Il Magistero di Mons. Virgilio alla luce del Concilio Ecumenico Vaticano II La commemorazione centenaria di mons. Virgilio, illustre cittadino di Venosa e grande sacerdote della nostra Chiesa, si inserisce tra gli anni del 2° decennio del secolo scorso e del 2° decennio dell'attuale secolo, in questo terzo millennio dell'era cristiana. In questi cento anni l'evento più significativo e insieme grande è rappresentato dal Concilio Ecumenico Vaticano II, che meglio ha delineato la fisionomia della Chiesa, l'identità del sacerdote, la missione del vescovo, l'attenzione verso il mondo. A questi temi si riferiscono alcuni tra i documenti conciliari, come la Costituzione Lumen gentium sulla Chiesa, il Decreto Presbyterorum ordinis sul prete, il Decreto Christus Dominus sul Vescovo, la Costituzione Gaudium et spes sulla Chiesa nel mondo contemporaneo. In questa luce va esaminata la vita e l'opera del nostro Vescovo, per essere stato un vero anticipatore, sotto la spinta dei princìpi dell'enciclica Rerum novarum di Leone XIII pubblicata nel 1891, l'anno in cui Mons. Virgilio è divenuto sacerdote (7 giorni dopo). Questa enciclica fece luce sulla questione operaia, sui diritti dei lavoratori, sulla giustizia sociale, al punto che Mons. Virgilio divenne vero fautore e sostenitore di ogni iniziativa che potesse risollevare le sorti dei deboli e degli sfruttati. Pur vivendo nel Seminario, dove, come docente e Direttore ha speso le migliori energie, il suo fecondo impegno e le molteplici attività, ha saputo guardare ed esaminare i bisogni del suo popolo, sia quelli morali che sociali, uniformandosi come pacificatore e propositore di vita nuova, affrontando, col suo carattere forte e la fibra instancabile, anche le accuse e insinuazioni con la capacità di trasformarle in amicizia e stima da parte degli stessi avversari. La luce della Rerum Novarum illumina l'intero secolo, trova conferma e rilancio nella Quadragesimo anno di Pio XI, nella Centesimus annus di Giovanni Paolo II, ma in particolare nel Concilio degli anni '60 con la Lumen gentium dove leggiamo "La Chiesa è vista come un ovile che raccoglie tutte le pecore, curate dal Pastore; come una vite di cui tutti sono tralci curati dall'agricoltore; come un edificio formato da tutte le pietre anche quelle piccole poggiate sulla pietra angolare (6); come un corpo di cui tutti gli uomini sono membri e quindi se un membro soffre soffrono con esso tutte le altre membra" (7). E ancora: "La Chiesa, il nuovo popolo, ha per capo Cristo .. per condizione la dignità e la libertà dei figli di Dio, per legge il nuovo precetto d'amore come lo stesso Cristo ci ha amato" (9). Da questo deriva la piena condivisione dei beni, e nella Gaudium et spes dove leggiamo "Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d'oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore (1). E più avanti: "La Chiesa guarda speranze e angosce, esamina le profonde mutazioni sociali, raccoglie tutti gli squilibri, avverte tutte le aspirazioni e gli interrogativi del genere umano e vuole trovare una soluzione ai principali problemi del nostro tempo (cfr 4-5-6-7)" (GS). Questo sentimento conciliare ha guidato l'opera di Mons. Virgilio nella Chiesa e nel mondo del suo tempo. Mons. Virgilio, a Venosa in Lucania da prete, e a Tortolì in Sardegna da Vescovo, impronta il suo agire ad un vero anelito di giustizia sociale e ad una vera sensibilità pastorale, se è vero che a Venosa viene ricordato, insieme all'impegno della predicazione evangelica, per l'iniziativa della Cassa Rurale superando ostacoli e diffidenze, con l'esplicito intento di sottrarre contadini che non potevano seminare e piccoli artigiani alla morsa dell 'usura, dando loro voce attraverso le colonne della Rivista "Quinto Orazio FIacco" da lui cofondata, mentre a Tortolì, nell'Ogliastra, viene ricordato per aver seminato spiritualità e socialità "collocandosi spesso in anticipo nel cammino dei tempi". Leggiamo nel Concilio: "I Vescovi devono esporre la dottrina cristiana in modo consono alle necessità del tempo in cui viviamo, in modo da rispondere alle difficoltà e ai problemi, dai quali sono assillati e angustiati gli uomini