamento e la stereotipizzazione dei ruoli. Formatisi ad Harlem il 19
maggio
1968, i Last Poets vengono definiti da molti, pur non essendo realmente parte
del movimento, il
primo vero gruppo Hip Hop. Afrika Bambaataa sostiene che la gioventù nera e
latina della New Y
ork di metà anni Sessanta e dei Settanta sia stata influenzata dalla loro
musica. Per Bam la loro
musica veniva dal cuore e infatti, pur parlando dei problemi sociali
dell'epoca, è ancor oggi piena
di forza e significato La combinazione tra un'
accattivante base ritmica e l'
impressionante forza
d'
urto dei testi lasciò il segno: proprio la consapevolezza del potere dei
testi è l'
eredità che i Last
Poets hanno lasciato all'
Hip Hop.
Con l'
arrivo delle grandi compagnie discografiche il rap ebbe accesso a canali di
distribuzione
impensabili fino ad allora e questa straordinaria capacità di penetrazione
moltiplicò
esponenzialmente il suo potere comunicativo. L'
iniezione di grandi capitali favorì la diffusione del
"messaggio" su scala mondiale.
Questo approccio contenutistico fu battezzato "message rap". Alla fine
dell'estate del
1982 Grandmaster Flash and The Furious Five lanciarono "The Message" su
etichetta Sugarhill.
Il testo combinava in maniera scioccante immagini crude e violente delle
strade di New Y ork con
richiami melodici e percussivi. The Message riuscì a combinare magistralmente
il potere di un
testo impegnato a una grande sensibilità pop. Tra i rap che riuscirono a
lasciare un segno nella
coscienza degli ascoltatori o che almeno fecero la storia del "message rap"
si ricordano: The
Bottom Line" dei South Bronx, "Problems of the World" dei Fearless Four, "You
gotta believe" di
Lovebug Starsky, "Bad Times" di Captain Rap e "!t'
s Life" di Rock Master Scotto In questo
periodo si mescolarono i più svariati contenuti, ispirati a un crudo realismo
sociale, provocato
dalle critiche all'amministrazione Reagan per i tagli alle spese nel sociale.
Nel 1984 negli Stati
Uniti ci fu un episodio epocale. La politica dei neri entrò in una nuova fase
dopo la decisione di
Jesse Jackson di entrare in corsa per le elezioni presidenziali dello stesso
anno. Riprendendo la
tecnica Hip Hop vennero sovrapposti ad un ritmo incalzante i discorsi di
Martin Luther King. La
campagna elettorale di Jesse Jackson trovò i suoi sostenitori nei Face 2000
con "Run Jesse Run"
e in Melle Mel con "Jesse". Lo spirito di rivincita dei neri divenne un
argomento estremamente
commerciabile. In molti se ne accorsero.
Non mancarono, naturalmente, le polemiche, per esempio, quando Keith LeBlanc,
ex batteri sta
della Sugarhill, mise insieme alcuni discorsi di Malcolm X accompagnati da
una dura base
ritmica: secondo molti il nazionalismo nero fatto da un batterista bianco e
da un'etichetta bianca
era un insulto. Il disco ricevette, comunque, l'
approvazione della vedova di Malcolm X.
L'
Hip Hop apparve, in questo periodo, nel pieno sviluppo dei propri mezzi
espressivi. La cultura
underground, ormai affiorata in superficie e consapevole della propria forza,
lanciò il suo grido di
battaglia: si andava verso un rap globale con una crescente capacità di
raggiungere i giovani e,
attraverso loro, l'
intera società.
Il 1982 fu l'
anno della musica elettronica. "Planet Rock", di Afrika Bambaataa and The
Sonic
Force, aprì un solco nel consolidato stile del Bronx, che ormai rischiava di
sbiadire. L'
electro
music era lo specchio di un'
epoca dominata dalle fantasie nate dal revival della fantascienza
(grazie al successo di "Guerre Stellari" e "Incontri Ravvicinati del Terzo
Tipo") e dall'
attacco di
massa sferrato dai videogame.
La cultura Hip Hop assorbì tutto quanto di innovativo poteva regalare l'
industria. Era diventata la
"nuova musica" perchè aveva saputo trovare un modo per assimilare tutte le
altre, come una
lunga corsa in metropolitana, con porte che si aprono su una musica diversa
ad ogni fermata.
L'
Hip Hop andava ormai oltre l'
etichetta, abbracciava tutto e tutti.
La definizione "global" spiega alla perfezione questa peculiare capacità di
non essere un
semplice genere; questa sua elasticità di base gli permise anche di penetrare
un tessuto sociale
fino a diventarne parte integrante.
Verso la metà degli anni Ottanta il rap visse, per molti, il suo apogeo.
Se da un lato l'
abbraccio con la mainstream cominciava a dare i suoi frutti, non tardò la
reazione
a un rap troppo commerciale. Nel 1985 ci si accorse che i dischi rap più
commerciali, quelli
passati alla radio, iniziavano a vendere poco. Tornò in auge il rumore, la
ribellione. Il primo passo,
compiuto da un trio destinato alla celebrità, i Run-DMC, fu quello di
utilizzare dei rock break per
far accettare la loro musica anche dai giovani bianchi. Il loro secondo album
"King of Rock",
lanciò la moda della fusione tra rap e rock. "Raising Hell", il loro terzo
album, dimostrò che
l'
industria rap stava ritrovando una grande fiducia. Basti pensare alla
famosissima "Walk This
Way", in collaborazione con gli Aerosmith. Se da un lato furono eliminate le
tastiere e tutti gli altri
rozzi tentativi di essere commerciali, la commercializzazione,
sorprendentemente, si spinse agli
estremi. "My Adidas", il primo singolo estratto da "Raising Hell", inneggiava
alle scarpe da
ginnastica. Ricevere un contratto di sponsorizzazione da una casa come la
Adidas apriva
orizzonti prima impensabili e sottolineava quanto il fenomeno Hip Hop potesse
produrre denaro.
Il terzo album dei Run-DMC entrò nella storia del rap perchè introdusse la
moda di incidere dischi
basati su frammenti di vinile consumato: era l'
esibizione di una volontaria trasandatezza e del
disinteresse per le convenzioni della registrazione in studio. Il rap stava
tornando all'
originale
rumore, al caos delle esibizioni live: era però alle porte il declino dal
punto di vista della sua utilità
sociale.
I Run-DMC sono Joseph Simmons (Run), Darryl McDaniels (DMC) e il Dj Jam
Master Jay. Si
sono conosciuti grazie al gioco del basket, mentre Run faceva da apprendista
impresario e Darryl
imparava il mestiere di Dj; cominciarono a fare rap nella cantina di quest'
ultimo. I loro pezzi sono
poesie murali trasferite direttamente su disco, scandite su un pistone
ritmico implacabile. Gli
abbellimenti si limitano a pochi colpi ritmici di tastiera o a un basso che
precede parallelo alla
grancassa, a effetti sonori ed a suoni scratch. Nonostante la sua apparenza
tetra, la musica fa un
uso astuto dei richiami: la sua ballabilità, la sua intelligenza e il suo
generale ottimismo la
distingue dalla corrente pessimistica del rock.
Per quanto riguarda l'
aspetto economico, invece, la scalata cominciò in questo momento e si
consolidò nei dieci anni successivi.
Alle soglie degli anni Novanta i ragazzi che continuano a vivere nelle strade
sentono ancora il
bisogno di un rap che parli della vita di strada, dell'
orgoglio nero e delle sparatorie. Musiche e
testi tornano ad essere densi, disordinati, aspri, un accavallarsi di urla e
grida. I giudizi negativi
contro il rap si sprecano: piovono accuse di immoralità nei confronti di
quanti si ostinano a
celebrare la vita nei bassifondi, l'
uso delle armi da fuoco, la droga, il rumore più assoluto. La
musica più brutale della seconda metà degli anni Ottanta viene prodotta da
Scholly-D e da DJ
Code Money: l'
ispirazione viene direttamente dalle città dove i bambini vendono crack per
le
strade e dove adolescenti muoiono per rubare un paio di scarpe.
Washington in questo periodo fece registrare il triste primato di un morto
ogni sedici ore.
L'
industria musicale non si fece sfuggire la tendenza del momento. Comparvero
di Beastie Boys
ed i loro testi di violenza. Ma i Beastie Boys erano bianchi che trascinavano
i giovani bianchi nella
musica nera attraverso l'
energia del rap e il fascino di una vita triste ma attraente. Erano figli di
professionisti affermati, non venivano dal ghetto: si divertivano a fare
musica da gangster,
deliberatamente sgradevole e offensiva, ma buona e capace di risvegliare le
paure conservatrici.
"Licenced to III" si rivelò l'
album di debutto venduto più in fretta in tutta la storia della Columbia.
Un album intelligente, divertente e divertito, un lavoro che mescolava pezzi
pop con pezzi B-Boy.
In breve il gruppo divenne "il flagello del decoro mondiale" e fu preso di
mira dai media
bacchettoni.
Ormai il rumore era tornato ad avere il sopravvento. Il pubblico rap si era
diviso ed era cresciuto.
C'
erano differenze persino tra il pubblico afro-americano e quello ispanico.
Questi ultimi erano
rimasti fedeli al suono electro di Planet Rock cui avevano aggiunto le
percussioni latine.
Nacquero tuttavia una serie di giovani cantanti e di gruppi femminili, come
le "Esposè" e le "Cover
Girl" che raggiunsero le classifiche con dischi che erano ibridi di pop, Hip
Hop, disco e salsa.
Esistevano ormai un pop rap, un hardcore rap, un reggae rap, un soul rap, un
black rap, un
regional rap, un multi-national rap, un latin Hip Hop e varie mutazioni della
disco music.
La East Coast produsse nel 1987 un gruppo capace di riportare il rap alle
origini, liberandolo dalla
tirannia della commercialità e della carriera musicale: i Public Enemy. Il
loro scopo era salvare il
rap dall'
incubo del materialismo, riavvicinandolo all'
agitazione politica e alla propaganda. I Public
Enemy rifiutarono l'
immagine del rapper appesantito da grosse catene d'
oro e promossero
provocatoriamente l'
immagine di giovani neri come nemici dello Stato, posti nel mirino.
Incoraggiarono una nuova ondata di sostegno al nazionalismo nero e
all'afrocentrismo tra la
gioventù afro-americana. Suscitarono un vespaio col loro modo di esporsi
metaforicamente con
allusioni antisemitiche (più che altro frutto di interpretazioni forzate
della stampa) e con un look
alla "Black Panther" con basco, uniforme mimetica e armi in pugno. Conscio
della forza d'
urto che
l'
Hip Hop aveva saputo creare, Chuck D, leader degli Enemy, definì il proprio
gruppo come la
CNN dei neri d'
America. Laureato e colto, lavorò da subito a un concetto che portava il rap
fuori
dai confmi statunitensi, raggiungendo ogni parte del mondo. Si potrebbe
definire il rap degli
Enemy colto e maggiormente consapevole.
Sulla scia dei Run-DMC legò il suo messaggio di protesta anche al rock
bianco, acquisendo una
sempre più larga audience. A testimonianza di questo legamealleanza ecco il
tour mondiale del
1991 in coabitazione con gli Anthrax. Chi ha potuto assistere all'
esibizione di Milano di quell'
anno
ricorda la surreale combinazione del pubblico: metallari e hip-hopper
mescolati e accomunati
nell'
apoteosi finale dello show, quando i due gruppi di riunivano sul palco
eseguendo "Bring the
Noise".
Intanto nella West Coast il rap stava ormai spopolando. Dotato di uno stile
più crudo e violento,
nato in un ambiente dominato dalla guerra tra bande (che, al contrario della
East Coast, era un
problema ancora attuale), cominciava la scalata delle classifiche e dell'
impopolarità, non solo tra
l'
establishment, ma anche tra alcune frange della comunità nera e ispanica.
Accanto ai Public Enemy, insuperabili sostenitori del ritorno alla propaganda
furono gli N.W.A.
