Tobin tax

annuncio pubblicitario
Guida alla Tobin Tax
Introduzione; I mercati finanziari; Crisi finanziarie; La Tobin Tax come granello di sabbia;
Fautori della tassa Tobin.
FAQ; Breve glossario economico; Bibliografia essenziale.
Introduzione
Attac Italia lancia una campagna nazionale per promuovere una legge di iniziativa popolare
in favore della istituzione di una tassa sulle transazioni valutarie il cui gettito sia effettivamente
ridistribuito in favore dei cittadini.
L’ultimo decennio è stato costellato da tutta una serie di crisi finanziarie ampiamente
prevedibili e, di fatto, previste. Malgrado ciò, esse hanno avuto effetti devastanti sulle economie su
cui si sono abbattute, colpendo in particolar modo le classi meno abbienti, più povere ed indigenti.
Dinanzi a questo, nessun rimedio viene proposto dalle classi politiche al potere, le quali
implicitamente accettano una sorta di principio di subalternità nei confronti del potere economico e
finanziario e di ineluttabilità nei confronti dei processi socio-economici in corso.
Lo scopo di questa guida è di illustrare come una tassa sulle transazioni valutarie, del tipo
proposto negli anni ’70 dall’economista liberal James Tobin, possa costituire un granello di sabbia
negli ingranaggi della perniciosa speculazione finanziaria. Ai meccanismi di funzionamento dei
mercati finanziari, ed alle ricadute sulle economie e su una vasta fascia di popolazione mondiale
delle operazioni che in essi si svolgono quotidianamente, sono dedicati i primi capitoli di questa
guida. Ciò al fine di spiegare al meglio come possa funzionare una tassa del tipo Tobin, e come
possa ambire ad inceppare alcuni perversi meccanismi finanziari. Si rimanda il lettore al terzo
capitolo per l’approfondimento di questi punti.
Alla campagna per l’introduzione della Tobin Tax deve essere assegnata anche una forte
valenza politica: la finanza deve essere riportata sotto il controllo dell’economia; l’economia deve
essere riportata sotto il controllo della politica.
Se esiste un carattere comune alle moderne società occidentali esso consiste nel loro
fondamento democratico. L’appartenenza ad una comunità consiste in diritti e doveri, alla base dei
quali è, implicita ma spesso dimenticata, la condivisione di un patto sociale costitutivo e fondativo.
Tale patto non è fissato arbitrariamente né tanto meno immutabile: la sua validità e sostenibilità si
fondano sull’essere un patto democratico, ossia sulla possibilità dei cittadini di cambiarne le
caratteristiche tramite le forme di rappresentanza politica che uno Stato si dà.
Se aderiamo a questa visione della società non possiamo accettare che vengano poste
limitazioni, fisiche e non, all’applicazione del principio di democrazia. Non possiamo accettare che
esistano luoghi o situazioni in cui il principio democratico venga sospeso o rinnegato. La politica è
il luogo naturale dove interessi divergenti, conflittuali e contrapposti trovano composizione.
Non sembra quest’ultima la visione oggi prevalente. Sembra, al contrario, che la capacità
decisionale della politica non debba invadere alcuni ambiti: i mercati finanziari, la loro regolazione
e le loro modalità di funzionamento. Si pensi alla totale acriticità dei commentatori economici
rispetto all’andamento del mercato: mentre la credibilità degli interventi di politica economica viene
spesso giudicata sulla base della reazione dei mercati, i commenti non analizzano mai l’aspetto
inverso: la credibilità e sostenibilità dei Mercati dinanzi alla Politica che è il luogo vero di
composizione degli interessi di tutti i cittadini.
Qualunque classe politica che, a prescindere dal proprio orientamento, dia questo significato
alla propria attività non può non aderire a proposte che tentano di ristabilire il principio della
legittimità democratica.
Cap.1 I mercati finanziari
Il sistema finanziario internazionale si può definire come l'insieme di regole, abitudini,
strumenti, strutture e organizzazioni che presiedono a tutti i pagamenti e a tutte le transazioni
internazionali. Nei mercati finanziari avviene lo scambio di attività finanziarie, in ultima istanza di
denaro, con lo scopo di rendere disponibili - dietro pagamento di un tasso di interesse - le risorse di
chi ne ha in eccesso (i risparmiatori), a favore di chi ne ha necessità per effettuare investimenti
(imprese, enti pubblici, privati). Una funzione assolutamente indispensabile per qualsiasi economia.
Tra gli economisti si sostiene che un sistema finanziario può dirsi efficiente se massimizza il
flusso internazionale del commercio e degli investimenti e porta a una distribuzione equa dei
vantaggi del commercio internazionale tra i diversi paesi. In altri termini il sistema dovrebbe,
idealmente, fare fluire risorse per finanziarie attività produttive, permettendo una crescita ed uno
sviluppo sostenibile a livello globale. Fin qui la teoria.
Questo capitolo intende spiegare sinteticamente e chiaramente i principi di funzionamento
dei mercati finanziari.
Il processo di evoluzione del sistema finanziario dal secondo dopoguerra a oggi non è stato
lineare e regolare. Dopo il 1971 organismi internazionali, nati con l’accordo di Bretton Woods,
hanno convissuto con regole e procedure del tutto nuove. Tale processo, le mutate condizioni
dell’economia mondiale e l’innovazione tecnologica, hanno spostato l’interesse di tutti gli istituti
finanziari, comprese le banche commerciali tradizionali, verso operazioni speculative di breve
termine che risultano fortemente destabilizzanti.
1.1 Il sistema di Bretton Woods
Il moderno sistema finanziario si fonda su istituzioni nate quasi 60 anni fa ma le cui
procedure non sono più valide da 30 anni.
Nel 1944 a Bretton Woods, cittadina dello Stato del New Hampshire (Usa), si riunivano i
delegati di Stati Uniti, Regno Unito (le due economie allora di gran lunga più importanti a livello
mondiale) e di altri 42 paesi per decidere quale sistema monetario internazionale instaurare dopo la
guerra.
L’architettura del sistema prevedeva:

l’instaurazione di un sistema internazionale di cambi fissi;

l'istituzione di due organismi finanziari internazionali: il Fondo Monetario Internazionale
(FMI)1 e la Banca Mondiale (BM).
In particolare al FMI veniva affidato il compito di controllare che i paesi si attenessero
all'insieme di regole concordate in ambito commerciale e finanziario ed inoltre di concedere prestiti
ai paesi che presentassero rilevanti deficit di bilancia dei pagamenti2.
Secondo gli accordi stipulati per il sistema di cambi fissi, gli Stati Uniti si impegnavano a
mantenere fisso il valore della propria valuta rispetto all'oro, al livello di 35$ l'oncia, assicurando a
quel prezzo la convertibilità in oro di tutti i dollari esistenti sul mercato internazionale. In linea di
principio qualsiasi cittadino detentore di una qualsiasi quantità di dollari poteva richiedere alla
Federal Reserve (la banca centrale statunitense) l'equivalente in oro della sua somma. Gli altri paesi
membri s’impegnavano a fissare il prezzo della propria moneta in termini di dollari ed
implicitamente in termini di oro. Ogni variazione non poteva oltrepassare limiti stabiliti, ovvero una
banda d’oscillazione di un punto percentuale.
I tassi di cambio tra le valute, all’interno dei margini di oscillazione consentiti, erano
determinati dalle forze della domanda e dell'offerta: se domanda ed offerta fossero stati tali da
portare il valore di una valuta al di fuori della banda di oscillazione, la banca centrale della valuta
interessata avrebbe dovuto effettuare interventi di compravendita della stessa3.
Inoltre, i paesi aderenti all’accordo erano vincolati a favorire la libera circolazione delle
merci, senza la quale la convertibilità delle valute non avrebbe avuto molto senso. Le eventuali
restrizioni esistenti al commercio internazionale dovevano essere eliminate attraverso negoziati
multilaterali secondo quanto sancito dall’accordo GATT4, sulla base del quale è stato recentemente
istituito il WTO5.
1
Il Fondo Monetario Internazionale iniziò a funzionare il 1° marzo 1947, con l'adesione di trenta paesi. Con
l'ammissione delle repubbliche dell'ex Unione Sovietica e di altri paesi all'inizio degli anni Novanta, i membri hanno
raggiunto il numero di 181. Oggi ne restano fuori solo pochi paesi, come Cuba, Corea del Nord e Vietnam.
2
La possibilità di chiedere prestiti al Fondo Monetario era limitata alla copertura di deficit temporanei della bilancia dei
pagamenti; inoltre i prestiti dovevano essere rimborsati nell'arco di tre o cinque anni affinché che le riserve del Fondo
non restassero vincolate in prestiti a lunga scadenza.
3
Un semplice esempio può chiarire il punto. La parità tra sterlina inglese e dollaro fu fissata a 2,80, ossia 2,8 dollari per
una sterlina. Se la domanda di sterline rispetto al dollaro fosse stata molto più alta dell’offerta di dollari contro sterline,
la banca centrale inglese sarebbe intervenuta vendendo sterline a chi le domandava, comprando al tempo stesso i dollari,
ossia compensando lo squilibrio fra domanda ed offerta. Ciò in modo da evitare che il cambio variasse intorno alla
parità del 2,8 in misura superiore all’1%.
