Speciale ADHD
L’hanno ribattezzata ‘sindrome di Gianburrasca’, perché rende i bambini
piccole pesti. Scuola e famiglia possono aiutarli, anche con la ‘mobilitazione
pedagogica del pensiero’…
Carlo, fin da neonato, è sempre stato irrequieto. A due mesi già stava seduto nel
passeggino perché per lui la carrozzina era troppo noiosa. “E’ sempre stato molto
sensibile agli stimoli esterni. Quando notava qualcosa che lo interessava
particolarmente muoveva le manine e i piedini in maniera frenetica, spalancando gli
occhi per l’eccitazione”, racconta la mamma, “Da qui è iniziato il nostro pellegrinare da
uno specialista all’altro. Mentre lui cresceva, iniziavano le prime incomprensioni con i
compagni e gli insegnanti. Poi, tre anni fa, è arrivata la diagnosi di Adhd e abbiamo
iniziato la terapia comportamentale. Gli è stato spiegato che è iperattivo e ha preso
coscienza di essere un bambino ‘diverso’. Ma noi gli abbiamo fatto capire che è anche
più intelligente, sensibile e generoso degli altri”.
L’Adhd, o ‘Disturbo da deficit dell’attenzione con iperattività’, colpisce il 2 per cento
circa della popolazione scolastica nazionale e si manifesta già in età prescolare, con
picchi tra i 6 e i 12 anni. Associandosi, spesso, a disturbi del comportamento,
disattenzione, dislessia, basso rendimento scolastico e problemi relazionali, che ne
rendono molto difficile l’individuazione. Osservatori privilegiati del fenomeno sono la
famiglia e la scuola. Il 58 per cento degli alunni riconosciuti Adhd ha infatti subito
almeno una bocciatura. Insuccessi attribuiti a deficit cognitivo, a scarsa motivazione o
alla compresenza di disturbi dell’apprendimento scolastico, che possono presentarsi
nel 50 per cento dei casi. Recentemente, sette città italiane sono state coinvolte nel
‘progetto Prisma’ (Progetto italiano salute mentale adolescenti), che ha indagato la
prevalenza di disturbi psichici tra alunni di età compresa tra i 10 e i 14 anni. Genitori e
insegnanti sono stati invitati a riempire un questionario. Un test che oggi inizia a
circolare in altre scuole, e dalla cui compilazione può dipendere una futura diagnosi di
Ahdh. E’ sufficiente rispondere affermativamente ad una serie di quesiti - “muove
spesso le mani o i piedi”, “spesso chiacchiera troppo”, “ha difficoltà a giocare
quietamente” - affinché si metta in moto la segnalazione. Ma molti esperti denunciano
l’estrema soggettività di una simile procedura. “Dato che i sintomi di Adhd sono larghi
e inclusivi, tanti bambini possono rientrarvi. Per questo è fondamentale escludere
subito i disturbi dell’apprendimento normali, tic e nevrosi infantili, situazioni di disagio
familiare, dalla sintomatologia di Adhd”, avverte Gian Marco Marzocchi, psicologo e
presidente dei Centri Aidai che, in una ventina di Regioni, hanno attivato corsi per la
formazione di operatori scolastici e psicologi. “Il questionario non è una fotografia del
bambino ma è utile per raccogliere indicazioni sul suo comportamento scolastico.
Spetta poi al clinico integrarlo per inquadrare la situazione. La complessità di questi
bambini richiede tanti approfondimenti”. Sul valore dei quali, però, non c’è consenso
tra gli specialisti. “Manca qualsiasi strumento di osservazione standardizzata che
definisca il criterio quantitativo di iperattività di un bambino rispetto ai suoi coetanei”,
fa notare Francesco Ciotti, direttore dell’Unità operativa di Neuropsichiatria Infantile
della Ausl di Cesena. Una distonia ancor più lampante negli screening effettuati da
genitori e insegnanti, come sottolinea Ciotti: “Non solo chi li redige spesso non è
d’accordo nel valutare lo stesso bambino, ma a distanza di tre anni le valutazioni
cambiano perché quelli dei bambini sono comportamenti evolutivi. Molto dipende da
come l’adulto li tollera”. Sulla stessa linea Piero Crispiani, docente di Pedagogia
speciale all’Università di Macerata e pedagogista clinico: “La condizione dell’infanzia è
cambiata. Una volta il bambino iperattivo si sopportava e basta. Adesso queste
Tratto dalla rassegna stampa di www.giulemanidaibambini.org
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situazioni sono emergenti perché c’è un investimento maggiore nell’educazione dei
figli da parte delle famiglie. Non a caso, l’Adhd appare intorno ai 3-4 anni, quando il
mondo circostante inizia a pressare il bambino, che può diventare reattivo, nervoso,
sommario, ma anche molto rapido e intuitivo. Facoltà che potrebbero essere inibite da
una terapia sbagliata”. Quali, dunque, le soluzioni? “C’è l’approccio medicofarmacologico e quello psicoterapeutico e pedagogico”, precisa Crispiani, “quest’ultimo
richiede tempi lunghi e la collaborazione dell’ambiente circostante. Scuola e famiglia
devono attenuare le aspettative e fare un’azione di meta-cognizione: rendere il
bambino consapevole della capacità di autocontrollarsi. Il disturbo, nell’80 per cento
dei casi, scompare da solo intorno ai dieci anni”.
