LA PERSONA, L’ALTRO, LE ISTITUZIONI Francesco Miano Senza una riflessione sul nesso strettissimo che intercorre con l’etica, ogni discorso sulla politica e sulla società è condannato alla sterilità. O la politica si decentra, ritrovando, per così dire, fuori di sé, la sua ragion d’essere (nella dimensione etica, di un’etica finalisticamente orientata al bene della persona e delle persone, di un’etica che si fa storia, ethos, vita per le persone) oppure è solo lotta per il potere e il pensiero politico semplice descrizione dei meccanismi per il raggiungimento o il mantenimento del potere. Ogni visione della politica e della società dipende dall’ethos che la ispira. Cura di sé, cura dell’altro, cura dell’istituzione Il filosofo francese Paul Ricoeur definisce l’ethos in questo modo : “auspicio di una vita compiuta – con e per gli altri – all’interno di istituzioni giuste” e precisa che i tre termini appaiono “decisivi allo stesso modo per la costituzione etica della persona”1. “Auspicio di una vita compiuta” sta ad indicare la necessità che la vita di ogni persona sia segnata dalla “stima di sé”. Infatti, “quale che sia la relazione con l’altro e con la istituzione…non si avrebbe un soggetto responsabile se questo non fosse in grado di stimare se stesso in quanto capace di agire intenzionalmente, vale a dire in base a ponderate ragioni, ed inoltre non fosse in grado di iscrivere le proprie intenzioni nel corso delle cose, attraverso iniziative che intrecciano l’ordine delle intenzioni con quello degli eventi del mondo”. La stima di sé non è una declinazione nuova dell’egoismo, ma una dimensione costitutiva dell’ethos personale che significa capacità di considerarsi soggetti attivi e responsabili delle proprie azioni. “Con e per gli altri” sta ad indicare la sollecitudine, il sé che si muove verso l’altro. Si tratta dell’istanza etica più profonda, quella della reciprocità, che costituisce “l’altro in quanto mio simile e me stesso in quanto simile dell’altro”. Senza reciprocità l’altro sarebbe per me solo in una assoluta distanza. Il riconoscimento dell’altro favorisce e prepara la sollecitudine, trovando nell’amicizia una sua fondamentale manifestazione 2. “All’interno di istituzioni giuste”. La relazione all’altro non può essere ricostruita esclusivamente sul modello dell’amicizia. Sotto il termine altro bisogna distinguere due idee distinte infatti : “l’altro e il ciascuno; l’altro dell’amicizia, il ciascuno della giustizia”3. Hanno così egualmente valore e si rafforzano a vicenda sia la relazione con il tu, il cui volto è concretamente alla mia presenza, sia la relazione con il ciascuno “senza volto”, essere umano anonimo, tuttavia soggetto reale. Anche il “ciascuno“ infatti è una persona distinta, ma posso raggiungerla solo attraverso i “canali delle istituzioni”, di “istituzioni giuste”. Qui si apre il delicatissimo problema etico della giustizia “perché nessuna società è stata in grado, e nemmeno è riuscita a proporsi una distribuzione eguale non solo ( ….) tra i beni e i redditi, ma anche tra gli impegni e le responsabilità”, eppure il vero sforzo delle istituzioni non può che andare nella direzione della giustizia. Naturalmente non si deve attendere da relazioni improntate alla giustizia “lo stesso genere di intimità cui tendono le relazioni interpersonali suggellate dall’amicizia”. Il ciascuno è infatti una categoria “irriducibile all’altro della P. Ricoeur, La persona,tr.it.I. Bertoletti, Morcelliana, Brescia 1997, p. 39. Ivi,pp.40-43. 3 P. Ricoeur, Persona, comunità e istituzioni. Dialettica tra giustizia e amore, a cura di A. Danese,Edizioni della Pace, San Domenico di Fiesole 1994, p. 82. 