4
General Agreement on Tariffs and Trade/Accordo Generale su Tariffe e Commercio.
5
World Trade Organisation/ Organizzazione Mondiale del Commercio: organismo che dovrebbe promuovere il libero
scambio fra i paesi aderenti; dall’analisi dei suoi atti risulta inequivocabilmente che esso limita di fatto la sovranità
nazionale di legiferare: richiede l’abrogazione di ogni legge nazionale che possa contravvenire al principio di efficacia
economica, anche quando il perseguimento di quest’ultimo comporti degli alti costi sociali (p.e. in materie quali tutela
dell’ambiente; sicurezza alimentare, etc. Il popolo di Seattle prende il nome dalla contestazione, da parte di vaste aree
della società civile americana e non solo, nei confronti della periodica riunione dei paesi aderenti al WTO che nel
novembre 1999 si svolse, senza alcun esito, a Seattle. Un nuovo incontro si è recentemente(novembre 2001) concluso a
Doha (Qatar): secondo i nuovi accordi, il principio della liberalizzazione viene esteso all’agricoltura, ai sistemi di
istruzione e di welfare.
Erano invece consentite restrizioni ai flussi internazionali di capitali liquidi, per permettere
ai paesi di proteggere le proprie valute dai grandi flussi internazionali di moneta speculativa
destabilizzante.
Benché il sistema prevedesse e consentisse oscillazioni dei cambi in casi di squilibrio, nella
realtà si registrava una tendenza dei paesi industrializzati a non modificare le loro parità se non nei
casi in cui fosse palesemente necessario e praticamente imposto da forti pressioni speculative.
I paesi con deficit della bilancia dei pagamenti erano riluttanti a svalutare le proprie monete,
perché questo era percepito come un segno di debolezza dell'economia nazionale. I paesi in attivo,
allo stesso modo, tendevano anch’essi a non rivalutare preferendo, al contrario, continuare ad
accumulare riserve di valuta internazionale6.
La riluttanza dei paesi industrializzati ad adottare come misura di politica economica la
modifica delle parità anche in situazioni di squilibrio ebbe due importanti effetti:
1. privò il sistema di Bretton Woods di gran parte della sua flessibilità e del meccanismo di
aggiustamento degli squilibri di bilancia dei pagamenti;
2. diede origine a enormi e destabilizzanti movimenti internazionali di capitali poiché lasciava
ampio spazio a redditizie manovre speculative con rischi contenuti per gli speculatori.
Un semplice esempio di questo secondo punto è il caso della Gran Bretagna negli anni ‘60.
Enormi flussi di capitali liquidi si muovevano attorno alla sterlina, spinti dall'aspettativa di una sua
svalutazione. Gli speculatori correvano pochissimi rischi: vendevano sterline a 2,80 dollari. Se il
tentativo della Banca d'Inghilterra di sostenere quel livello di parità per la sterlina avesse avuto
successo, le avrebbero ricomprate allo stesso prezzo; se invece, come accadde, il tentativo di difesa
avesse fallito, le avrebbero ricomprate a 2,40 dollari, lucrando 40 centesimi di dollaro per ogni
sterlina scambiata e senza incorrere in alcun tipo di rischio.
Il sistema descritto si fondava sulla disponibilità a livello internazionale di dollari. Gli Usa
svolgevano di fatto il ruolo di “banchiere mondiale”. Per rendere sostenibile questo ruolo occorreva
una certa corrispondenza fra il volume di dollari in circolazione e le riserve auree detenute dalla
Federal Reserve. Inoltre, perché i dollari circolassero nel mondo come moneta internazionale,
occorreva che gli Stati Uniti acquistassero molti prodotti dall'estero oppure muovessero capitali,
sotto forma di crediti o di investimenti verso gli altri paesi.
Fino al 1957 la bilancia dei pagamenti degli Stati Uniti aveva presentato dei deficit piuttosto
contenuti, poi divenuti più consistenti. Questo aumento del deficit della bilancia dei conti Usa con
6
Tra il 1950 e l'agosto del 1971 la Gran Bretagna svalutò solo nel 1967, la Francia solo nel 1957 e nel 1969, e il
Giappone mai. I paesi in via di sviluppo svalutarono invece spesso.
l'estero era dovuto essenzialmente a consistenti deflussi di capitali, soprattutto verso l'Europa, in
forte crescita economica, mentre la bilancia commerciale USA restava in avanzo. Il sistema era
ancora equilibrato.
Alla fine degli anni '60 l’economia Usa cominciava a perdere colpi e competitività,
principalmente a causa degli enormi programmi di spesa pubblica (militare) legati alla guerra del
Vietnam e alle conseguenti pressioni inflazionistiche e di aumento delle importazioni. Con il deficit
commerciale il “banchiere mondiale” perdeva la sua immagine di solidità. In effetti le riserve auree
degli Stati Uniti si stavano contraendo e l'ammontare di dollari detenuto all'estero era cresciuto al
punto di superare, nei primi anni ‘60, l'ammontare delle riserve e fino a raggiungere, nel 1970, un
valore quadruplo. Il rapporto dollaro/oro era saltato7.
1.2 Dopo Bretton Woods
Il 15 agosto 1971 il presidente americano Nixon annunciava pubblicamente la fine del
sistema di convertibilità del dollaro, in pratica la svalutazione del dollaro rispetto all'oro. I mercati
dei cambi del mondo occidentale furono immediatamente chiusi. Quando riaprirono due settimane
più tardi, le principali valute cominciarono a fluttuare liberamente: iniziava l'epoca dei cambi
flessibili. Il dollaro, anche dopo il crollo del sistema, rimaneva una moneta internazionale e negli
anni successivi al 1971 l'ammontare di dollari detenuto dagli operatori stranieri aumentò
considerevolmente.
I governi di molti paesi si posero il problema di come affrontare il mutato contesto
finanziario, costituito ora da un regime internazionale di cambi flessibili.
Un sistema molto simile a quello architettato a Bretton Woods venne creato all’interno della
comunità europea: il sistema monetario europeo (SME).
Un'altra via fu quella dei controlli sui movimenti di capitali. Da quando esistono stati e
monete nazionali, esistono anche forme di controllo dei capitali e dei cambi. Ci sono ad esempio
controlli sull’uscita delle rendite da investimenti locali ed esteri, controlli sul possesso estero di
conti nazionali e vice-versa, controlli sulla convertibilità della valuta, limitazioni ai movimenti
finanziari collegati a filiali locali di banche estere.
Praticamente tutti i paesi hanno fatto ricorso al controllo dei capitali e molti studi già dal
1980 dimostravano che questi controlli hanno contrastato efficacemente le fughe di capitale durante
le crisi finanziarie, limitando l’instabilità finanziaria locale e permettendo di mantenere i tassi di
interesse a livelli relativamente più bassi. Ad esempio, per contrastare un eccesso di entrate
L’aumento del prezzo dell’oro ando’ dai 35$ per oncia (1944-71) fino ad un massimo di 850$ per oncia nel 1981. In
seguito il valore dell’oro scese (fino a poco sopra i 250$, il suo minimo, alla metà del 1999).
7
finanziarie durante gli anni ‘60, la Germania, l’Olanda e la Svizzera avevano imposto limiti
all’acquisto di titoli di credito locali da parte di non residenti e ai loro depositi bancari.
Durante gli anni ’70 la maggior parte dei paesi mantenne il controllo sui cambi e ancora nel
1990 li mantenevano in vigore 35 paesi.
I tipi di controllo sui capitali adottati più di frequente dai paesi in via di sviluppo negli anni
del dopoguerra, sono stati i seguenti:
Categoria
N. di paesi
Controllo sugli investimenti diretti stranieri
107
Controllo sui conti di deposito
83
Controllo sulle transazioni finanziarie
78
Controlli globali
67
Controllo sugli investimenti di portafoglio
61
Fonte: Francesco Ricci, Alessandro Scolari & Lea Nocera.
Questa tendenza al controllo dei movimenti di capitali era però in aperto contrasto con le
scelte di fondo praticate soprattutto dal FMI che dopo il 1971, alla ricerca di una
nuova
legittimazione del proprio ruolo, ha sempre operato come la lunga mano del Dipartimento del
Tesoro statunitense.
Le classi politiche dei governi di molti paesi, sotto la pressione delle istituzioni finanziarie
internazionali, ritirarono il loro appoggio a misure di controllo dei capitali.
Riepilogando, dall'agosto 1971, salvo qualche tentativo parziale e limitato di tornare ad un
sistema di parità fisse, i cambi delle valute iniziarono a fluttuare liberamente e l'economia mondiale
entrava in una nuova fase caratterizzata da forti apprezzamenti e deprezzamenti nel valore delle
varie monete.
Il regime di cambi flessibili è stata solo una delle condizioni che hanno portato all'esplosione
dei mercati finanziari e ad una loro sostanziale autonomia dall'economia reale.