Sul banco degli imputati anche le nuove tecnologie. Per Claudio Ajmone,
psicoterapeuta e presidente dell’Oism (Osservatorio italiano salute mentale), tv e
videogiochi “facilitano l’iperattività, l’impulsività e influenzano le prestazioni della
memoria e l’apprendimento. Hanno cambiato i circuiti cerebrali dei bambini,
modificandone comportamenti e prestazioni scolastiche. La società stenta a capire
questa evoluzione e continua a pretendere cose che andavano bene per le generazioni
precedenti”. Ma anche la scuola deve fare un esame di coscienza: “Esiste una forte
tendenza a non indagare le cause che si originano al suo interno, come nei casi che
riguardano le dinamiche del gruppo classe. Sugli insegnanti incombe l’onere più
gravoso di capire e aiutare, nonché quello più difficile di valutare se stessi. Questi
bambini, di regola, hanno un’intelligenza superiore alla media. A scuola si annoiano,
per loro ci vuole una didattica diversa”.
Lo ha capito Ermanno Tarracchini, insegnante di sostegno presso la Scuola media
statale ‘Cavour’ di Modena, che sfrutta la ‘mobilitazione pedagogica del pensiero’.
“Molti di questi bambini amano il movimento ed è da lì che occorre partire per
progettare interventi pedagogici mirati. Coinvolgendoli in attività come il teatro, la
danza, la lingua dei segni, il canto, l’apprendimento di strumenti musicali,
l’animazione dei testi di narrativa”. Per il bambino è prioritario imparare a “mobilitare
il pensiero attraverso l’acquisizione di consapevolezza e responsabilità pedagogica sui
propri processi di apprendimento e, contemporaneamente, acquisire responsabilità
sociale sugli effetti che la propria irruenza o ‘sfacciataggine’ ha sugli altri, per esempio
attraverso le discussioni in assemblee di classe autogestite dai ragazzi”. Risultati?
“Questo allenamento sociale e pedagogico porta ad acquisire maggiore padronanza sul
movimento del proprio pensiero”, conclude, “che così è in grado di anticipare l’azione
e di prevederne le conseguenze. Un risultato ottenuto, come nel caso dell’alunna da
me seguita in questi ultimi tre anni, non farmacologicamente ma solo attraverso
strumenti sociali e pedagogici”.
Box:
Inquadrando il problema dell’Adhd in una prospettiva etica, non sono mancate le
reazioni di chi, nella società civile, ha stigmatizzato il ricorso alla farmacoterapia
come soluzione più rapida per risolvere il problema di bambini difficili da gestire. A
schierarsi per una corretta azione di farmacovigilanza sui minori è ‘TuttInsieme’, una
federazione che rappresenta 24 tra le maggiori associazioni di volontariato
ospedaliero. Nell’aprile 2004 ha lanciato la campagna ‘Giù le mani dai bambini’
(www.giulemanidaibambini.org), che ha raccolto circa cinque milioni di adesioni. Tra i
testimonial, anche Beppe Grillo e Linus. “Vogliamo porre l’attenzione sull’opportunità
stessa di sottoporre a cure psicofarmacologiche bimbi in tenerissima età, circa 30mila
in Italia”, afferma il portavoce Luca Poma, “A lungo si è ritenuto che gli effetti di
farmaci come il Ritalin fossero a zero rischi, finché la letteratura scientifica
internazionale non ha più potuto tacere i numerosi casi provati di disagi gravi, suicidio
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incluso, riconducibili alla sua somministrazione. Abbiamo sollevato il velo su una serie
di interessi e di informazioni a senso unico, contattando 25 Università estere per
tradurre ricerche scientifiche indipendenti. Studi che dimostrano quanto poco si sappia
sull’origine stessa dell’Adhd. La nostra campagna, le cui prossime iniziative saranno
un spot televisivo e un convegno nazionale all’Ospedale Molinette di Torino a maggio,
si ispira ai più elementari principi per la difesa dei diritti del fanciullo e
dell’adolescente. Che sono certamente il ricevere una cura adeguata ma anche il non
essere sottoposti ad alcuna cura farmacologica se non realmente necessaria”.
