Anno A
25ª DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
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Is 55,6-9 - I miei pensieri non sono i vostri pensieri.
Dal Salmo 144 - Rit.: Il Signore è vicino a chi lo cerca.
Fil 1,20c-27a - Per me vivere è Cristo.
Canto al Vangelo - Alleluia, alleluia. Apri, Signore, il nostro cuore e comprenderemo
le parole del Figlio tuo. Alleluia.
 Mt 20,1-16a - Sei invidioso perché io sono buono?
Una società di uguali
Le società di questo mondo sono costruite sulla disuguaglianza, sui privilegi di pochi o sul
potere (economico, culturale, politico) di pochi e il minore potere degli altri. Anche le società del cosiddetto «comunismo reale» erano, in realtà, fondate su una grande disuguaglianza tra la massa e i pochi che dirigevano l’immenso impero. Gesù ha detto: «Voi
sapete che coloro i quali sono ritenuti capi delle nazioni le tiranneggiano, e come i loro
principi le opprimono. Non così dev’essere tra voi; ma piuttosto, se uno tra voi vuole
essere grande, sia vostro servo, e chi tra voi vuole essere primo, sia schiavo di tutti» (Mc
10,42-43). Il Vangelo, dunque, contrappone un modello di società a tutti gli altri modelli
mondani: la società di Gesù si distingue per quell’espressione «non così dev’essere tra
voi». Qual è la proposta alternativa di Gesù?
La parabola evangelica è incorniciata da un principio ripetuto all’inizio (che purtroppo non
è riportato nella lettura liturgica) e alla fine (Mt 19,30; 20,16). Tale principio non è facile
da interpretare. Nella traduzione della Bibbia CEI, esso suona in 19,30 così: «Molti dei
primi saranno ultimi e gli ultimi i primi». C’è bisogno di una spiegazione. «Molti» è la
versione di un termine che si rifà all’ebraico «rabbim» e significa «totalità», «tutti» (altro
esempio: «Questo è il sangue mio, il sangue dell’alleanza, versato per molti», Mc 14,24).
Nel testo evangelico originale seguono poi il verbo «saranno» e due aggettivi accostati
«primi ultimi» e «ultimi primi». La traduzione CEI della Bibbia ci sembra inesatta perché
ambedue gli aggettivi sono al nominativo, perciò è impossibile intendere «molti dei
primi».
È più logico, tenuto conto anche della parabola e della grammatica, rendere gli aggettivi
con senso concessivo: «Tutti, sebbene siano primi, saranno ultimi e anche se ultimi,
saranno primi». Così si comprende anche 20,16: «Così gli ultimi saranno primi e i primi
ultimi». Il principio è che non ci sarà disuguaglianza, ma perfetta uguaglianza nella
comunità cristiana. Non si vuol dire che gli ultimi occuperanno il posto dei primi e
viceversa, invertendo semplicemente la scala sociale, ma piuttosto che sarà abolita ogni
«graduatoria» all’interno della comunità cristiana. Il regno di Dio, infatti, non sopporta la
differenziazione in «stati» sociali, tanto meno in «classi», perché esso è aperto ad ogni
uomo che accolga la buona notizia di Gesù.
Una nuova società
La parabola di Gesù illustra il principio esposto in 19,30. La vigna è simbolo del popolo di
Dio (come per es. in Is 5,7; Sal 80,9-10.15-16). Dio, il padrone della vigna, chiama gratuitamente e liberamente a tutte le ore e chi vuole. Nessuno può imporre regole o limiti a
tale chiamata divina. La quantità del servizio o del lavoro all’interno della comunità, la
diversità di funzioni, l’anzianità di servizio, la qualità diversa del lavoro, il maggiore o mi-
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nore rendimento, nessuno di questi elementi ha la forza di creare legittimi privilegi o stati sociali privilegiati nella vigna. La vigna di Gesù non è come le altre società, dove tutti gli
elementi elencati sopra creano differenze, contrapposizioni, superiorità e inferiorità, divisioni e lacerazioni.
Chi accetta di lavorare nella società di Gesù non vende a Dio il proprio lavoro per una pattuita ricompensa né tanto meno la patteggia con gli altri uomini. Chi entra nella società di
Gesù accetta di prestare gratuitamente il proprio servizio o lavoro non per desiderio di
carriera o di guadagno, ma per una libera decisione di autodedizione. In altri termini, i cristiani non lavorano per erigere steccati, privilegi, distinzioni, cioè disuguaglianza, bensì
perché si crei la maggior uguaglianza possibile.