1.3 Lo sviluppo irregolare
Una delle conseguenze di questo nuovo sistema è stata la grande espansione delle
opportunità di scommettere sui movimenti incessanti delle valute passando poi da quest’ultime a
molti altri prodotti finanziari.
In un sistema di cambi fissi, quale quello precedente, domanda ed offerta di valute
rispecchiano sostanzialmente lo stato di salute dell’economia nella misura in cui sono trainate dai
fondamentali dell’economia: prodotto interno, importazioni ed esportazioni di beni e servizi, etc.
In generale non si può dire che un sistema di cambio sia migliore di un altro. Questo perché
la moneta cartacea non ha un valore intrinseco8, ossia non vale nulla se chi la scambia non ha
fiducia nel fatto che potrà a sua volta scambiarla nuovamente nei confronti di terzi. Detto altrimenti,
il suo valore è una convenzione, un patto sociale che si basa su un clima di fiducia condivisa: si
accettano e scambiano monete oggi sapendo di poterlo continuare a fare in futuro. Se si avesse
anche il minimo sospetto che domani qualcuno potrebbe non accettare le lire con cui si vuole
comprare un bene, si rifiuterebbe a propria volta di essere pagati con quella moneta.
Con questo ragionamento abbiamo inteso spiegare la precedente affermazione (fine par.
prec.): “il regime di cambi flessibili è stata solo una delle condizioni che ha portato all'esplosione
dei mercati finanziari…”.
Lo sviluppo di questi ultimi segue, difatti, un percorso non lineare. Ecco una lista di eventi
che ha contribuito a segnare l’evoluzione del sistema finanziario:
- 26 giugno 1974: fallimento della banca tedesca Herstatt. La Bundesbank (banca centrale tedesca)
interviene con una operazione di salvataggio per evitare una corsa agli sportelli 9. Si pone con forza
il problema della vigilanza del settore bancario nei confronti della sua operatività sui mercati
internazionali. Perciò nel settembre dello stesso anno viene creata, in sede BRI (Banca dei
Regolamenti Internazionali, istituto di coordinamento tra le banche centrali) la Commissione di
Basilea sulla Supervisione Bancaria; nel 1975 e nel 1988 vengono stipulati Concordati che fissano
le regole sulla responsabilità in materia e sull'adeguatezza patrimoniale delle banche in relazione ai
rischi. Nel 1996 la BRI rinuncia al suo compito, affermando che le norme sull'adeguatezza
patrimoniale sono imprecise e quindi inutilizzabili.
- 6 ottobre 1979: il presidente della Federal Reserve, Volcker, cambia la politica monetaria degli
Usa. La priorità diventa ridurre la quantità di dollari in circolazione per sgonfiare l'inflazione. I tassi
di interesse salgono rapidamente e resteranno elevati per anni comportando un notevole decremento
di investimenti reali produttivi e spingendo ingenti capitali verso l'investimento finanziario.
- 27 ottobre 1986: alla City di Londra, sulla scia di quello che è avvenuto a Wall Street, sono abolite
le commissioni fisse sul mercato azionario, eliminate le restrizioni alle transazioni e avviate le
operazioni elettroniche. È il cosiddetto big bang dei mercati finanziari.
Riassumendo: minori vincoli sugli operatori, deregolamentazione, liberalizzazione dei
movimenti di capitale, limitazione o fine dei controlli, impatto delle innovazioni finanziarie (nuovi
8
Da ciò deriva la necessità di ancorarle a qualcosa che un valore lo ha sempre e comunque, come nel caso della
convertibilità nei confronti dell’oro.
9
Fenomeno di panico generalizzato: il risparmiatore corre a ritirare i propri soldi dalla banca a prescindere dal fatto che
la sua banca sia direttamente interessata da problemi di liquidità e/o finanziari.
tipi di contratti e di operazioni) e tecnologiche (mercato telematico). Si creano così le condizioni per
l'impennata dei mercati finanziari.
Il passaggio al sistema dei cambi flessibili comporta che giornalmente le valute si
apprezzino o deprezzino. Le istituzioni finanziarie intravedono nuove possibilità di guadagno nelle
operazioni sul mercato dei cambi. Invece che prestare i loro capitali per finanziare progetti di
investimento reali e produttivi, che creano rendimenti nel medio-lungo periodo e comportano per un
periodo altrettanto lungo una immobilizzazione dei capitali dati in prestito, spostano il proprio
interesse su mercati estremamente liquidi (si può comprare e vendere nel corso della stessa
giornata) con ampi margini di guadagni ma anche di perdite.
Oggi i mercati finanziari si presentano fuori dal controllo di qualsiasi autorità nazionale o
sovranazionale, e anche di qualsiasi legge economica. L'attività tipicamente finanziaria (raccolta di
risparmio e suo impiego ad opera delle banche, compravendita di titoli azionari e obbligazionari)
rappresenta oggi una parte minoritaria e marginale delle contrattazioni. La maggior parte delle
operazioni si svolge in relazione ai cosiddetti prodotti derivati (futures, options, swaps). La
stragrande maggioranza delle operazioni che vengono eseguite quotidianamente sulla rete delle
borse internazionali da banche, fondi comuni, società di intermediazione mobiliare, ha come molla
decisionale le opportunità di guadagno a breve termine. È questa l'essenza di ciò che si definisce
attività speculativa: gli operatori intervengono comprando e vendendo sulla base delle oscillazioni
delle quotazioni, indipendentemente dall'oggetto dell'operazione, un'azione piuttosto che un
contratto su una materia prima o una valuta straniera. Si arriva così ad eseguire molteplici
operazioni sullo stesso oggetto nell'arco della medesima giornata e a volte anche in pochi minuti.
Anche i piccoli risparmiatori hanno oggi accesso alle borse, soprattutto attraverso i fondi
comuni di investimento. I gestori dei fondi sono incentivati a massimizzare a breve termine
l'incremento di valore del denaro gestito per conto terzi, indipendentemente dalla composizione del
portafoglio. Ecco quindi le necessità di operare alacremente sui mercati alla ricerca della minima
variazione, in modo da poter comunicare quotidianamente al risparmiatore un qualche incremento
di valore del suo investimento.
Le attività meramente speculative, secondo dati attendibili, rappresentano oggi oltre il 90%
delle contrattazioni effettuate a livello internazionale.
L’incostanza dei mercati finanziari globali riflette in parte l’interesse che le banche
commerciali internazionali, le banche di investimento e i fondi di investimento hanno nel mantenere
un’instabilità che genera profitti attraverso le oscillazioni dei prezzi e le commissioni di scambio.
Tutto ciò ha comportato un notevole aumento dei volumi trattati di quasi tutte le valute principali.
Domanda ed offerta delle stesse sono oramai del tutto svincolate dalle caratteristiche reali dei
sistemi economici10. Un ruolo di primaria importanza giocano invece le aspettative degli operatori
sull’andamento futuro.
Per spiegare il ruolo di queste ultime, la letteratura economica ricorre ad alcuni modelli
comportamentali degli agenti economici.
La teoria delle aspettative razionali della moderna scuola di Chicago afferma che se gli
operatori condividono una aspettativa al rialzo per il prezzo di un bene, di una azione o di una
valuta, ciò sarà sufficiente perché questo rialzo si realizzi; questo perché, in virtù di tale aspettativa
rialzista, gli operatori domandano in massa una certa valuta, facendone così aumentare il prezzo, il
cui valore prescinderà dalle condizioni reali del sistema economico.
Altri studi sottolineano la rilevanza dei comportamenti imitativi nell’influenza delle
aspettative di mercato: per un operatore può risultare conveniente seguire il comportamento dei suoi
concorrenti, soprattutto se questi ultimi sono riconosciuti come leader del mercato. Il
comportamento degli altri operatori assume quindi un ruolo strategico e questo provoca una ondata
di continui flussi in entrata ed in uscita da una piazza finanziaria ad un’altra11.
Appare evidente come, a prescindere da quale specifica spiegazione si consideri più
attendibile, nessun ruolo viene giocato da variabili reali.
“Ogni giorno sui mercati delle valute vengono effettuati scambi per 1.500 miliardi di dollari, più del valore del
prodotto annuo latinoamericano, poco meno del prodotto asiatico, il doppio del prodotto di tutti i paesi dell'Est europeo,
l'equivalente di un anno di produzione di un paese come la Francia” (A. P. Salimbeni, Il grande mercato, Bruno
Mondadori, Milano 1999, p. 17).
10
La crescita del prezzo dell’oro del 20% (da 255 $ a oltre 300 $ per oncia) in appena due giorni alla fine del settembre
del 1999, è un buon indicatore di quanto incida l’attività speculativa, in questo caso in preda al panico, di come crei
delle vere e propria ondate di movimenti di capitale e la latente fragilità del sistema una volta resosi indipendente dal
sistema produttivo.
11
Cap. 2 Crisi finanziarie
Il mercato finanziario nasce come istituzione che garantisce il recupero dei fondi necessari
per investire e quindi sostenere la crescita di ricchezza di un paese.