di oggi" (13). E ancora: "In ogni tempo e in ogni nazione è accetto a Dio chiunque lo teme e opera la giustizia" (LO 9). A Venosa fu sacerdote apprezzato dai Vescovi di cui fu collaboratore insigne, come Vicario Generale e a volte come Vicario Capitolare, e dai Confratelli, la cui eco giunse sino ai tempi della mia esperienza giovanile quando risuonavano le voci di coloro che lo avevano conosciuto. I Presbiteri, pur chiamati ad 1 essere testimoni e dispensatori di una vita diversa da quella terrena, "non potrebbero servire gli uomini se si estraniassero dalla loro vita e dal loro ambiente" (PO 3). Vero educatore, si racconta di lui che a scuola non ha mai punito nessuno. E quando è dovuto intervenire con qualche castigo, non ha mai esasperato l'animo del ragazzo. Fu sacerdote capace di orientare alla virtù con la soavità della carità e pronto a predicare più con l'esempio che con le parole. Anche per le parole veniva apprezzato. I testimoni dicono che aveva parola facile, limpida, sonora. Poderose erano le sue argomentazioni, sicura la scienza, chiaro lo scopo da raggiungere, a volte con elevazione poetica e con l'arte che avvince l'animo degli uditori. Suscitava entusiasmo e ammirazione, con enormi vantaggi spirituali nei fedeli, come risulta dalla cronaca di alcuni giornali del tempo, anche non cattolici. Oratore valente e scrittore efficace, "ispirava fiducia nei deboli e terrore nei superbi, si faceva amare e rispettare dai grandi e dai piccoli. Versato nelle discipline ecclesiastiche si è distinto nella predicazione dei quaresimali in diocesi e fuori diocesi. La sua opera spiccava nella difesa dei poveri e nell'affermazione della giustizia". Leggiamo nella PO: "Ai Presbiteri sono affidati in modo speciale i poveri e i più deboli ai quali lo stesso Signore volle dimostrarsi particolarmente unito" (6). Il 2 maggio 1910 viene nominato Vescovo della lontana diocesi d'Ogliastra in Sardegna. Il 22 maggio viene consacrato in questa cattedrale. Il 2 ottobre, da Venosa, invia ai suoi fedeli d'oltre Tirreno, la prima lettera pastorale contenente gli indirizzi della sua futura attività pastorale. Stupì la conoscenza che aveva della tragica situazione economica, sociale, morale in cui versava l'Ogliastra di quegli anni. Il quadro era desolante. La Regione era povera. Annuncava che non avrebbe predicato la rassegnazione passiva, ma la fiducia e il coraggio per affrontare prove e difficoltà con la fede "perché Dio non abbandona chi crede in Lui". Il 5 novembre 1910 giunge in Ogliastra e fa il suo ingresso a Tortolì, allora sede della diocesi, trasferita poi a Lanusei. Aveva 41 anni. In Lucania era stato amico di insigni meridionalisti come Francesco Saverio Nitti e Giustino Fortunato. Anche questo spiega come la giustizia civile e sociale, di cui parlava Mons. Virgilio, non era considerata come un solo auspicio da coltivare, ma come un progetto da realizzare anche a costo di sofferenza che solo un animo temprato e veramente motivato avrebbe potuto accettare. Anche S. Paolo dice: "lo infatti pur essendo libero da tutti mi sono fatto servitore di tutti" (1 Cor 9,19). E nel Concilio: "I Presbiteri sono spinti dalla carità del buon Pastore a dare la loro vita per il gregge" (PO 13). Questo progetto ebbe una forte realizzazione in Sardegna. E così leggiamo nel Concilio: "La Chiesa porta nel mondo la luce del Vangelo e mette a disposizione degli uomini le energie di salvezza ricevute dal Fondatore". Si tratta di "salvare l'uomo, si tratta di edificare l'umana società" (OS 3). Parlava alle anime e voleva saziare i corpi, se leggiamo nella sua seconda lettera pastorale: "l'uomo non vive di solo pane, vive però anche di pane e come è necessario il panis vitae (dell'Eucaristia) così è necessario il pane quotidiano". Leggiamo nel PO: "La stessa celebrazione eucaristica, per essere piena e sincera, deve spingervi alle diverse opere di carità e alle varie forme di testimonianza cristiana" (6); e nella LG: "Il Vescovo tenga innanzi agli occhi l'esempio del buon Pastore, che è venuto non per essere servito ma per servire e dare la sua vita per le pecore" (27). Molto opportunamente S.E. Mons. Emanuele