[Redigere un brevissimo testo, che si fondi sui brani riportati di seguito, in due versioni che ne richiamino il contenuto: la prima con una citazione testuale, la seconda tramite discorso indiretto. Entrambe con relativa cit. bibliografica] 1. Brano tratto dal vol. di Sebastiano Timpanaro, intitolato Sulla linguistica dell’ottocento, stampato nel 2005 da Il mulino di Bologna. Cit. alla pagina 231. Si parla di Graziadio Isaia Ascoli “... furono invece il sanscrito e l’ebraico, e i problemi più generali dell’origine del linguaggio e dei rapporti tra lingue e caratteri etnici, ad assorbire ben presto la sua attenzione [...] problemi fondamentali della scienza linguistica di allora, che non era, come poi divenne, linguistica ‘pura’, ma linguistica-etnografia, con prevalente interesse per la preistoria. Dall’Ascoli tali problemi erano vissuti con un particolare pathos per la sua condizione di israelita e di italiano suddito dell’impero austriaco. La diversità di lingue, di religioni, di tradizioni culturali, non si presentava in quell’ambiente (diversamente da quanto, almeno in certa misura, avveniva in Svizzera) come tranquilla coesistenza, ma come contrasto e ingiusta disparità di diritti” C’è spesso un elemento psicologico decisivo che indirizza uno studioso in un senso piuttosto che in un altro. I lavori di Ascoli, con la loro inconfondibile impronta linguistico-etnografica, erano “vissuti con un particolare pathos per la sua condizione di israelita e di italiano suddito dell’impero austriaco”1 1 Sebastiano Timpanaro, Sulla linguistica dell’Ottocento, Bologna, Il mulino, 2005, p. 231 2. Brano tratto da un volume del 1985 de Il mulino intitolato, Storia linguistica e storia letteraria. Opera di Alfredo Stussi. Cit. alla p. 81 “Giovanni Boccaccio è uno dei pochi scrittori della letteratura italiana medievale del quale ci sono giunte in manoscritti autografi alcune opere, e, in particolare, opere volgari. Da questo punto di vista egli è assimilabile a Petrarca, piuttosto che a Dante di cui nulla ci è rimasto vergato dalla sua propria mano: ciò è molto importante non solo perché consente di valutare una cospicua componente culturale come la scrittura, ma anche perché allo studioso della lingua antica offre una testimonianza ampia e affidabile” Gli autografi di autori antichi offrono dati e testimonianze più affidabili rispetto ai testi di autori, pur grandi, che ci sono giunti in copia1 1 Alfredo Stussi, Storia linguistica e storia letteraria, Bologna, Il mulino, 1985, p. 81 3. Brano tratto da Introduzione di Renzo Tosi, nel vol.: Il proverbio in Grecia e a Roma, stampato da Serra, a Roma, nel 2010. La citazinoe è alla pagina 13 del testo che sta tra la p. 13 e la p. 29 “Che cosa è un proverbio? E in che cosa si differenzia da un adagio, da un apoftegma, da una sentenza, da una massima, da un aforisma? Dare una esauriente risposta a questa domanda non è facile, e addirittura non è possibile fornirne una ‘aristotelica’, che delimiti bene i campi, che spazzi via ogni dubbio, o almeno ciò è possibile solo a chi è abituato a fare i conti solo con sé stesso, con i propri ragionamenti intellettuali, e non con i testi e con la loro storia” Il concetto di proverbio è indefinibile (Tosi 2010: 13) Bibliogr.: Tosi, Renzo 2010 Introduzione, in: Il proverbio in Grecia e a Roma, Roma, Serra: 13-29 Solo “chi è abituato a fare i conti solo con sé stesso, con i propri ragionamenti intellettuali, e non con i testi e con la loro storia” può dare una definizione univoca, certa e definitiva di un concetto sfuggente come quello di ‘proverbio’1 Renzo Tosi, Introduzione, in Il proverbio in Grecia e a Roma, Roma, Serra, 2010, p. 13 1 4. Brano tratto dalla p. 184 di un libro di Guido Mazzoni (Sulla poesia moderna) stampato da Il mulino di Bologna nel 2005. Poiché il genere è strutturalmente egocentrico, sembra ragionevole ordinare gli assi del suo sviluppo considerando l’immagine, il peso, il ruolo della prima persona nel mondo che la poesia raffigura. [...] Il modello di poesia soggettiva che si è imposto negli ultimi secoli, come abbiamo detto, nasce fra la seconda metà del Settecento e l’inizio dell’Ottocento. Applicando alla letteratura una categoria della filosofia politica, potremmo chiamare questo archetipo romanticismo lirico. [Comporre un breve testo originale, completo di citazioni bibliografiche, che utilizzi come fonte il brano 3 sopra e il brano 4 che segue] 5. Brano tratto dalla p. 8 di un articolo intitolato Un nuovo commento alle «Rime» di Dante, scritto da Claudio Giunta e pubblicato in Paragone Letteratura, n.81-82-83 corrispondente all’annata 2009 da p. 3 a p. 26. “Ebbene, per capire che cosa dice Dante, e perché lo dice in questo modo, non serve aver molto amato, e neppure serve aver letto molte poesie d’amore. Serve sapere (quanto al modo) che la retorica adoperata da Dante non è una retorica libera ma ricalca quella in tre tempi – invocazione, elogio, preghiera – dell’innografia greca e latina, trapiantata poi nella liturgia cristiana. E serve sapere (quanto alla sostanza) che il contenuto dei versi, ciò che Dante dice, va messo anch’esso in relazione un tipo di discorso non poetico, il discorso della filosofia neoplatonica (un Principio dal quale derivano per emanazione «vita e virtù» sulle cose celesti e sulle cose terrene) e della teologia cristiana.” La poesia d’amore di Dante è una poesia antisentimentale, costruita su moduli retorici prestabiliti e agganciata saldamente alla cultura teologica e filosofica del suo tempo (Giunta 2009: 8). Qualcosa di radicalmente diverso dal romanticismo lirico che nasce e inizia a crescere tra Sette e Ottocento (Mazzoni 2005: 184). Bibliogr. Giunta, Claudio 2009 Un nuovo commento alle «Rime» di Dante, «Paragone. Letteratura», 8182-83: 3-26 Mazzoni, Guido 2005 Sulla poesia moderna, Bologna, Il mulino