Tuttavia negli ultimi 25 anni si sono susseguite 158 crisi finanziarie dovute a pressioni sul
cambio e 54 crisi bancarie (dati del Fondo Monetario Internazionale). Queste ultime sono diventate
più frequenti dopo il 1987, in seguito alla liberalizzazione dei mercati finanziari. Certamente questo
è il segnale che il mondo della finanza -forse la migliore approssimazione del mercato
perfettamente concorrenziale sempre sognato dagli economisti- è vulnerabile ed esposto alle
conseguenze di quegli stessi fattori che sembrano costituirne i punti di forza: deregolamentazione,
ridotti vincoli per gli operatori, libero movimento dei capitali, costante innovazione dei prodotti
finanziari.
Si assiste inoltre ad un costante aumento nel volume degli scambi giornalieri e alla
internazionalizzazione dei mercati e proprio in tale contesto è divenuta impossibile ogni forma di
controllo nazionale o internazionale: l’unica legge è la massimizzazione del profitto degli operatori.
L’effetto visibile di tutto ciò è che le operazioni valutarie sono sempre meno legate ad uno
scambio effettivo di merci e servizi e sono invece di natura speculativa, di breve o brevissimo
termine e con l’unico scopo di produrre utili anticipando o provocando variazioni del tasso di
cambio: profitti dunque che non provengono da alcuna attività produttiva ma solo dallo
sfruttamento di situazioni contingenti.
Quel che più conta è che il volume delle operazioni speculative è tale da rendere inefficace o
incredibilmente costoso l’intervento delle banche centrali per stabilizzare il cambio di una moneta:
gli speculatori sono effettivamente in grado di aggravarne o provocarne il crollo.
Anche se le crisi finanziarie spesso non corrispondono ad una recessione dell’economia
reale, o perlomeno non nelle stesse proporzioni, accade che si estendano dal mondo finanziario ai
settori produttivi del paese dove hanno inizio e poi, a cascata, alle aree collegate: l’interdipendenza
dei mercati facilita un effetto a spirale su scala mondiale. Si può portare come esempio l’effetto
domino della crisi nel Sud Est asiatico del 1997. Questa crisi ha portato ad una recessione mondiale
che ha visto coinvolti anche Giappone e Stati Uniti, con una diminuzione della crescita economica,
nel solo 1998, di un terzo rispetto all’anno precedente.
“I mercati finanziari si sono comportati come una di quelle sfere di acciaio per demolire gli
edifici, oscillando da un paese all’altro e abbattendo quelli più deboli”.12
12
George Soros, La crisi del capitalismo globale. Ed. Ponte alle Grazie, 1999.
2.1 Principali crisi finanziarie a partire dal 1992
_1992, Sistema Monetario Europeo _
Le speculazioni valutarie trasformano un momento di crisi del Sistema Monetario Europeo in una
disfatta senza controllo.
Facciamo un passo indietro: lo SME basava la propria forza sull’idea che fino a quando le
altre valute del sistema fossero rimaste legate al marco, l’area avrebbe goduto di alti tassi
d’interesse sui capitali, accompagnati da un basso rischio di svalutazione delle valute interessate,
grazie agli accordi sulle bande di oscillazione dei tassi di cambio fra gli Stati membri13.
Di fatto, fino alla caduta del Muro di Berlino (1989) questa sorta di isola felice aveva attratto
ben 350 milioni di dollari in Europa, investiti in fondi di investimento creati per l’occasione. La
riunificazione della Germania però richiedeva notevoli investimenti da parte del Governo tedesco in
servizi sociali e questi furono finanziati non con una politica monetaria espansiva, a rischio di
inflazione, ma con un aumento dei tassi di interesse per attirare ingenti capitali dall’estero.
Questa decisione creò problemi agli altri paesi membri dello SME che avevano legato la
loro valuta al marco. Infatti per mantenere i propri mercati egualmente appetibili ai capitali stranieri
avevano solo due alternative: adeguare i propri tassi a quelli tedeschi, rendendo però gli
investimenti troppo costosi, oppure svalutare e dare così un segnale di debolezza dell’economia
nazionale.
Gli Stati membri decisero per la prima soluzione. Si sviluppò così una dinamica perversa per
la quale le valute sembravano molto stabili, i rendimenti erano alti e affluivano notevoli capitali
dall’estero ma la crescita rallentava perché investire era diventato troppo costoso.
In questo contesto il no della Danimarca al referendum sul Trattato di Maastricht e l’attesa
per il responso del popolo francese diventavano fattori destabilizzanti creando i primi dubbi negli
investitori. Questi smisero di considerare le monete europee come unica valuta e incominciarono a
vendere quelle più deboli (lira italiana e sterlina inglese). Quanto più si vendeva tanto più il loro
prezzo diminuiva, alimentando ulteriormente le preoccupazioni e le aspettative per un ulteriore
ribasso. L’attacco degli speculatori ampliava gli effetti dell’evento, peggiorando la situazione.
13
Accordi in base ai quali le valute avevano un piccolo margine di variazione, al di fuori del quale la banca centrale
della valuta interessata dalla variazione era obbligata ad intervenire riportando così la variazione del tasso di cambio
all’interno dell’intervallo consentito.
_1995, Messico_
Nel 1994 il Messico, sulla base del piano di “aggiustamento strutturale” del Fondo Monetario
Internazionale e degli accordi del NAFTA14, aveva liberalizzato il mercato, operato tagli alla spesa
pubblica e attuato una stretta creditizia. Come risultato di tale politica il Paese era diventato
appetibile per molte aziende nordamericane ed estere che vi trasferivano i processi produttivi per
risparmiare sui costi del lavoro. Intanto la stretta creditizia manteneva alti i tassi d’interesse e
attirava molti capitali stranieri, di natura sopratutto speculativa e perciò a breve termine.
Le conseguenze per le popolazioni più povere sono disastrose. E’ in questo scenario che si
rendono visibili gli indios del Chiapas, tra i più colpiti dalle nuove misure, occupando alcune città e
villaggi della regione. Interviene massicciamente l’esercito in tutta l’area e vi sono scontri armati.
Nella lotta intestina che da anni vede di fronte le alte e corrotte gerarchie del partito di
governo viene assassinato un candidato alle elezioni presidenziali in corso in quel momento.
L’instabilità politica mette in fuga i capitali stranieri ed alla fine del 1994 il saldo della
bilancia dei pagamenti svela la natura di “economia di carta” del Messico: risulta un notevole
deficit delle partite correnti ed un insufficiente afflusso di capitali. La crisi non si estende a macchia
d’olio solo grazie all’intervento degli Stati Uniti e delle istituzioni finanziarie internazionali che
concedono al Paese un prestito di 50 miliardi di dollari. Quest’ultimo è più finalizzato a tenere al
sicuro i capitali statunitensi investiti in Messico e a controllare il cambio del dollaro che a esprimere
un aiuto effettivo al Governo messicano.
_1997, Sud Est Asiatico_
Questo è forse l’esempio più significativo dell’effetto domino delle recenti crisi finanziarie.
Nel 1996 “le tigri dell’Asia”, Corea del Sud, Indonesia, Malesia, Tailandia, avevano
conosciuto una notevole crescita economica finanziata dal basso costo dei due principali fattori di
produzione: lavoro e capitale. La manodopera lavorava molto e con salari bassi, perciò attirava
investimenti diretti di multinazionali, sopratutto occidentali e giapponesi. Di conseguenza il
notevole afflusso di capitale rendeva basso il costo di prendere a prestito. Tuttavia le organizzazioni
sindacali riuscivano a far aumentare i salari fino ad un livello pari al 17-18% di quello medio
statunitense. Per questo gli investitori stranieri cominciano a trasferire le attività produttive in paesi
come Cina e Vietnam, dove il regime al potere mantiene livelli relativamente ancora convenienti,
piuttosto che investire in produzioni con maggiore valore aggiunto. Le esportazioni frenano ma il
14
Area di libero scambio, simile alla comunità economica europea, comprendente USA, Messico e Canada.
deficit viene finanziato dall’afflusso di capitali esteri speculativi e quindi impiegati prevalentemente
in titoli a breve termine.
Si crea così una bolla speculativa che scoppia per prima in Tailandia nel 1997, quando
alcune istituzioni finanziarie leader cominciano a vendere. La crisi si estende agli altri paesi
dell’area fino a coinvolgere i mercati statunitensi ed europei.
_1998, Russia_
La situazione internazionale del periodo peggiora con la crisi russa. L’economia del paese si
presentava debole a causa della riduzione dei prezzi delle materie prime, prima fra tutte il petrolio,
che la Russia esportava. Quando il prezzo scende sotto il costo di produzione (14 dollari al barile)
non conviene più produrre ed esportare e questo fattore scatena una crisi valutaria ed economica. La
negoziazione di un prestito di 22,6 milioni di dollari da parte del FMI, Banca Mondiale e Giappone
non è però sufficiente a fermare la fuga di capitali a breve termine, che causa pressioni sul cambio.