1 2 1 relazione amorosa o amicale” ma ciò non implica “inferiorità etica”. Anzi la grandezza etica del ciascuno è la stessa grandezza etica che è propria della giustizia4. La centralità della persona (la cura di sé) Il percorso indicato mette in luce, prima di tutto, la necessità di riproporre come determinante, per una “buona politica” e una “buona società”, la centralità della persona. Non si tratta di chiusura nel privato quanto piuttosto di un discorso che va alla radice toccando finalità e motivazioni. Il riferimento infatti va alla persona come essere strutturalmente aperto agli altri, al mondo, alla realtà. Non alla persona come essere solipsisticamente caratterizzato. Al di là di battaglie culturali o ideologiche – più o meno congiunturali - rimane un dato ineludibile : non c’è cultura, non c’è società senza la persona, senza le persone. La qualità della vita di ogni società non può che misurarsi sulla sua capacità di sostenere, rispettare, promuovere la vita delle persone. Non può che misurarsi dalla qualità della stima che le persone hanno di se stesse, dalla capacità di coltivare se stesse, dalla forza delle scelte e delle azioni di ognuno. Non a caso, dal Concilio ad oggi, dalla Gaudium et Spes in poi, anche l’attenzione della dottrina sociale della Chiesa è sempre di più rivolta ai presupposti di tipo etico-antropologico, di tipo personalistico della visione della società. La stessa centralità dell’idea di bene comune si coglie infatti solo nel suo nesso con la persona. “Il primo e più significativo apporto in materia di bene comune, dato dall’inserirsi del Cristianesimo nella storia, è costituito dalla consapevolezza diffusa che lo Stato, e quindi il bene comune, si incentrano finalisticamente nella persona, portatrice di un destino immortale”. Dal valore di ogni persona deriva l’esigenza di sottrarla alle ingerenze dei poteri pubblici. “Il bene comune non può essere determinato nei suoi aspetti essenziali e nei suoi contenuti concreti che avendo riguardo ai bisogni e alle esigenze dei singoli esseri umani in quanto persone : consiste nell’insieme delle condizioni sociali che consentono e favoriscono il loro integrale sviluppo. Il contenuto universale del bene comune riceve nelle varie epoche, nelle diverse forme, nelle diverse civiltà e nei singoli Stati od ordinamenti politici, determinazioni storiche corrispondenti alle diverse esigenze di giustizia sociale, attinenti gli individui, i gruppi e gli stessi popoli. Quando siffatte determinazioni storiche sono solidamente fondate sulla naturale dignità della persona umana e hanno portata, almeno virtualmente, universale, una volta espresse negli ordinamenti costituzionali dei popoli civili, diventano irreversibili. Di tale natura sono i diritti di libertà civile e politica, in quanto specificazioni di diritti naturali della persona umana”5. L’attenzione alla dignità della persona – la persona senza alcuna discriminazione di età, sesso, razza, cultura, religione, classe sociale, la persona costitutivamente irripetibile, da rispettare nella sua unicità e differenza - non può non rappresentare l’esigenza ineludibile di ogni società. Persona, sradicamento, comunità (la cura dell’altro) Risulta chiaro dunque che il richiamo alla persona possiede profonde ricadute etico-sociali. Ciò appare tanto più essenziale in un tempo dominato dall’anonimato, dalla spersonalizzazione e dalla meccanizzazione dell’agire. La vicenda dell’uomo del nostro tempo è sicuramente segnata in modo decisivo dalle diverse dimensioni oggi P.Ricoeur, La persona, cit.,pp.43-44. Conclusioni della XXXVI Settimana Sociale Pescara 30 maggio–4 giugno 1964 in Il cammino delle Settimane sociali, ed. Dehoniane, Roma 1989, p. 289. 4 5 2 assunte dalla “malattia” dello sradicamento, di gran lunga “la più pericolosa malattia delle società umane, perché si moltiplica da sola”. Simone Weil precisa che “le persone sradicate non hanno che due comportamenti possibili : o cadere in un’inerzia dell’anima quasi pari alla morte (…) o gettarsi in un’attività che tende sempre a sradicare, spesso con metodi violentissimi,coloro che non lo sono ancora o lo sono solo in parte”6. Fra le forme che questa malattia assume, secondo la Weil, “quella dello sradicamento della cultura è una delle più allarmanti”. Infatti “la prima conseguenza di questa malattia è generalmente, in tutti i campi, che essendo state troncate le relazioni ogni cosa viene considerata fine a se stessa”7. Cambiano le forme, ma la questione dello sradicamento rimane carica di fondamentali valenze etico-politiche. Lo sradicamento è la risonanza interiore di una vita