(Niggers With Attitude, negri con talento). I loro testi promuovevano l'
idea che il vero Vietnam
fosse nelle strade di Los Angeles. Il loro primo disco fu una specie di
reportage giornalistico dai
toni violenti e scandalistici. Un loro singolo, "Dope Man", vendette
nonostante le radio, più o
meno costrette, si rendessero complici di un vero e proprio sabotaggio. Gli
N. W.A. seppero
sfruttare magistralmente la notorietà regalata loro dai media. Il video
promozionale di "Staight
Outta Compton" utilizzava pezzi di reportage fatti da reti televisive come la
CNN e venne bandito
da MTV per le immagini di violenza gratuita contenute. Gli N.W.A.
cominciarono a destare
preoccupazione. Un sempre maggior numero di adolescenti (anche bianchi!)
comprava un disco
di una sconosciuta etichetta indipendente nera senza il consueto supporto
pubblicitario. Il singolo
"Fuck the Police" fu bersagliato dalle polemiche, "the art of sucking dick"
(che non traduco per
ovvie ragioni di buon gusto) non suonò bene a molte orecchie.
Un numero sempre maggiore di gruppi cominciò ad attaccare apertamente il
potere politico con
singoli come "Bush Killa" dei Paris. Ice- T, non pago delle sue produzioni
rap, si esibì con un
gruppo chiamato Body Count che fu pesantemente censurato a causa di una
canzone, "Cop
Killer", che, secondo le istituzioni, inneggiava ad uccidere i poliziotti.
Impossibile non nominare un gruppo come i 2 Live Crew che con il loro "As
Nasty as We Wanna
Be" non solo dominarono le classifiche, ma innescarono una violentissima
polemica correlata da
battaglie legali e da tentativi di oscurare la validità del primo emendamento
della costituzione
statunitense, quello che garantisce la libertà di parola ed espressione.
Il linguaggio apertamente volgare e deliberatamente provocatorio spinse folle
di puritani a una
ribellione che coinvolse autorità federali e religiose. Risultò evidente da
subito che, al di là delle
polemiche e delle azioni legali, il potere della parola rap aveva ormai
trovato la sua
consacrazione. Il gergo e gli atteggiamenti del ghetto erano ormai entrati a
far parte del
linguaggio quotidiano dei giovani americani. Ma il vero terrore derivava dal
vedere un giovane
bianco middle-class rappare con le cuffie in testa e atteggiarsi a gangster.
A partire dai primi anni Novanta, contaminato dall'
aggressione dei media e dal successo di alcuni
gruppi, il rap venne visto come un modo per sfuggire alla realtà del
sottoproletariato urbano
americano alla ricerca di fama e denaro. Per un nero americano fino ad allora
la scorcitoia per la
vita era rappresentata esclusivamente dagli sport, adesso c'
era anche l'
Hip Hop. Ma questa
nuova consapevolezza non sedimentò esclusivamente nella comunità afroamericana e così
l'
America si ritrovò con rapper provenienti da ogni dove: Samoa, Cuba, Corea,
Messico, Haiti,
Repubblica Dominicana, Cina, India. Le lingue, come i valori delle diverse
tradizioni culturali, si
mischiarono fondendosi in totale libertà.
Al nascente Gangsta rap della West Coast si oppose un genere che ne prendeva
nettamente le
distanze. Nel 1988 fecero la loro comparsa sul mercato due singoli destinati
a scrivere la storia
del rapo La Idlers pubblicò "Because I Got Like That" dei Jungle Brothers; la
Tommy Boy
Records pubblicò "Plug Tunin" dei De La Soul. Il primo pezzo, dal sapore
festoso, era un rap
melodico e rilassato; il secondo prendeva dei vecchi break e li rallentava
portandoli a una
andatura a metà tra lo ska e il reggae, il cosiddetto ROCKSTEADY. Entrambi i
gruppi fissarono
nuove tendenze, cambiando in maniera radicale il suono vocale, i contenuti, i
campionamenti
musicali, i ritmi, l'
abbigliamento, l'
acconciatura dei capelli e la filosofia. Posdnous e Trugoy the
Dove, portavoce dei De La Soul, indossavano abiti sformati in tessuto nero e
a fiori, portavano i
capelli sfumati e cortissimi e talvolta, scolpiti sui capelli, i simboli
della pace. Sembrò la fine delle
catene, dei denti e degli anelli d'
oro: dopo un'
epoca all'
insegna della stravaganza, molti rapper
cominciarono a seguire una nuova moda fatta di collane e bracciali africani
in cuoio, nastri, tessuti
africani e ampi vestiti: una sfida seria alla violenza del Gangsta Rap e allo
shock innovativo dei
Public Enemy. Poco alla volta scoppiò anche la moda delle citazioni: Doug E.
Fresh e Slick Rick
citarono Michelle dei Beatles in La-Di-Da-Di, M.C. Craig rielaborò Shout dei
Tears For Fears, la
Karton Krew riprese il tema di Inspector Gadget. Gli avvocati, allertati già
dai tempi di Rapper's
Delight, cominciarono a far pulizia scientificamente.
All'
inizio degli anni Novanta moltissimi consumatori di musica scoprirono un tipo
di rap che
suonava meglio di quello autentico. Dopo anni vissuti ai margini, alla fine
il rap sbaragliò la
concorrenza. L'
approccio più "easy" di gruppi come i già citati De La Soul e Jungle Brothers
e poi
Arrested Development e Digable Planets per finire con A Tribe Called Quest
portò una ventata di
simpatia verso il rap ammorbidendo le polemiche causate dal Gangsta.
Un richiamo al classico "Peace and Love" dei figli dei fiori, a maggiore
spiritualità e un
attaccamento alle radici africane e una sensibilità spiccata per tutto ciò
che aveva un sapore
etnico rendeva il prodotto rap improvvisamente dotato di un'
anima.
La società statunitense, dove lo stereotipo rassicura e serve da paravento
all'
ignoranza e
all'
ipocrisia dilaganti, accolse a braccia aperte questa "New School" all'
interno di un movimento
Hip Hop che aveva assunto l'
immagine di un'
armata da combattimento e di nemico pubblico.
Eppure l'
impronta non si allontanava molto da quella del temutissimo Gangsta, perchè
entrambi
sfruttavano la stereotipizzazione.
Da un lato c'
era l'
idea del gangster che vive tra pallottole, droga e femmine compiacenti e
sottomesse che aveva, non a caso, affinità con lo stereotipo del Macho Nero
dei film
Blaxploitation degli anni Settanta. Dall'
altro l'
idea dell'
uomo meditativo, in comunione con le
vibrazioni della natura e attaccato alla terra che riprendeva l'
immagine degli hippy dell'
era
psichedelica.
In entrambi i casi il prodotto era altamente vendibile.
Il rap, ormai entrato nella sua fase mainstream, divenne creatore di mode.
L'
anima Hip Hop è oggi viva e vegeta e la si percepisce per le strade, nei
locali, nelle parole, nei
gesti della gente. Essa influenza quotidianamente la vita di una gran parte
degli Stati Uniti ma la
sua manifestazione artistica, in particolare la musica rap, è ormai parte del
meccanismo di
produzione seriale del mainstream.
Due momenti in particolare esplicitarono il consumarsi di questo rito di
passaggio. Fu l'
ascesa di
coloro che vennero etichettati come "sucker" e che se da un lato portarono l'
Hip Hop alle stelle,
contribuirono dall'
altro a gettarne lo spirito che lo pervadeva alle stalle. Arrivò il momento
di
Vanilla Ice e di Mc Hammer. Parlando a nome dei cristiani, Mc Hammer vendette
tante copie del
suo "Please don'
t hurt'
hem" da arrivare a fare concorrenza a Michael Jackson; parlando a nome
dei gangster fasulli, "To the Extreme" di Vanilla Ice fu l'
album rap venduto più rapidamente nella
storia del genere. Hammer e Ice dominavano le classifiche: la musica forse
era fiacca, ma la loro
immagine si adattava perfettamente alla nuova generazione di MTV. Orde di fan
trovavano più
facile digerire la loro musica che non quella dei Public Enemy. Il rap era
scisso in un'
ala
autentica, sempre più striminzita, e in una commerciale, in ascesa verticale.
Più l'
American
Mainstream identificava il rap con i successi pop e più il genere si prestava
a sostenere il fardello
del degrado umano. Pur in presenza di case indipendenti pronte a pubblicare
dischi eccessivi,
che nessun altro avrebbe preso in considerazione, le major discografiche
tentarono di assorbire
tutto, anche i prodotti più repellenti del repertorio indie, nel tentativo di
soggiogare qualunque
concorrenza. La nuova vena "pop" si esplicitò nella fusione tra reggae e Hip
Hop. Erano gli inizi
degli anni Novanta e Shabba Ranks si accompagnava a Big Daddy Kane, Rob Base
e Slick Rick.
C'
era tuttavia chi si indignava per illimitato talento musicale e il grande
successo di Mc Hammer e
Vanilla Ice. Hammer, pur se per un periodo limitato, entrò di diritto in
quella categoria di artisti che
avevano capito quanto la musica da sola non bastasse a far guadagnare l'
olimpo della celebrità.
Con i suoi ampi pantaloni arabeggianti, i suoi occhiali e il suo
personalissimo stile di ballo,
divenne marchio di fabbrica di se stesso con pezzi talvolta sciatti, ma con
uno stile
immediatamente riconoscibile e ricercato dal pubblico. Il passo verso l'
accordo pubblicitario con la
Pepsi fu breve. Non stupirono i due pupazzi Hammer prodotti dalla Mattel e il
nome usato per una
serie di videogiochi di successo.
"Quest'uomo ha un video nascosto dentro di sè, "Pump il Up" indica che questo
danzatore
superveloce, accompagnato da un gruppo di ballerine e ballerini, sta portando
nuove idee e
nuove energie nella performance hip hop"
Nelson George, studioso e giornalista hip hop, nella sua colonna sul giornale
"Billboard" del 1989
Nonostante questo suo mancato talento e il suo grandissimo successo, Hammer,
come Vanilla
Ice, provocò rabbia all'
interno del rap, ma tanti furono contenti di vederlo innalzato a quei livelli
nell'
industria dell'
intrattenimento. Lo spettacolo era, dopo tutto, un'
industria e Hammer ne
abbracciava tutte le richieste e possibilità, evidentemente ritenendo che il
sogno americano fosse
solo un mito. Nato in una famiglia numerosa di Oakland, Hammer frequentò per
un pò il college;
passò poi al basket professionistico e in fine si sistemò per un pò in
marina. La sua prima
impresa musicale fu un duo rap chiamato "Holy Ghost Boys", ma dopo il
fallimento di
quell'
esperienza si lanciò a capofitto nel regime punitivo che lo ha condotto al
successo.
La costruzione dell'immagine commerciale toccò la vetta della finzione con
Vanilla Ice, cantante
rap bianco, alto, con zigomi spigolosi, immagine del Capitan America con il
sogno illusorio di far
rivivere il mito di Elvis Presley. Vanilla Ice prese il nome da un tipo di
droga e cercò di accreditarsi
un'
immagine da gangster violento, ispirato dalle armi, dalle fruste e dalla
droga. Veniva tacciato di
voler apparire più nero dei neri ma i suoi giovani fan bianchi, forse
attirati dalla voglia di recitare la
parte dei neri, lo seguirono in tutti i suoi passi. L'
ascesa di Vanilla Ice rappresentò la definitiva
accettazione del rap da parte dell'industria musicale.
Vanilla Ice e Hammer avevano prodotto un nuovo concetto rap sempre più simile
al "pop".
Hammer ballava e cantava, come una vedette dello spettacolo; Vanilla Ice
raccontava di una vita
spesa nel ghetto, immerso nella violenza, pur non avendoci mai messo piede,
se non per sbaglio.
Si era creato un prodotto, con tanto di strategia marketing alle spalle e se
lo era venduto bene.
Quello che oggi sentiamo in radio o vediamo in televisione è figlio di questa
scoperta: è rap
sicuramente affabile e piacevole, ma preconfezionato e studiato a tavolino e,
quel che più
avvilisce, standardizzato. L'
ascesa straordinaria di un producer come Puff Daddy è stata resa
possibile proprio da questo stato di cose. Il suo concetto era semplice:
perchè non utilizzare tutti
quei grandi successi che chiunque amava e ballava come background per un
testo rap? Come lui
stesso ha ammesso, quello che aveva in testa era un concetto, un'
idea, ma non sapeva che lo
avrebbe portato così lontano. Analoghi sono da considerare i successi di
Coolio e Will Smith che
nel solco di Puff Daddy hanno costruito produzioni milionarie.
