Diocesi Piacenza-Bobbio - Pellegrinaggio in Turchia Cappadocia Monari mons. Luciano, Vescovo Celebrazione Eucaristica, in onore dei padri Cappadoci Giovedì, 21 giugno 2001 Letture: XI sett. t.o. C – 2 Corinzi (11, 1-11); Matteo (6, 7-15). Omelia 1. Il Concilio di Nicea Abbiamo imparato a conoscere, almeno un po’ alla lontana (n. d. r.), i Padri Cappadoci, cioè quei santi scrittori della Chiesa che sono vissuti in questa Provincia: S. Basilio, S. Gregorio di Nazianzo e S. Gregorio di Nissa. La vita di questi tre santi è legata ad un momento particolare della storia della Chiesa, che è la lotta dell’arianesimo. E provo a spiegare che cosa è successo: Il problema riguardava l’identità di Gesù, e il Concilio di Nicea del 325 d. C. aveva definito la consostanzialità di Gesù con il Padre, cioè una cosa molto semplice: che Gesù Cristo è Dio (cfr. Gv 20, 31), è uomo e Dio (cfr. Luca 1, 31-32). Quindi il Concilio di Nicea ha affermato la divinità di Gesù. Però questa affermazione non è facile da accettare: che un uomo concreto, Gesù di Nazaret, sia veramente Dio come il Padre che lo ha mandato (cfr. Gv 17, 3), che non ci sia uno scalino di separazione e di abbassamento ma ci sia la medesima sostanza, questo è difficile da accettare. L’arianesimo, magnificando la grandezza di Gesù, dicendo che il suo messaggio è stato grande e straordinario… però voleva affermare Gesù come una creatura se pur la più grande e la più nobile. Dopo Nicea è nata una controversia tra quelli che rimanevano fedeli a Nicea e quelli che avrebbero invece voluto inserire qualche diminuzione, perché l’affermazione pari pari della divinità di Gesù era difficile, appariva quasi insopportabile. I padri Cappadoci sono i grandi difensori delle affermazioni e delle definizioni del Concilio di Nicea, quindi sono lì per affermare che Gesù è veramente Dio; e poi che lo Spirito Santo è veramente Dio (cfr. Ef 4, 30). E i padri Cappadoci preparano, e anche lo Celebrano, il II Concilio Ecumenico che è a Costantinopoli nel 381 d. C. Ma tutto questo che cosa interessa a noi e alla nostra fede? È proprio così importante difendere quella parola “consostanziale” homoúsios che Nicea aveva usato. Gli ariani facevano un cambiamento piccolissimo, ci aggiungevano una “i”. invece che dire homoúsios, dicevano: homoiúsios, è somigliante al Padre. Questo è proprio così importante? Che cosa era in gioco? Erano in gioco due cose semplici: 1. Il sapere se Gesù è una realtà definitiva; perché, se Gesù è Dio, al di là di Gesù non si va; quello che Gesù ha fatto, la sua vita, la sua morte e la sua salvezza sono definitive. Ma se Gesù è creatura, anche se grande però può darsi che Dio ne mandi poi un altro che porti a compimento e perfezioni quello che Gesù ha fatto; finora è il più grande, ma chissà se domani ne viene un altro profeta o maestro? 1 Mentre noi sappiamo che Gesù è Dio, la sua vita e il suo messaggio sono definitivi, durano per sempre (cfr. Ap 1, 18). 2. Ma c’è una seconda conseguenza ed è questa: se Gesù è Dio, la salvezza che Gesù ha operato è davvero per noi definitiva (cfr. Eb 9, 28), ed è per noi una partecipazione alla vita di Dio (cfr 2 Cor 2, 14); perché, se Gesù è Dio, quelli che prende con sé possono diventare partecipi della vita di Gesù e quindi diventare figli di Dio in Gesù. Ma se non è Dio, non riesce a rendere Dio gli altri. Di quello che Gesù ha compiuto, lo ha compiuto come Figlio di Dio, come Dio stesso, allora la salvezza è assicurata una volta per sempre. Ma se quello che Gesù ha compiuto l’ha compiuto come un grande profeta, non c’è dubbio che Gesù ha rivelato l’amore di Dio, ma chissà che poi venga qualcun altro a dire: si, Dio è amore, ma poi ci sono delle altre cose in Dio, e la rivelazione che Gesù ha compiuto, dell’amore del Padre, diventa da questo punto di vista provvisorio. ‒ Insomma, quello che era in gioco, non era solo un problema di teologia astratta, ma è un problema di capire la vita cristiana; allora noi diciamo: Dio è amore e vi ha amato così tanto da donare il suo Figlio per voi (cfr. 1 Gv 4, 