Celebrazione Eucaristica nella Basilica di San Francesco ad Assisi
4 Ottobre 2002 - Offerta dell’olio e accensione della lampada
Omelia del Vescovo, mons. Giuseppe Anfossi
Ogni liturgia, cari fratelli, dice relazione tra noi e Cristo Gesù: noi, con i nostri limiti, peccati ma
anche con le nostre buone qualità, e Cristo Gesù Santo e Salvatore, reso presente mentre si dona al
Padre in un contesto, come questo, di preghiera e di cena, una mensa sacrificale.
Ci sono uomini e donne che da sempre nella storia della Chiesa si sono identificati nel mistero di
Gesù, nella sua Croce, e che hanno tentato di vivere quest’avventura, imitando Cristo Gesù,
accogliendo il suo Vangelo, entrando in comunione con Lui. San Francesco è uno. Molto vicino a
Cristo, credo che lo possiamo dire. E noi ci serviamo di questa liturgia per guardare a lui perché lo
riconosciamo modello offerto all’Italia, alle nostre Regioni, ai nostri Comuni, al popolo che è in
Italia, in particolare al popolo credente italiano.
La seconda lettura che abbiamo fatto (Galati 6,14-18) conferma ciò ho detto: Francesco è presentato
come un uomo che porta nel suo corpo la passione di Cristo (possiamo vedere una allusione alle
stimmate); ma è la Croce del Signore Gesù che è motivo di orgoglio; orgoglio è la parola usata dalla
traduzione del testo letto in francese. Alla fine è importante per noi comprendere che Cristo Gesù è
il centro della motivazione, la fonte dell’energia spirituale, la fonte della grazia per lui. La sua vita
semplice e straordinaria noi la possiamo ricondurre qui: allo sforzo che Francesco ha fatto di vivere
un’imitazione grande della vita di Gesù, però all’interno della fede. Partendo dai suoi limiti, ma
anche valorizzando i doni che la natura gli aveva dato e la sua famiglia.
Il messaggio che io voglio affidare a quest’omelia, che rivolgo a voi qui presenti e a coloro che ci
ascoltano alla televisione, è il seguente: la vita cristiana è difficile, forse la vita è difficile,
certamente la vita cristiana è difficile e, se voi mi concedete l’uso di una parola un po’ particolare,
la vita è una lotta. Richiede decisione, fatica, costanza, impegno e anche molto lavoro su noi stessi.
Nessuno è disponibile a fare questo se viene costretto.
Bisogna avere delle buone ragioni per farlo. E san Francesco le ha trovate. Noi vorremmo imparare
da lui. Non si diventa neppure operatori di pace, di giustizia o testimoni di fraternità senza lavoro su
di noi, senza fatica, senza lotta.
La prima lettura tratta dal libro del Siracide (50, 1.3-7) ci presenta san Francesco come un ragazzo
stupendo, mentre si muove in mezzo al popolo, quando esce dal santuario.
Sembrerebbe, a prima impressione, volerci descrivere un Francesco di poesia, di fantasia...
Cammina sospeso quasi da terra, su prati pieni di fiori; gli uccelli che volano intorno a lui gli fanno
corona; i fratelli, i frati gli stanno vicino festosi, incapaci di tradimento e conflitto. Ecco, io credo
che, francamente, dobbiamo dire che non possiamo riconoscere il Francesco della storia in questa
evocazione.
La prima lettura, a rileggerla, in verità ci porta più in profondità, parla di lui così: dice che è uno che
“nella vita riparò il tempio”. Ha restaurato la Chiesa. Noi ci domandiamo allora: “quale tempio,
quale Chiesa?”.Una delle tante chiese che abbiamo qui in Assisi oppure la chiesa che è fatta di
persone, di preti, di religiosi, di vescovi, di gerarchia, comunità di persone credenti... Ebbene,
Francesco, con un po’ di fatica, è arrivato presto a comprendere che la Chiesa che era chiamato a
riparare era proprio la seconda, quella fatta di gente. Ha intuito anche la sua debolezza, messo a
confronto con un compito così grande, e ha cominciato a riparare quella chiesa che era lui stesso.
Impresa, come sappiamo, non facile.
Pensiamo alla sua vita: povertà, penitenza, quattro quaresime l’anno, digiuno, preghiera, tempi
prolungati di vita molto disagiata in una grotta naturale, una vita casta che non ha improvvisato, che
ha conosciuto prove e tentazioni.
Conclusione: decide di stare nella Chiesa, con la Chiesa, anche quando vede cose che non vanno.
La vita è stata anche per lui difficilina. La vita cristiana è sicuramente una lotta.
Anche il Vangelo (Matteo 11, 25-30) dice che la vita cristiana è lotta o almeno dice che è un peso.
Dice che è un giogo messo sulle nostre spalle. È vero che poi dopo il Vangelo dice che è un giogo
leggero ma l’esperienza della vita concreta dice che di fatto non è poi così leggero come
sembrerebbe ad una prima lettura del Vangelo. Lo può diventare. Nella vita di Francesco l’abbiamo
visto. La serenità è veramente il frutto di un tempo lungo di una lotta, di una fatica, di moltissimo
lavoro fatto su se stesso, di una grande fede.
