AMMINISTRAZIONE E AUTONOMIA FINANZIARIA Il federalismo fiscale e l’autonomia finanziaria. Prof. Gianfranco CAVAZZONI– Università degli Studi di Perugia Perugia, 28 giugno 2002 Nella mia relazione, dopo aver esaminato le tre fasi che vanno dal 1970 al 2000 e che determinano il sistema di finanziamento regionale, vorrei mettere in evidenza i punti di forza ed i punti di debolezza, che a mio avviso ci sono, passando dal modello di finanza derivata – quello vecchio - al modello di finanza autonoma - quello nuovo, quello al quale faceva prima riferimento il prof. Merloni - per poi soffermarmi, nel quadro del federalismo regionale, su quelle che sono le entrate regionali previste dalle attuali norme di legge e, in particolare, partendo dal presupposto che - credo che questo sia un punto fondamentale - tutto lo Statuto si deve ricondurre a quel concetto al quale faceva prima riferimento in maniera molto esplicita il prof. Merloni, che è l'aziendalizzazione. Quindi noi dobbiamo pensare, credo, di costruire uno Statuto che vada bene per gestire un'azienda; questo deve essere, e credo che sia, il punto focale dal quale poi andare a costruire i vari tipi di articolati. Proprio in funzione di questo, mi sono permesso di concludere la relazione facendo una comparazione temporale per quanto riguarda la struttura delle entrate della Regione dell'Umbria nel 1992, nel 1998 e nel 2002, proprio per vedere come si vanno ad integrare, se si integrano, i due modelli di finanza, dal derivato al misto, a quello autonomo. La prima fase - queste cose le ritroviamo successivamente, nel Titolo V - è quella che parte dal 1970, è la fase di avvio dell'esperienza regionale, ed è una fase che vede l'enfatizzazione di un sistema di finanziamento che si basa sulla finanza derivata. Si parte dal presupposto, quindi, che il finanziamento dell'Ente Locale si possa assicurare attraverso il trasferimento dal Governo centrale delle risorse agli Enti Locali stessi, in quanto negli anni ‘70, quando nasceva l'istituto Regione, si riteneva di poter meglio controllare la dinamica della spesa pubblica. Se noi andiamo leggere quella modalità di comportamento, oggi, direi che sembra quasi paradossale, perché proprio agli inizi degli anni ‘70 nel nostro Paese nasceva una grande riforma, la riforma fiscale. Ma la riforma fiscale è datata 1973 (D.P.R. 633/72 per quanto riguarda l'IVA, poi D.P.R. 597, 598, 599 etc., IRPEG, ILOR e quant’altro). Perché, allora, i nostri padri sono partiti dal presupposto di enfatizzare la finanza derivata? Agli inizi degli anni ‘70, in verità, se andiamo un po’ indietro nel tempo, troviamo tre motivi fondamentali che giustificano questo tipo di comportamento: il primo è che c'è una crescita della spesa pubblica; il secondo è che c'è una stabilità delle entrate; il terzo, dopo il boom degli anni ‘60, è dato dal fatto che c'è un rallentamento dal punto di vista dello sviluppo economico nel nostro Paese. Quindi credo che si giustifichi questo sistema di finanziamento, che, oltre a garantire i trasferimenti e le risorse da destinare agli Enti Locali, garantiva questo processo non indifferente di controllo a livello macro-economico. Poi, negli anni successivi (‘76-’81), le cose cambiano, proprio perché intanto era stato approvato il D.P.R. 633, legge istitutiva dell'IVA, ed erano stati approvati gli altri decreti che riguardavano l'introduzione nel nostro Paese dell'IRPEG e dell'ILOR. Questo che cosa ha comportato nel decreto che io ho richiamato, la Legge 356 e il D.P.R. 616 (del 1976 e 1977 il secondo)? Quello che vedete: c'è una maggiore certezza delle risorse, anche una maggiore consistenza delle risorse, nonostante ci sia una forte settorializzazione dell'attività svolta ed il finanziamento non si ricolleghi ancora con quelli che sono i bisogni espressi dagli Enti Locali. Nasce l'istituzione, cosa fondamentale, almeno dal punto di vista contabile, del bilancio regionale, e con il bilancio regionale nasce la programmazione. Allora, quando