Clarizio, nipote di Mons. Virgilio, scrive di lui: "Cielo e terra non erano per lui due realtà opposte e antitetiche, ma invece destinate a fondersi in superiore ed equilibrata sintesi". Anche in questo concetto, in tempi lontani, era coraggiosamente anticipatore del Concilio che si apriva a questa nuova prospettiva. Teologo e Pastore, evangelizzatore e promotore, voleva risolvere i tanti problemi che si affacciavano: introdusse la coltivazione del tabacco per dare lavoro alle donne, fece scavare pozzi per l'irrigazione, combatté la malaria, impegnò il Governo per sistemare le strade, costruire argini e acquedotti, aprire scuole per l'infanzia. Inventò addirittura e costruì in Arzana, dove la comunità sarda ha eretto un grandioso 2 monumento dedicato alla sua persona, un Seminario agricolo perché fosse scuola di agricoltura per i contadini e scuola di pastorale rurale per i sacerdoti, e fondò diverse cooperative cattoliche. Sentiva l'ansia di dare dignità alle persone sofferenti, ai poveri, agli orfani di guerra, agli emarginati, convinto che solo nella dignità riconosciuta si trova la forza di migliorare se stessi. In questa ottica per Mons. Virgilio la parola dei Vangeli diventa storia. Basta leggere le sue lettere pastorali per scoprire la potenza della sua fede e della sua capacità operativa. Non meraviglia che i suoi studiosi lo definiscano un precursore, un anticipatore dei tempi. La sua sensibilità diventa progettualità. Era un uomo del fare e della testimonianza, si spendeva per un sano e dignitoso benessere morale e sociale. Sapeva ascoltare e sapeva proporre. E se nel Seminario di Venosa o sul giornale educava alle scienze, in Sardegna educò al diritto e al lavoro perché riteneva "arduo evangelizzare gli uomini quando essi sono privi di una condizione di vita materiale serena e dignitosa". Sensibilizzava le coscienze giovanili, seppe parlare alle famiglie, educava per le strade e nelle piazze, con un occhio particolare alle condizioni dei deboli e degli sfruttati. È riconosciuto uomo della giustizia e della speranza. E se già dal citato giornale "Quinto Orazio FIacco" denunciava situazioni di miseria, degrado e ingiustizia, e tuonava contro il sopruso dei ricchi e dei notabili del tempo, condannava l'egoismo e l'indifferenza, la sua opera pedagogica e riformatrice trovò più realizzazione in Sardegna inserendola nella trama della vita sociale, politica e religiosa, realizzando opere grandi di portata religiosa e sociale, quella opera che la Chiesa del III Millennio, ed è la nostra Chiesa, chiama nuova evangelizzazione, per dar compimento alle preferenze del Vaticano II. Nella GS leggiamo: "Urge l'obbligo che diveniamo prossimi di ogni uomo e rendiamo servizio coi fatti a colui che ci passa accanto: il vecchio, lo straniero, il fanciullo, l'affamato, l'emarginato. Va rievocata la voce del Signore: 'Quanto avete fatto ad uno di questi minimi miei fratelli, l'avete fatto a me' " (27). Forte era la sua volontà di liberare i più bisognosi dalla più degradante miseria. Era consapevole che l'uomo, privato e mortificato nelle sue esigenze umane più elementari, come il cibo e il riparo, non è in grado di rivolgere il pensiero verso l'alto. Uomo di pensiero e azione, dall'Eucaristia e dalla limpida vita spirituale traeva vigore per la sua opera lungimirante e innovatrice. Nella Chiesa, che è Regno di Dio, regno di giustizia e di pace, "le stesse creature saranno liberate dalla schiavitù della corruzione per partecipare alla gloriosa libertà dei figli di Dio" (LG 36). Fu grande la sua opera, a volte supplendo alle carenze delle autorità civili, che però sapeva coinvolgere nei suoi programmi, soprattutto di sviluppo agricolo. Mons. Virgilio fu soprattutto un maestro di vita per le genti ogliastrine, che in tempi difficili di miseria dilagante, furono a lui molto grate, anche per la sua carica spirituale che lo ha reso vero Pastore mandato dalla Provvidenza. L'attuale Vescovo d'Ogliastra, parlando di lui, osservò che Mons. Virgilio "si sentì inviato dal Signore ad un popolo da lui amato, che aveva bisogno di un buon Pastore, e lui lo fu donandosi senza riserve". In definitiva egli coniugava l'uomo