Assumere dunque seriamente il proprio compito di cristiano, non dico di sacerdote, di religioso o di
vescovo - sappiamo che Francesco non era sacerdote -, comporta una lotta, comporta assumere
responsabilità. Richiede di essere costanti e poi ci si accorge che non si è premiati, anzi si può
essere presi in giro. Questa è l’esperienza che fanno i nostri giovani.
E poi la costanza nel tempo: mantenere a lungo gli impegni presi. Ecco il cristiano oggi non può
non dire come ha detto il profeta Geremia sgridando il Signore, “tu mi hai sedotto, Signore, e io mi
sono lasciato sedurre; tu mi hai forzato e hai prevalso. Sono diventato oggetto di scherno ogni
giorno… Quando parlo devo gridare…Violenza! Oppressione!” (20,7-8). Geremia dice: ma perché
invece di convincermi, mi hai sedotto? È troppo caro il prezzo che devo pagare, mi sento
perseguitato ogni giorno!
Questo significa che molte persone, se vogliono vivere la vita cristiana si trovano a vivere qualche
cosa che assomiglia all’esperienza di Geremia. Penso, per esempio, all’onestà nel lavoro e negli
affari, alla rettitudine nell’esercitare i propri compiti, quando sono onerosi, ampi, complessi come
quelli della vita politica, istituzionale, amministrativa. Penso semplicemente alla fedeltà coniugale
nel matrimonio.
Ecco tra questi uomini che hanno preso sul serio la vita, con le sue responsabilità, in particolare la
vita cristiana, c’è Francesco. Iniziatore di comunità, ha fatto nascere tre Ordini di vita religiosa;
eppure il suo programma, come continua a dire tutta la vita, è semplicemente vivere il Vangelo di
Cristo.
Vivere il Vangelo di Cristo oggi, in questo momento storico, ci richiede anche di diventare
“operatori di pace e di giustizia”, ma sarebbe meglio dire diventare “operatori di pace perché si è
affamati di giustizia”.
Dobbiamo riconoscere che, oggi, non potremo costruire pace senza riparare le ingiustizie, senza
intervenire sulla povertà di milioni e milioni di esseri umani. Secondo lo spirito e l’insegnamento
delle beatitudini non possiamo dire altro: è un’esigenza che il Vangelo presenta a tutti, oggi.
Francesco e la sua città, questa bella Assisi che ci ha accolto, in questi ultimi anni, grazie agli
incontri ripetuti di Giovanni Paolo II insieme con rappresentanti di molte altre religioni, sono
diventati per il mondo intero un riferimento importante di pace, ma anche di metodo attraverso il
quale raggiungere la pace. E io credo che non posso non ricordalo qui. Se siamo qui è anche per
rinnovare un impegno personale e poi comunitario, civile ma anche ecclesiale. E questo tocca,
credo, i vari livelli dell’organizzazione e della struttura secondo cui è organizzata la nostra terra, la
nostra nazione. Penso ai livelli nazionali, penso ai livelli regionali. Questa è anche l’occasione per
me per fare riferimento con simpatia alla Regione della Valle d’Aosta di cui sono Vescovo.
Siamo invitati tutti ad amare, vivere, testimoniare la pace. E desidero ripetere ciò che ha detto
Giovanni Paolo II ad Assisi, a Gennaio, perché il suo grido interroghi noi, in profondità, il nostro
cuore: “Mai più violenza! Mai più guerra! Mai più terrorismo! In nome di Dio ogni religione porti
sulla terra Giustizia e Pace, Perdono e Vita, Amore!”.
Che l’appartenenza ad una religione non diventi mai motivo di odio e di guerra.
Infine, prima di terminare, voglio ancora commentare l’offerta dell’olio che abbiamo fatto. Questo
piccolo rito ci ha permesso di invocare la benedizione di Dio su l’Italia intera, su noi qui presenti,
sulla comunità valdostana qui rappresentata, civile e religiosa. Desidero che questa benedizione
raggiunga anche coloro che ci ascoltano attraverso la televisione.
Abbiamo chiesto a Dio Padre di “ravvivare nei cuori la luce della fede e il fuoco del suo amore”;
abbiamo chiesto preghiera per “chi cammina sulle strade del Vangelo, anche se difficili, per chi vive
il dubbio, per chi ha smarrito la strada di Dio, per chi vive non solo le fatiche della fede ma anche
sofferenze nel corpo e nello spirito e poi per i poveri che non possiamo mai dimenticare... e tutti,
ogni persona” (cfr. dalla benedizione dell’olio pronunciata dal Vescovo).
Che ogni Regione e ogni Comune e ogni Chiesa diocesana che sono in Italia possano diventare
comunità di pace e di accoglienza grande, e di fraternità vissuta quotidianamente, direi anche scritta
nella nostra legislazione.
Facciamo dunque onore al patrono d’Italia, a san Francesco d’Assisi!
+ Giuseppe Anfossi