parliamo di struttura di uno Statuto che deve regolare il comportamento, l'attività di gestione che deve essere svolta in un'azienda, se crediamo al concetto di aziendalizzazione, questo significa, fondamentalmente, che questa azienda parte da una fase di programmazione, pianificazione e controllo, ma deve farsi carico dell'organizzazione del personale, che dovremmo ritrovare da qualche parte, dovrà farsi carico della ricerca della finanza, dovrà farsi carico del processo attraverso il quale erogare i servizi, dovrà farsi carico della ricerca e sviluppo, dovrà farsi carico del marketing. Questa è l'aziendalizzazione, a mio avviso. Allora lo Statuto dovrà, per forza di cose, porre mano anche a queste tematiche. Poi la crisi della finanza regionale si accentua verso la fine degli anni ‘90, perché ci sono due grandi problemi: l'accentuarsi di provvedimenti orientati ai fondi settoriali - parlo in particolare del fondo sanità e del fondo trasporti - e il problema del contenimento in generale della spesa pubblica (pensate, nell'Italia degli anni ‘90, quello che ha voluto significare). La seconda fase, invece, riguarda ciò che si è verificato a livello normativo dagli anni che vanno dal 1990 agli anni 2000; è la fase che precede la grande riforma apportata con il decreto legislativo 56/2000. In questa fase, c'è la ricerca di un'autonomia nelle entrate, con la concessione di tributi propri ed attraverso un sistema di compartecipazione ai tributi nazionali. Le leggi sono: la 158/1990, confluenza dei fondi settoriali in un fondo comune (ad eccezione del fondo sanitario, del fondo nazionale dei trasporti, del fondo per il finanziamento del programma regionale di sviluppo); la 421/1992, che regionalizza i contributi sanitari; il decreto legislativo 504/1992, che regionalizza la tassa automobilistica; la Legge 549/1995, che regola la compartecipazione all'accisa sulla benzina e istituisce alcuni tributi regionali; il decreto legislativo 446/1997, naturalmente importantissimo, perché c'è l'istituzione dell'IRAP, l'addizionale regionale IRPEF e l'abolizione di alcuni contributi sanitari; il decreto legislativo 449/1997 per l'imposta sulle emissioni sonore degli aeromobili e la riduzione della quota di compartecipazione all'accisa sulla benzina. Questa è la seconda fase. In tutta questa fase, c'è la ricerca di una maggiore autonomia dal punto di vista delle entrate da parte della Regione. La terza fase, invece, è quella attuale, cioè la riforma della finanza regionale, quella che ci dovrebbe far dire che, pian piano, stiamo passando dal modello di finanza derivata ad un modello di finanza autonoma, o pseudo - autonoma; poi vedremo. La riforma è contraddistinta dal decreto legislativo 56/2000, il quale prevede la soppressione dei trasferimenti erariali, tra i quali il Fondo Sanitario Nazionale, ad eccezione di finanziamenti volti a sostenere il settore, qualora ci siano calamità naturali, e destinati a finanziare interventi di rilevante interesse nazionale. Il decreto 56, poi, prevede l'introduzione di nuovi e di maggiori tributi regionali, di nuove forme di compartecipazione ai tributi erariali, nonché un sistema di meccanismi perequativi. Secondo, la modifica del Titolo V della Parte Seconda della Costituzione, cui faceva prima riferimento il mio collega e che adesso cerco di sintetizzare, individuando soprattutto due articoli: l'art. 117, che contiene un'inversione nell'ordine del riparto delle competenze legislative, ma in particolare l'art. 119, che, facendo riferimento alle innovazioni introdotte dal decreto legislativo 56/2000, ribadisce, amplifica, enfatizza il concetto dell'autonomia finanziaria delle Regioni... (fine nastro)... delle esigenze di coordinamento con la finanza pubblica. Secondo vincolo: il ricorso all'indebitamento da parte dell'Ente è consentito soltanto se con quelle risorse vengono sostenute le spese di investimento. Sul fronte dell'autonomia tributaria, l'art. 119, secondo comma, afferma il principio