L’Eucaristia, pane spezzato: comunione e missione “L’Eucaristia (vale a dire, l’atto di rendere grazie) è un pasto comunitario in cui si fa memoria della morte di Gesù e in cui si profetizza la venuta del Risuscitato per stabilire definitivamente il suo Regno; essa è originale non nella sua materialità, bensì nel suo significato. Non va interpretata a partire dai pasti sacri delle diverse religioni o dal pasto pasquale che rappresenta nel giudaismo il memoriale della liberazione dalla schiavitù dell’Egitto. Il pasto cristiano si distingue dai pasti pagani e giudaici per il nome di colui di cui si fa memoria, Gesù. Esso fa memoria della sua morte ignominiosa subita perdonando, in quanto designa il Risuscitato come l’energia spirituale che investe il pane condiviso e il vino distribuito, confessa la sua presenza attiva e la sua venuta futura. Fraterno nella sua simbolica, il pasto eucaristico è profetico in virtù di colui al quale fa riferimento, Gesù il crocifisso ormai risuscitato” . Durante un banchetto pasquale celebrato “familiarmente” con i suoi discepoli (cfr. Mc 14,12-169), Gesù ha fatto cenno della sua morte ormai imminente. Paolo testimonia la celebrazione dell’Eucaristia come il nucleo centrale della liturgia cristiana. In 1Cor 11 troviamo strettamente unite nell’Eucaristia la morte e la parusia di Cristo: “Tutte le volte che mangiate questo pane e bevete del calice, voi annunciate la sua morte, finché egli verrà”. Qui è mantenuta la dinamica del banchetto pasquale. La risurrezione di Gesù non viene nominata, di un ritorno trionfale del Signore non si trova traccia alcuna. La frase intende la celebrazione dell’Eucaristia come segno di un intenso attendere il Messia che ancora deve venire. Per così dire, si mangia “in tutta fretta” in vista della parusia imminente . Il dono del pane (= il corpo-soma) è apportatore della benedizione divina, invocata dal capofamiglia nella cena pasquale ebraica: “Benedetto sei tu, Yhwh, nostro Dio, Re dell’universo, tu che fai uscire il pane dalla terra” . Gesù è consapevole che la sua morte, come è stata del resto la sua vita, sarà fonte di benedizione per i suoi seguaci. Non solo lui, ma anche i suoi avranno un futuro positivo oltre la sua morte: egli sarà commensale al banchetto finale che Dio, pienamente re, imbandirà; i suoi hanno al presente il dono della benedizione divina e nel futuro ultimo godranno della commensalità con lui alla mensa della salvezza finale . Il dono di questa benedizione avviene nel segno del pasto, durante il quale Gesù offre il suo corpo “che è per voi” (1Cor 11,24b) e “che è dato per voi” (Lc 22,19): mentre per Mt e Mc il corpo di Cristo può essere compreso come una realtà consistente per se stessa (“sostanza”), su cui soltanto più tardi s’innesta una relazione (quella della dedizione), per Paolo la realtà del corpo è solo relazionale: “corpo - per - voi”. Questo è tanto vero, che dall’intero contesto di 1Cor 10 e 11 cogliamo chiaramente che non sa “discernere/distinguere” (krinein) il corpo del Signore chi non vuole riconoscere che la vita di Gesù, data a noi tutti per la nostra salvezza (pro-esistenza), vive all’interno della comunità, dove ciascuno è chiamato a spendersi in favore dell’altro, soprattutto per i deboli e i malati (1Cor 11,30). Chi non si lascia fondere in quell’ “essere - corpo - per” non può avere comunione alcuna con Cristo. Questa è la differenza decisiva con l’automatismo sacrale di una partecipazione alla potenza divina che ci si aspettava con i sacrifici pagani. Può riconoscere il sacramento dell’Eucaristia nel suo vero senso solo colui che non lo lega inesorabilmente a elementi transustanziati e al cibarsi di esso come gesto automaticamente salvifico. Pertanto è chi vede il sacramento nella relazione essenziale dell’ “essere corpo - per” che lo riconosce adeguatamente. Ciò