Eppure esiste ed è sempre esistito un "sottobosco" prolifico che cresce e si
sviluppa all'
ombra
degli alberi del mainstream. E'una nuova forza underground che ha sostituito
quella originale,
immolatasi al dio denaro. In tutti questi anni, infatti, non è mai venuta a
mancare una frangia di
"veri" combattenti che premono per un ritorno a un rap dotato delle qualità
originali. La New
School dovrà fare i conti prima o poi con una New-New School, già citata, che
endemicamente
sopravvive.
Il carrozzone Hip Hop è diventato un'
industria che non si limita a dominare la scena musicale.
Numerose sono le case di moda dichiaratamente Hip Hop e la televisione, il
cinema, la letteratura
sono permeati da questa cultura. Russel Simmons, che ha lanciato i Run-DMC
quando ancora
l'
Hip Hop era "puro", non ha però rinunciato a cavalcare l'
onda evolutiva di quella antica creatura.
Cominciò pochi anni fa la seconda stagione del suo Def Poetry Jam, un
progetto culturale
multimediale che è finito anche a Broadway.
Tutto questo è reso possibile dal fatto che il linguaggio delle giovani
generazioni è ormai
fortemente influenzato dal gergo Hip Hop: se di crisi si può parlare sembra
comunque evidente
che questo illustre malato abbia ancora grandi potenzialità.
Seppure il futuro è cosa oscura (ai più), una cosa è certa: dopo trent'
anni di Hip Hop il mondo è
cambiato.
PRINCIPI DELL’HIP HOP
Nell'
Hip Hop ci sono alcuni principi inattaccabili.
Entrando nello specifico di questi testi rap che, come visto, hanno fatto
molto parlare di loro, è
interessante porre l'
accento su alcune tematiche, particolarmente care a quel rap nato seriamente
dal ghetto, il vero rap, il puro. Innanzitutto bisogna notare come una delle
più feroci polemiche
innescate dal rap sia legata all'
uso di una terminologia estremamente volgare. E qui si inserisce
anche la prima grande tematica: le donne. E' un errore circoscrivere il
problema all'
uso
apparentemente gratuito di un gergo ingiurioso, poichè il linguaggio rap
implica una lettura multi
dimensionale. L'
Hip Hop fa parte di una società in cui sessismo, violenza, antisemitismo e
razzismo sono problemi radicati e sarebbe ridicolo additarlo come la loro
causa. Inoltre l'
intero
ambiente dell'
industria musicale (non solo quello Hip Hop) è pervaso da un rampante e
viziosamente accettato sentimento sessista e i testi rap contribuiscono in
minima parte a una
consuetudine che da sempre domina il business musicale.
Nonostante ciò, negli ultimi anni, l'
industria musicale ha puntato molto sulle artiste donna tanto
che, specialmente nel mondo Hip Hop, vi è stata un'
impennata nella produzione e nella vendita di
musica al femminile e un notevole incremento di presenze nel breaking e
soprattutto nel writing (i
graffiti). C'
è anche chi sostiene che non sempre le ragazze siano vittime della
discriminazione,
ma anzi ne traggano piccoli vantaggi. La tesi sembra confermata da molte
writers (coloro che
fanno i graffiti) che spesso si vantano di essere state fermate nella notte
mentre disegnavano (il
termine utilizzato dagli hip hopper è TAGGARE) e di essersela cavata facendo
le vaghe e
comportandosi in modo carino ed educato. Se una ragazza sola nella notte ha
un problema con i
poliziotti, difficilmente viene fermata perchè molti non credono che le
ragazze facciano graffiti.
Riguardo alla volgarità dei testi, le stesse donne che si lamentano di un
trattamento sessista
riconoscono che la terminologia usata dai colleghi maschi non le offende più
di tanto e sono
consce del fatto che il valore della parola, nel rap e nella tradizione orale
nera in generale, è
spesso simbolico. Per molte, anzi, è il comportamento stesso delle loro
simili a giustificare l'
uso di
certa terminologia. Nei quartieri molti ragazzi, però, si rivolgono alle
proprie donne come ad un
cagnolino; ancor oggi esse sono considerate una "emanazione" dell'
uomo, incapaci o inadatte a
svolgere determinati compiti senza l'
aiuto, il permesso o l'
approvazione dell'
altro sesso. Ma non è
più così.
L'
idea che una donna faccia qualcosa ritenuto "da uomo" mette in serio
imbarazzo l'
universo di
credenze del maschio, che è obbligato a confrontarsi con un'
eventualità a cui non era preparato e
che cerca di ignorare. Di conseguenza, con un atteggiamento difensivo e
miope, le ragazze
vengono accusate di farsela con persone che non hanno mai visto, perchè per
molti ragazzi è più
facile pensare che possano taggare in giro per le loro conquiste di sesso. Al
contrario, è duro da
digerire che una donna faccia bene, se non meglio, quello che fanno gli
uomini!
Nell'
immaginario di molti writers, la donna è una specie di mascotte che ha il
diritto di fare graffiti
solo se affiliata a una crew di maschi o donna di uno dei suoi membri. La
realtà è un'
altra: le
donne hanno una vita indipendente da quella degli uomini. Sono in grado non
solo di essere
parte autonoma di un movimento, ma contribuiscono anche a fado crescere,
visto che certi lavori
non solo competono con quelli dei ragazzi, ma li superano; inoltre spesso
sono le stesse donne a
definirsi "BITCHES". Non sembri strano. Ciò accade perchè, come dicevamo
prima, le parole
hanno un significato che va oltre quello originario. Ogni cultura ha un
sistema di credenze o
atteggiamenti che a un'
altra possono sembrare assurdi se non censurabili e se è lecito
condannare quelli che nuocciono a quei principi identificabili in un
patrimonio riconosciuto
universalmente, in tutti gli altri casi entriamo semplicemente in contatto
con atteggiamenti distanti
da ciò che noi riteniamo giusto. La parola non sempre deve essere considerata
per quello che è:
deve essere interpretata.
"Ieri sera ero fuori con una ragazza, una delle più belle e intelligenti
persone che abbia mai
conosciuto e, anche se la rispetto, non dico che faccio bene, nella mia testa
dicevo a me stesso:
Wow, questa è una delle più belle bitches che abbia mai conosciuto, ma io so
cosa intendo. "
Nile Rodgers
Da questa frase risulta chiaro che gli hip hopper hanno piena consapevolezza
che sarebbe più
educato non etichettare le donne con parole volgari, ma mostra anche
altrettanta consapevolezza
del perchè utilizza quella determinata espressione. Sa di non voler offendere
la donna, dovesse
esprimere lo stesso pensiero ad alta voce in presenza di terzi o della
persona interessata,
saprebbe utilizzare un linguaggio più appropriato. Ciò che conta è il
significato intrinseco delle
parole. Se ci si trova, però, in presenza di persone capaci di decifrare
questo tipo di linguaggio
informale e, per loro, divertente, non esistono ragioni per non adottarlo.
Bisogna inoltre richiamare un appunto che si faceva sopra: il termine
"puttana" riferito alla donna
nei testi delle canzoni rap viene utilizzato perchè, forse, c'
è la consuetudine di una parte di queste
donne, a comportarsi in maniera tale da suggerirne l'
impiego. In una realtà in cui il denaro e il
successo sono sogni quasi irraggiungibili, le donne, che già hanno meno
opportunità dell'
uomo di
arrivare alla cultura e al mondo del lavoro, è comprensibile che cerchino il
sistema più rapido e
sicuro per migliorare la loro posizione: la caccia all'
uomo ricco. Gli artisti sono un ottimo bersaglio.
Molto spesso, quindi, sono le donne stesse a porsi nella condizione di essere
definite bitches e
non è un punto di vista maschile, dato che molte donne lo sottolineano.
"Al principio, ovviamente, ero offesa dalla parola di cinque lettere (bitch).
Poi una volta coinvolta
nel mondo del rap e conosciuti molti rapper, ho capito che loro mi
rispettavano e che non stavano
parlando di me. E ci sono donne là fuori che sanno essere bitches; non sarò
io a negarlo. Ci sono
donne là fuori che sono cercatrici d'oro ed è naturale che i rapper poi ne
parlino. "
Yo Yo, rapper
Un'
altra tematica fondamentale è quella del razzismo. In una realtà degradata di
persone di tutti i
tipi, è facile additare la comunità bianca come detentrice di un potere
ingiusto e corrotto. E'per
questo che molti neri, tra cui anche Afrika Bambaataa e la sua crew, sono
razzisti.
"Il mondo là fuori è bianco!"
C'
è da dire, però, che, solitamente, questo razzismo non è una costante. Gli
artisti hanno un
atteggiamento più cauto, l'
ostilità verso i bianchi varia generalmente, in base alle esperienze di
ognuno. La constatazione che l'
America sia dominata, specie nelle grandi città, da un contesto
multietnico e multi culturale spinge molti artisti e osservatori della
comunità a riconoscere
l'
importanza della ricerca di un punto d'
incontro non solo tra la cultura bianca e nera ma fra tutte
le culture presenti. C'
è bisogno di molte voci e talvolta è necessario che siano persone bianche a
parlare. Il razzismo è una malattia generalizzata, non un problema
circoscritto al mondo dell'
Hip
Hop che, al posto di contribuire alla sua propagazione, dovrebbe contribuire
a sconfiggerla. In un
ambiente nel quale la violenza e il rancore sono sentimenti connaturati al
territorio, episodi
associati a questioni razziali sono spesso frutto della rabbia derivante
dalla povertà, dal degrado
imperanti. Gli stessi ragazzi delle crew escludono che nel quartiere la
violenza sia sempre legata
ai conflitti razziali. Il razzismo, su una sponda o sull'
altra, è alimentato dall'
ignoranza, intesa
propriamente come "non conoscenza".
Molti rapper cercano di supplire a questo con parole contro il pregiudizio,
per sensibilizzare le
persone, per acculturarle, per far loro capire che forse il nemico non è poi
così distante e tanto
meno così sordo. L'
odio non paga, il rancore neppure. Questi MC hanno la missione di aiutare la
propria gente a trovare una giusta via.
"Tutti siamo umani. Non mi stanco di dire che è solo questione di colori.
Perchè se tu mischi i
colori, nessuno, geneticamente, è il 100% di quello che erano i suoi. "
Rakim, rapper consapevole ed intellettuale.
Una delle cose fondamentali per gli hip hopper è l'
affermazione di sè, la coscienza del proprio
ruolo e delle proprie origini. La fedeltà a questo principio assicura il
rispetto, che è valore
determinante nella scalata alla notorietà: senza rispetto la credibilità
viene a mancare, annullando
il valore del successo. Un vero hip hopper vuole essere orgoglioso di sè, non
vuole abbassare gli
occhi di fronte a nessuno; per questo il successo di due frnti hip hopper
come Mc Hammer e
Vanilla Ice non conta: non avranno mai il rispetto dei veri rapper perchè si
sono piegati alla
commercialità, al dio denaro.
Per i rapper l'
orgoglio è un sentimento difficile da conquistare, ma ripaga di qualunque
sforzo e
questa consapevolezza è frutto di un percorso ricco di insidie e
trabocchetti. Essi hanno una
straordinaria determinazione a voler cambiare le cose, a volerle migliorare,
e questo porta a
motivazioni insperate, a sviluppare una personalità propria ed indipendente.
Una volta usciti dal
guscio della propria famiglia, della propria crew o della propria gang, però,
si deve essere pronti a
lottare in un ambiente ostico e pericoloso in cui le difese devono essere
rinforzate. La coscienza
storica della propria esistenza ha una grande importanza, perchè offre un
punto di riferimento
saldo e sicuro. Conoscere e non dimenticare le proprie radici aiuta a
perseguire i propri obiettivi
senza esitazioni. Sapere chi sono, da dove vengo e dove vado permette di
avere rispetto di sè e
di conquistarlo negli altri.
Nella comunità afro-americana, però, la ricerca delle proprie origini spesso
non è un avvenimento
indolore e automatico, ma segna un rito di passaggio che può lasciare un
profondo segno nella
maturazione dei giovani. L'
accesso alle informazioni, accompagnato all'
entusiasmo di
apprendere, genera un cortocircuito intellettuale nelle menti degli studenti
neri che arrivano al
college, perchè l'
imponente mole di stimoli assorbiti non riesce ad essere "digerita" in tempo,
questo processo viene chiamato "SHOCK CULTURALE NERO".