che le Regioni, più in generale gli Enti decentrati, dispongano di risorse autonome e stabiliscano ed applichino tributi propri. In tema di perequazione - e qui il riferimento è al terzo comma del nuovo art. 119 c'è una novità in senso assoluto, perché si prevede che il modello perequativo sia basato sulla capacità fiscale degli abitanti. Naturalmente, tutti questi punti devono essere poi chiariti, soprattutto alla luce di quello che sarà il disegno di legge La Loggia. Tutto questo per dimostrare che il passaggio dalla finanza derivata alla finanza autonoma è un passaggio che deve essere letto, interpretato, non soltanto nei limiti, ma nei vantaggi che un modello può rappresentare rispetto all'altro. Se ci sono limiti per quanto riguarda il modello di finanza derivata, riconducibili all'eccessiva settorializzazione, all'incertezza sull'entità delle risorse, alla non contiguità delle risorse stesse, tenuto conto dei bisogni da soddisfare, ad una scarsa stringenza di vincoli, riconducibile soprattutto al problema grande della deresponsabilizzazione - perché molti amministratori locali, sapendo che dovevano gestire una certa somma di denaro, non si sono mai posti il problema di come gestire da un punto di vista economico quel determinato denaro; nel contempo, oltre alla deresponsabilizzazione ho cercato di mettere in evidenza anche un altro problema, che è quello dell'indebitamento, in quanto non sempre finalizzato, e la scarsa dinamicità delle entrate che si accompagna ai vari limiti – bisogna anche tener conto, invece, che il modello sicuramente ha generato maggiore perequazione, nel senso che lo Stato ha assegnato le risorse alle varie Regioni secondo principi di una maggiore equità, così come lo Stato sicuramente ha potuto maggiormente coordinare le politiche e le linee d'azione delle singole Regioni. Ma è ormai un modello che dobbiamo abbandonare; dobbiamo invece tener conto di questo nuovo modello, questo della finanza autonoma, o pseudo-autonoma, come dicevo poc’anzi. Naturalmente il modello deve essere soprattutto supportato dal federalismo fiscale e dall'autonomia finanziaria. E qui pongo un grande interrogativo a me stesso, ma lo pongo soprattutto ai colleghi giuristi, nel senso che il modello dovrebbe essere un po' questo, alla luce di quello che diceva prima il prof. Merloni: autonomia politico-amministrativa, che deve necessariamente generare un'autonomia di carattere finanziario. È chiaro che, se c'è autonomia amministrativa, necessariamente il conseguimento degli obiettivi lo si può raggiungere soltanto se l'Ente può disporre di un mix di risorse finanziarie tali che possano assicurare il conseguimento dei propri obiettivi di gestione. Quindi l'autonomia politico-amministrativa è strettamente collegata, o dovrebbe essere strettamente collegata, all'autonomia finanziaria. Il problema è un altro: se in Italia, alla luce di quello che abbiamo letto nelle varie norme, l'autonomia finanziaria è anche autonomia tributaria. Cioè, una volta che la Regione (o l'Ente Locale) ha individuato la necessità della risorsa, ha quantificato la risorsa, questa risorsa esprime il mix finanziario volto a raggiungere l'obiettivo o nel contempo riesce anche ad esprimere l'autonomia tributaria? In quel momento lì, l'Ente può essere anche in grado di applicare una politica fiscale volta a far sì che quelle risorse rientrino nelle proprie casse? Questo è il grande interrogativo, perché nei Paesi anglosassoni noi sappiamo che autonomia finanziaria è anche autonomia tributaria. Ma se invece, come leggo nell'art. 119 cui facevo prima riferimento, questo avviene nel rispetto di politiche fiscali di finanza pubblica determinate centralmente, io non so quanto sia l'autonomia tributaria e se l'autonomia tributaria... almeno per adesso, poi non so, più avanti può anche darsi che le cose cambino, ma per quello che abbiamo letto sui giornali, qualche giorno fa, Tremonti ha già detto alcune cose, perché è chiaro che noi siamo legati ai