Tratto dal libro "Il sentiero degli dei - Documenti '99" stampato nel 1999 in occasione della mostra "AGEROLA -- ARTE '99: Sul sentiero degli dei" - organizzata da: Comune di Agerola, Accademia di Belle Arti di Napoli, Pro Loco di Agerola, Regione Campania, Comunità Montana Penisola Sorrentina, Mexall Progress. - Con il patrocinio di: Comune di Agerola, Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici di Napoli e provincia, Provincia di Napoli, Istituto Universitario Suor Orsola Benincasa, Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, CAI Club Alpino Italiano - Napoli. Viaggio nella geologia della costiera amalfitana Aldo Cinque - geologo Una delle più potenti e diffuse pulsioni al viaggiare per diporto è senza dubbio quella che nasce dalla voglia di scoprire nuove realtà, nuovi paesaggi dai quali farsi emozionare, farsi aiutare a capire il mondo e se stessi. Come dimostrano le mille accezioni che possiamo dare al termine viaggio, quelle scoperte possono farsi muovendosi in varie dimensioni, non esclusa quella della pura immaginazione fantastica. Inteso in senso classico, il viaggio è movimento nello spazio ed i nuovi paesaggi che si scoprono (che si conquistano) sono quelli al di là di un confine geografico mai passato: un oceano, un deserto, una catena montuosa; ma anche il semplice colle/promontorio/blocco edilizio che sin ad allora aveva chiuso il nostro orizzonte quotidiano (il piacere delle piccole, grandi scoperte dietro l'angolo…). Ma un viaggio può anche compiersi nel tempo. In questo caso le realtà diverse che si scoprono - le nuove immagini che giungono alla nostra mente - provengono dal passato. È il viaggio dello storico, e di chi ha curiosità per la storia dell'uomo, ma è anche il viaggio del geologo, e di chi ha curiosità per la storia della terra. Così come nella esplorazione geografica e turistica il gusto della scoperta è accresciuto dalla durata del viaggio e dalle difficoltà a raggiungere la meta, la gratificazione offertaci dai viaggi a ritroso nel tempo è incrementata dall'impegno necessario a reperire le tracce di quel passato che intendiamo visitare. In questo secondo caso l'oggetto della nostra osservazione (il paesaggio diverso che vogliamo ammirare) non è semplicemente da raggiungere, ma è quasi sempre da ricostruire mentalmente sulla scorta di relitti più o meno frammentari e testimonianze più o meno indirette. Viaggiare nel passato ha dunque una notevole dose immaginativa, dose che solo lo storico ed il geologo di professione devono usare con forte controllo razionale, mentre il viaggiatore di diporto - libero da assilli di veridicità - può espanderla a piacimento, fino a trasformarla da strumento a fine ultimo della sua ricerca. Nel caso di territori, quali la Costiera Amalfitana, che hanno un paesaggio molto segnato dall'opera dell'uomo e storicamente stratificato, è quasi impossibile che l'esplorazione spaziale non coinvolga il visitatore in una parallela esplorazione del tempo; specie di quel Medio Evo che qui fu età dell'oro e che ancora caratterizza con resti di torri e case, monasteri e chiese, strade e terrazzamenti agricoli sui pendii. Ma la geologia e la geomorfologia della Costiera e dei suoi monti possono condurci in un viaggio molto più a ritroso nel tempo. Un viaggio che copre circa duecento milioni di anni e che fa scorrere sotto i nostri occhi, come in un film accelerato, gli eventi sedimentari e tettonici che lentamente hanno portato all'attuale configurazione dell'area. Le rocce che formano l'ossatura della dorsale dei Monti Lattari sono di tipo sedimentario e si formarono in ambiente marino durante il Mesozoico (l'era dei dinosauri). Più esattamente si tratta di strati di calcari e dolomie (chimicamente dei carbonati di calcio e di calcio e magnesio rispettivamente) che si formarono per l'indurimento di fanghi sottomarini composti per lo più di gusci di