significa: colui che, a partire dalla morte di Cristo, fa che la propria vita si dispieghi a favore degli altri. L’essere reo del corpo e sangue di Cristo corrisponde a quel “peccare - dentro - in - Cristo”, che mediante la “gnosi” conduce a rovina il debole per cui Cristo è morto . Chi non è capace di attendere gli altri, non ha compreso nulla di quell’attesa della venuta del Signore, che è costitutiva per la celebrazione dell’Eucaristia . La riflessione e la venerazione del corpo del Signore, in cui viene convertito il pane, si possono realizzare in modo del tutto corrispondente, a prescindere dalla funzione e dal significato che esse hanno nell’insieme del pasto. Davanti a ciò si deve dire che “non è il pane preso in considerazione per se stesso, nella sua sostanza fisico - chimica, bensì è il pane in quanto nutrimento, frutto della terra e del lavoro dell’uomo, dono della creazione, distribuito e dato perché sia una benedizione, che viene convertito” (Hilberath). Pane e vino come mezzi del pasto sono, nella loro forma non convertita, parte e spesso centro dell’uomo che ruota intorno a se stesso: fame e sete esprimono il nostro bisogno di sopravvivenza da soddisfare. Le condizioni presenti nella comunità di Corinto rappresentano il modo in cui solitamente ci rapportiamo gli uni gli altri nel segno del pasto: allungare la mano sul piatto per servirsi per primi, invece di condividere. Qui Paolo dice che tutto ciò cade sotto il giudizio di Dio e che, così facendo, non vi è alcun banchetto del Signore . Il nostro modo di fare uso dei doni della creazione, per i quali rendiamo grazie attraverso l’Eucaristia, memoria della morte del Signore e attesa della sua venuta, è profondamente contrassegnato dalla nostra mancanza di disponibilità ad attenderci gli uni gli altri. Nel battesimo veniamo immersi dentro il corpo che ha trasformato in vita la caducità mortale di tutto l’umano. Nella celebrazione dell’Eucaristia, la forma in cui noi ci disponiamo al pasto, il modo in cui prendiamo il pane e il vino prima di essere pronti a darlo / farne dono, viene trasformata fin nelle sue radici più profonde, mediante una donazione che ci libera da quella nostra chiusura disperata, che accompagna la dimensione fondamentale corporea della fame e della sete. La gioia che erompe dall’Eucaristia, banchetto del regno che deve venire, sgorga dall’ “essere corpo - per” di Cristo. Un “essere - corpo - per” che smaschera come il nostro modo abituale di relazionarci al pane e al vino è tutt’altro che motivo di gioia. L’Eucaristia è, in fin dei conti, il ringraziamento gioioso per la liberazione dalla falsa ed erronea visione di dover allungare la mano per primi nel piatto, soprattutto quando ne va della razione di sopravvivenza. Il corpo di Cristo spezzato-dentro, che ha fatto irruzione dentro la morte, spazza via definitivamente dalla tavola quel pane che noi non siamo pronti a spezzare. È questo il senso più profondo di “transustanziazione” che Paolo ci aiuta a riconoscere. Alcune conseguenze: Legame tra celebrazione e comunione alla vita donata del Signore crocifisso e risorto: memoria della morte del Signore e attesa del suo ritorno … Legame tra segno del pasto comune e vita quotidiana trasformata dall’Eucaristia nei termini della vita – donata – per …; non fermarsi alla sacralità del “far la comunione”, senza diventare comunione … Si è “degni” di mangiare l’Eucaristia nella misura in cui si cresce nel dono – condivisione di sé e dei beni della creazione; nella misura in cui ci si attende gli uni gli altri …altrimenti non c’è banchetto dell’Eucaristia …! Superare la visione statica dell’Eucaristia come sacramento “da” consumare e “da” adorare…; La dinamica dell’Eucaristia contiene già la missione / testimonianza cristiana ... L'assistentente della Zona Italia Fr. Massimo Fusarelli ofm