Omelie per un anno
Volume 1 - Anno “B”
Anno “B”
4ª DOMENICA DI QUARESIMA
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2 Cr 36,14-16.19-23 - Con l'esilio e la liberazione del popolo si
manifesta l'ira e la misericordia del Signore.
Dal Salmo 136 - Rit.: Il ricordo di te, Signore, è la nostra gioia.
Ef 2,4-10 - Morti per i peccati, siamo stati salvati per grazia.
Canto al Vangelo - Gloria e lode a te, o Cristo! Dio ha tanto
amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito; chi crede in lui ha
la vita eterna. Gloria e lode a te, o Cristo!
Gv 3,14-21 - Dio ha mandato il Figlio perché il mondo si salvi per
mezzo di lui.
Salvati per grazia
Si può essere più o meno pessimisti, più o meno ottimisti. Ma non si
può negare che la Bibbia ci mette tutti sotto accusa: siamo cattivi e
peccatori. Preferiamo avere piuttosto che dare, abbiamo paura della
verità e ci ingolfiamo in mezze-verità, affermiamo e non mettiamo in
pratica: la lista potrebbe essere allungata, ma non serve. Ciascuno ha
mille motivi per confessare di essere egoista, cattivo, violento.
Invece la cultura dominante ci sprona a mostrarci sicuri di noi stessi, a
sentirci innocenti, a liberarci da ogni senso di colpa, perfino a
giustificare ideologicamente le pulsioni, gli istinti e i comportamenti
anche più disumani in base al principio dell'affermazione di sé e della
ricerca del proprio piacere. La visione cristiana è accusata di frustrare
le persone, di censurare i legittimi desideri della persona, di produrre
personalità inibite e «bloccate», di essere oscurantista e di creare un
clima di malinconica e triste umanità ripiegata su se stessa a piangere
le proprie miserie. Addirittura si arriva a teorizzare la contrapposizione
in termini di alternativa: colpa e libertà, autonomia e dipendenza,
pessimismo e ottimismo, ecc. I cristiani sono accusati di avere una
concezione autolesionista della vita, di non sapere «godere» la vita e di
flagellarsi con complessi di colpa che non fanno che intristire l'esistenza.
La stessa Quaresima, agli occhi di molti non credenti,
rappresenterebbe bene questo modo di pensare, tanto che un
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dizionario della lingua italiana riporta queste espressioni: «sembra la
quaresima: detto di persona magra»; «è lunga quanto la quaresima:
detto di cosa lunga e noiosa». Qual è il nostro modo di pensare e di
vivere?
Salvati da Gesù Cristo
Gesù si incontra con Nicodemo, un vero giudeo attaccato alla Legge,
che attende la venuta del Messia come colui che insegna e spiega la
Legge e ne inculca la pratica effettiva. È un uomo desideroso di una
società più giusta, fondata sull'osservanza della legge divina. E quindi
un uomo retto, un capo fra i Giudei, un maestro in Israele. Eppure
Gesù non si schiera con Nicodemo, anzi nel colloquio con lui gli
rovescia le carte, abbatte i presupposti della sua posizione.
Gesù parte dall'azione che Dio compie per l'umanità: «Ha tanto amato
il mondo da dare il suo Figlio unigenito». Gesù è il dono dell'amore di
Dio per l'umanità. E l'amore di Dio vuole la salvezza: «Dio ha mandato
il Figlio nel mondo perché si salvi per mezzo di lui». Dio Padre ama,
perciò manda il Figlio, così facendo realizza la sua volontà di salvare gli
uomini, perché l'unico desiderio di Dio è la nostra salvezza. L'amore di
Dio non fa eccezioìni; se un uomo non si salva, la responsabilità non
ricade su Dio, ma è soltanto dell'uomo. Dinanzi a Gesù, dono
dell'amore di Dio, non si può essere indifferenti. Chi dà la sua adesione a Gesù, cioè crede in lui, non è condannato; chi non aderisce a
Gesù, cioè non crede in lui, è già stato condannato. Credere in Gesù
significa credere che l'amore di Dio ha dato agli uomini, in Gesù suo
Figlio, la possibilità di una vita nuova e di una società nuova. Gesù è
la luce venuta nel mondo, «ma gli uomini hanno preferito le tenebre
alla luce, perché le loro opere erano malvagie». Gesù ha rivelato le
«tenebre» in cui vivono gli uomini. Le tenebre amano le tenebre, non
vogliono essere «smascherate» dalla luce, perciò odiano la luce. Il
male odia la bontà! Chi opta per le tenebre intende perseverare nella
malvagità, non vuole che gli si rinfaccino le sue colpe, non vuole
ammettere i propri peccati. Riconoscere la luce significherebbe uscire
allo scoperto e confessare la propria tenebrosa situazione.
