Il sonetto e la canzone Il sonetto Il sonetto compare contemporaneamente alla canzone. In principio la sua struttura è identica a quella di una stanza di canzone. Nella poesia provenzale era consueto comporre stanze isolate (coblas esparsas), usanza che si ritrova anche nella poesia italiana a partire dai poeti siciliani. Giacomo da Lentini fu forse il primo a scegliere una struttura particolare di stanza (quella con sirma bipartita in due volte uguali e ciascuna di tre versi) e a costruirla interamente di endecasillabi, mentre la stanza di canzone era sempre stata formata da versi di metro diverso. Il termine deriva dal latino “sonus” attraverso il provenzale “sonet” che significa "motivo, melodia" e "testo con melodia". Dato che in provenzale sonet serviva anche a designare una cobla esparsa, la parola passò nella lingua italiana per definire quella stanza che avrebbe poi preso la forma specifica del sonetto. Il sonetto si compone di endecasillabi suddivisi in due quartine (corrispondenti ai piedi della fronte della canzone), e in due terzine (corrispondenti alle volte della sirma). La forma coniata da Giacomo da Lentini è composta di due quartine a rime alterne ABAB, mentre le terzine sono per lo più costruite su tre rime replicate CDE CDE, ma anche su due alternate CDC DCD. Queste due forme raggiunsero in breve tempo un'autorità quasi classica, come si deduce dal fatto che lo stilnovista Guido Guinizelli usò solo queste. Il sonetto è stato oggetto prediletto di sperimentazione e di invenzione poetica, tanto è vero che ne esistono numerose varianti, la maggior parte delle quali non sopravvisse però oltre il XIV secolo. L'unica eccezione è rappresentata dal sonetto caudato, ovvero provvisto di una aggiunta finale di versi. Destinazioni del sonetto E’ stato impiegato in modo molteplice e diversificato, poiché presenta un ventaglio molto ampio di possibilità espressive: il sonetto di volta in volta appare come la forma più alta della poesia lirica, della poesia di corrispondenza, della riflessione morale o della polemica politica o culturale. L’escursione tematica del sonetto, che lo caratterizzerà sempre, è particolarmente sensibile nel Duecento: a differenza di quanto accadrà con Petrarca, quando il sonetto si imporrà come metro essenzialmente lirico, la poesia duecentesca gli assegna in primo luogo il carattere e la funzione di metro di corrispondenza, collocandolo, come farà Dante, a un livello meno nobile e illustre rispetto alla canzone. Si distinguono due tipi di sonetto di corrispondenza: 1) sonetti indirizzati ad un unico e ben individuato destinatario, che generalmente risponde “per le rime”, ossia con un altro sonetto costruito con le medesime rime di quello del proponente. 2) sonetti che si rivolgono a destinatari molteplici e non specificati, richiedendo e suscitando, quindi, molteplici risposte, anche se solitamente provenienti da una ristretta cerchia di amici capaci di decifrare le allusioni della proposta; il sonetto proponeva spesso una “questione” che richiedeva commenti e spiegazioni. 1 Lo scambio di sonetti polemici tra due poeti è definito “tenzone”: per esempio quella tra Dante e Forese Donati. Tipica del sonetto è dunque la forte sociabilità, congenita ed istituzionale. La canzone Di origine provenzale, la canzone è una delle forme metriche più antiche e più illustri della lirica italiana. Elaborata dai poeti siciliani sul modello della cansó provenzale, ha poi subito molteplici trasformazioni, fino a raggiungere la forma esemplare e canonica per opera di Francesco Petrarca. La canzone è composta da un numero variabile di strofe dette stanze (in provenzale coblas), uguali per numero dei versi (prevalentemente endecasillabi e settenari). Ogni stanza si divide in due parti principali: fronte e sirma. Ambedue possono a loro volta suddividersi in più parti: la fronte è divisa in piedi (solitamente due), identici nel numero dei versi, ma che possono però presentare diverso schema ritmico; la sirma può rimanere indivisa oppure essere suddivisa in due parti (dette volte), che sono identiche per numero di versi e per schema ritmico. Con Dante e poi con Petrarca si affermerà l'uso della canzone con fronte divisa e sirma unica, oltre che di un verso di collegamento (detto chiave o concatenatio), che segna il passaggio dalla prima alla seconda parte della stanza, ovvero dalla fronte alla sirma. La chiave è un verso in rima con l'ultimo verso della fronte. Le stanze possono essere unite tra loro mediante il collegamento capfinido. Tale artificio consiste nel legare l’ultimo verso di una stanza con il primo della seguente, attraverso la ripresa del verso stesso, o di una parola, o anche solo di qualche fonema. La canzone così fatta si dice a coblas capfinidas. Talvolta il fenomeno può interessare il penultimo verso (invece che l’ultimo) di una stanza, oppure il secondo o il terzo (invece del primo) della seguente. Esso può inoltre essere presente solo in alcune stanze di una canzone, e addirittura in due sole: in questo caso forse si tratta di un fatto più propriamente retorico che metrico. Il collegamento capfinido si ritrova a volte anche all’interno della stanza, tra fronte e sirma. Se la prima rima di ciascuna stanza ripete l’ultima della precedente, la canzone si definisce a coblas capcaudadas. Se l’analogia formale (riprese lessicali o fonetiche) si presenta nel primo verso di ciascuna stanza, la canzone si definisce a coblas capdenals. Bibliografia: W.Th. Elwert, Versificazione italiana dalle origini ai giorni nostri, Le Monnier, 1983 Sitografia: http://www.pianetascuola.it/leggere_scrivere/retorica/metrica/strofa/04sonetto.html 2