Anno C 1ª DOMENICA DI AVVENTO Ger 33,14-16 - Io farò germogliare per Davide un germoglio di giustizia. Dal salmo 24 - Rit.: A te, Signore, innalzo l’anima mia. 1 Ts 3,12–4,2 - Il Signore renda saldi e irreprensibili i vostri cuori al momento della sua venuta. Canto al Vangelo - Alleluia, alleluia. Mostraci, Signore, la tua misericordia e donaci la tua salvezza. Alleluia. Lc 21,25-28.34-36 - La vostra liberazione è vicina. “In quei giorni farò germogliare un germoglio di giustizia” Oggi ha inizio il periodo liturgico di Avvento, “che significa aspettativa, preparazione, desiderio, speranza dell’arrivo nel mondo, nel tessuto storico del popolo eletto e nel disegno universale dell’umanità, di Colui verso il quale, per secoli e in mezzo alle più tormentate esperienze, si è tesa l’ansia della salvezza, la visione del Re vincitore, dell’instauratore della giustizia e della pace... Questa spiritualità, rivolta verso un avvenire nuovo, felice, indescrivibile, e verso un Personaggio straordinario, che riassume in sé la figura di Davide, il re ideale, e la trasfigura in una personalità trascendente, liberatrice, salvatrice, e misteriosa, percorre l’Antico Testamento, facendosi sempre più chiara e sempre più librata sulla infelice e deludente realtà storica della Nazione da cui era coltivata, e la sorregge, questa Nazione, in una fiducia che sembra sfidare gli avvenimenti più avversi”.i L’Avvento, come spirito di attesa e tensione verso il futuro, attraversa perciò tutto l’Antico Testamento: ma direi che non si esaurisce neppure con la venuta di Cristo, il Personaggio misterioso che non solo Israele ma l’universo intero ha atteso per millenni. La storia di Cristo non si circoscrive nello spazio di tempo in cui egli “ha posto la sua tenda fra noi” (cf Gv 1,14), ma continua nell’esperienza sempre nuova che gli uomini di tutti i tempi faranno di lui, fino al suo ritorno nella gloria. L’attesa perciò non è esaurita neppure per noi, ma si spinge sempre più lontano, verso ciò che deve ancora maturare in noi, nella storia, nel mondo, nella Chiesa. Il cristiano vive il suo “avvento”, sempre, perché 1ª Domenica di Avvento “C” - “Omelie per un anno 1”, Elledici 1 Cristo “viene” a ogni momento, e bisogna essere ben preparati ad accoglierlo. È su questa linea di riflessione che si muovono le letture bibliche, che adesso vogliamo rapidamente esaminare. “Egli eserciterà il giudizio e la giustizia sulla terra” La prima ci riporta un testo di Geremia, criticamente un po’ incerto: infatti esso manca nella versione greca, così detta dei Settanta. Sostanzialmente, però, è identico a un altro passo riferitoci al cap. 23,5-6: per cui non ci può essere dubbio sulla sua provenienza geremiana. Nella collocazione attuale esso è inserito in una prospettiva di rinnovamento materiale e spirituale della nazione giudaica, ormai devastata dal lungo assedio dell’esercito babilonese (Ger 33,1-13). Dio, che è fedele alle sue promesse, non potrà venir meno all’impegno preso con Davide, per bocca del profeta Natan, di dargli un discendente che sieda “per sempre” sul suo trono.ii “Ecco, verranno giorni, oracolo del Signore, nei quali io realizzerò le promesse di bene che ho fatto alla casa d’Israele e alla casa di Giuda. In quei giorni e in quel tempo farò germogliare per Davide un germoglio di giustizia, egli eserciterà il giudizio e la giustizia sulla terra. In quei giorni Giuda sarà salvato e Gerusalemme vivrà tranquilla. Così sarà chiamata: “Signore-nostra-giustizia”” (Ger 33,14-16). In Ger 23,6, l’appellativo “Signore-nostra-giustizia” non viene attribuito a Gerusalemme, ma al Messia direttamente. E questo in antitesi ironica col nome di Sedecia, l’imbelle re del tempo (597-586), che in ebraico vuol dire appunto “Signore-mia-giustizia”: la “giustizia” che Sedecia non è riuscito a realizzare, la realizzerà il Messia! Pur essendo l’attenzione dell’oracolo concentrata sul futuro discendente di Davide, sta di fatto che esso viene annunciato in quanto intimamente collegato con le sorti del “suo” popolo. Se in quei “giorni” lontani Giuda “sarà salvato” e Gerusalemme, la capitale del regno, “vivrà tranquilla” nella giustizia (v. 16), tutto sarà merito del