Ebbene, Gesù è venuto proprio perché gli uomini-tenebre riconoscano
in lui la luce, si lascino investire dalla cruda chiarezza della luce e
confessino la loro malvagità. «Chi opera la verità, viene alla luce»: la
«verità» qui significa «lealtà», disposizione retta del cuore e pratica
effettiva del bene. Soltanto chi agisce in questa sincera disponibilità
ad amare viene alla luce, cioè arriva all'adesione vera a Gesù-luce. Si
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potrebbe parafrasare così: soltanto un uomo veramente disposto ad
amare giunge alla fede in Gesù. E insieme occorre il riconoscimento
della propria situazione di tenebra, il bisogno della luce che salva.
Salvi mediante la fede
Il brano paolino della 2ª lettura segue una sezione nella quale
l'apostolo ha tracciato un fosco dipinto della condizione umana in cui
tutti, ebrei e pagani, si trovano a causa del peccato. Ora, egli
proclama l'opera salvatrice della misericordia e bontà divina. Niente
in noi esigerebbe o meriterebbe l'intervento di Dio, ma egli «ricco di
misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amati, da morti
che eravamo per i peccati, ci ha fatti rivivere con Cristo: per grazia
infatti siete stati salvati». La condizione umana è disperata, perché
segnata dal peccato e schiava del peccato. Ma Dio vince e supera il
peccato dell'uomo con la potenza irresistibile del suo amore. Non le
nostre opere buone ci salvano, sicché potremmo vantarci, ma
soltanto la grazia divina. S. Paolo è chiaro: la salvezza «non viene da
voi, ma è dono di Dio».
La confessione dei nostri peccati, il «pessimismo» con cui
consideriamo tutto quel che viene soltanto da noi non è frutto di un
masochismo autolesionista, ma proviene dalla fede in Dio che solo
può salvarci. Anzi, la salvezza non è soltanto una sperata possibilità,
ma è un dono già datoci da Dio mediante Cristo, con il quale ci ha
risuscitati e ci ha fatti sedere nei cieli. In Gesù Cristo si è infatti
manifestata la «straordinaria ricchezza della sua grazia mediante la
sua bontà verso di noi». E Dio ci ha «creati in Cristo Gesù per le opere buone»: egli ci rinnova radicalmente con la grazia di Cristo e ci
dona la capacità di compiere le vere, autentiche opere buone, frutto
del suo amore. Noi dunque siamo completamente «opera sua».
Proclamare la grandezza dell'amore di Dio che salva non significa
«svalutare» l'uomo. Riconoscere che, senza e al di fuori di Gesù
Cristo, la nostra vita è sbagliata non vuol dire essere schiavi di un
complesso errato di colpa, ma semplicemente ammettere che non
possiamo vivere una vita veramente umana, anzi più che umana,
senza Dio. Attraverso Gesù, Dio stesso viene a noi per vivere con noi
e in noi, per farci buoni e felici. La Quaresima ci invita a confessare i
nostri peccati, a fare penitenza delle nostre colpe, ma anche a
proclamare la nostra fede in Gesù Cristo che ci salva. La vera ragione
della nostra cattiveria e della nostra tristezza è, infatti, la mancanza
di fede in Gesù Cristo. S. Paolo ce lo ha detto: «Siete salvi mediante
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la fede». Se credessimo davvero, sperimenteremmo la salvezza di
Gesù!
Tutti hanno peccato
La tentazione nostra è di cercare sempre qualche giustificazione per
salvarci da noi stessi. La la lettura di oggi inizia invece così: «Tutti i
capi di Giuda, i sacerdoti e il popolo moltiplicarono le loro infedeltà».
Tutti hanno peccato; tutti siamo peccatori. E continua dicendo: «Essi
si beffarono dei messaggeri di Dio, disprezzarono le loro parole e
schernirono i suoi profeti». Riconosciamo che tutti noi non abbiamo
dato ascolto alla parola di Dio, siamo stati infedeli.
C'è una speranza di salvezza, che già la la lettura fa intravedere:
«Finché il paese non abbia scontato i suoi sabati». Dunque, non per
sempre pesa su di noi il castigo che ci siamo attirati addosso con i
nostri peccati. Dio ci viene incontro; anzi, ci ha mandato il suo Figlio
per salvarci e operare la nostra redenzione. A noi spetta soltanto non
intestardirci nel voler vivere senza Dio e nel voler salvarci con i nostri
poveri mezzi.
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