parametri di Maastricht, e questo non ce lo possiamo dimenticare. Perciò il disavanzo in rapporto al PIL ed il debito pubblico in rapporto al PIL sono dei valori che dobbiamo in qualche modo mantenere. Quindi credo che questo punto vada chiarito. Ora, nel modello di cosiddetta finanza autonoma - anche se il termine “autonoma” è un po' improprio, lo ripeto - naturalmente la variabile strategica diventa, non c’è dubbio, l'entrata, che sarebbe la fonte nell'economia delle imprese; le spese sarebbero poi gli impieghi nell’economia delle imprese. Allora, se, come si può ben ritenere, la variabile strategica di successo dell'Ente Locale diventa l'entrata, è chiaro che le politiche che devono essere svolte nell'economia degli Enti Locali devono essere orientate, primo: a far crescere, a far aumentare le entrate tributarie; secondo: a trovare, anche sul mercato, nuovi strumenti attraverso i quali è possibile recuperare delle risorse; terzo: l’importanza crescente della gestione del patrimonio, perché anche nella gestione del patrimonio, sicuramente, se gestito in maniera intelligente ed oculata, si può incentivare la politica delle entrate. Diventa altresì cruciale l'effettivo grado di autonomia dal lato delle spese, cioè degli impieghi: innanzitutto perché, sicuramente, lo diceva prima il prof. Merloni, alle Regioni verranno assegnate nuove funzioni; poi perché il rapporto con gli Enti Locali dovrà essere ridefinito; inoltre, per i vincoli derivanti dal Patto interno di stabilità (quindi rapporto tra Stato e amministrazioni periferiche); ancora: perché sicuramente rimarranno in vita impegni presi negli anni precedenti; ancora: perché sussisteranno entrate con destinazione vincolata; per ultimo, ma non certo per ultimo, per la spesa sanitaria che somma circa due terzi del totale delle spese che le Regioni debbono gestire. Tutto ciò può avere un impatto in sede di stesura del nuovo Statuto regionale? Credo di sì, e credo che debbano essere almeno approfondite due considerazioni: innanzitutto, nel processo di decentramento l'approccio normativo che deve essere seguito, a mio avviso, non può non tener conto, dapprima, delle funzioni per passare poi, successivamente, una volta che sono state attribuite le funzioni ai vari Enti Locali, a trattare degli aspetti finanziari, sia per quanto riguarda le entrate che per quanto riguarda le spese; ma questo, a mio avviso deve essere fatto in maniera molto dettagliata. La seconda considerazione attiene invece all'autonomia finanziaria che, come dicevo poc’anzi, per l'art. 119, terzo comma, si dovrebbe svolgere secondo principi di coordinamento della finanza pubblica e secondo un sistema tributario che poi deve essere strettamente ricollegato dal punto di vista delle norme, che sono l'espressione del sistema tributario stesso. Ora, il federalismo fiscale - o meglio, questo modello di finanza autonoma - è costituito prevalentemente da entrate di natura tributaria e da entrate derivanti da ricorso a terzi. Le entrate di natura tributaria sono costituite da: tributi propri, compartecipazione ai tributi erariali, meccanismi di perequazione: A) I primi riguardano: la tassa automobilistica, l'IRAP, l'addizionale regionale IRPEF, la tassa regionale per il diritto allo studio universitario, il tributo speciale per il deposito in discarica dei rifiuti solidi, l’addizionale regionale imposta di consumo gas metano, ecc., l’imposta regionale sulle emissioni sonore, l’imposta sulle concessioni statali dei beni del demanio e del patrimonio indisponibile. Questi sono gli attuali tributi propri. Per quanto riguarda la nostra regione, ne guardiamo almeno tre, che sono i tre principali, per capire poi, se successivamente ci sono deleghe, questi denari dove dovranno andare: 1) l'IRAP è del 1997; l'attribuzione del gettito complessivo va alle Regioni; a partire dall'1.1.2000, le Regioni hanno la facoltà di variare l'aliquota, che oggi è del 4,25, fino al massimo di un punto percentuale, nonché di differenziarla