Il 17 agosto 1998 il Governo lascia che il rublo si svaluti. Intanto già molti istituti finanziari
internazionali avevano subito notevoli perdite sulla piazza russa.
Nessuno pensava che si sarebbe abbandonato la Russia alla deriva fino alla bancarotta, così
l’iniziale politica del governo di tenere alti i tassi d’interesse aveva attirato più di 200 miliardi di
dollari dall’estero sotto forma di titoli azionari russi, di cui la gran parte diventa adesso
irrecuperabile.
2.2 Impatto/conseguenze delle crisi finanziarie
Negli esempi appena visti vi sono alcune caratteristiche comuni.
Prima di tutto la massiccia presenza di investitori stranieri, interessati esclusivamente ad alti
rendimenti nel minore tempo possibile. Essi acquistano titoli a breve termine che possono essere
facilmente liquidati qualora le condizioni non dovessero essere più convenienti. Ma i capitali sono
richiesti dalle imprese locali per investire nelle attività produttive, che sono di lungo periodo, perciò
alla minima variazione delle condizioni, magari per motivi di instabilità politica o sociale, i capitali
emigrano altrove, costringendo l’economia locale a farne a meno senza alternative valide. Crollano
investimenti, produzione e reddito, con un conseguente impoverimento delle popolazioni.
Le crisi finanziarie non sono quindi “un gioco a somma zero”, come spesso si sente dire,
cioè non è vero che le perdite di una parte sono compensate dai guadagni di un’altra, se non altro
perché anche chi non partecipa al gioco viene travolto dagli effetti delle crisi.
Inoltre non va dimenticato il ruolo svolto in queste crisi dal riciclaggio di attività illegali. Ad
esempio, non si può comprendere a pieno la dinamica della crisi russa se non si tiene conto del fatto
che i profitti delle organizzazioni criminali sono stati reinvestiti nel finanziamento di quel debito
pubblico che avevano largamente contribuito a creare con il saccheggio delle proprietà pubbliche.
La stessa cosa è avvenuta nella crisi del Messico del 1995. Molti soldi provenienti dal traffico di
cocaina sono stati reinvestiti nei mercati valutari e di titoli, contribuendo così alla creazione della
bolla speculativa.
Gli effetti delle crisi sono sia economici sia sociali.
Infatti, da un lato la svalutazione di una moneta sotto le pressioni degli speculatori rende più
gravoso il pagamento di quella parte di debito denominato in valuta estera; dall’altro le importazioni
diventano più costose ed il conseguente aumento dei prezzi provoca una spirale di inflazione.
I due effetti insieme riducono il reddito delle popolazioni coinvolte tramite una riduzione del
potere d’acquisto dei salari e del consumo delle famiglie. In più la fuga dei capitali rende il credito
più costoso, cosicché anche imprese sane sono costrette a chiudere o a ridimensionare la loro
attività, con un effetto spesso drammatico sull’occupazione.
La riduzione del reddito fa diminuire il gettito fiscale che, insieme all’aumento dei prezzi,
peggiora i conti pubblici, il deficit pubblico primario, e rende indispensabili tagli alla già deficitaria
spesa pubblica.
Ancora l’esempio del sud-est asiatico: in seguito alla tempesta finanziaria, in Indonesia
l’inflazione nel 1998 arrivò al 65% e la disoccupazione salì al 6,6%; in Corea la disoccupazione
passò dal 2,6 al 7,7%, raddoppiando il numero dei poveri. La Banca Mondiale stima che ci
sarebbero voluti sette anni, nella migliore delle ipotesi, perché i livelli di salari e occupazione
ritornino a quelli del 1997.
Nel 1999, in Tailandia 70.000 insegnanti di scuola elementare sono stati licenziati a causa
della razionalizzazione del sistema scolastico, risultato della crisi15.
L’effetto complessivo delle crisi è un aumento della povertà nelle economie più deboli.
Ancora una volta i dati sulla crisi del sud-est asiatico ne sono un esempio evidente: in Indonesia nel
1998 si contavano quasi 40 milioni di poveri (il 20% della popolazione) ridotti in questa condizione
sopratutto dagli effetti della crisi sull’inflazione. Il significato di queste cifre risulta più drammatico
se lo associamo a dati relativi sempre all’Indonesia: nel 1998, il 65% dei bambini di età inferiore ai
tre anni è risultato anemico, e denutrizione e malnutrizione si sono riscontrate sopratutto nelle aree
urbane dove la mortalità è nuovamente in crescita (più 30%).
Il 35% degli ospedali privati sono stati chiusi a causa del taglio delle spese, con gravi
ripercussioni anche per quelli pubblici.
15
Fonte: Banca Mondiale, 1999, Social Impact of economic crisis; www.worldbank.org.
Un dato scioccante dà l’idea della portata della crisi: nel 1999 in Tailandia 254.217 studenti,
di cui il 47% della scuola elementare, hanno dovuto lasciare la scuola per motivi legati alla crisi
economica.
Gli effetti diretti e indiretti di una crisi sono a volte devastanti: malnutrizione, riduzione dei
servizi legati alla pubblica istruzione e alla salute. Nel settore sanitario l’inflazione rende
l’importazione dei farmaci più costosa; inoltre il taglio della spesa pubblica riduce anche l’offerta
dei servizi sanitari. Una crisi può avere un impatto negativo sull’ambiente, perché il bisogno di
liquidità spinge i governi a rilasciare più facilmente concessioni (basta pagare) a imprese straniere
nel settore delle perforazioni petrolifere, nelle attività di estrazione e in genere nella ricerca e
acquisizione delle fonti energetiche e delle materie prime, senza contare che le spese dei governi per
l’ambiente vengono ridotte, com’è accaduto in Corea e Malesia. Ancora nel sud-est asiatico sono
aumentati gli episodi di violenza etnica e religiosa, di corruzione e instabilità politica che possono
essere inclusi a pieno titolo nei costi sociali indiretti delle crisi finanziarie.
- Alcuni dati
Disoccupazione, valori percentuali (%)
1997
1998
Indonesia
4,7
6,6
Repubblica della Corea
2,6
7,7
Tailandia
1,9
4,4
Malesia
2,7
4,4
Inflazione (misurata come variazione dell’Indice dei prezzi al consumo)
1996
1997
1998
Indonesia*
5,2
12,9
65
Tailandia
5,9
5,6
8,0
Repubblica della Corea 4,9
6,6
5.5
Crescita del Prodotto Nazionale Lordo, in termini reali
1996
1997
1998
Indonesia*
8,2
2,0
-16
Tailandia
5,5
-0,4
da –7 a -8
5,5
-7,0
Repubblica della Corea 7,1
*dati riportati per periodi 1996/1997, 1997/98, 1998/1999.
Aumento della povertà dovuta alla crisi (1998)
Paese
dei poveri
Milioni
Indonesia
Repubblica
alla dovuto all’inflazione
Aumento del numero dovuto
39,9
disoccupazione
percentuale Milioni
percentuale
Milioni
percentuale
della
dell’aumento
dell’aumento
popolazione
totale
totale
20
12,3
30,8
27,6
69,2
della 5,5
12
4,7
85,5
0,8
14,5
6,7
12
5,4
80,6
1,3
19,4
Corea
Tailandia
Dati tratti da: Helen Hayward: Costing the casino. The real Impact of currency in the 1990s.
Cap. 3 La Tobin Tax come granello di sabbia
La Tobin Tax è una tassa sulle transazioni valutarie, operazioni finalizzate a convertire una
valuta in un’altra, con un’aliquota molto bassa.
Deve il proprio nome all’economista James Tobin che per primo avanzò l’idea nel 1972,
anche se già Keynes nella sua famosa Teoria Generale (1936) aveva ipotizzato una tassa che
mettesse un “granello di sabbia” negli ingranaggi della speculazione dei mercati finanziari.
Suo scopo principale è diminuire il numero di transazioni valutarie. La tassa opera come una
commissione che viene applicata su ogni singola operazione che comporti scambio di valuta ed
essendo operativamente simile ad una commissione bancaria, le aliquote proposte dai suoi fautori
sono sempre molto basse.
Esistono diverse formulazioni esecutive che si differenziano sulla base del “dove” e “a chi”
applicarla, “per quali operazioni” e “che tipo di aliquota” adottare.
Nella proposta di legge avanzata da Attac Italia è applicata:
-alle sole transazioni aventi per oggetto scambi di valuta;
-a tutti i tipi di operazioni: a pronti, a termine, swap e prodotti derivati in generale;
-a tutti i soggetti che effettuano tali transazioni, ad eccezione degli interventi di politica
economica da parte di Autorità nazionali ed internazionali;
-a transazioni effettuate sui mercati situati all’interno dell’Unione Europea;
-con un’aliquota pari all’0,1% del valore della transazione effettuata, nel caso di
introduzione su tutti i mercati dell’Unione Europea; in subordine, nel caso di sola applicazione sul
suolo italiano, l’aliquota sarebbe pari allo 0,002%.