con l'amore di Dio, cioè l'amore di Dio si concretizzava nell'amore per il prossimo e per quel prossimo ogliastrino. Quante incomprensioni gli procurarono dolore anche in Sardegna. Non ne faceva mistero, ma non cedeva al pessimismo. "Più volte - scriveva al Direttore della Scuola agricola di Arzana, nel 1921, mi hai inteso dire che lo sconforto è la peggiore forma d'orgoglio mortificato. Se nulla la coscienza ci rimprovera, dalla contrarietà si deve prendere ispirazione a riparare il male fatto, quindi accrescere diligenza, attività, zelo, purezza d'intenzione nell'operare il bene. Meglio 3 confidare in Dio che nell'uomo. Nella sventura mi sento più forte perché vicino a Dio. Non è forse la sua mano che mi percuote? E non è la mano del più buono dei Padri che si posa amorosa sul mio capo?" Appare la figura di uomo di Dio che si fa portatore del Verbo della socialità per elevare l'uomo vicino a Dio. Leggiamo ancora nel Concilio: "I Vescovi presiedono in luogo di Dio al gregge di cui sono pastori. Chi li ascolta, ascolta Cristo, chi li disprezza, disprezza Cristo" (LG 20). Se ha suscitato meraviglia la lettera scritta dai Vescovi calabresi ai Vescovi italiani, alla Chiesa italiana, nel 1949 denunziando i mali che affliggevano il Meridione d'Italia perché la questione meridionale divenisse questione nazionale, qual meraviglia avrà suscitato la lettera di un singolo vescovo sardo, Mons. Virgilio, che nel 1918 scrive ai Vescovi italiani presentando un progetto a sostegno della vita dei preti chiamati ad assistere i poveri? Il progetto partiva dalla situazione generale di povertà, descriveva l'attenzione al clero sempre più povero, suggeriva forme nuove che vanno dalla vita comune alla collaborazione economica affratella tutti i preti italiani per ridurre le spese e garantire un mutuo soccorso che assicuri un più dignitoso e decoroso stile di vita e un più sicuro sostegno. Creò l'Associazione del clero diocesano come opera di misericordia quella di provvedere alle necessità temporali dei fratelli sacerdoti. Anche questa è una forte anticipazione di tempi nuovi e di provvidenza conciliare, se oggi l'intero clero italiano è giunto ad essere governato e assistito con la comunione dei beni di tutte le parrocchie per garantire l'onesto sostentamento del clero. Patema fu la sua attenzione verso i sacerdoti della sua diocesi: li seguiva, li educava, li sosteneva e desiderava la loro collaborazione per la realizzazione dei suoi disegni. La morte di Mons. Virgilio è stata prematura lasciando nello sgomento i suoi discepoli, il clero, la popolazione. Il vuoto era incolmabile, i funerali segnarono una straordinaria partecipazione, eccezionale era ritenuta la sua figura di Vescovo. Il ponte ideale tra Venosa e Tortolì è diventato un gemellaggio tra le due città fissato nel giorno 6 ottobre 1985 a ricordo della inaugurazione del Monumento in Arzana. Era presente il sindaco di Venosa, il Seno Vincenzo Leggieri, che vide in quel Monumento una "memoria che, immortalata in questa opera di pregevole fattura, ci lega per sempre al Vescovo dell'Ogliastra". E concludeva: ''Non un monumento noi stiamo per inaugurare ma un focolare ardente di fede e di solidarietà umana". Nella diocesi di Lanusei, e a Tortolì dove nella Concattedrale è stata eretta una tomba di pregio, è sorto un Comitato spontaneo che desidera promuovere il processo di beatificazione di Mons. Virgilio. Anche qui possiamo far riferimento al Concilio Vaticano Il che tra i criteri di valutazione privilegia "l'atteggiamento eroico e virtuoso di un servo di Dio durante tutta la sua vita terrena". I Santi sono prima di tutto modelli ed esempi di vita cristiana. Mons. Virgilio certamente lo è stato, spendendosi nel compito assegnatogli dalla Provvidenza, per l'elevazione spirituale ed anche materiale dell'intera Ogliastra, da vero "uomo di Dio a servizio dell'uomo", secondo l'espressione di d. Giovanni Tegas, in "una storia folle di ordinaria santità", come la definisce don Felice Di Nardo. Anche a Venosa il suo ricordo sia quello di un Vescovo Santo, e di una santità tipicamente sociale. Venosa, 7 gennaio 2011 Rocco Talucci Arcivescovo di Brindisi-Ostuni 4