Quando questo non avviene, però, si genera nella mente delle persone un
orgoglio della propria
negritudine e delle proprie tradizioni molto forte che fa da arma e scudo
assieme. Per i giovani
neri proprio questo orgoglio è considerato sopravvivenza. Un nero orgoglioso
di esserlo, è un
nero definito TRUE (vero) e questa etichetta è il lasciapassare per il
rispetto di tutti gli altri.
Le origini, le tradizioni, quello che una persona veramente è, viene
sviluppato, poi, in tutta l'
arte
Hip Hop, dal rap, ai graffiti, alla danza.
"...psicologicamente, mentalmente e fisicamente devi essere sintonizzato con
te stesso... salire là
sopra (sul palco) e dire: questo è quello che faccio!".
Naptron
Il problema nacque soprattutto quando i rapper cominciarono ad entrare nel
business: prima tutti
avevano la propria tag, ossia la propria firma, il loro tocco personale, ma
una volta entrati nel
gioco dell'
industria questa individualità rischiava di perdersi, questo orgoglio di sè
rischiava di
andare distrutto a causa dei nuovi obiettivi e delle nuove opportunità che si
presentavano,
sempre più grandi. Molti rapper capirono appena entrati che, se non si
fossero tenuti stretti le
proprie origini, si sarebbero bruciati: andava bene farsi conoscere al mondo,
ma bisognava che il
mondo ti conoscesse com'
eri realmente. L'
interazione con la moltitudine doveva essere vista
come un momento di arricchimento, di crescita: il fine è comunque lottare per
sè stessi e per la
comunità, sbandierando con orgoglio le proprie origini ed essendo consci e
fieri di rappresentarle.
Non sembra assurdo, quindi, pensare che nel mondo Hip Hop all'
inizio ci fosse davvero il
progetto di una società di mutuo soccorso, responsabile e rispettosa; questo
obiettivo
sicuramente c'
è ancora in quel sotto strato di hip hopper che non si sono votati alla
mainstream e,
forse, anche in alcuni di quelli che invece lo hanno fatto.
Proseguendo nell'
approfondire la propagazione dell'
Hip Hop, bisogna notare la sua forza,
contraddistinta da una sorprendente flessibilità, che lo rende capace di
adattarsi e riciclarsi senza
sosta, in continua espansione e rivoluzione. La sua influenza è pervasiva, è
sopravvissuto a tutti i
suoi detrattori e addirittura a chi lo aveva sostenuto sin dalle origini.
Questo perchè è in continuo
cambiamento. Considerare questo movimento esclusivamente della comunità nera
è un errore
comune.
Se gran parte del rap usa la lingua in stretta e preferenziale relazione con
la cultura nera e
descrive le problematiche dell '
uomo nero nella società urbana americana, non si limita però a
raggiungere la gente di colore.
Un altro elemento fondamentale dei testi dell '
Hip Hop è l'
uso del pronome "THEY" (loro) che
indica, genericamente, una forza esterna e ostile che ostacola qualunque
cambiamento essi
incoraggino e propongano. Questa "forza oscura" è incarnata dalle
istituzioni, dalle varie agenzie
governative, dalle forze di polizia, dall'industria discografica, dagli
istituti religiosi e da quant'
altro
ad essi si unisca.
La costante e violenta opposizione al cambiamento portato dall'
Hip Hop ha radici salde,
individuabili in uno stato di cose preesistente. Ai suoi esordi il movimento
fu considerato un
fenomeno passeggero e pressoché ignorato dal potere istituzionalizzato, ma la
sua affermazione
e diffusione a livello nazionale cambiarono le carte in tavola. La visibilità
degli artisti rap tra i
giovani di tutte le razze crebbe a tal punto da scatenare la mobilitazione
dei gruppi di censura e la
proporzionale crescita dell'
ossessione dei media per violenza. Diretta conseguenza fu una rapida
crescita d'
interesse da parte dei giovani bianchi dei "suburbs" americani. Tuttavia il
fenomeno
rimase circoscritto alle comunità che lo avevano generato.
La crociata contro l'
oscenità promossa dai diversi organi istituzionali e religiosi nascondeva ben
altre preoccupazioni. In un articolo intitolato esplicitamente "The issue is
fear" e pubblicato sul
numero dell'8 settembre 1990 di "Rolling Stone", si faceva notare come il
vero problema non
fosse l'
oscenità dei testi delle canzoni rap, ma la necessità di proteggere i propri
figli rivelasse la
paura di una cultura predominante, vecchia e "bianca", che controllava le
strutture al potere e che
temeva una cultura giovane e "nera" in grado di creare un medium chiamato
rap, abile a mettere
in comunicazione i giovani.
Queste paure portarono ad un vertiginoso incremento della censura, che, agli
inizi degli anni
Novanta, toccò livelli preoccupanti e che finì col coalizzare i sostenitori
del rap e della libertà
d'
espressione, alimentando la curiosità di persone totalmente aliene a questa
cultura.
Anche le istituzioni religiose non persero l'
occasione di far sentire la propria voce. Il reverendo
Calvin Butts divenne l'
icona della lotta al rap: definiva i party di strada come un'
occasione per
assumere droghe, fornicare e comportarsi in maniera deviante. Per anni
predicò contro il rap
arrivando a schiacciare, davanti alla sua chiesa, dischi rap per protesta.
Quest'
accanimento scatenò un coro di proteste.
In un'
intervista rilasciata al "Rolling Stone" nel dicembre del 1990, Anthony
Kiedis, dei Red Hot
Chili Peppers, sosteneva l'
impossibilità di ignorare gli abusi della censura. Era evidente, a suo
avviso, che si stesse iniziando a oltrepassare le leggi. Un'
iniziativa di quel periodo ci aiuta a
capire la portata della polemica che infiammava in quei giorni.
Ieff Ayeroff, della Virgin Records, si mise a capo di una coalizione di major
dell'
industria musicale
accompagnato dallo slogan "Rock the Vote". Si proponeva di organizzare forze
che spingessero i
giovani tra i diciotto e i ventiquattro anni, generalmente considerati la
fascia meno interessata alla
politica, a prendere parte al processo politico e a far sentire la loro voce
laddove fosse
necessario. Non era accettabile che si cercasse di chiudere bocche e occhi
con una censura
selvaggia e definita fuorilegge, perchè il problema esisteva e aveva il
diritto di essere visibile.
"Vogliamo solo che voi…là fuori sappiate un paio di cosette:
- Avete dei problemi. Uno dei vostri problemi è che non avete idea di come
rapportarvi a noi.
- Dovete smetterla di scappare dai vostri problemi. Ciò li rende ancora
peggiori.
- Abbiamo intenzione di rendervi la vita ancor più difficile; abbiamo
intenzione di continuare
a confrontarci con voi. Se scappate da noi, noi continueremo a starvi dietro
...
- Magari riuscirete ad evitarci per un pò, ma non riuscirete ad evitare il
nostro pensiero.
Evitandoci, non rendete completa la vostra vita. Vi continueremo a martellare
con la
musica, i graffiti e tutto quello che vi gettiamo addosso ogni volta che
sgattaiolate dietro
l'angolo. I vostri figli vi sputeranno addosso un linguaggio che hanno
imparato da noi.”
William Upsky, chiarendo esaurientemente la realtà imperversante.
Parlando di parole, è ora bene distinguere tra i veri hip hopper, di cui
abbiamo già delineato le
caratteristiche ed i cosiddetti "sucker". Nel mondo Hip Hop, dare del
"sucker" a un MC per
screditarlo ha sempre fatto parte del gioco. Le motivazioni che hanno
originato questa definizione
risiedono nella credibilità del rapper. Come già sottolineato, un MC deve
avere la sua credibilità o
difficilmente si guadagnerà il rispetto del mondo in cui ha fatto il suo
ingresso. La popolarità e le
vendite non contano nulla agli occhi di chi è parte del mondo Hip Hop, anzi
è, spesso, la
popolarità a portare invidie e rancori e con esse l'
etichetta di "sucker".
Storicamente il termine ha trovato la sua consacrazione nel momento in cui
personaggi come
Vanilla Ice e Mc Hammer cominciarono a vendere milioni di dischi.
Consideriamo il momento
storico in cui questi autori scalarono le classifiche mondiali. La musica rap
vedeva ormai le porte
del mainstream aprirsi e gli artisti iniziavano a invadere le classifiche. Le
radio oltreoceano
cominciavano a programmare con una certa frequenza canzoni Hip Hop. L'
arrivo delle major
aveva portato una ventata di entusiasmo e di capitale, che non aveva ancora
annichilito lo spirito
originario del movimento Hip Hop. Si rimava ancora con una certa sensibilità,
si parlava ancora di
comunità, di giustizia, si pensava ancora di essere tutti parte di una
rivoluzione in atto.
Ma i dollari avrebbero cambiato il rap.
Apparve chiaro che con Vanilla Ice e con Mc Hammer il business aveva preso il
sopravvento sul
cuore e che l'
industria disco grafica, con il suo potere, avrebbe soffocato la genuinità
dell'
Hip
Hop, conservandone unicamente i tratti che le consentivano di renderlo un
prodotto vendibile.
Vendere aveva certamente importanza, ma restava l'
idea di lottare per qualcosa, di un piano
generale alla base di tutto.
Oggi interessano le vendite e molti rapper non si vedono come un modello e
pensano di non
dovere niente a nessuno.
Il grido di allarme e di protesta finì col mischiarsi a quello d'
invidia, creando l'
ambiente in cui il
termine "sucker" divenne sinonimo di rapper non genuino. Un ambiente ambiguo
che creava un
termine ambiguo privo di una valenza unica e chiara, ma in grado di esprimere
una serie di
concetti variabili e ricombinabili. Cerchiamo di individuare le
caratteristiche fondamentali.
La "purezza" dell'
MC sembra una (se non "la") discriminante per ottenere rispetto. Quando si
perde? Bisogna distinguere tra Old School e New School, un'
altra volta. Dal punto di vista di un
Old Schooler, di un uomo cioè che ha dedicato la propria vita all'
Hip Hop, la maggior parte degli
artisti odierni sono "indegni". Un Old Schooler "è" .
Un New Schooler assomiglia più a un cantante pop, a una stella cadente, a un
prodotto fast-food.
La New School, che si ispira alla Old School e che anela a ristabilire i
fasti, è confinata nei
meandri di quello stesso underground che aveva generato il movimento che
vorrebbe
rivitalizzare.
Chi non prende sul serio la New School è chi ha visto "maestri" e "mentori"
abbandonare la nave
che affondava. Come in un matrimonio, quando si sposa l'
Hip Hop è per tutta la vita: chi lo
tradisce viene isolato; chi se ne separa non può essere considerato degno.
Questo è il primo punto.
Chi fa Hip Hop deve essere Hip Hop e sentirsi Hip Hop.
La vera vergogna è fingere di essere quello che non si è. Costruirsi un
background fasullo che
funzioni da carta d'
identità e che certifichi la propria credibilità è imperdonabile. Vanilla Ice
raccontava di una vita trascorsa nei Project (i quartieri del Bronx), diceva
che la sua unica colpa
era essere bianco in un mondo creato da neri. Sosteneva la legittimità della
sua posizione
dicendo di venire dalla strada e di rappare con il cuore di cose che
conosceva per esperienza
personale. A chi lo considerava un bianco che voleva fare il nero, egli
rispondeva seccamente
che era un bianco di strada e che nessuno poteva accettare che ci fosse un
bianco di strada.
Rimarcare il fatto di essere cresciuto "in strada" era fondamentale, perché
egli era allora
autorizzato ad appropriarsi del rap, musica di strada, conservando il
rispetto degli altri.
La realtà era un'
altra e ciò sarebbe bastato a dichiararlo un "sucker", ma Vanilla aveva un
altro
problema: il colore della pelle.
Sembra esserci una regola secondo la quale un rapper bianco non sia degno di
credito
(pensiamo a Eminem quando esordì). Non c'
è unanimità su questo punto, ma tale atteggiamento
affonda le radici nella storia degli Stati Uniti ed è quindi difficile da
combattere. C'
è chi però fa
distinzioni.