Box:
In Italia si comincia a parlare di ‘Sindrome da iperattività’ - ADHD (Deficit Disorder) o
DDAI (Disturbo di attenzione con iperattività) - dopo la pubblicazione negli Usa, circa
20 anni fa, del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali DSM III, che ne
definiva le caratteristiche cliniche. Dagli anni ‘40, gli psichiatri hanno usato varie
terminologie per definire i bambini caratterizzati da iperattività, disattenzione e
impulsività fuori dalla norma. Considerandoli, di volta in volta, affetti da ‘Minima
disfunzione cerebrale’, da ‘Sindrome infantile da lesione cerebrale’, da ‘Reazione
ipercinetica dell’infanzia’, da ‘Sindrome da iperattività infantile’ e, infine, da ‘Disturbo
dell'attenzione’. Tali cambiamenti riflettono l’incertezza dei ricercatori nell’individuarne
le cause e stabilire criteri diagnostici inconfutabili. Alcune ricerche ne avvalorano la
natura poligenica (dovuta a più geni), sottolineando come i figli di un genitore affetto
da Adhd abbiano una probabilità sino a 50 volte superiore di sviluppare la sindrome.
Altri, invece, indicano fattori non genetici quali la nascita prematura, l’uso di alcool e
tabacco da parte della madre, l’esposizione a elevate quantità di piombo nell’infanzia o
la presenza di lesioni cerebrali. Infine, un recente studio pubblicato dall’Archives of
Disease in Childood, condotto su 1.800 bambini di 3 anni, accusa coloranti e
conservanti, dimostrandone l’impatto sui livelli di iperattività a quest’età.
Box:
Sull’Adhd, la Regione Lazio corre ai ripari. L’Ufficio scolastico Regionale, in
collaborazione con il Presidio ‘La Scarpetta’ A.S.L Roma A, ha organizzato lo scorso
aprile il seminario ‘Deficit di attenzione con iperattività’, a cui hanno partecipato 80
docenti della scuola elementare, provenienti dai distretti scolastici “dove è più marcata
la presenza dell’Adhd”. Nella nota pubblicata sul sito della Regione si legge: “Rilevato
che nella scuola è presente un alto numero di alunni con deficit di attenzione con
iperattività e considerate le ripercussioni sull’attività scolastica che lasciano prevedere
effetti d’insuccesso scolastico, mediante un protocollo d’intesa sono state concordate
strategie d’azione, al fine di arginare l’insorgenza del fenomeno”. Disponibili, sempre
on-line, testi riguardanti diagnosi, trattamenti psicoeducativi, testimonianze dell’Aifa
(Associazione Italiana Famiglia Adhd), riferimenti bibliografici.
Box:
Sono tre le caratteristiche essenziali dell’Adhd: inattenzione, iperattività e impulsività.
Ma individuarlo non è facile, in quanto la diagnosi è fondamentalmente clinica e si
basa su criteri che variano a seconda della scala di riferimento adottata. “Molto
dipende se si utilizzano i criteri del Dsm IV, il manuale diagnostico internazionale che
è anche il modello di riferimento americano, o quelli dell’Icd 10, il manuale diagnostico
dell’Oms, più adottato in Europa”, spiega Maurizio Bonati, del laboratorio per la Salute
materno-infantile dell’Istituto Mario Negri di Milano. Che aggiunge: “Nel primo caso,
bambini con disturbi della condotta possono essere classificati Adhd, mentre il
secondo lo esclude. In sostanza: il modello europeo è più rigido e sottostima, quello
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americano è flessibile e sovrastima. E le differenze sono consistenti, anche a livello
terapeutico”. Proprio la delicatezza della questione richiede che “la diagnosi venga
fatta solo da uno specialista con una certa esperienza, in questo caso il
neuropsichiatra infantile. L’unico che può prescrivere il ricorso al farmaco, che resta
un presidio necessario solo nei casi più gravi e sulla base di un preciso piano
terapeutico fatto in uno dei Centri specialistici di riferimento. Per verificare effetti
collaterali e situazioni d’abuso o di uso inappropriato, tanto più pericolosi in quanto il
bambino è in un momento di sviluppo, è prevista la creazione di un Registro nazionale
dei casi in terapia per due anni”.
Il Giornale di San Patrignano
di Beatrice Nencha
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