per determinati settori di attività. Il vincolo di destinazione è il 90% per il fabbisogno sanitario; il gettito che è stato previsto nell'anno 2002 è pari a 370.299.000,00 euro, pari al 20,54 del totale delle entrate (dato nazionale); 2) tassa automobilistica regionale, introdotta nel 1970; la 449/97 ha stabilito che, a decorrere dall'1.1.1999, ciascuna Regione possa determinare gli importi della tassa nella misura compresa tra il 90 ed il 110% della tariffa vigente; entrata a libera destinazione; bilancio di previsione: 73.286.000,00 euro (4,07%); 3) IRPEF: per quanto riguarda l'IRPEF, istituita nel 1997, inizialmente era prevista un'aliquota dello 0,5%; alle Regioni è stato riconosciuto un altro 0,5; nel decreto legislativo 56/2000, a partire dal 2001, un incremento dell'aliquota dello 0,4 a libera destinazione o a parziale copertura dei trasferimenti erariali soppressi, sicché oggi l'aliquota arriva ad un ammontare massimo dell'1,4%. Nel bilancio sono 80.050.300,00 euro, pari al 4,44%. B) Per quanto riguarda la compartecipazione ai tributi regionali, il riferimento è all'accisa sulle benzine, istituita con la legge del 1995: dalle iniziali 350 lire il litro si è passati poi a 242, fino a giungere alle 250 lire/litro attuali, grazie all'incremento dell'8 lire/litro previsto dal decreto legislativo 56/2000. L'entrata è a libera destinazione, gli euro sono 48.417.000,00. La compartecipazione regionale all'IVA: qui le cose sono piuttosto complesse, comunque a ciascuna Regione spetta una quota teorica di compartecipazione sulla media dei consumi finali delle famiglie a livello regionale degli ultimi tre anni; la quota teorica spettante alla Regione dell'Umbria, stabilita con apposito decreto, è di circa l'1,65%. C) Meccanismi di perequazione: fondo perequativo nazionale, istituito con decreto legislativo 56/2000. Ci sono due meccanismi di perequazione: il primo tiene conto delle risorse finanziarie che ciascuna Regione preleva dal fondo, oppure versa nel fondo, ed è dato dalla sommatoria algebrica tra i trasferimenti soppressi e le nuove risorse a disposizione; il secondo meccanismo di perequazione invece tiene conto della capacità fiscale, del fabbisogno sanitario pro-capite a dimensione geografica. La riforma prevede per il 2001, primo anno di applicazione, che la totalità della compartecipazione IVA sia ripartita con il primo meccanismo; invece, per quanto riguarda il 2002-2003, la quota IVA spettante alle Regioni da ripartirsi con tale meccanismo scende ogni anno del 5%, poi dal 2004 del 9% annuo, fino ad annullarsi nel 2013. Per quanto riguarda il fondo perequativo nazionale (i dati sono relativi all'anno 2001), all'Umbria, dai trasferimenti soppressi - minore o maggiore accisa sui benzina, l'addizionale IRPEF - la quota teorica spettante alla Regione è stata di 603 miliardi. La quota spettante alla Lombardia, con la quale è stato comparato il dato, è di 7.543 miliardi, come quota teorica. Poi, considerato il meccanismo cui facevo prima riferimento, mentre la Regione Lombardia dovrà trasferire al fondo, facendo i conteggi, 7.262 miliardi, la Regione dell'Umbria, al contrario, riceverà l'intera quota, cioè i 603 miliardi, più i 402 miliardi dal fondo di perequazione; questo è il dato che abbiamo nel 2001. Ora, alle entrate -così come è previsto dal decreto legislativo- alle entrate proprie, quelle che abbiamo visto messe in evidenza prima, ci sono entrate derivanti dal ricorso alla Cassa Depositi e Prestiti, dal sistema bancario, emissioni obbligazionarie e strumenti finanziari innovativi, che sono quelli della cartolarizzazione, contratti swap e project financing. Passiamo alla riforma del Bilancio di Previsione della Regione dell'Umbria (e mi ricollego al processo di aziendalizzazione cui si faceva prima riferimento): il legislatore è intervenuto prima a livello statale, nel 1997, con la legge 94, poi con il decreto legislativo 279; poi è intervenuto con il decreto legislativo 76/2000, poi c'è la legge