Messia. Addirittura sembra che si preannunzi la ricostituzione unitaria del regno, ormai da tanto tempo diviso: la “casa d’Israele” e la “casa di Giuda” vedranno la realizzazione delle “promesse di bene” a loro fatte dal Signore (v. 14).iii Il Messia, perciò, promuoverà il bene spirituale e materiale del suo popolo: l’“unità” degli spiriti, che aggrega tra di loro uomini e nazioni, è un fatto morale, ma anche “politico”! Tutto questo, del resto, è detto esplicitamente quando si afferma che “egli eserciterà il diritto e la giustizia sulla terra” (v. 15). Era quanto preannunciava, in termini altamente poetici, anche il profeta Isaia: “Egli 1ª Domenica di Avvento “C” - “Omelie per un anno 1”, Elledici 2 sarà giudice fra le genti e sarà arbitro fra molti popoli. Forgeranno le loro spade in vomeri, le loro lance in falci; un popolo non alzerà più la spada verso un altro popolo, non si eserciteranno più nell’arte della guerra” (Is 2,4). Come si vede, proprio per questa ampiezza di prospettive il Messia è colui che “ancora” tutta l’umanità aspetta. Il Cristo è venuto storicamente già da duemila anni, ma la sua missione di “giustizia” e di “pace”, di “unificazione” degli uomini e delle nazioni fra di loro, di guarigione dei mali dello spirito e di quelli del corpo, è quasi tutta da compiere, come si può constatare guardandoci attorno. Si capisce allora come l’attesa messianica, “l’avvento” appunto, sia una dimensione essenziale del nostro essere cristiani, e anche semplicemente uomini. Ma non un’attesa messianica vaga, o che si limiti agli orizzonti terreni, sul tipo di certe ideologie oggi piuttosto di moda, che di fatto, però, uccidono la speranza! Un’attesa, invece, quella dei cristiani, ben precisa, che si identifica in Gesù dì Nazaret, che ha promesso agli uomini la “liberazione” totale, perfino quella dalla morte che travolge il nostro corpo. Oggi gli uomini si rendono sempre più conto che l’unico Messia che può aiutarli a risolvere tutti i loro problemi, a incominciare da quelli materiali, è Cristo in quanto espressione massima dell’amore, della donazione al servizio di tutti. È anche piena di poesia l’immagine con cui il Messia viene qui presentato: “In quei giorni farò germogliare per Davide un germoglio di giustizia” (v. 15). È un termine, quello di “germoglio” (in ebraico sémah), che ha fatto fortuna e viene adoperato comunemente per esprimere il Messia.iv L’immagine richiama un terreno arido e disseccato da cui Dio, per un prodigio della sua onnipotenza, fa fiorire un nuovo “virgulto” di vita, una speranza di sopravvivenza. Dio soltanto suscita il Messia e lo fa apparire proprio quando la terra sembra ormai impotente a produrre anche un solo filo d’erba, quale segno di nuova vitalità e di speranza. I “messianismi”, che gli uomini si inventano volta per volta, durano lo spazio di un giorno, perché la nostra “terra” da sola, purtroppo, non può produrre speranza! “Alzatevi e levate il capo, perché la vostra liberazione è vicina” Anche il brano di Vangelo è tutto orientato ad alimentare l’attesa nel cuore dei cristiani: quell’attesa che ormai va oltre il Natale e punta sul ritorno finale di Cristo, il quale verrà a premiare la fedeltà dei suoi servi e a celebrare la sua vittoria su tutte le forze del male, siano esse interne o esterne all’uomo. 1ª Domenica di Avvento “C” - “Omelie per un anno 1”, Elledici 3 Il brano è ripreso dal così detto discorso “escatologico”, comune ai tre Sinottici (Mt 24,1-44; Mc 13,1-37). Pur concentrando la sua attenzione sulla fine di Gerusalemme (21,3-24), Luca l’assume come simbolo della fine di tutte le cose, a cui i cristiani devono prepararsi giorno per giorno, cercando di decifrarne i “segni”: “Vi saranno segni nel sole, nella luna, e nelle stelle, e sulla terra angoscia dei popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con potenza e gloria grande. Quando cominceranno ad accadere queste cose, alzatevi e levate il capo, perché la vostra liberazione è vicina” (21,25-28). Con il linguaggio “apocalittico” del tempo l’Evangelista preannuncia il rinnovamento della creazione e di tutte le cose, quando “il Figlio dell’uomo verrà sulle nubi con potenza e gloria grande” (v. 27): al vecchio