organismi microscopici (plancton).Alcuni strati sono però ricchi anche di resti fossili visibili ad occhio nudo (conchiglie di lamellibranchi e gasteropodi, alghe e coralli).L'ambiente nel quale si andarono stratificando questi sedimenti era una amplissima e tranquilla laguna, bordata tutt'intorno da una barriera biocostruita; uno scenario del tutto equivalente a quello che troviamo oggi attivo nelle Bahamas. Dato che l'area era soggetta a lentissimo sprofondamento (due o tre millimetri per secolo) e dato che l'accumularsi dei fanghi sl fondale riusciva a controbilanciare tale abbassamento, la lama d'acqua nella laguna non superò mai una ventina di metri di spessore e nel giro di circa centoventi milioni di anni si accumularono circa 4500 metri di sedimenti. Tutto ciò avveniva al largo della costa settentrionale del continente africano, e il mare sul quale si apriva la laguna era l'oceano Tetide: un antenato del Mediterraneo che nel Mesozoico separava l'Eurasia, a nord, dal supercontinente meridionale che all'epoca inglobava Africa, Arabia, India e Australia. Dato che le placche continentali allora occupavano posizioni diverse da quelle attuali, la nostra laguna si trovava molto più vicina all'equatore ed il clima tropicale favoriva una grande ricchezza di forme di vita acquatica. Quando, verso la fine del Mesozoico, l'Africa cominciò a muoversi verso nord, l'oceano Tetide prese a chiudersi e dal corrugamento dei sedimenti che in esso s'erano deposti cominciò a nascere quella cintura di catene montuose che va dal Rif e dall'Atlante sino all'Himalaia e l'Indocina passando per le nostre Alpi e Appennini. Si spiega così l'emersione delle rocce di origine marina che formano i Monti Lattari, le quali non sono altro che uno degli enormi trucioli (i geologi li chiamano falde) che, spinti ad impilarsi l'uno sull'altro dalle pressioni tettoniche, formarono la catena appenninica. Mentre avvenivano queste deformazioni, si formava sul lato europeo (quello che andava in subduzione) una profonda fossa marina (avanfossa) nella quale si sedimentavano i detriti trasportati dai fiumi che stavano erodendo la parte già formata della catena. Dato che quest'ultima era formata di rocce metamorfiche, ciò che si accumulava nell'avanfossa erano arenarie ed argille ricche di quarzo, feldspati ed altri minerali silicatici. Questi sedimenti Terziari, che inizialmente coprivano quelli calcarei e dolomitici del Mesozoico con spessori sino al chilometro, sono poi stati erosi dalla parte più elevata della dorsale dei Monti Lattari. Rimangono invece conservati nella parte più occidentale e più bassa della penisola, tra Nerano, S. Agata e Massalubrense. Il corrugamento dell'Appennino avvenne nella seconda metà del Terziario e diede luogo ad una catena che, inizialmente rettilinea e allungata tra la Tunisia e la Liguria, migrò progressivamente verso oriente, ruotando in senso antiorario. Mentre ciò avveniva si aprivano alle sue spalle due nuovi bacini oceanici: quello Alghero-Provenzale e quello del Tirreno. Ed è proprio allo sprofondare di quest'ultimo (e del Tirreno meridionale, in particolare) che dobbiamo la forte frammentazione verticale che caratterizza il paesaggio dell'intera Campania costiera e della zona del nostro viaggio in particolare. Infatti, le forze tettoniche che portarono l'Appennino meridionale a piegarsi nell'arco Calabro-Peloritano ed il Tirreno ad estendersi verso sud-est provocarono il ribassamento sotto il livello marino di vari settori dell'Appennino campano, mentre altri rimanevano nella loro originaria posizione o continuavano a sollevarsi. Nacque così quella alternanza di rilievi montuosi (Monti di Gaeta, gruppo del M. Massico, Monti Lattari, promontorio del Cilento) e di depressioni ospitanti golfi e piane costiere (Piana del Garigliano, Piana Campana-Golfo di Napoli, Piana del Sele-Golfo di Salerno, Golfo di Policastro) che