regionale 13/2000. Questo punto credo che sia fondamentale, se effettivamente si vogliono accompagnare le norme statutarie con delle caratterizzazioni che tengano conto del fatto che ormai, anche nelle cosiddette aziende di erogazione, si è passati, faticosamente, da una contabilità finanziaria ad una contabilità di carattere economico. Debbo dire “faticosamente” perché, quando ci si trova di fronte a delle innovazioni, gli uomini sono sempre abituati a tenere un certo comportamento, ed è chiaro che, prima di far sì che si possa pensare a dar corpo ad un centro di costo, ad un centro di spesa, ipotizzando che quel centro di costo e quel centro di spesa possano, da un lato, essere l'espressione di un processo di programmazione e, dall'altro, anche l'espressione di un valore che deve essere tenuto in considerazione nel momento in cui si fanno le analisi e si riscontrano i dati “budgetati” con i dati a consuntivo, questo è il processo più difficile, che vediamo anche nell'economia dell'impresa, che fa dire all'imprenditore: mi sono sbagliato. Ma non c'è nulla di male nel dire questo, perché il processo di programmazione serve a questo, serve ad individuare certi obiettivi che si dovrebbero raggiungere, ma attraverso l'utilizzo di una strumentazione di carattere contabile, accanto a quello che è l'obiettivo individuato nel budget, a livello budgetario, che si accompagna, naturalmente, sotto il profilo quantitativo monetario, è chiaro che nell'ambito di preordinate scansioni temporali ci deve essere qualcuno che dice: il dato “budgetato” era questo, il dato a consuntivo è questo; mi sono sbagliato. Non c'è nulla di male nel dire: mi sono sbagliato. Anche se questa è l'espressione politica, intanto è suonato il campanello d'allarme, intanto mi posso informare meglio, perché vuol dire che la strumentazione contabile non mi ha dato quei valori che..., oppure mi ha dato quelli veri, mentre io ritenevo che quei valori fossero differenti. Per concludere, vorrei esaminare brevemente la comparazione degli stati di previsione delle entrate della nostra Regione (pag. 31), cioè la comparazione tra i tre anni '92, '98 e 2002: le risorse finanziarie di competenza del bilancio di previsione della nostra Regione nel 1992, depurate delle partite di giro, erano pari a poco più di 2.000 miliardi, nel 1998 sono passate a 2.564 miliardi, nel 2002 a 3.490 miliardi; queste sono depurate delle partite di giro. Quindi in dieci anni, dal 1992 al 2002, praticamente le entrate sono passate da 2.000 a 3.490 miliardi. Guardiamo soltanto il grafico della tabella 35, per quanto riguarda la struttura delle entrate: nel 1992 il 3,2 delle entrate era di natura tributaria; nel 1998 sono passate a 47,10 (abbiamo visto le leggi che hanno favorito questo), per passare nel 2002, dopo l'introduzione del decreto, al 73,63%. Quindi, per le entrate di natura tributaria, dal 3% del 1992 siamo passati al 73%. A fronte di questo, il totale dei trasferimenti, che nel 1992 era pari all'82,51%, è passato al 35 e al 16,58%. Allora, si vede molto bene come questo processo di modello di finanza autonoma sia un processo ormai irreversibile, per tante ragioni, anche perché ormai è stato legiferato in merito. Ovviamente questo sistema di finanziamento - che non sarà soltanto regionale, perché i BOR sono regionali, ma i BOC sono comunali - dovrà trovare, sotto il profilo della ricerca sul mercato, una strumentazione (sulla quale abbiamo fatto un convegno recentemente, promosso dal Comune di Perugia) di carattere innovativo, che va bene nel sistema delle imprese private, ma non è detto che possa andare altrettanto bene nelle amministrazioni, almeno in questa prima fase di aziendalizzazione. Cioè, non vorrei che domani, attraverso gli swap, i bilanci regionali o degli Enti locali trovassero pareggio soltanto perché, come sapete, l'operazione di swap svolge un certo ruolo, per cui noi non sapremo mai dov'è la verità, anche se, come diceva Tagore, “la verità non ci appartiene”.