"Prendi ad esempio, Eminem: tutti dicevano: Ma è un rapper bianco!. Per
quanto mi riguarda è
bravo. [..]E' lo stesso un individuo, un altro individuo che si è legato a Dr
Dree per fare quello che
doveva fare. "
Naptron
C'
è un forte invito a diffidare degli MC che abbracciano il materialismo e
diventano perciò
marionette in mano alle case discografiche. Un "forced MC" è un "sucker".
Chi entra nel mondo dell '
Hip Hop solo per bramosia di successo e denaro, non può avere quei
requisiti necessari a cui accennavo in precedenza, ma è una marionetta pronta
a servire le case
discografiche in cambio di gratificazioni. Al contrario, la funzione dell'
MC dovrebbe essere quella
di portare informazione, di attivare le menti, di far crescere la comunità,
di favorire il
cambiamento, di denunciare... Chuck D nel parlare del suo modo di essere MC
spiegava che il
rapper deve parlare di ciò che sa perchè conosce la strada meglio di chiunque
altro ed è una
fonte attendibile come nessun altro.
L'
MC deve però capire che ampliare il proprio bagaglio culturale aiuta a
comunicare meglio e a
cambiare le cose. Una volta ottenuto il rispetto, bisogna metterlo al
servizio di un progetto più
ampio. Il business non deve interessare per la semplice ebbrezza di fare un
disco, ma è giusto
imparare a sfruttarlo e prepararsi a rispondere con cognizione di causa a
qualunque domanda
venga posta. Non bisogna mettersi nelle mani di nessuno, ma avere coscienza
di ciò che si fa e
che si vuole ottenere. Il "dono" di una visione ampia delle cose permette di
cambiare le cose.
Chuck D ha dimostrato al mondo intero che un rapper non è solo un cantante,
non è solo un
poeta, ma può diventare la punta di una spada impugnata da un'
intera comunità. Ciò alla fine
degli anni Ottanta non era mai stato fatto. Egli rappresenta la figura del
True MC. E'un "puro",
non è bianco, non è schiavo di nessuno e si I prodiga per il progresso della
propria comunità e di
tutta la gente di colore nel mondo. Se venisse istituito un test contro i
"sucker" che seguisse i
parametri fissati in queste righe, Chuck D ne uscirebbe pulito.
HIP HOP E MASS-MEDIA (TELEVISIONE)
Ma come si sviluppò l'
Hip Hop nella televisione? La produzione video ha avuto un ruolo
fondamentale nell'
evoluzione dell'
Hip Hop, non solo grazie alla creazione dei "videoc1ip", ma
anche per la costante presenza nel mondo televisivo e cinematografico.
Fu tuttavia la produzione dei primi video, nutriti dell'
immaginario del mondo in cui erano nati,
caratterizzato dalla droga, dal crimine, dalla violenza e dalla voglia di
riscatto, a esplicitare al
mondo intero realtà sommerse e a svolgere perciò un'efficacissima opera di
informazione.
Considerando l'
importanza dei video musicali nel "music business" , è curioso ricordare
quanto
agli esordi la loro produzione fosse limitata numericamente e
qualitativamente. La diffusione dei
video Hip Hop sul medium televisivo fu perciò difficoltosa.
Se si pensa che MTV agli esordi si definiva una "radio rock" è facile
immaginare che non vi fosse
spazio per i video rap. Persino un'
emittente come Black Entertainment, nata agli inizi degli anni
Ottanta, snobbò queste produzioni finchè il mercato non la obbligò ad aprire
gli occhi. In questo
periodo il passaggio di video rap in televisione era più frequente in
Inghilterra che in America.
In un periodo in cui il movimento era ancora underground, a dare spazio a
queste produzioni
video furono le trasmissioni pionieristiche dei canali via cavo a diffusione
cittadina, che si presero
il rischio di programmare i c1ip.
La diretta conseguenza della scarsa visibilità fu l'
impossibilità di ottenere un budget consistente
per la loro produzione, di solito inferiore alla metà di quelli riservati ai
video rock. La qualità
tecnica lasciava a desiderare e ai pochi soldi si sommava un diffuso cattivo
gusto, ma quando le
risorse scarseggiano, l'
ingegno si aguzza e le qualità individuali emergono.
Il video di un pezzo del 1983 intitolato "White Lines" e prodotto da
Grandmaster Melle Mel fu
girato da un giovane Spike Lee che cercava di lanciare la propria carriera.
Grazie al crescente successo il rap guadagnò credito presso i network
musicali fino allo sbarco
su MTV favorito dal sapore rock della musica dei Run-DMC.
La cresciuta programmazione dei video contribuì in maniera determinante alla
popolarità del
genere perchè gli permise di uscire dai confini "urbani" nei quali era nato e
aveva mosso i primi
passi.
A puntare con convinzione sui video fu il rapper Fab Five Freddy, uno dei
pigmalioni del genere. Il
giorno in cui MTV si svegliò dal letargo e decise di puntare sul rap, fu lui
a prendere le redini del
primo vero rap show diffuso su scala nazionale. Nel 1988 nacque "Yo, MTV
Raps!", un
programma che ebbe così successo da diventare presto quotidiano.
Lo straordinario risultato incoraggiò la produzione dei video e la
consistenza dei budget lievitò,
tanto che negli anni Novanta arrivò a eguagliare, se non a superare, quella
dei video rock..
A una presenza costante e massiccia su MTV si è aggiunta la diffusione locale
di numerosissimi
canali e show diventati faro di una cultura underground sempre più impegnata
nel combattere
l'
asfissia (commerciale) del mondo rapo Il video ha il potere dell'
immediatezza, non vi è
mediazione. Le immagini giungono dritte al cuore, prima ancora delle parole o
della melodia.
Adesso i giovani (bianchi!) vanno a casa, accendono la Tv e vengono investiti
dalle
immagini di un mondo a cui non appartengono, acquisendo in presa diretta la
prospettiva di un
nero, vedendo dove vive, come vive... La forza dei video e dei film risiede
nella capacità
di condizionare l'
immaginario delle persone.
"C'è gente che viene a New York da tutte le parti del mondo per dipingere i
treni... e quella è la
loro missione!! Non gli frega di fare i soldi ma vengono per dipingere i
treni. Quando vengono da
noi gli diciamo che non dipingiamo i treni... di cercarsi qualcun altro, che
non facciamo queste
cose. Ma loro vengono qua e vogliono fare queste cose perchè hanno visto
tutti quei film dei primi
anni Ottanta e vogliono imitarli. Sono indietro vent'anni rispetto alla
nostra cultura. "
BG
La misura del potere comunicativo insito nel linguaggio video è data dalla
capacità di rendere
popolare una tendenza anche a distanza di decenni. Questa capacità ha
favorito un inconscio,
quanto efficace, avvicinamento alla "black culture" da parte delle masse che
già prima del rap,
negli anni Settanta, era stato favorito dalla produzione dei film
Blaxploitation che promuovevano
un immaginario "black", caratterizzato da aggressività, machismo e potere,
che, assieme a
denaro e sesso, sono ingredienti ancora attuali! Campionamenti e parafrasi
dei dialoghi di questi
film, come quelli di Kung-Fu, hanno corredato per anni le rime dei pezzi rap
e, ad esempio, la
produzione del Wu- Tang Clan è fortemente intrisa di un "senso mistico" preso
a prestito dei film
d'
azione asiatici.
Il sistema di influenza diretta generato dalla produzione video, in tutte le
sue forme, è dovuto alla
capacità di raggiungere l'
individuo sia che viva nel New Jersey, in Europa o in Asia, e nasconde
dei pericoli. Una mole esagerata di informazioni investe i giovani senza che
esse possano essere
"mediate" e li rendono incapaci di elaborarle, con il rischio di un'
assimilazione problematica e
dannosa che li porti ad equivocarne il messaggio. Non c'
è da sorprendersi poi se alla domanda:
"Da dove pensi che arrivi tutta questa violenza?", la risposta di molti
giovani sia: "Dai film o dai
video". Questa sconcertante realtà non deve essere trascurata. Come spesso
accade,
s'
interviene sugli effetti e non sulle cause e vediamo le istituzioni limitarsi
ad adottare, come
soluzione, una violenta censura. Quasi tutte le emittenti hanno standard che
regolano la messa in
onda dei video, limitazioni (invalicabili) sul linguaggio orale e visivo. MTV
sembra essere la più
restrittiva e rappresenta il massimo grado di mainstream.
I censori hanno dei criteri di valutazione standardizzati ed incapaci,
costituzionalmente, di essere
flessibili, per cui alle maglie della censura, per quanto strette, sfuggirà
sempre qualcosa che,
nella maggior parte dei casi, non rientra nei
suoi standard e può essere più pericoloso di tutti i tagli effettuati. Fino a
che si crederà la censura
sia uno strumento sufficiente a garantire lo sviluppo equilibrato delle
personalità dei giovani (e
vecchi) non verrà scongiurato il pericolo che qualcuno pensi di potersi
comportare come in un
film. Meglio abbandonare l'
ipocrisia che sta dietro la censura e incominciare a occuparsi di quel
qualcuno!
DIFFUSIONE DEL MOVIMENTO HIP HOP IN ITALIA
Dopo aver attentamente studiato ed analizzato la cultura Hip Hop in America,
passiamo ora ad
evidenziare come questo movimento si sia diffuso in Italia. Bisogna
premettere, comunque, che,
non essendo nato realmente all'
interno del suolo italiano, la sua portata sarà notevolmente
inferiore.
Si comincia a parlare di Hip Hop solo negli anni Novanta, negli anni
precedenti la scena era molto
underground, con una forte emulazione del rap americano, una grande
attenzione più
all'
apparenza che all'
essenza (la posa giusta, la scarpa giusta, spesso contavano più dei pezzi
stessi),
e
molte
produzioni
erano
estremamente
commerciali,
senza
considerare
le
incomprensioni e le tensioni fra le diverse aree geografiche.
Più approfonditamente possiamo vedere che il rap in Italia nasce nei centri
sociali o centri
culturali, luoghi definiti "caldi", ma imperniati di un'
atmosfera creativissima. I centri furono uno
degli ultimi esperimenti socio-culturali del carico politico degli anni
Settanta, i loro frequentatori,
tutti votati ad una visione radicale di sinistra e spesso anarchica, si
consideravano parte di un
Movimento Antagonista nazionale. Urlando il loro slogan: "Il Potere, lo
Spazio - Si prende e Non
Si Chiede", studenti e lavoratori adattarono edifici abbandonati a luoghi
indipendenti dall'
influenza
dello Stato e del Mercato. Questi centri erano creati all'
interno delle grandi città industriali del
nord, ma nella decade passata venivano costruiti dentro i quartieri più alti,
nascosti ed annoiati,
alla periferia di città sparse ovunque, esattamente come nel Sud. Giovani
abusivi convertirono
fabbriche vuote, scuole, prigioni, stazioni del gas, e negozi in rifugi
culturali che offrivano film,
concerti, circoli di discussione e laboratori di fotografia. Un certo numero
di centri, inoltre,
pubblicava riviste, organizzava sofisticati studi di registrazione e
trasmetteva su radio pirata. Le
iniziative sociali, però, andavano ben oltre, offrendo servizi utili alla
comunità come: corsi di lingua
italiana, giornate della Speranza, prevenzione all'AIDS e consulenze
antidroga per studenti,
lavoratori, disoccupati, senzatetto e immigrati. I membri dei centri sociali
vedevano il loro lavoro
come un contributo significativo alla vita culturale della comunità, ma erano
sempre soggetti ad
arresti e sfratti.
Come accennato, i primi Dj Rap sorsero proprio in questi centri. Bisogna
notare, però, che,
mentre si vedono molti rapper che si basano unicamente sulla copia del rap
americano (come Il
Generale o Ludus Pinsky), altri artisti italiani stanno cercando di
orchestrare uno scontro frontale
tra le tradizioni locali della musica italiana e una moltitudine di stili
internazionali presi a prestito,
come il reggae giamaicano, il rap americano, le tecniche vocali del Nord
Africa e i ritmi dell'
Est
europeo. Il risultato che se ne ha è una sorta di CONTAMINAZIONE. La si nota
soprattutto nella
decade precedente, dove il più eccitante ed innovativo lavoro era il
risultato di una musica ibrida,
variegata. La contaminazione rivela tutti i miti e la storia del paesaggio
musicale mediterraneo,
questa sintesi è sia la preferenza musicale dei più, sia una strategia
politica e filosofica. Invece di
lamentarsi della poca purezza e autenticità, i rapper italiani si divertono
nel coniare nuove forme
culturali, che utilizzano radici profonde e antiche tradizioni folk., mentre,
allo stesso tempo, le
recenti migrazioni dall'Africa, Asia e dall'
Est europeo producono nuove possibilità e nuove
Associazioni.