10), quindi la vostra vita è una vita amata e salvata. All’origine e al fondamento della vostra vita ci sta un amore definitivo di Dio che non cambierà qualunque cosa succeda, dovessero crollare i monti e cadere la luna l’amore di Dio per voi non viene meno (cfr. Gv 14, 15), questo noi acclamiamo. Ma perché questo sia vero bisogna che Gesù sia vero, e che Gesù sia l’ultima Parola di Dio e non la penultima, perché, se è la penultima, dopo ne viene un’altra che mi dice: sì, è vero, Dio è amore però… non ci sono “però”. L’amore di Dio è definitivo. Siccome lo Spirito Santo, che Gesù dona, è Dio anche lui, voi che ricevete lo Spirito Santo siete davvero figli di Dio; non per modo di Dio, non per una mitologia strana, ma diventate partecipi della vita stessa di Dio (cfr. Rm 8, 9-11). 2. La preghiera del “Padre nostro” Che cosa cambia, lo proviamo a vedere dalla preghiera che noi diciamo tutti i giorni, e che abbiamo ascoltato nel Vangelo. Gesù ci ha insegnato a pregare con il “Padre nostro” e lo incominciamo dicendo: “Padre nostro che sei nei cieli sia santificato il tuo nome” (Mt 6, 9). Se Gesù fosse semplicemente un grande uomo e profeta, che significato ha quella parola “Padre nostro”? Vuole dire: io riconosco che la vita viene da Dio; Dio ha creato il mondo, quindi io sono debitore della mia vita e tutto quello che sta intorno a me è il segno della Provvidenza di Dio; è Dio che mi dona da mangiare tutti i giorni e mi dà la forza di lavorare e mi dà la speranza di potere vivere un po’ in salute con la mia famiglia… tutte queste cose mi vengono da Dio, quindi Dio è Padre; quindi lo intenderei così. Ma un cristiano non l’intende così; cioè intende che tutte quelle cose che ho detto sopra sono vere, ma c’è qualche cosa d’altro di più che è questo: Dio possiede una sua vita, ma il suo amore, la sua santità, la sua sapienza… tutte queste cose Dio le ha comunicate e le ha date all’uomo, per cui voi avete lo stesso Spirito di Dio, quindi siete veramente figli di Dio (cfr. Rm 8, 14-17). È vero noi diciamo: “figli di adozione” (Rm 8, 15), perché c’è una diversità fondamentale da Gesù Cristo che è questa: Gesù Cristo è Figlio di Dio per conto suo, mentre noi siamo figli di Dio attraverso, per mezzo, per grazia di Gesù Cristo (cfr. 1 Cor 15, 20-23). Ma Cristo veramente ci rende suoi fratelli, quindi figli di Dio realmente perché abbiamo lo Spirito di Dio che è lo Spirito Santo. Per cui quando diciamo: “Padre nostro che sei nei cieli”, non diciamo solo: ringrazio il creatore perché mi ha dato la vita; ma diciamo: ringrazio Dio perché ha messo la sua vita dentro la mia esperienza e la mia vita. 2 E questo è l’aspetto paradossale ma tipico del cristianesimo. “Paradossale” perché della gente povera come noi – “che vive settanta, ottanta anni per i più robusti” (Sal 90, 10), qualche anno in più per benevolenza di Dio, che nella nostra capacità di amare si porta dietro tanti limiti, soprattutto dal punto di vista etico, e quindi ci rendiamo conto del nostro egoismo; se guardiamo la storia dell’uomo, la nostra storia, riconosciamo delle cose bellissime, ma dobbiamo batterci il petto per tutta una serie di comportamenti negativi, crudeli e falsi – possa davvero diventare partecipe della vita di Dio è una meraviglia incredibile; tanto incredibile che per qualcuno può apparire assurdo e inconcepibile, ma è l’essenziale del cristianesimo. L’abbiamo ricordato in questi giorni: tutta la tradizione teologica orientale insiste sul fatto che la vita cristiana è una divinizzazione, è un cammino progressivo di somiglianza con Dio, per cui quello che Dio ha messo nei nostri cuori come grazia, essere suoi figli, può diventare una realtà etica e divina, cioè il nostro comportamento può davvero diventare simile a Dio. L’abbiamo visto nei santi: i santi sono quelli che hanno realizzato la vocazione cristiana, ma la vocazione alla santità è di tutti, mia e vostra, e la possibilità è di tutti perché Dio la dà come grazia. Chiaramente la grazia di Dio non è meccanica, non è un vestito che mi viene messo addosso e poi dopo