DIACONI SEMPRE
Omelia per l’Ordinazione diaconale 2006
Il gesto del “passo avanti” che questa sera, carissimi candidati all’ordine diaconale, voi avete
compiuto rispondendo alla chiamata di Mons. Vicario e del Vicerettore è ricco di grande significato,
che merita la attenzione di tutti noi dal Vescovo, Ausiliare compreso, ai presbiteri e diaconi che vi
circondano con l’amicizia, ai familiari e parenti che vi accompagnano con comprensibile
trepidazione, alle varie comunità di appartenenza che vi sostengono con l’affetto e la gioia. Chi
sono i diaconi?
Radicati in Cristo
Lascio la parola a Colui che per primo vi ha chiamati a fare questo passo in avanti che è il
Signore Gesù. Che cosa vi ha detto Gesù nel Vangelo? “Io sono la vera vite e il Padre mio è il
vignaiolo… Rimanete in me ed io in voi”. Una antica tradizione popolare invitava coloro che si
sposavano e mettevano su casa, oppure si consacravano nel celibato alla Chiesa, a piantare davanti
alla loro casa o chiesa un albero: non tanto il fiore di stagione che spunta bello in primavera e poi
muore al primo freddo invernale, ma un albero destinato a crescere e a portare frutto nel tempo
lungo della vita.
Ebbene, Gesù stesso si rivela come questo grande albero piantato sul terreno della nostra storia,
che non secca con il trascorrere del tempo, ma risorge come perenne primavera per la vita del
mondo. Perciò quando ascoltiamo una parola del Vangelo, ascoltiamo una parola “risorta” con Lui,
che ha la vivacità, la forza, la luminosità del Signore risorto stesso. Ecco allora chi sono i diaconi:
sono i discepoli di questa Parola di Dio che ha preso volto nel Signore Gesù, radicati in Lui come lo
sono i tralci all’albero della vite.
Diaconi si diventa anzitutto per una chiamata del Signore, letteralmente “per grazia di Dio”.
Prima che un compito, il diaconato è un dono. Prima che una scelta pastorale di una Chiesa, è un
atto di fedeltà alla struttura del sacramento dell’Ordine voluta dal Signore stesso, è la riscoperta di
tutta la grazia insita nel sacramento dell’Ordine, e quindi di una immagine di Chiesa più coerente
con la Chiesa pensata e voluta da Gesù Cristo, vero pastore della Chiesa.
Radicati come tralci alla vite che è Gesù, Colui che ha dato la sua vita per noi, voi diaconi non
siete tanto dei “volontari” nella vigna del Signore, che iniziano magari con entusiasmo un servizio
nella comunità, partecipano ad una stagione promettente della Chiesa, maturano i primi frutti
gratificanti nel campo dell’apostolato, per poi - alle prime difficoltà - ritirarsi a vita privata. No:
diaconi siete per sempre; e lo siete anche nei cambiamenti del ministero, come i preti.
Tagliati per il servizio
Radicati come tralci alla vite che è Gesù, che è venuto per servire, non per essere servito, vuol
dire allora per voi diaconi essere ordinati per il servizio. Prolungando l’immagine della vite e dei
tralci, si potrebbe dire che diventare diaconi è essere “tagliati” e “ritagliati” per i vari servizi nella
Chiesa.
E così, se uno si sottrae al servizio a lui affidato, questo servizio dovrà inesorabilmente essere
fatto da altri, e i pesi ricadranno inevitabilmente su quelli più disponibili, che non dicono mai di no.
È importante fare tutto il possibile perché uno possa svolgere il ministero nel contesto più positivo
possibile, ed è altrettanto importante essere disposti a “portare i pesi gli uni degli altri” (Gal 6,2).
Mi rivolgo qui ai diaconi permanenti: come guardano allora a voi diaconi le comunità, i preti, il
vescovo? E prima ancora, come guardano a voi quelli di casa, della vostra famiglia?