Questo melange coscienzioso ci serve per capire che le tradizioni musicali
italiane non sono una
corrente passata e ferma, ma sono una forza vitale a tutt'
oggi pronta a raccogliere e ad unirsi a
nuove forme di arte e nuove identità sociali, tanto è vero che molti rapper
italiani usano campioni
di vecchie canzoni per creare musica hip hop.
Ma l'
italiano si adatta ad essere rappato? Questa domanda se la sono posti in
molti, tanto che
Jovanotti nel suo primo album "Jovanotti'
s" del 1990, una delle prime cose assomiglianti al rap,
cantava in inglese. Questo, come l'
album "Gladio" di Sergio Messina, furono i primissimi successi
non ancora del tutto rap, ma quasi in grado di arrivare alle classifiche
britanniche, un grande
successo per gli artisti italiani. Fu anche grazie a questi due pionieri che
gli italiani riscoprirono,
così, la loro voce, voce costruita anche su antiche cadenze e non
propriamente italiana.
Molti rapper, infatti, cominciarono ad utilizzare il loro dialetto
originario, così, rappando in
genovese, napoletano, siciliano o veneziano le loro ideologie politiche, si
sentivano più vicini alla
vita di tutti i giorni dei lavoratori. Questo portò ad un fenomeno sociale
significativo, in quanto i
rapper del nord non venivano capiti dai rapper del sud e viceversa e non si
capivano nemmeno
fra di loro. Il termine "dialetto", ovviamente, fa riferimento ad una
categoria politica e non
linguistica: infatti, questo linguaggio non deriva dall'italiano - ossia dal
fiorentino colto di Dante,
Boccaccio e Petrarca del Quattordicesimo secolo, codificato due secoli più
tardi nel
Rinascimento, ma dal latino, come il dialetto toscano; esso era utilizzato
anche nella forma
scritta, come alla corte normanna in Sicilia o nelle opere veneziane. Nel
Quindicesimo e
Sedicesimo secolo questi linguaggi passarono ad una connotazione negativa,
poichè si cercava
di centralizzare il potere politico: la loro svalutazione, specialmente del
dialetto meridionale, si
intensificò dopo l'
unione dell'
Italia nel 1861. Dopo la seconda guerra mondiale, l'
italiano si diffuse
ancor più facilmente, attraverso la televisione, l'
obbligo scolastico, la migrazione, e l'
incremento
del tempo libero. La musica popolare ebbe una notevole importanza nella
diffusione dell'
italiano,
specialmente quando cominciarono festivals come Sanremo, gara di cantautori
pop nostrani, ma
le varie zone non scordarono mai le loro tradizioni. Infatti, l'
Italia rimane tuttora una terra bilingue,
dove meno della metà della popolazione parla solo italiano, mentre tutto il
resto parla
prevalentemente il dialetto di zona.
I temi affrontati dai rapper italiani, come già accennato, sono ripresi dal
rap afroamericano:
usano, cioè, argomenti di lotta sociale, che variano dal neo-fascismo allo
sfruttamento degli
immigrati. Nei primi anni Ottanta, l'
Hip Hop emerse come un'
espressione culturale del cosiddetto
MOVIMENTO ANTAGONISTA. I primi gruppi Hip Hop, come Onda Rossa Posse, AK47,
Assalti
Frontali, appartenevano nella Sinistra radicale. I gruppi di B-Boys che non
erano affiliati a qualche
centro, come Ice One per esempio, non generavano lo stesso interesse nella
gioventù italiana.
Come arma di giustizia sociale, l'
Hip Hop italiano cerca di recuperare i ricordi popolari di quella
che fu chiamata "una storia di un mondo insultato" dallo scrittore Elio
Vittorini, che fa riferimento
allo sfruttamento economico degli immigrati, definiti "la miseria" ed alla
diaspora di milioni di
lavoratori italiani, entrambi temi molto usati tra i rapper. Questo è servito
a creare una
conoscenza tra i giovani, armandoli e permettendo loro di lottare contro il
razzismo e rivendicare
un'
Italia multi razziale.
Un esempio di questo rappare ce lo forniscono i 99 Posse, gruppo meridionale
che, con il loro
dialetto, cantano proprio di questo. Prendiamo come esempio, infatti, una
preghiera a
Sant'
Antonio, nemico del diavolo, che originariamente era in dialetto e che loro
hanno riadattato
perchè venisse capita; la canzone si chiama "Saddà Appiccià", (Fate Luce!):
"O' Demonio sò ifascisti ò demonio è a polizia
Sant'Antonio vieni ccà e puortatili tutti via.
Saddà Appiccià!
Lutto e sangue e lacrime amare.
Sanna appiccià ò governo e a prefettura
Sanna appiccià e casserme, sadda appiccià à questura Sanna appiccià guardi,
giudici e
assessuri
Saddà appiccià na vampa ca fa tremmà e padruni"
Possiamo affermare, quindi, che il rap italiano è nato come rap di lotta
sociale e politica. Ma non
rimase tale: infatti, come in America, la mainstream e il denaro cambiarono
radicalmente le cose,
almeno per quei gruppi vicini alla gioventù attraverso le televisioni.
Vediamo ora alcuni esponenti
dei gruppi più conosciuti.
"Abbiamo cominciato male con il rap commerciale e stupide lotte fratricide
fra di noi…pensa alle
tue rime.
Articolo 31, "Questo è il nostro stile"
Ovviamente non tutti la pensavano in questo modo, basti pensare a Dj Gruff
che dal 1983 si stava
muovendo per tentare di evitare che l'
Hip Hop diventasse semplicemente una moda: le
produzioni che ha spinto hanno plasmato dal nulla lo stile e lo slang che
oggi è proprio dell'
Italia.
Iniziano a nascere "posse" come funghi, alcune indubbiamente vere ed
impegnate, altre emule e
modaiole e la Onda Rossa Posse dà il via al rap militante e politicamente
schierato con "Batti il
Tuo Tempo". Poco alla volta il rap italiano inizia ad acquistare una
personalità sempre maggiore,
sia nei testi che nel sonoro e la lingua italiana stessa prende piano il
posto dell'
inglese; la scena
sia fa più unita e finalmente coesistono diverse realtà e dialetti senza
contrasti, e molti gruppi
prendono direzioni musicali diverse (come per esempio gli Almamegretta).
E così vediamo che Neffa tra il 1991 e il 1992, oggi sulla cresta dell'
onda, entra con Dj Gruff,
come batterista nell'
Isola Posse All Stars che ha dato il via al fenomeno delle posse e del primo
rap in italiano; nel frattempo iniziava a sperimentare il rap.
Quindi, dopo il cambio di nome da Isola Posse All Stars a Sangue Misto, esce
nel 1994 SXM,
disco che segna la definitiva entrata dell '
hip hop (e non solo del rap) in Italia.
Dopo alcune loro produzioni, tra cui Zero Stress e La Rapadopa, il loro stile
ha permeato ogni
barriera e ogni formazione hip hop tenterà di seguirlo. Gruff, con Neffa e
Deda, erano a livello
underground famosissimi, ma con difficoltà sfondano anche questo muro. Dopo
alcuni anni di
riflessione (nel 1996), Neffa, accompagnato dai Messageri della Dopa (cioè i
più grandi esponenti
dei mondo Hip Hop, quali Kaos One, Deda, Phase e molti altri) , decide di
presentarsi al grande
pubblico, senza commercializzare il prodotto, ed è un successone: non c'
è nessuna "Serenata
Rap" e nessun "Domani", e non è nemmeno tanto"Tranquillo Come Domenica
Mattina", e di certo
"Non è Lei Quel Che Voglio"… Neffa presenta la sua vita in tutte le sue
sfaccettature.
Parallelamente alle produzioni Zero Stress, nel 1994 la Zulu Nation fa un
passo avanti verso
l'
Italia considerando Next One un b-boys degno di farne parte. E così, ma non
solo per questo,
l'
Italia riesce a far parte del movimento hip hop mondiale.
Come si è capito, la cultura hip hop italiana è permeata da ibridi
commercializzati come: Articolo
31, Sottotono, Jovanotti stesso, che, per quanto bravo, non "rappa", non è un
MC, e tanti altri
ancora.
In particolare è chiarificatore spiegare perchè gli Articolo 31 e i Sottotono
non fanno parte di un
movimento Hip Hop, dato che loro stessi, entrambi i gruppi, si dichiarano
come tali; gli Articolo 31,
un duo composto da J Ax, per la voce, e DJ Jad, per le basi e lo scratching,
sono usciti nel 1993
con Strade di Città, un buon CD, capace di toccare varie tematiche che solo
pochi prima avevano
trattato. Dopo l'
Intro che spiega il significato del loro nome (l'
articolo 31 è l'
articolo della
costituzione irlandese che sancisce la libertà di parola di ognuno), si parte
con Strade di Città,
canzone che descrive la realtà urbana, per poi passare all'
argomento spinoso della limitazione
della libertà di parola con "Fotti la Censura", alla cruda realtà di
quartiere, dei pestaggi e delle
vendette. Tra le altre, spiccavano anche un paio di canzoni con basi non
campionate ma suonate
dal vivo, e una con la base letteralmente copiata dal famoso rapper Notorius
Big.
Parallela a queste canzoni, tutto sommato serie e comunque valide dal punto
di vista culturale, ce
n'
era una in stile "party", festaiola, imperniata di doppi sensi, chiamata
"Tocca Qui". Il cantante
degli Articolo 31, J Ax faceva sfoggio di rime assurde, anni luce lontane
dalla qualità del resto del
CD. Il problema è che con quella canzoncina sono usciti dall'
underground italiano per essere in
onda, nel mondo dell'
industria discografica; avevano appreso determinate cose dal sottosuolo
milanese, dove il duo ha passato l'
infanzia e l'
adolescenza, che hanno rinnegato, almeno per il
75%, come hanno visto la luce.
Da questo semplice esempio si capisce in toto la situazione italiana: molti
rapper nostrani, che già
meno ne sanno sulla vita di strada rispetto a quelli oltreoceano,
preferiscono i soldi, non vivono
nell'
Hip Hop vero e proprio, pur professandolo a parole. Interessante è l'
affermazione del già
citato Kaos, rapper che ha cominciato con il gruppo Radical Stuff nel 1986 e
non ha mai tradito
queste poche parole:
"Alzo gli occhi al cielo e vedo il buio, la mia strada adesso è a un bivio,
da una parte "Hip Hop
serio, dall'altra parte il denaro. E seguo il mio sentiero, anche se non
porta in alto, forse hai già
capito quale strada ho scelto, scelgo l'asfalto. Rifaccio ciò che ho fatto
prima, scrivo la mia rima
ancora dieci volte, cento volte, seguo le mie scelte. "
Gli Articolo 31, invece, hanno scelto il denaro, e sono usciti con"Maria
Maria", che ha sancito la
loro fine dal punto di vista dell'
Hip Hop. Il resto di "Messa di Vespiri" , il secondo album, è
piuttosto fiacco, i temi che trattano sono superficiali e le metriche troppo
lontane da Strade di
Città.
Nel 1996 esce "Così Com'
è", che sancisce un loro sperato ritorno alle origini, con il pezzo: "Non
c'
è Rimedio", che tratta della loro scalata al successo, dei loro precedenti
nel mondo dell'
Hip Hop,
delle loro vendette e dei loro successi. Però, all'
interno dello stesso album, possiamo trovare
anche elementi che con il vero Hip Hop non c'
entrano nulla, canzoncine festaiole con rime
tranquille e serene.
Stesso discorso vale per i Sottotono, altro gruppo che si definisce Hip Hop
ed è spesso in vetta
alle classifiche. Purtroppo questo gruppo, a differenza degli Articolo 31, ha
pubblicato come primo
singolo "La mia Coccinella", canzone d'
amore davvero mielosa ed adatta solo alle dediche alla
radio, così come le ultime "Tranquillo" e "Solo Lei Ha Quel Che Voglio". Ma
il problema non è
tanto questo, quanto che effettivamente danno un'
immagine di storta anche del genere west
coast dell'
Hip Hop che dicono di fare. Insomma, ci parlano di soldi, omicidi, champagne
e vasche
idromassaggio in cui sono immersi con le loro "pute" (l'
equivalente italiano di Bitches): quello che
mette sul chi va là è il fatto che difficilmente loro hanno davvero tutto
ciò, e alla fin fine copiano
stile ed argomenti che erano validi in America.