sociale ormai confusa con le dinamiche di massa, capaci di offrire appigli per l’incertezza del quotidiano, ma non di risolvere il malessere del vivere, né di fornire risposta al bisogno di senso e di orientamento. I nuovi idoli anestetizzano lo spazio dell’interiorità a favore di un’esteriorità vuota sorretta da lifting, antirughe, interventi di chirurgia estetica o dal sensazionalismo dell’informazione. Tutto sembra risolversi in un’immagine priva di spessore e di profondità, appiattirsi in un presente in cui la consistenza ontologica del vivere si perde così come si perde la capacità di dar nome alle cose. Sradicamento significa sempre perdita di senso, distruzione di un rapporto adeguato con lo spazio e con il tempo, con la natura e con la storia in cui si è immersi, e dunque frammentazione e caduta nella esteriorità. L’uomo si è emancipato dalla servitù della natura finendo per sottomettersi ad un’oppressione ancora più forte, più incontrollabile, l’oppressione sociale. “Sembra che l’uomo non riesca ad alleggerire il giogo delle necessità naturali senza appensantire nella stessa misura quello dell’oppressione sociale, come per il gioco di un equilibrio misterioso”8. E più forte si avverte la pressione sociale, più si dilata e si complica lo spazio del vivere, più si fa strada il ripiegamento sul proprio particolare affermato e difeso ad ogni costo. Il buco nell’ozono, il moltiplicarsi incontrollato di depositi nucleari, la fame di interi continenti, le modifiche del clima, la contraddizione tra globalizzazione e localismi, l’intreccio di culture e religioni diverse dovuto alla forte immigrazione sono grandi questioni collettive - dagli esiti non del tutto prevedibili - che spaventano e favoriscono ancor di più la già diffusa tendenza a guardare solo ai propri piccoli mondi e ad appiattirsi su un presente privo di orientamento e aperture al futuro. “Indagini recenti effettuate nei paesi industrializzati, individuano nel giovane processi in atto di ‘schiacciamento sul presente per un difetto.....di ‘risonanza pedagogica’ dovuto al venir meno dell’esperienza adulta ed anziana e della possibilità per l’anziano di trasmettere alle giovani generazioni le tappe significative della loro esperienza esistenziale”9. Vi è un’ansia di felicità che la paura del futuro contribuisce così a spegnere oppure indirizza verso l’assolutizzazione del presente o l’estemporaneità di un momento. Vi è un disorientamento alimentato dal trionfo contemporaneo dell’”amnesia”10, su cui si fonda appunto lo schiacciamento sul presente e l’incapacità di aprirsi al futuro. Manca 6 S. Weil, La prima radice, tr. it. F. Fortini, Studio Editoriale, Milano 1990, p. 52. Ivi, p.70. 8 S. Weil, Riflessioni sulle cause della libertà e dell’oppressione sociale, tr. it. G. Gaeta, Adelphi, Milano 1983, p.90. 9 S. Burgalassi, Tradizioni e tradizione. Esiste il rischio di una loro scomparsa?, in “Rassegna di teologia”, 2/1993, p. 164. 10 Cfr. J. B. Metz, Tra la memoria e l’oblio. La Shoah nell’epoca dell’amnesia culturale, in Il bene e il male dopo Auschwitz. Implicazioni etico-teologiche per l’oggi, a cura di E. Baccarini e L. Thorson, Paoline, Milano 1998, pp.52-61. 7 3 il senso del tempo come “relazione” – il sempre della “relazione”11- tempo dei giorni e delle stagioni , tempo dell’attesa e della sosta, tempo come ricchezza da preservare perché incontro possibile con l’eterno. Manca un adeguato senso della relazione e delle relazioni. Il tempo dello sradicamento e del disorientamento inoltre è il tempo della persona isolata dagli altri, della persona sola con il suo carico di questioni e di difficoltà. Proprio il problema di un’adeguata dinamica relazionale, di una corretta dinamica tra solitudine e comunità rappresenta la sfida fondamentale per l’uomo del nostro tempo. Paradigmatico per ogni uomo - anche per l’uomo di oggi - appare ciò che Bonhoeffer scrive per il credente e la sua relazione con la comunità. “Ambedue le cose vanno insieme. Solo nella comunità impariamo a vivere come si deve, e solo essendo soli impariamo a inserirci bene nella comunità. Una cosa non precede l’altra : ambedue incominciano