tanto contribuisce a rendere vario e piacevole il paesaggio campano. La massima espressione di questa frammentazione in alti e bassi è certamente data dalla sottile dorsale dei Monti Lattari, nella quale si elevano sino ad oltre 1400 metri di quota quelle rocce della catena appenninica che, invece, nei prospicienti golfi di Napoli e Salerno si inabissano sino a tremila metri sotto il livello del mare. I forti dislivelli e le impervie pendenze che caratterizzano il paesaggio della Costiera Amalfitana sono dunque dovuti ai grandi fagliamenti che nel corso del Quaternario (ultimi due milioni d'anni circa) hanno fatto collassare il golfo di Salerno facendone una appendice del bacino tirrenico. Fu in seguito a questi sprofondamenti che si immersero nel mare i monti di cui oggi emergono solo le cime negli isolotti de Li Galli, Isca e Vitara. Con gli stessi eventi la conca di Agerola perse i rilievi che una volta la chiudevano verso sud (facendone una depressione intramontana chiusa) ed assunse la sua attuale fisionomia a poltrona stupendamente affacciata sulla Costiera. Il sollevamento subito dai M. Lattari durante lo sprofondamento del Golfo di Salerno è testimoniato da terrazzi marini (antiche spianate costiere innalzate sopra il livello marino) e antichi depositi di spiaggia che si rinvengono sino a 250 metri s.l.m. nelle zone di Conca dei Marini, Praiano e Vettica Maggiore. Che questa tendenza al sollevamento si sia infine placata è dimostrato dal fatto che le tracce di un livello marino di circa 130.000 anni fa (solchi di battigia, perforazioni di litofagi nella roccia e depositi di spiaggia) si rinvengono ancora alla quota che il mare raggiungeva in quell'epoca. Un'epoca che, essendo più calda dell'attuale, vedeva la Terra più povera di ghiacciai ed il livello marino conseguentemente più alto di quello odierno di circa 6 metri. Oltre che lungo le falesie costiere, le tracce di questo antico livello marino si possono notare anche nella Grotta dello Smeraldo, dove le stalattiti, formatesi in un momento di clima freddo e mare basso, mostrano i segni di una sommersione marina (fori di litofagi) sino ad, appunto, circa sei metri di quota. A testimoniare, invece, le condizioni del paesaggio locale durante le periodiche crisi fredde (glaciazioni) del quaternario sono le tracce di linee di riva sommerse sino ad oltre cento metri di profondità. Queste tracce passano al largo de Li Galli e di Capri, dimostrando che tali isole venivano ad essere unite alla terraferma quando l'espandersi delle calotte glaciali e dei ghiacciai di montagna (ne avevamo anche in Appennino) faceva scendere il livello dei mari. Sempre in corrispondenza di questi abbassamenti del livello marino i torrenti dissecanti i monti della Costiera approfondirono le loro gole sino a diverse decine di metri più in basso dell'attuale quota zero, creando così le premesse per la comparsa di quelle strette insenature (vedi i casi di Furore, Praia e Crapolla) dovute, per l'appunto, alla sommersione delle antiche foci ad opera del mare in risalita dopo la fine dell'ultima glaciazione. Quest'ultimo sollevarsi del mare avvenne tra quindicimila e cinquemila anni fa ed ebbe come testimoni i nostri antenati preistorici. Studiando i resti di pasto che si trovano negli strati detritici che colmano la grotta La porta (sulla costa di Positano), gli archeologi hanno ricostruito come i frequentatori di quell'ambiente adeguarono i loro usi alimentari al mutare del paesaggio circostante man mano che il mare avanzava. Gli strati più antichi (Mesolitico) sono ricchi di ossa di stambecchi e cinghiali, mentre quelli più recenti (Neolitico) contengono quasi esclusivamente conchiglie di molluschi marini. Queste e mille altre cose ancora può narrare la geologia della Costiera. Mille i paesaggi, le scene, che possono formarsi nella mente del visitatore che vuol viaggiare oltre l'immanente.