Ma allora chi dobbiamo seguire? Chi promuove la verità?
Un vero gruppo Hip Hop è quello dell'
artista, già nominato in precedenza, Next One, ossia i Next
Diffusion, insieme a Leftside e Mauri B. Questo gruppo, che si può definire
uno dei promotori del
vero Hip Hop in Italia, scrisse la loro dottrina nel retro del primo vinile;
questi sono alcuni punti:
"The Next Diffusion si ispira alla pura realtà, (la verità rende
invulnerabili) esprime emozioni,
divulga valori, confida speranze nelle quali chiunque potrebbe identificarsi,
evitando banalità o
falsi pretesti, il tutto espresso con la carica necessaria per intrattenere,
conservando una
tradizione culturale;
Il contenuto è un insegnamento, chi lo apprende riflette e ne ottiene
benefici personali;
The Next Diffusion rivaluta l'Hip Hop nella sua forma più completa,
attraverso le origini della
musica, gli appropriati stili di danza, le influenze e le aspirazioni;
Si propone dopo un 'accurata selezione dando il giusto merito a chi ha
contribuito a far si che
tutto questo avvenisse, in quanto prosegue un cammino intrapreso da altri
artisti in passato;
The Next Diffusion è ufficialmente riconosciuto da AFRIKA BAMBAATAA come
gruppo di spicco
della scena hip hop italiana e rappresenta la ZULU NATION"
A parte i risvolti etici del gruppo, il vinile per 64 minuti è veramente
valido, con beat e in genere
un sapore di old school newyorkese; ci sono canzoni molte brevi, a volte
strumentali, chiamate
SKIT, che dimostrano la validità dei componenti di trovare buoni campioni in
stile Bronx.
Un altro gruppo è importante che venga nominato della scena hip hop italiana:
gli OTR.
Formazione sempre attivissima con demo e mixtape, ha sancito l'
entrata con il singolo "Quel
sapore particolare" del 1994, con una canzone diventata più o meno famosa;
anche con la
notorietà alle porte non hanno mai rinnegato la genuinità. Questo gruppo ha
un grande merito:
quello di aver gettato le basi per un network underground di cassette mixate
(i mixtape, fino ad
arrivare alla MIXMEN CONNECTION), di non richiudersi nella loro realtà
cittadina e di non
sottostare a contratti discografici che spesso non lasciano spazio alle idee
che si volevano
esprimere. Il loro studio di registrazione viene denominato LA SEDE e
rappresenta la casa nella quale tutti vivono. E'un progetto di autoproduzione, per lasciare spazio
anche ad altri, ad esempio i successivi Flycat e Dj Enzo. Il loro ultimo cd
esce nel 1997 e viene
intitolato proprio "Dalla Sede": lo stile è molto più definito, le metriche
sono più precise, si avvale
di collaborazioni di altri rapper nostrani importanti, quali La Pina, Esa,
Polare su basi di Vez e
Vigore Questo album presenta degli aspetti internazionali, non è il solito cd
di musica italiana,
vuoi per i featuring di mc americani, tedeschi e belgi.
L'
autenticità del rap italiano è un problema dibattuto all'
interno della cultura Hip Hop, dato che si
tratta, in sostanza, di un processo ampio fra identificazione ed
emancipazione nei confronti del
modello americano. Non si può negare che il genere testuale rap sia di
ascendenza americana.
Dall'
altra parte si deve constatare che in Italia, come anche in altri paesi
europei, il rap ha
sviluppato forme che lo differenziano chiaramente dal suo modello.
Nel rap operano varie strategie di appropriazione che contribuiscono a
fondare una tradizione
testuale e culturale autonoma. Il primo passo è stato chiaramente l'
utilizzo della lingua italiana e
dei suoi dialetti.
"lo e il mio stile nella mia lingua madre e le strade e le storie italiane m
'han fatto da padre" Space
One
La citazione, tratta dal brano "Tutto contro tutti" di Space One, indica la
volontà di raggiungere un
vasto pubblico senza dover imitare modelli americani (Method Man e Wu- TangClan) e,
soprattutto, ribadisce l'
uso della lingua materna.
LA DANZA HIP HOP
Passiamo ora ad un altro argomento Hip Hop fondamentale: la danza. Ancora più
transitori dei
graffiti sono gli stili di ballo sviluppati dalla sotto cultura Hip Hop. Il
ballo proveniente dal South
Bronx conosciuto come BREAKING o BREAK DANCE in origine era concentrato sui
movimenti
delle gambe e dei piedi (si tirava su la vita dei pantaloni per mostrare le
calze bianche, che
evidenziavano i passi al buio della discoteca) e nacque negli anni Settanta.
Crazy Legs, Frosty
Freeze e la Rock Steady Crew, tre nomi importanti in questo campo, aggiunsero
un elemento
acrobatico, elaborato sulla sabbia di Central Park poi trasportato su erba e
infine su cemento, che
rese il breaking un ballo competitivo e gli diede un carattere sensazionale
tagliato su misura per i
media. Attraverso la Rock Steady Crew e innumerevoli altri gruppi di
ballerini, ad esempio
Incredible Breakers, Electric Force, Magnificent Force e tanti altri, il
breaking divenne
un'
incredibile esibizione di corpi che roteavano sulla schiena, sulle spalle,
sulle mani e sulla testa.
Combinato con l'
invenzione californiana dell'
electric boogie (l'
impressione di scariche elettriche
che attraversano gli arti), del moonwalking (l'
illusione di camminare scivolando attraverso il
pavimento) e di altre forme note coi nomi di joint popping, freezes, mime e
robot imitation, il
breaking divenne una forma di danza che realizzò il repertorio classico di
immagini da era
spaziale, video e dei computer, da America dei fumetti e dei supereroi.
Secondo Afrika Bambaataa il breaking nacque come ballo sulla canzone "Get On
the Good Foot"
di James Brown.
In un rito tradizionale che risale agli usi del Sud, e prima ancora all'
Africa Occidentale, i danzatori
formano un cerchio e a turno eseguono al centro passi solistici. Questo
cerchio aveva l'
effetto di
un'
arena all'
interno della quale ci si esibiva con l'
incitazione della folla. La performance, che di
solito non durava più di una trentina di secondi, era scandita dall'
ingresso nel cerchio, footwork
(un gioco di piedi), freeze e uscita dal cerchio.
Il FREEZE vedeva il dancer "pietrificarsi" in pose che imitavano animali,
personaggi dei fumetti,
persone in ogni situazione e addirittura pin-up e offriva il tema al quale
doveva collegarsi il
successivo competitore. L'
obiettivo era di insultare l'
avversario molto più creativamente di lui. I
giudici erano gli spettatori, ma alcune gare venivano giudicate da persone
dichiarate competenti
come street dancers.
La competizione era alla base del breaking (come già per l'
Mcing e il Djing) e ciò ne favorì una
continua e inarrestabile ascesa. Era sempre importante guadagnare l'
altrui rispetto, solo che con
questo tipo di sfida era molto più creativo e positivo: per guadagnare questo
rispetto dovevi
dimostrare di essere il migliore nel cerchio e l'
approvazione della gente non era facile da ottenere.
Il termine BREAK o BREAKING è un termine comune a musica e danza e risale a
molto tempo
fa. Alcuni pezzi, come "Buck Dancer'
s Lament", dei primi del secolo, contenevano una pausa di
due battute ogni otto per il break - una breve esibizione di passi
improvvisati. Altri usavano il
break per un assolo strumentale: uno dei frammenti di musica più feticizzati
è il famoso break in
quattro battute preso da Charlie Parker in "A Night in Tunisia" di Dizzy
Gillespie.
Molti movimenti utilizzati oggi risalgono a balli americani del passato, ad
esempio il ballare per poi
cadere sul pavimento ruotando sulla schiena a tempo di musica, ripreso da
Pigmeat Markham,
che ricorda lo stile di Jim Green e del suo spettacolo viaggiante dei Mighty
Minstrels di AG Allen
dei primi anni Venti. Altri ballerini del vaudeville e dei minstrel show
facevano dei numeri che
mostrano una misteriosa continuità con i nuovi trucchi: un danzatore bianco
chiamato Joe
Bennett si muoveva attraverso il palco mantenendo il corpo rigido; il flash
dancer (neppure questo
è un termine nuovo) Ananias Berry dei Berry Brothers, attivi tra il 1925 e il
1951, poteva
attraversare il palcoscenico in un modo che molti descrissero come "congelato
e scongelato",
impettito, come fotogrammi di una pellicola. Molte delle danze bizzarre e
comiche come
SCRATCH, ITCH, RUBBERLEGS, LEGOMANIA e SHAKE, prefigurano breaking e popping,
e gli
elementi acrobatici del breaking moderno risalgono a prima del 1900.
Se all'
inizio era sufficiente toccarsi la punta dei piedi, saltellare o agitarsi,
presto divenne normale
buttarsi a terra ruotando sulla testa o a carponi. Spesso qualcuno
improvvisava e la folla si
eccitava. Allora qualcuno a casa si inventava qualcosa di nuovo e tornava in
pista per prendersi
gli applausi la settimana dopo. Prima c'
erano tanti balli ma erano divertenti e semplici da
imparare; la break portò lo spettacolo e il pericolo in pedana. Alla sua base
c'
erano impegno
costante e allenamento, alimentati dal grande fascino della sfida.
"I primi e più famosi acrobati erano saltimbanchi che lavoravano sul terreno
eseguendo salti
mortali, facendo ruote, capriole, rotazioni del corpo…Fare il saltimbanco
significa essere legato
alla terra, si tratta di una forma di acrobazia fa ida-te, alla portata di
tutti. Inoltre si presta molto
bene a un utilizzo nella danza "
Jazz Dance
Le acrobazie non sono semplicemente applicate alla danza, ma sono usate anche
in modo
estremamente drammatico: come tutte le altre forme Hip Hop utilizzano le
poche risorse
disponibili in un contesto impoverito, innalzandole ai massimi livelli di
creatività. All'
inizio la
maggior parte dei rapper, dei ballerini, dei Dj e dei graffitisti passava le
notti in bianco cercando di
escogitare nuovi trucchi per sbaragliare la concorrenza. La concorrenza non
dava tregua, e la
creatività era grandissima. I passi di ballo più semplici, quelli che non
causavano commozioni
cerebrali, fratture e tic da Robbie il Robot, balli riciclati ogni dieci anni
sotto nuovi nomi, erano
ancora in uso. Questa volta avevano nomi come PATTY DUKE, SMURF e WEBO. Gli
ultimi due
si accompagnavano a una musica che prese la direzione dell'
iperspazio.
Questo stato di cose contribuì a far diminuire la violenza nelle strade. La
"medicina" Hip Hop
cominciava a fare il suo effetto. Certe tensioni perduravano, è vero, ma si
era scoperta un'
efficace valvola di sfogo. Le crew di breaker sostituirono le gang e la lotta
a ritmo di musica
sostituì quella cruenta di strada. Le crew di breaker si sfidavano dandosi
appuntamento nei
playground agli angoli delle strade o in metropolitana. Al posto delle armi
portavano grandi pezzi
di linoleum attorno a cui il pubblico si asserragliava per acclamare chi
ballava meglio. Alla fine
una crew usciva vincitrice.
Il fenomeno non rimase circoscritto alla comunità afro-americana. E'bene
sottolineare che la
break-dance non ha quasi mai avuto una predominanza "nera" e, sebbene sia
stata lanciata da
giovani neri agli esordi degli anni Settanta, ha poi trovato nella comunità
ispanica la vera forza
propellente. Essa si è sempre ritagliata uno spazio nel mondo dell'
Hip Hop, sia nel breaking che
nei graffiti. Per quanto riguarda il rap, se anche è stata capace di produrre
talenti, è rimasta in
netta minoranza rispetto alla comunità afro-americana.