3.1 Finalità dell’applicazione della Tobin Tax
I tre obiettivi principali della Tobin Tax sono:
- ridurre i flussi di capitali speculativi e di breve periodo nei mercati finanziari;
- ottenere un gettito da destinare a scopi sociali;
- restituire autonomia alle autorità nazionali o internazionali preposte nell’attuazione di
misure di politica economica.
Si può notare come i primi due obiettivi sembrino in qualche modo tra loro in contrasto: il
gettito raccolto risulterà tanto maggiore quanto più alto sarà il volume delle transazioni effettuate,
ossia quanto più l’imposta dovesse fallire nel suo tentativo di ridurre il flusso di capitali speculativi
di breve periodo.
In realtà questo non contrasta con lo spirito della proposta: se non si riuscirà a limitare il
verificarsi di crisi finanziarie diventerà ancora più necessario destinare il gettito della tassa alla
riduzione degli effetti dei danni prodotti dalle crisi.
Ecco nel dettaglio il meccanismo con cui la tassa Tobin può conseguire gli obiettivi elencati.
3.1.1 Ridurre i flussi di capitali speculativi e di breve periodo nei mercati finanziari
Una quota molto alta delle transazioni che avvengono nei mercati non trova giustificazione
nei fondamentali dell’economia ma solo nell’intenzione di fare profitti spostando rapidamente -a
volte solo per poche ore- soldi da un titolo all’altro o da una valuta all’altra. Ciò avviene sfruttando
le differenze tra i rendimenti nei vari mercati (tecnicamente: arbitraggio), oppure facendo
affidamento sulle differenti aspettative degli operatori nel mercato. Tali operazioni non favoriscono
un’allocazione efficiente delle risorse finanziarie dove sarebbero necessarie per sostenere la crescita
e alimentano invece una crescente volatilità dei tassi di cambio. Questa instabilità è alla base delle
crisi che negli ultimi anni hanno sconvolto l’economia mondiale e creato forte sperequazione nella
distribuzione del reddito16.
Questo problema deve essere affrontato nella sua interezza e non solo nelle sue distorsioni
più evidenti e nefaste, quali sono state e saranno le crisi finanziarie, valutarie e bancarie.
Sino ad oggi le istituzioni nazionali ed internazionali hanno fronteggiato i problemi posti dai
mercati finanziari solo nella fase più instabile e destabilizzante per il resto dell’economia quando,
essendo ormai impossibile ogni intervento curativo, non rimane che condurre politiche di riduzione
degli alti costi sociali connessi. A livello internazionale si manifesta quindi una tipica sindrome
della politica italiana: l’intervento di emergenza, che equivale alla chiusura del recinto quando i
buoi sono già scappati.
La Tobin Tax, invece, avrebbe l’effetto di spostare il focus dell’intervento politico dalla
gestione dell’emergenza alla normale problematica creata dalle transazioni finanziarie.
L’approccio neoliberista giustifica la completa e assoluta (totalmente detassata) libertà di
movimento dei capitali e perciò avanza critiche infondate alla potenziale efficacia di una tassa di
tipo Tobin.
Le moderne teorie economiche liberiste sono impostate sul paradigma definito dalla scuola
di Chicago negli anni ’50 secondo cui la libertà di movimento internazionale dei capitali ha un
effetto positivo. Le variazioni dei movimenti di capitali dovrebbero segnalare lo stato di salute
dell’economia reale ed eventuali scelte erronee nelle decisioni di politica economica. I prezzi delle
16
Confronta paragrafo sull’impatto delle crisi finanziarie.
valute e i tassi di cambio varierebbero concordemente con i cosiddetti fondamentali dell’economia,
indici appunto dello stato di salute dell’economia stessa. Scelte sbagliate di politica economica
sarebbero segnalate dai tassi di cambio che variano con i fondamentali, lanciando un segnale per
l’eventuale correzione dell’errore.
Questa analisi è smentita dai dati reali. Fino a quando la domanda di valute estere è stata
collegata all’economia reale, l’analisi teorica liberista trovava, ovviamente, una giustificazione. La
domanda di valute era trainata principalmente dalle importazioni ed esportazioni, rispetto alle quali
costituivano la contropartita monetaria. Non è più così da quando l’aspetto puramente finanziario
dell’economia ha preso il sopravvento.
Per meglio chiarire il punto si faccia riferimento alla tabella seguente:
Formazione del reddito nel mondo per il 1999 (in mld di dollari;
approssimazioni)
PIL mondo
30.000
Valore attività finanziarie
53.000
Valore dei prodotti finanziari derivati
80.000
Investimenti
5.000
Crediti agevolati
13.000
Fonte: Ufficio Studi Cgil Lombardia
Alcuni commenti alla tabella:
1. se si utilizza il prodotto interno lordo come indicatore della capacità produttiva della
economia reale mondiale si osserva che non vi è alcun collegamento con il settore finanziario, le cui
attività ammontano a 1,7 volte il valore della produzione reale;
2. se si considera il valore dei prodotti derivati (futures, options, swaps, etc) il rapporto sale
addirittura a 2,6;
3. si può notare infine quanto sia irrisorio il valore di investimenti e agevolazioni alla
produzione e alla esportazione rispetto alla produzione complessiva e ancora di più rispetto alle
attività finanziarie.
Il mercato valutario condivide con tutti gli altri mercati alcune caratteristiche fondamentali:
il ‘bene’ scambiato sono le valute e i prezzi di queste ultime sono determinati dall’incontro fra
domanda ed offerta delle stesse. Domanda e offerta sono oramai pochissimo correlate ad attività
realmente produttive e rispondono a logiche speculative di brevissimo periodo (spesso sono flussi di
capitali che completano il proprio ciclo in una settimana), che si muovono nello spazio dei mercati
mondiali. Per smentire l’affermazione che gli investimenti siano indicatori della correttezza e
credibilità della politica economica basta analizzarne la tipologia (sono investimenti a brevissimo
periodo), e la incredibile e caotica mobilità (girano per tutte le piazze finanziarie). Dovrebbero
invece essere investimenti di medio-lungo periodo, decisi dopo una attenta valutazione del paese e
della piazza finanziaria di destinazione, con una mobilità che, per quanto elevata, mostri
chiaramente le tendenze in entrata o in uscita da una piazza. Se si desse il caso, ad esempio, che la
politica economica del governo italiano è considerata poco credibile, si dovrebbe riscontrare un
flusso di capitali in uscita dalla piazza finanziaria italiana e non invece un continuo flusso sia in
entrata sia in uscita.
Dalla metà degli anni ’80 le crisi sono divenute una costante di impressionante regolarità, al
punto da verificarsi una ogni 19 mesi circa: nelle estati ‘92 e ’93 l’ Europa (in particolare Italia e
Gran Bretagna), nel ‘94-’95 l’America latina, nell’estate del ’97 il sud-est asiatico, nell’estate del
’98 la Russia, nel gennaio ’99 Brasile e Argentina. Nella maggior parte dei casi i fondamentali
dell’economia reale non mostravano alcun segno di cedimento nelle piazze dove la crisi è scoppiata.
Si potrebbe, al contrario, pensare che movimenti di capitale a fini speculativi ed economia
reale funzionino a compartimenti stagni. Sfortunatamente non è così. Se è possibile affermare che la
finanza ha perso l’ancoraggio alla economia reale, non è possibile sostenere che quest’ultima non
subisca la finanza. Per illustrare meglio la questione occorre distinguere fra i momenti di crisi ed i
momenti di “normalità”.
Gli effetti post-crisi sull’economia reale dei paesi colpiti sono spesso devastanti. Dopo
l’uscita della lira dallo SME, a seguito di un attacco speculativo contro la lira, la finanziaria ’93 del
governo Amato fu la più onerosa manovra mai realizzata in Italia: circa 90.000 miliardi di lire.
Molti di questi soldi servirono a ricostituire le riserve della Banca d’Italia, prosciugate dall’allora
governatore Ciampi nel tentativo, risultato vano, di difendere la nostra valuta. Stessa sorte toccò alla
sterlina inglese, qualche mese più tardi.
Un dato comune alle crisi è, quindi, la forte ricaduta sul piano economico reale:
licenziamento dei lavoratori di imprese in crisi, forte diminuzione del potere d’acquisto dei salari,
spesso accentuato nelle fasce deboli della popolazione lavorativa attiva.
Per comprendere meglio quanto sia importante una gestione non emergenziale del problema
si devono sottolineare le difficoltà con cui le imprese produttrici e commerciali si confrontano,
quotidianamente e non solo nei momenti di crisi, a causa della volatilità dei prezzi delle valute.
Nei periodi di normalità, le imprese produttrici di beni e servizi che vogliono espandersi al
di fuori dei confini nazionali devono considerare e valutare numerosi aspetti, molti dei quali del
tutto nuovi rispetto all’ambiente nazionale, come ad esempio la legislazione dei paesi dove vogliono
distribuire il proprio prodotto e le valutazioni che riguardano il lato finanziario del progetto.