A voi guardano quelli di casa – moglie, figli, parenti – come al coniuge e al padre chiamato a
vivere sentimenti, affetti, tempo e lavoro quali momenti domestici della testimonianza cristiana:
fiducia nella vita, educazione alla responsabilità, apertura agli altri, ai poveri, al mondo…
A voi guardano le famiglie lontane dalla Chiesa che ancora chiedono il Battesimo e i
sacramenti per i figli, o solo riscoprono la fede dopo anni di lontananza; i giovani catecumeni
provenienti da altri Paesi e culture.
A voi guardano le comunità di appartenenza come a persone consacrate per la vita al servizio,
anche se le forme possono mutare.
A voi guardano i preti, i parroci moderatori di unità o zone pastorali, come animatori dei centri
di ascolto della Parola di Dio, volontari della Caritas, referenti per le piccole comunità senza
parroco residente.
A voi guarda il Vescovo come responsabili di uffici pastorali, guide nel mondo della scuola,
della professione e della cultura, missionari fidei donum nello scambio tra Chiese sorelle.
Tocca a voi, diaconi ordinati “non per il sacerdozio ma per il servizio del Vescovo”
(Tradizione apostolica) amare questa nostra Chiesa locale, farla amare e servirla in concreto, non
solo come ambito in cui lavorare per qualche iniziativa, ma come centro di amore e di dedizione, in
cui la propria vita trova la sua identità spirituale. Di questa Chiesa voi come diaconi assumete i
tratti, la fisionomia, i modi di essere e di fare, come figli nella propria famiglia.
Ricchi di frutti
Mentre nutriamo grande gioia per la crescita anche come numero dei diaconi permanenti nella
Chiesa, non possiamo però ignorare il calo di vocazioni al ministero pastorale nel celibato. La
diminuzione del numero dei preti rischia di produrre una perdita di fiducia nella figura stessa del
prete. Sentirsi una specie in estinzione non è sentimento gratificante.
In realtà le cose non stanno affatto in questo modo: la figura del prete rimane apprezzata e
cercata. Quando siamo costretti a lasciare vuota, senza prete residente, una parrocchia, sentiamo
vivissimi i lamenti e le proteste della gente, paradossalmente anche da persone che non frequentano,
ma colgono chiaramente il valore sociale di questa presenza. E però un certo effetto di malinconia è
inevitabile.
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Anch’io cerco di leggere questa situazione di povertà vocazionale alla luce del Vangelo: “Ogni
tralcio che in me porta frutto (il Padre) lo pota, perché porti più frutto”, ci ha detto Gesù
nell’odierna pagina di Vangelo. Sì, come presbiterio possiamo essere privati di molti ornamenti,
privilegi riconosciuti un tempo, in un certo senso “potati come tralci”, ma per essere ricondotti alla
vite che è Cristo: proprio questa concentrazione potrà rendere il nostro servizio, pur povero di
foglie, più ricco di frutti.
Non è forse questa una ricchezza per la Chiesa: la promessa di celibato che tra poco gli
ordinandi seminaristi e l’ordinando professo nei Servi della Chiesa assumeranno nelle mani del
Vescovo? Sì, si è celibi perché il Regno, che è Dio, ha fatto irruzione nella vita consacrata
attraverso Gesù, amato come una ricchezza così piena da non lasciare spazio per un progetto
particolare di famiglia, e così ricca da non cercare altro, se non come riflesso e segno del suo
Amore. E gli altri saranno tanto più segno dell’Amore di Gesù, quanto più saranno serviti, amati e
legati al cuore di Gesù, non al nostro piccolo io privato.
“Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto…e il vostro frutto rimanga” (Giov 15,16). Tutti
gli uomini vogliono lasciare una traccia che rimanga della loro vita. Ma che cosa rimane? Il denaro,
no; anche gli edifici non rimangono; i libri, nemmeno. Dopo un tempo più o meno lungo tutte
queste cose scompaiono. L’unica cosa che rimane è perciò quanto abbiamo seminato negli altri:
l’amore, la conoscenza, il gesto capace di toccare il cuore, la parola che apre alla gioia del Signore.
Allora preghiamo il Signore, perché ci aiuti tutti, aiuti questi ordinandi diaconi, a portare frutto,
un frutto che rimane.
+ Adriano VESCOVO
Reggio Emilia, 13 maggio 2006
Ordinazione diaconale di 11 diaconi permanenti
e di 3 seminaristi candidati al presbiterato.
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