La storia del breaking assomiglia ad una stella cadente: se non è mai
scomparsa del tutto e
tuttora si può notare una diretta influenza nelle tecniche di ballo di molti
giovani, essa raggiunse il
suo apogeo intorno alla metà degli anni Ottanta. Fu proprio in questo
periodo, precisamente nel
1984, che uscirono un documentario della PBS, "Guerre di Stile" e tre
filmetti di Hollywood: "Beat
Street", "Breakin'
" e "Breakin'2". L'
Hip Hop stava uscendo dai quartieri, stava abbandonando le
sue radici territoriali. Quei famosi "compartimenti stagni", creati dalle
sciagurate politiche del
governo cittadino negli anni Settanta e cementati dalla presenza-dominio
delle gang, stavano per
veder sbloccate le proprie serrature. Presto il vento della novità avrebbe
trasportato questi semi
acerbi nella Manhattan bene. L '
Hip Hop aveva messo il naso fuori dalla porta e quello che aveva
visto gli era piaciuto!
Passando ora ad analizzare più approfonditamente gli stili della danza Hip
Hop, possiamo
affermare che questo tipo di ballo prende spunto da un mix di ritmi africani,
danze sudamericane,
come la Capoeira, movimenti asiatici del Thai-Chi o del Kungfu e infiniti
ritmi tribali e multi etnici
che provengono da tutte le etnie e sono confluiti negli Stati Uniti nel
secolo passato.
Le prime tecniche dell'
Hip Hop, come già accennato, nascono nei primi anni Settanta con la
Break Dance dei ghetti newyorkesi e si propagano poi con gli stili Popping
(movimento frenetico
ed esplosivo), Locking (movimento bloccato) nella West Coast californiana,
soprattutto a Los
Angeles e Breaking. Sono stili che si differenziano per esplosività evelocità
di movimento, per
l'
isolazione e il blocco del movimento articolare, per le capacità acrobatiche.
Infatti, il Popping può
essere definito come una tensione muscolare in particolare delle braccia,
spalle, addome, collo
per produrre movimenti spasmici di bloccaggio, un qualcosa di simile allo
stile robot; il Locking si
spiega in veloci e repentini movimenti delle mani e delle braccia flesse e
puntate in tutte le
direzioni, accompagnati da giocosi movimenti dei piedi, il movimento che lo
distingue è la
posizione "lock" (braccia piegate ai lati) che originariamente veniva
accompagnato da una buffa
espressione del viso: esso nacque circa 30 anni fa a Los Angeles e divenne il
progenitore della
danza Hip Hop; infme il breaking è uno dei balli più belli e difficili da
imparare, infatti consiste in
un mix di evoluzioni e piroette a ritmo, specializzato in Spins, ossia giri
di testa, mani e schiena,
con lavori spettacolari di piedi e figure aeree.
I giovani che praticavano questo tipo di tecniche vennero nominati Street
Dancers, ballerini di
strada, o B-BOYS, breaker boys, ballerini di break, a tutt'
oggi in uso e sono loro ad esibirsi dentro
i cerchi.
Ma oltre a questi stili, che sono i genitori della break-dance in genere,
vengono riconosciuti altri
stili come appartenenti all'
Hip Hop, vediamo alcuni esempi: HYPE, nato intorno agli anni Novanta
e comunemente caratterizzato dai salti scatenati e dai movimenti veloci dei
piedi; l'
idea è di
scatenarsi sul ritmo saltando e calciando da tutte le parti accompagnati da
movimenti circolari,
estensioni, flessioni, ecc. delle braccia; questo stile è stato ripreso da Mc
Hammer. Il FUNK 80'
s,
ossia la combinazione del jazz, del popping e del locking, famoso negli anni
Ottanta anche grazie
alla creazione del film "Breakdance". Michael Jackson e sua sorella Janet
apporteranno a questo
stile parecchi cambiamenti, che entreranno a far parte del mito e lo
porteranno ad essere la
nuova sensazionalità della decade. E poi c'
è l'
HOUSE, un tipo di danza urbana nata a New York
che mischia vari stili di danza dal uprocking, alla salsa, al jazz, ecc.
adattati alla musica house,
uno stufato di danze dove tutti possono mettere quello che vogliono, purchè
sia stupefacente;
l'
house è uno stile che ancora non è diffusissimo, molti Street Dancers lo
stanno pubblicizzando
in questo periodo e non è stato ancora del tutto accettato dalla maggior
parte della popolazione
Hip Hop, seppur riscuota molte approvazioni nei cerchi.
Ma la cosa più importante rispetto a tutte queste classificazioni era lo
STILE. Ogni B-Boy aveva il
suo stile ed era una cosa che non si poteva insegnare, bisognava coltivarlo.
Poteva essere
divertente, duro, spregevole, cool o qualsiasi cosa che potesse mettere lo
Street Dancer in buona
luce nel cerchio e far sembrare il suo avversario meno bravo. Lo stile di
ogni B-Boy conia ogni
categoria di danza.
La danza Hip Hop ha tolto la violenza dalle strade per lasciare posto a
combattimenti creativi,
positivi e senza contatto: è un modo di esprimersi, di far conoscere le
proprie capacità fisiche e
motivazionali, di far uscire la propria interiorità e le proprie idee
attraverso i movimenti del corpo.
CONCLUSIONI
Ma dopo tutto questo, come si può creare una coreografia?
Esistono due modi per farlo: il primo è quello di creare delle combinazioni
di passi a blocchi da 8,
che poi verranno ballati su una musica scelta successivamente; il secondo
consiste nello
scegliere una musica, analizzarla e poi solo in seguito creare una
coreografia che tenga conto
degli accenti della canzone. Il secondo metodo è chiaramente più impegnativo
e richiede più
esperienza, solitamente si comincia con il primo.
La scelta della musica, poi, è un altro problema: quando si lavora con
adolescenti, molto attenti
alla discografia commerciale di MTV, è consigliabile prendere spunto da quel
polverone, più che
andare a scegliere canzoni di nicchia, per loro incomprensibili. Se si
sceglie una canzone che loro
conoscono, sarà più semplice renderli partecipi e avvicinarli a questo mondo.
Ho scelto il primo sistema, quello di creare una coreografia sulla base di
combinazioni di passi a
blocchi da 8: ritengo che sia il più semplice sia per chi affraccia per la
prima volta questo tipo di
stile, sia per chi ha già imparato in parte la sua tecnica. Di solito, le
coreografie nascono da un
insieme di popping, locking e break dance, creando un misto di stili che
rendono i passi diversi tra
loro, in modo che l'
allievo percepisca più generi, più cose. Le onde si fondono con i blocchi, i
contro tempi con le acrobazie. E'importante, secondo me, che i ragazzi
imparino più possibile
anche da un singolo insegnante, per cui si vedono pas-de-bourès, chassès e
pirouhettes presi
dal modero-jazz, onde che ricoprono tutto il corpo della old school, blocchi
e camminate della
new school, giri dell'
house, verticali della break dance.
DIZIONARIO DI TERMINOLOGIA HIP HOP
1200: Technics Sl 1200MKII, il giradischi più diffuso nei DJ
AEROSOL ART: arte grafica dell’hip hop, una delle quattro discipline
BACK-SPINNING: rotazione del disco al contrario
BATTLE: tranquilla competizione fra artisti aerosol, dj e ballerini
B-BOY: termine creato nel 1969 da kool dj herc che serve a indicare i breakboy e i bolgie-boy
che ballavano ai block party, usato per identificare i ragazzi praticanti
l’hip hop
B-BOYNG: la danza. Una delle quattro discipline
BEAT: ritmo
BLOCK LETTERS: lettere grandi e squadrate adoperate nei tag
BLOCK PARTY: avvenimento hip hop da strada
BREKBEAT: alternare, prolungando il ritmo in maniera alternativa dello stesso
disco su due piatti
ripuntando quello fuori linea
BREKDANCE: sinonimo più comune di b-boyng
BREAKER: ballerino di breakdance
BROTHER/SISTER: persona molto amica e molto vicina.
BUTTER: letteralmente morbido come il burro, a indicare una base ben fatta
CHILL, CHILLOUT: relax
COOL: a posto, ok, atmosfera giusta, tipo in gamba
CREW: insieme di b-boys con compiti differenti all’interno delle 4 discipline
CROSS FADER: cursore del mixer che permette di praticare lo scratch sul
giradischi quando si
passa da un piatto all’altro
CUT ‘N’ MIX: mescolare con nuovo ordine frasi musicali tagliate da differenti
brani
DIS-RAP: rime di insulto
DJ: disc jockey
DOPE: in italiano “dopa”, droga, aggettivo positivo
ELETRIC BOLGIE/ELETRIC BOOGALOO: vecchia scuola del b-boyng
FAT O PHAT: spesso riferito ad un ritmo: potente, grande, perfetto
FLY-GIRL: termine femminile di B-boy
FREESTYLE: improvvisare rime in stile libero, termine italiano: "frista".
G-FUNK: suono del G-rap.
GHETTO BLUSTER: radio portatile mangianastri
G-RAP: filone legato all'
immaginario gangster, "gangsta-rap".
GRAFFITI: Aerosol Art, serve ad indicare opere grafiche fatte su treni e
muri.
HARDCORE: Hip Hop allo stato puro, giusta corrispondenza fra quello che
dicono i rappers e la
loro vita reale, senza falsità
HEAD SPIN: rotazione sul capo, a definire una figura del ballo Hip Hop
HOMEBOY/HOMEGIRL: amico/amica stretta
HUMAN BEATBOX: suono emesso con la bocca a riprodurre il ritmo della
batteria.
IN THE HOUSE: essere uniti e presenti
JAM: incontro fra rappers fondato sull'
improvvisazione
JEEP BEATS: ritmi con grande distorsione dei bassi, spesso suonati dagli
stereo nelle macchine.
KANGOL: marca del cappello più usato dai B-boy
LOCK: dreadlock, pettinatura dei rasta giamaicani.
LOOP: montaggio di uno o più campionamenti per la creazione di una base.
MARIJUANA:
nei
testi
è
facile
trovarla
anche
con
altri
termini
BROWN,BUDDHA,HASH,POT,METHOD,BAMMER,CANNABIS,SESS,
come:
SOUL
FOOD,GREEN,HERB,ETC
MC: viene da "Master of Ceremony", maestro delle cerimonie, ad indicare il
rapper. MCeeing:
fare il rap.
MIC: microfono.
MIXTAPE: cassetta mixata fuori dal mercato ufficiale
MOTHERFUCKER: falso, persona non rispettabile,infame, ma può essere usato in
tono
affettuoso per gli amici più intimi.
NEW SCHOOL: seconda generazione dell'
Hip Hop, dal '
85 al '
88.
NICKNAME: identità Hip Hop del B-boy o della Fly-girl, soprannome, nome d'
arte.
NIGGA: nigger, termine corrispondente del dispregiativo italiano "negro", può
anche essere usato
come espressione positiva ad indicare un amico,fratello.
OLD SCHOOL: prima generazione dell'Hip Hop, dal '
78 al '
84.
P-FUNK: suono che si ispira ai gruppi Parliament e Funkadelic
PIECE: masterpiece, capolavoro, in italiano "pezzo", ad indicare una
grandiosa e completa opera
di aerosol.
POSSE: gruppo, sinonimo di crew.
RAGGAMUFFIN: rap giamaicano.
RAP: arte di creare rime su ritmi Hip Hop.Una delle quattro discipline
RAPPER: colui che fa rap.
RAW: stile vero, hardcore.
SAMPLE: campionamento, frammento tratto da un disco.
SAMPLER: campionatore.
SCRATCH: manipolazione della puntina del giradischi che graffia sui solchi
del disco producendo
ritmo e rumore.
SEQUENCER: macchina che si usa con il campionatore e serve a trasformare e
dissociare le
frequenze.
SNEAKERS: scarpe sportive spesso da basket.
SOUND SYSTEM: sistema trsportabile per discoteche da strada.
SUCKER: falso, bugiardo, contrario di hardcore.
TAG: scrivere con la bomboletta il proprio nickname.
THROW-UP: semplice graffito, spesso a due colori.
TURNTABLISM: arte della manipolazione del giradischi.Una delle quattro
discipline.
WHEELS OF STEEL: "ruote d'
acciaio", i due giradischi del dj.
WILD STYLE: stile evoluto, spesso illeggibile dei tag.
YO: viene da "you all", saluto tra B-boy
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