Decisioni economiche di questo tipo sortiscono effetti, sia in termini di costi sia in termini di
benefici, distribuiti nel tempo. Queste imprese necessitano quanto più possibile di stabilità per
potere correttamente elaborare i propri piani strategici e per renderli esecutivi. In questo senso una
alta volatilità del mercato valutario, con cui sono obbligati a confrontarsi una volta deciso di andare
all’estero, rende arduo tale compito per la difficoltà di stimare e congetturare quello che
tecnicamente viene definito “rischio di cambio”.
Un esempio può chiarire meglio il rischio dovuto alle oscillazioni dei tassi di cambio.
Consideriamo un’impresa italiana che esporta i propri prodotti sul mercato statunitense.
L’esportatore italiano incorre nei costi di produzione normali per la sua attività e stabilisce, sulla
base di questi, un prezzo in lire italiane. Il tasso di cambio traduce questo prezzo in valuta estera. Al
momento della stipula del contratto di compravendita l’importatore statunitense si impegnerà al
pagamento di una certa somma nella propria valuta. Se il valore del tasso di cambio lire/$
diminuisce nel periodo di tempo che intercorre fra la stipula ed il versamento effettivo
dell’ammontare, l’esportatore italiano riceverà una somma in lire italiane inferiore a quella che
aveva fissato al momento dell’offerta dei propri prodotti17.
Le oscillazioni del tasso di cambio non investono soltanto le imprese attive nell’importexport. Negli ultimi due anni il prezzo dei derivati del petrolio (benzina, gasolio, gas da
riscaldamento, etc) è aumentato in maniera impressionante per due ordini di fattori: l’aumento del
prezzo del petrolio e il continuo indebolimento del tasso di cambio Euro/$. In particolare, si è
stimato che il 35-40% degli aumenti della benzina siano da imputare al solo tasso di cambio.
Questi due esempi mostrano chiaramente che le variazioni dei prezzi delle valute hanno
ripercussioni nella vita quotidiana delle persone.
In periodi di ordinaria amministrazione la quota di transazioni a fini speculativi è tale da
provocare consistenti oscillazioni nel prezzo delle valute, comportando variazioni anche consistenti
nei prezzi dei beni che acquistiamo tutti i giorni.
A confermare l’importanza di un ambiente stabile, si aggiunga che la decisione di istituire
un’area monetaria economicamente rilevante a moneta unica, l’Euro, all’interno della comunità
europea, fu presa proprio per assicurare stabilità finanziaria e valutaria. Un’ammissione evidente
dell’insopportabilità di una situazione economica altamente variabile.
L’esempio è estremamente semplice. Ci sono molti casi in cui anche i costi di produzione sono soggetti a rischio di
cambio, casi cioè in cui l’impresa produttrice deve importare la materia prima e poi esportare il prodotto finito. In realtà
ogni fase produttiva, dall’approvvigionamento di materie prime fino alla distribuzione e al pagamento, ne è soggetta.
17
Una tassa di tipo Tobin con un’aliquota molto bassa servirebbe proprio a disincentivare le
operazioni speculative, senza intaccare gli investimenti produttivi e di medio-periodo.
L’esempio proposto nelle note di accompagnamento al progetto di legge è molto
chiarificatore al riguardo. Supponiamo che un investitore possieda un milione di Euro e preveda che
questo si svaluti a breve. Se il cambio dollaro/euro è 1, l’investitore può vendere gli Euro e
comprare un milione di dollari. Se poi la moneta europea si deprezza come previsto ad un nuovo
cambio di 1 dollaro contro 1,005 Euro e l’investitore vende il milione di dollari per ricomprare
Euro si ritrova con 1.005.000 euro: quindi con un guadagno di 5.000 euro derivato da questo
semplice giro di valute. A questo punto potrebbe intervenire la tassa! Infatti se l’operatore fosse
costretto a pagare una tassa dello 0,25% su ogni operazione, non troverebbe più conveniente fare
speculazione perché il profitto si annullerebbe: 0,25% x 1.000.000 Euro per la prima operazione +
0,25% x 1.000.000 dollari = 2.500 Euro + un equivalente di 2.525 euro =5.025 Euro, quindi più del
guadagno.
Nell’esempio si prevedono solo due operazioni ma nella realtà gli operatori ne effettuano
moltissime in un lasso di tempo molto breve, a volte limitato a qualche ora; perciò la tassa
effettivamente intaccherebbe i meccanismi della speculazione, perché i rendimenti devono essere
molto più alti per renderla profittevole e tanto maggiori quanto più l’operazione è di breve termine.
Al contrario, aliquote basse non frenano gli investimenti produttivi che sono di lungo
periodo, poiché essi richiedono poche transazioni e sono di natura più stabilizzante.
Infatti i rendimenti da investimenti produttivi dipendono anche dalla bontà e dalla
accuratezza del progetto di investimento in sé. Difficilmente una commissione così bassa può
arrivare ad intaccare i margini positivi dell’investimento.
E’ possibile prevedere che le imprese produttrici e commerciali sosterrebbero più che
volentieri il pagamento di una commissione del genere, se la contropartita consistesse nella
possibilità di evitare di incorrere nel rischio di cambio. Si consideri infatti che, allo stato attuale,
molte di queste imprese cedono il proprio credito ad istituzioni finanziarie specializzate per
operazioni dette di copertura18.
Continuando sulla scia dell’esempio precedente, una volta stipulato il contratto l’esportatore
italiano può rivolgersi ad uno di questi istituti specializzati, accendendo contratti di cessione del
credito o acquistando prodotti derivati che lo assicurino: l’istituto si impegna a saldare l’ammontare
dell’operazione di compravendita meno una certa commissione, in media molto più alta di quella
proposta come tassa di Tobin. Così facendo l’esportatore si copre contro il rischio di oscillazioni
18
Copertura dal rischio di cambio, per l’appunto.
sfavorevoli del tasso di cambio pagando una commissione certa. L’istituzione finanziaria, a sua
volta, opererà sul mercato acquistando o vendendo altri prodotti derivati.
Si noti come, partendo da una unica operazione con base reale (il contratto di
compravendita), si sono generate, nel migliore dei casi, almeno due operazioni di tipo speculativo
(operazioni di copertura da parte dell’esportatore; attivazione di almeno una operazione di copertura
da parte dell’istituzione finanziaria19).
Inoltre, gli investimenti diretti all’estero per intraprendere e partecipare ad attività realmente
produttive, non potrebbero che giovarsi di una misura del tipo finora descritto. In molti casi
imprese e compagnie che intendono avviare progetti di questo tipo devono rivolgersi a finanziatori
esterni. Luogo prediletto per il reperimento dei capitali necessari non possono che essere i mercati
finanziari. Data l’enorme sproporzione fra gli investimenti a breve e quelli a medio-lungo periodo, è
ovviamente più facile l’accesso a capitali disponibili nel breve periodo. Ma i tempi di attuazione del
piano, dalla progettazione all’avviamento e alla fase di regime, sono in genere molto lunghi. Tutto
ciò implica un continuo ricorso ai mercati finanziari per consentire a queste imprese e compagnie
di chiudere i vecchi prestiti ed accenderne di nuovi, pena la mancanza di fondi per la prosecuzione
del piano. Se i tassi del mercato a breve fossero quanto più possibile stabili e costanti, questo
ricorso continuo ai mercati finanziari non costituirebbe alcun problema. A cambiare di volta in volta
sarebbe il creditore, ma non le condizioni del prestito. Sfortunatamente l’andamento dei tassi di
interesse a breve periodo è strettamente correlato alle oscillazioni del tasso di cambio e questo
ripropone il problema della volatilità del mercato, che rende incerte le stime dei costi di attuazione
del piano di investimenti. Per una migliore comprensione del problema, si pensi alle famiglie che
accendono un mutuo per l’acquisto di una casa, con condizioni così mutevoli da cambiare di mese
in mese20. Disincentivando gli operatori finanziari che vogliono ottenere rendimenti speculativi a
breve e brevissimo termine, si può prevedere che, da una parte migliorerebbero le condizioni per
quelli già in corso d’opera, dall’altra aumenterebbe considerevolmente il volume di piani di
investimento del genere appena descritto.
3.1.2 Reperire risorse finanziarie per una redistribuzione del reddito più equa tra le
popolazioni
Si capisce come questa sia una ipotesi minimale: l’istituzione finanziaria troverà una controparte sul mercato, la quale
a sua volta vorrà attivare altre posizioni al fine di coprire e rendere profittevole la prima. In pratica si generano una serie
di operazioni a cascata.
20
In realtà, nel caso di capitali presi a prestito nel mercato a breve, il tutto avviene ancora più frequentemente.
19
Il gettito dell’imposta è importante quanto gli scopi di natura preventiva che abbiamo visto
sopra, perché costituisce lo strumento di interventi volti a finanziare programmi di lotta alla povertà,
salvaguardia dell’ambiente, tutela dei diritti umani, sviluppo socialmente sostenibile, prevenzione
dei conflitti, sia a livello nazionale che internazionale.