mondo che crolla ne succederà un altro, in cui la “gloria” di Dio e di Cristo sarà assoluta, non insidiata dalle potenze torbide del male. È verso questo mondo nuovo, “liberato” dalla schiavitù del peccato, che i discepoli di Cristo spingono la loro attesa e il loro desiderio: “Quando cominceranno ad accadere queste cose, alzatevi e levate il capo, perché la vostra liberazione è vicina” (v. 28). Ma questo mondo nuovo, se per un verso è creazione e dono di Dio, per un altro verso è anche frutto della cooperazione dell’uomo, nel senso che egli lo prepara e lo anticipa nella santità della vita e nello spirito di attesa e di vigilanza. È quanto Gesù ci ricorda al termine del suo discorso: “State bene attenti che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso improvviso; come un laccio esso si abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla faccia di tutta la terra. Vegliate e pregate in ogni momento, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che deve accadere, e di comparire davanti al Figlio dell’uomo” (vv. 34-36). Se ci lasciamo ingrovigliare e appesantire dagli “affanni della vita”, non è verso il futuro che marciamo, ma rimaniamo inchiodati al presente e alla terrestrità: il regno di Dio sta oltre! Dobbiamo muoverci verso di esso con il cuore e la mente pieni di amore e di desiderio. È bensì vero che “quel giorno” si abbatterà “improvviso” su tutti gli uomini, “come un laccio”; ma il rischio è solo per coloro che non sono pronti a “comparire davanti al Figlio dell’uomo” (v. 36). Per chi, invece, l’avrà amato, servito, atteso, desiderato, quello sarà l’incontro più bello: l’avvento definitivo che premierà e coronerà tutte le altre innumerevoli “venute” di Cristo nella nostra vita. 1ª Domenica di Avvento “C” - “Omelie per un anno 1”, Elledici 4 Di qui l’enorme importanza che Luca attribuisce alla “vigilanza” e alla “preghiera”, che però sono opera “di ogni momento”: “Vegliate e pregate in ogni momento, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che deve accadere” (v. 36). Credo che l’accento in questa frase vada posto proprio sulla “continuità” sia della vigilanza che della preghiera. La “vigilanza” richiama l’atteggiamento della sentinella che, soprattutto durante la notte, scruta ogni segno di insidia o di assalto improvviso; la “preghiera” esprime il sentimento di bisogno e di fiducia di chi si trova in situazione di difficoltà. Vigilando e pregando “in ogni momento”, il cristiano fa diventare tutta la sua vita un “continuo” avvento. Vivere “in attesa” del Signore Tutto questo ovviamente afferra e trasfigura anche la nostra condotta morale, che non può non riflettere l’esigenza del continuo “irrompere” di Cristo nella nostra vita. È quanto Paolo raccomandava ai cristiani di Tessalonica, congiungendo in mirabile armonia le diverse venute di Cristo: quella che ormai ci sta alle spalle, ma che deve caricare di significato e di fedeltà il presente; quella che deve ancora venire, e che noi dobbiamo contribuire a preparare nella “irreprensibilità” della vita di ogni giorno, in cui Cristo fa già presenti i segni del suo continuo venire soprattutto nei gesti dell’amore. “Il Signore vi faccia crescere e abbondare nell’amore vicendevole e verso tutti, per rendere saldi e irreprensibili i vostri cuori nella santità, davanti a Dio Padre nostro, al momento della venuta del Signore nostro Gesù con tutti i santi. Per il resto, fratelli, vi preghiamo e supplichiamo nel Signore Gesù: avete appreso da noi come comportarvi in modo da piacere a Dio, e così già vi comportate; cercate di agire sempre così, per distinguervi ancora di più...” (1 Ts 3,12–4,1). In attesa della “venuta del Signore con tutti i suoi santi” (3,13), si dà senso al presente, recuperando la pienezza salvifica del passato. Davvero il cristiano è un essere che vive nel tempo ma anche lo supera, perché non vuole e non può perdere nulla delle infinite “visite” del suo Signore: quelle di ieri, quelle di oggi, quelle ancora più belle di domani. i PAOLO VI, Discorso del 4 dicembre 1974. Cf 2 Sam 7,1-16. iii Cf Ez 37,15-28. iv Cf Ger 23,5; Is 4,2; Zc 3,8; 6,12; ecc. ii 1ª Domenica di Avvento “C” - “Omelie per un anno 1”, Elledici 5