insieme ..... Chi desidera comunione senza solitudine, precipita nella vanità delle parole e dei sentimenti, chi cerca la solitudine senza la comunità, perisce nell’abisso della vanità, dell’infatuazione di se stesso, della disperazione. Chi non sa restare solo tema la comunità. Chi non è inserito nella comunità tema la solitudine”12. In definitiva “chi non sa rimanere solo tema la comunità. Infatti egli arrecherà solo danno a sè e alla comunità”. Nello stesso tempo “chi non sa vivere nella comunità si guardi dal restare solo”13. E’ qui il nodo fondamentale. Proprio un rapporto non corretto, in molti casi distorto, tra solitudine e comunità è alle base delle difficoltà che sempre più si addensano intorno all’universo della persona creando problemi alla stessa vita collettiva. Si chiamino isolamento, sradicamento, separazione, si chiamino fusione e totale alterazione di sè nella sottomissione ad un leader, ad un capo carismatico, la matrice è in fondo uguale. Solitudine e tensione alla comunione vanno riscoperti come spazi dell’amore, di un amore che è responsabilità. Solo così può essere recuperata un’idea di comunità come spazio reale di incontro con l’altro, come avvertimento della responsabilità per l’altro, in cui la legittima ricerca dell’autenticità personale si coniuga con l’esperienza della gratitudine, fondamentale veicolo di comunione, la bellezza del silenzio con il suo “meraviglioso potere di chiarificazione, di purificazione, di concentrazione sulle cose essenziali”14, il ruolo fondamentale dell’ascolto e del rispetto dell’altro. Gratitudine e silenzio trovano proprio nell’ascolto un loro sviluppo indispensabile perchè cresca l’interazione tra l’esperienza della solitudine e la vita nella comunità. Persona e società. La cura delle istituzioni e la responsabilità Gratitudine e silenzio, ascolto e rispetto non sono solo le essenziali determinazioni della “responsabilità di un io verso un tu” 15 – il tu della persona a noi cara, o, comunque, a noi vicina - ma anche la strada maestra che conduce all’apertura ad ogni tu. La centralità della relazione io-tu va inserita in un più ampio orizzonte di significati e di problemi in cui al “faccia a faccia” dell’incontro sul “modello dell’amicizia” si accompagna “la relazione al terzo”, “altrettanto originaria quanto la relazione al tu”16. Il E. Levinas, Il tempo e l’altro, tr. it. F.P.Ciglia, Il Melangolo,Genova 1993, p.11. D. Bonhoeffer, La vita comune, tr. it. J. Schenk, Querininana, Brescia 1981, p. 102. 13 Ivi, p. 101. 14 Ivi, p. 15 M. Buber, Il principio dialogico ed altri saggi, ed. it. a cura di A. Poma, San Paolo, Cinisello Balsamo 1993, p.70. 16 P. Ricoeur, Persona, comunità e istituzioni. Dialettica tra giustizia e amore, a cura di A. Danese, San Domenico di Fiesole, Edizioni della Pace, 1994, pp.62, 70-71. 11 12 4 “terzo” è qui rappresentato dall’altro che io non conosco, con cui non ho dirette relazioni : l’ “altro di altri”17. E’ il tema – precedentemente indicato - della giustizia e del valore delle istituzioni. Risiede qui il senso più vero della responsabilità politica: avere a cuore la libertà di tutti, costruire la città di tutti (naturalmente sempre in stretto nesso con il rispetto delle libertà del singolo). L’insistenza sulla persona infatti non è soggettivismo o intimismo, né l’amicizia può significare chiusura. La centralità dell’uomo non può non farsi concreto impegno storico, un impegno che richiede discernimento ed esercizio affinchè il rispetto della dignità e della inviolabilità di ogni persona umana non sia una parola vana e si crei un ethos del rispetto della persona e delle persone tale da consentire ad ognuno di esplicare al meglio le sue potenzialità e le sue ricchezze, di esercitare la sua libertà. “La persona domanda essa stessa, in virtù della sua dignità come dei suoi bisogni, di essere membro di una società” 18 . Infatti “da un lato le persone umane, in quanto parti della comunità politica, si subordinano a questa e all’opera comune da compiere; dall’altro la persona umana, per il focolare stesso della sua vita di persona, è sovraordinata a questa opera comune e la finalizza” “poiché