ce l’ho, ma è un’energia e una dignità che mi viene data e devo portare a compimento. Così come ciascuno di noi deve diventare uomo – nel senso che deve diventare una persona matura, perché ognuno ha la natura umana ma la deve realizzare –, così siamo figli di Dio; lo siamo già per grazia, non c’è bisogno di conquistarla, dicevamo ieri seguendo san Paolo (a); tocca a noi viverlo e questo è un cammino progressivo che è tutto l’itinerario ascetico e spirituale della vita cristiana. Quando questo itinerario avviene, allora capite il senso della preghiera che noi facciamo: “Padre nostro che sei nei cieli”, quindi ci riconosciamo figli di Dio e riconosciamo Dio Padre che ci ha amato e nel quale possiamo avere fiducia. “Sia santificato il tuo nome”. Badate che questa espressione vuole dire: “Sia santificato il tuo nome nella nostra vita”, e significa: la vita dell’uomo, la vostra vita, fragile e povera come dicevamo prima, però può diventare per grazia di Dio un luogo dove Dio è santificato. “Un luogo dove Dio è santificato” vuole dire: un luogo dove ci sono delle cose così belle, sante, vere e ricche di amore che Dio si riconosce lì. Capite cosa vuole dire?: Io posso vedere Dio nella vostra vita; nel modo in cui vivete. Quindi questo noi chiediamo a Dio: “Santifica il tuo nome, fa in modo che la nostra vita diventi una vita così bella che chi la vede riconosca te, il tuo amore, la presenza di Dio”. E lo stesso vale per le altre affermazioni: “sia santificato il tuo nome; venga il tuo regno; sia fatta la tua volontà” (Mt 6, 9b-10a), vogliono dire esattamente questa medesima cosa: l’azione di Dio nella nostra vita diventa così vera e intensa che nel nostro comportamento si riconosce la volontà e la sovranità di Dio, il suo disegno sull’uomo. Questo noi crediamo. C’è un testo famoso di S. Agostino che dice: “L’uomo tende a diventare quello che lui ama. Se un uomo ama la terra, diventerà in qualche modo come la terra. Ma se ama Dio, che vuoi che ti dica, diventerà Dio”. Il cammino dell’esistenza dell’uomo è paradossalmente questo; però intendendoci bene: diventare Dio, non senza Dio – come avrebbe voluto fare Adamo (cfr. Ez 28, 13-19) –; ma diventare Dio per grazia di Dio, per la grazia di Dio che si chiama “Gesù Cristo”. Siccome la nostra vita deve essere da figli di Dio, e però nella nostra vita abbiamo tutte le fragilità e i limiti dell’uomo, allora la seconda parte della preghiera del “Padre nostro” ci aiuta a vivere la debolezza della nostra carne nella fiducia in Dio: “Dacci oggi il nostro pane quotidiano, e rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori, e non ci indurre in tentazione, ma strappaci dal male” (Mt 6,11-13). Vuole dire: “Padre, sei il nostro Padre, fa in modo che la nostra vita sia davvero da figli di Dio in cui tu sei riconoscibile e amato. Però, siccome la nostra vita continua ad avere tutte le fragilità, noi ti affidiamo al nostra speranza, perché tu sostenga il nostro cammino in mezzo alla povertà e alla debolezza: - alla povertà della fame e del bisogno in genere; 3 - alla povertà del peccato e del bisogno di perdono che ci portiamo dentro; - alla povertà della fragilità e quindi del rischio di venire meno alla nostra vocazione che viviamo. Conclusione Ecco, il “Padre nostro” è pregabile se noi siamo davvero figli di Dio; ma noi siamo davvero figli di Dio se Gesù Cristo è veramente Figlio di Dio e uguale al Padre nella divinità. Per questo era in gioco qualche cosa di grosso, non una questione teorica sulla personalità di Gesù Cristo o su quello che noi dobbiamo pensare; ma qualche cosa di centrale su quello che è la nostra vocazione cristiana, l’identità del cristiano come vero figlio di Dio attraverso Gesù Cristo. Se le cose stanno così, dobbiamo ringraziare anche i padri Cappadoci perché hanno permesso alla Chiesa, con fatica, di prendere coscienza della sua vera identità e vocazione. * Documento rilevato dalla registrazione, adattato al linguaggio scritto, non rivisto dall’autore. (a) Cfr. Celebrazione Eucaristica di mercoledì 20 giugno 2001. 4