Alla protesta degli operai che vorrebbero un trattamento che li differenzi dagli altri, il
padrone risponde: «Amico, io non ti faccio nessuna ingiustizia. Prendi il tuo e vattene; ma
io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te. Non posso fare delle mie cose quello che
voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?». Dio non agisce come un semplice
contabile e Gesù ce lo ha mostrato con la sua condotta, accogliendo i giusti e i peccatori,
i ricchi e i poveri, i sani e i malati, i pubblicani e le prostitute. Lo stile di condotta di Dio
non è basato su criteri umani di giustizia, ma sull’amore gratuito e generoso. Dio dona
anche a chi non ha meriti o diritti! Questo è lo stile ch’egli vuole vedere vissuto nella sua
comunità. Soltanto così i suoi figli si riconoscono e si trattano da veri fratelli.
Comunità segno per il mondo
La vigna, di cui parla la parabola, non è una «ecclesia invisibilis», nascosta nel segreto dei
cuori, ma una società visibile, concreta, storica. È una comunità che cerca il Signore, che
tenta ogni giorno di lasciarsi guidare dai pensieri di Dio per costruire una società come
vuole lui. L’uguaglianza, di cui parlavamo, non è un ideale di perequazione economica,
ma di condivisione fraterna e di dedizione reciproca. Anche le società di questo mondo
possono sognare che tutti i cittadini siano giuridicamente ed economicamente,
politicamente e socialmente uguali. La società di Gesù non è una società di uguali nel
senso che tutto viene livellato, ma nel senso che vengono aboliti i rapporti basati sul
semplice dirittodovere e sostituiti dalla legge della dedizione fraterna.
Questo è il modo di pensare di Paolo nel brano della lettera ai Filippesi, che leggiamo come 2a lettura domenicale. L’Apostolo desidera ardentemente trovarsi ancora tra i suoi fratelli cristiani, non per far da padrone, ma per «essere d’aiuto a voi tutti, per il progresso
e la gioia della vostra fede». È il desiderio di spendersi per i propri compagni di fede, per
questo Paolo non sa che cosa debba scegliere tra il lavorare per gli altri e l’essere con
Cristo: c’è infatti un nesso indissolubile tra le due cose.
Abbattere le barriere
Ma è interessante anche notare quello che Paolo raccomanda nel v. 27 e che la lettura liturgica taglia a metà: «Soltanto, comportatevi da cittadini degni del vangelo, perché nel
caso che io venga e vi veda o che di lontano senta parlare di voi, sappia che state saldi in
un solo spirito e che combattete unanimi per la fede del vangelo». Quel che sta a cuore all’Apostolo è che i cristiani di Filippi siano «cittadini degni del Vangelo», cioè siano una
società unita nella fede e nella lotta per il Vangelo.
Il rapporto della comunità col mondo non è di dissolversi nel mondo né di confondersi con
la pasta del mondo, ma di essere fermento, luce e sale. Ciò non in senso individualistico,
ma come comunità cristiana.
Infatti, sia l’immagine della vigna sia la sottintesa figura della «polis» implicita nell’espressione «comportatevi da cittadini» (politéueste), rimandano alla concezione della
Chiesa in quanto società unita e pluriforme, varia ma unanime, aperta al mondo ma con
una chiara fisionomia propria.
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Le società di questo mondo tendono a costruire divisori e barriere, differenze e graduatorie, scale sociali di inferiori e superiori. Ma le nostre comunità cristiane non dovrebbero
essere nel mondo un segno visibile di una società di uguali? Nella comunità di Gesù non
dovrebbero essere superate e abolite le contrapposizioni che valgono nelle altre società?
Giudei e Greci, schiavi e liberi, uomo e donna sono popolo di Dio in Cristo Gesù (cf Gal
3,26-29; 1 Cor 12,12-13). Dove c’è la Chiesa, tali contrapposizioni non hanno più valore,
non hanno più nessuna importanza. Se questo accade, allora nasce la vera società di
Gesù e le vecchie strutture sociali del mondo sono corrose dall’interno. È necessario
quindi che, in mezzo a una società che tende a dividere e contrapporre, spuntino delle
oasi – le nostre parrocchie! – come controsocietà che con la loro semplice esistenza
denuncino la corruzione delle società di questo mondo. Le nostre comunità cristiane non
dovrebbero essere soltanto dei subsistemi della società, specializzati nei servizi religiosi,
bensì delle piccole società-modello per il mondo!
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