il bene comune è un bene comune di persone umane, perciò stesso, ciascuno, subordinandosi all’opera comune, si subordina al compimento della vita personale degli altri, delle altre persone”19. .Se persona è ogni uomo e fratelli sono tutti gli uomini sulla terra – anche quelli che verranno nel tempo futuro – ecco allora che emergono temi molto rilevanti quali la mondialità, la destinazione universale dei beni, la promozione dello sviluppo di tutti i popoli, la cooperazione tra i Nord e i Sud del mondo e del nostro Paese, la salvaguardia dell’ambiente, ecco allora la necessità di costruire una buona società in cui vivere, che sappia coniugare l’impegno per l’attuazione dei diritti “tradizionali” (diritto alla vita, alla proprietà, al lavoro, alla libertà religiosa…) con quello per la salvaguardia dei nuovi diritti (diritto alla tutela della privacy, alla verità dell’informazione…) e sia fondata su stili di vita personali non egoistici ma capaci di apertura e attenzione all’altro, non solo all’altro che mi è dinanzi, ma anche all’altro che mi è estraneo. Ciò chiarisce ulteriormente l’esigenza di una nuova “cultura della responsabilità”20, della responsabilità per l’altro, che può far cogliere contemporaneamente il valore della sussidiarietà (“Il vero senso del principio di sussidiarietà è che non può essere usurpata l’iniziativa che spetta originariamente ai soggetti sociali”) e della solidarietà (“Il riconoscimento reciproco della dignità umana, la condivisione dei bisogni e dei problemi, l’individuazione di politiche che realizzino tali obiettivi, l’ordinamento dei rapporti nel senso della giustizia sociale”)21. Ma la responsabilità politica non si improvvisa. Essa è frutto di un lungo e difficile tirocinio che è alimentato da un “ethos della vita democratica”22 inteso come impegno quotidiano, esercizio attivo e vigilanza critica. Questo ethos si pone come ampliamento degli spazi di partecipazione, senso della legge, rifiuto dell’oppressione e lotta contro ogni violenza e arbitrio irragionevole, E. Lévinas, Altrimenti che essere o al di là dell’essenza, tr. it. S. Petrosino e M. T. Aiello, Jaca Book, Milano1983, pp.196-201. 18 J. Maritain, La persona e il bene comune, Morcelliana, Brescia 1990, p.29. 19 J. Maritain, Umanesimo integrale, Borla, Torino 1962, p.231. 20 G.Campanini, Una cultura della responsabilità, in Fede,libertà, intelligenza, Forum del progetto culturale, Piemme, Casale Monferrato 1998, p.145. 21 Commissione ecclesiale Giustizia e Pace - Cei, Stato sociale ed educazione alla socialità, nn.44-45. 22 K. Jaspers, La Bomba atomica e il destino dell’uomo,tr.it. L.Quattrocchi, Il Saggiatore, Milano 1960, pp.481-527. 17 5 un ethos del rapporto interumano fondato sulla consapevolezza dell’inviolabilità dei diritti di ogni uomo, di ogni persona. L’ethos della vita democratica deve consentire di vigilare contro la “banalizzazione” 23 del male occupandosi della tutela dei diritti e favorendo l’esercizio di poteri e responsabilità per la cura del bene comune e per superare il divario tra le leggi e la loro quotidiana attuazione. In questo senso la responsabilità che ciascuno impara a portare non è il fardello che rallenta i nostri passi, ma la passione per gli altri, quella passione che rende più solleciti, più veloci. E’ la responsabilità che sa ripensare il passato, reiventando la propria storia e volgendo anche i limiti in positivo. E’ la responsabilità che ha il senso e la passione per il futuro. Una responsabilità così intesa è fondata su un radicale cambiamento di mentalità, su una conversione (Umkehr) 24 sia morale che intellettuale. Un rivolgimento assolutamente indispensabile che tocca contemporaneamente le dimensioni dell’etica e della politica innestate nel più ampio alveo di una ricerca della verità, che appartiene ad ogni uomo. “Con la conversione l’uomo viene fondato sempre di nuovo. Non c’è verità senza conversione”25. Cfr. H. Arendt,La banalità del male,tr. it P.Bernardini, Milano 1964. K.Jaspers, La Bomba atomica e il destino dell’uomo, cit. p.19. 25 K. Jaspers, Wahrheit und Wissenschaft, Helbing u. Lichtenhahn,Basel 1960, p.28. 23 24 6