La proposta di legge Tobin dedica l’articolo 3 alla descrizione delle tipologie di intervento
ritenute prioritarie:
-
aumento dei fondi per la cooperazione allo sviluppo e loro riallocazione al fine del
miglioramento delle condizioni delle categorie socioeconomiche più deboli e svantaggiate
dei paesi assistiti, calcolate in base agli indici di sviluppo UNDP21;
-
riduzione del debito estero dei paesi a più basso reddito, con particolare riguardo verso
quelli che abbiano avviato programmi di riconversione e disinvestimento nel settore degli
armamenti;
-
finanziamento della ricerca tecnologica dell’Unione Europea orientata al risparmio
energetico, allo sviluppo di fonti energetiche non inquinanti, al riciclaggio dei materiali, alla
razionalizzazione delle procedure di raccolta e smaltimento dei rifiuti e alla riduzione delle
emissioni di agenti inquinanti;
-
incremento dei fondi destinati allo sviluppo delle aree depresse dell’Unione Europea, ai fini
dell’aumento delle dotazioni infrastrutturali, dell’occupazione e dei servizi di assistenza
sociale pubblica.
Ciò che accomuna questi obiettivi è la matrice fortemente socio-economica con cui si vuole
caratterizzare l’utilizzo delle risorse ricavate dal gettito derivante dalla tassa Tobin. Il termine socioeconomico qualifica nettamente questi interventi: non sono solamente economici, perché ritenuti
spesso non remunerativi rispetto ad impieghi alternativi; d’altro canto non sono neanche soltanto
sociali, nell’accezione negativa di interventi di tipo assistenziale e di politiche di sussidiariamento.
Si tratta infatti di interventi che mirano alla liberazione di risorse per promuovere attività che siano,
nell’insieme, socialmente ed economicamente sostenibili.
3.1.3 Restituire autonomia alle Autorità Nazionali nell’attuazione di misure di politica
economica
L’U.N.D.P. è un’agenzia delle Nazioni Unite (O.N.U.) I parametri utilizzati sono: indice di sviluppo umano, indice
di sviluppo di genere, indice di povertà umana, indici di sopravvivenza e sviluppo dell’infanzia.
21
La progressiva internazionalizzazione dei mercati e gli interventi di liberalizzazione che
hanno contraddistinto questo processo, hanno ridotto l’efficacia degli interventi pubblici in ambito
fiscale e monetario.
Infatti la liberalizzazione e deregolamentazione degli scambi di attività finanziarie rende
impossibile per le autorità di politica economica sperimentare qualsiasi tipo di intervento che sia
sgradito ai mercati finanziari: in questo caso il mercato nazionale diventerebbe semplicemente
meno appetibile rispetto agli altri provocando un deflusso di capitali verso mete “più convenienti”.
Questo aspetto non costituirebbe un problema se gli interessi della comunità finanziaria
coincidessero con quelli delle ben più vaste ma meno potenti ed influenti popolazioni mondiali.
Non è così: il mercato azionario di Wall Street accoglie sempre negativamente i dati positivi
sull’occupazione delle imprese quotate22. Recentemente alcune multinazionali di origine francese
hanno annunciato tagli consistenti sulla propria forza-lavoro, non per un andamento negativo nei
settori di produzione, bensì perché il livello dei profitti era inferiore (sebbene abbondantemente e
significativamente positivo) alle aspettative del mercato azionario23.
Anche quest’ultimo aspetto è legato ad una visione del funzionamento dei sistemi economici
di impostazione liberista. Una delle conclusioni dei fautori di questo approccio afferma che a
trainare effettivamente l’economia è il lato dell’offerta produttiva e non quello della domanda.
Politiche fiscali volte a sostenere il lato della domanda tramite la spesa pubblica sono quindi viste
come il fumo negli occhi. Secondo questa visione solo politiche di sostegno al lato dell’offerta
sortirebbero l’effetto di aumentare la capacità produttiva del sistema economico e per questa via
avrebbero ricadute positive anche sull’occupazione. Le pressioni delle associazioni dei datori di
lavoro a favore della flessibilità del mercato del lavoro e dei tagli alla spesa previdenziale,
assistenziale e sanitaria si inquadrano in questa tendenza.
Analogamente, se un governo attua una politica monetaria espansiva, al fine di favorire gli
investimenti, i tassi di rendimento sul mercato nazionale si abbassano rispetto al livello mondiale
perché la disponibilità di moneta in circolazione aumenta: questo espone a pressioni speculative,
non essendo più conveniente acquistare i titoli domestici mentre conviene spostare capitali verso
altre piazze finanziarie. L’effetto sul paese consiste nell’indebolimento della valuta domestica e di
conseguenza nella neutralizzazione degli effetti benefici di un intervento monetario di questo tipo.
La spiegazione sta nella conflittualità degli interessi di cui e’ portatrice la comunità finanziaria rispetto al sistema
economico: una ripresa della occupazione può implicare una maggiore pressione salariale il che sfocerebbe in una
contrazione dei profitti delle imprese e ciò e’ considerato negativamente dato che il valore delle azioni rispecchia difatti
solo l’andamento, corrente e prospettico, dei profitti.
23
Contro tali iniziative il parlamento francese sta attualmente (dicembre 2001) discutendo un emendamento alla
finanziaria 2002, significativamente chiamato ‘contro i licenziamenti di Borsa’.
22
Oggi l’effettiva incisività degli strumenti di politica economica è fortemente influenzata
dalla interdipendenza dei mercati. La tassa di Tobin potrebbe fornire uno strumento per restituire
maggiore autonomia negli interventi alle autorità di politica economica, banche centrali e governi,
favorendo ad esempio una politica di tassi d’interesse più bassi rispetto al livello internazionale.
3.2 Alcuni possibili e benefici ‘effetti collaterali’
Sin qui sono stati esposti gli obiettivi principali che una tassa del tipo Tobin potrebbe
conseguire. Deve essere chiaro però che essa non costituisce la panacea per i danni della
liberalizzazione dei mercati finanziari.
Già nell’introduzione della presente guida si è affermato come la campagna per la
promozione della Tobin Tax ha anche una forte valenza simbolica: la finanza deve essere riportata
sotto il controllo dell’economia, l’economia deve essere riportata sotto il controllo della politica.
Il principio della legittimità democratica, fondativo del patto sociale di tutte le società
occidentali contemporanee, non può essere sospeso o rinnegato per venire incontro agli interessi di
una tanto ristrettissima quanto influente e potente classe sociale.
La politica è il luogo naturale dove interessi divergenti, conflittuali e contrapposti trovano
composizione. Non può e non deve, quindi, accettare deroghe di alcun genere.
3.2.1 Monitoraggio dei flussi di capitale
La situazione internazionale, profondamente mutata con gli attentati dell’11 settembre, ha
riproposto con forza la necessità di un costante e continuo monitoraggio dei flussi di capitale, del
loro controllo ed eventualmente del loro blocco nel caso di provenienza illecita.
La trasparenza nei movimenti di capitali è un requisito indispensabile per l’applicazione e il
buon funzionamento della Tobin e tutte le operazioni lascerebbero una traccia nel momento in cui la
tassa viene pagata, rendendo più difficili evasione ed elusione fiscale, come pure il riciclaggio di
denaro proveniente da attività illecite.
3.2.2 Eliminare distorsioni nel sistema fiscale a livello nazionale ed internazionale
A livello nazionale si riscontra una forte disparità tra l’imposizione tributaria sul lavoro e
quella dei redditi finanziari: questo perché il fattore lavoro è meno mobile e quindi meno in grado di
evadere le tasse. E’ proprio su questi fattori meno mobili che i governi esercitano un’indebita
pressione fiscale per far fronte alla progressiva erosione del loro potere di tassazione.
Si assiste quindi ad una situazione paradossale: il lavoro che produce ricchezza effettiva per
il paese, come quello di un qualsiasi lavoratore, è soggetto all’imposizione fiscale mentre gli elevati
guadagni che derivano da pura attività speculativa sfuggono ad ogni forma di tassazione. Quando
però questi prendono la via dei portafogli-titoli dei piccoli risparmiatori nella forma di guadagni in
conto capitale, i cosiddetti capital gain, ci si ricorda nuovamente della necessità della loro
tassazione.
In Italia, nel corso degli anni ’90, i contratti finanziari sono stati progressivamente esentati
dal pagamento di tasse quali imposta di bollo e imposta di registrazione. In tal senso la Tobin Tax
non costituirebbe un ulteriore carico fiscale per IL CONTRIBUENTE ORDINARIO poiché questi
NON PAGA LA TOBIN TAX; al contrario è un primo passo per riequilibrare le fonti del gettito
fiscale nel senso di una più equa ripartizione tra i vari settori dell’economia.
3.3 Efficacia e applicabilità della Tobin Tax
Abbiamo già detto che una tassa di tipo Tobin non è certo sufficiente a risolvere tutti i mali
dei mercati finanziari, né la campagna internazionale per la sua adozione vuole presentarla come
una soluzione a tutti i problemi. Va piuttosto inquadrata in un piano più ampio di revisione
dell’intero meccanismo di funzionamento dei mercati finanziari che ha come riferimenti la
democraticità degli organismi internazionali, la lotta ai paradisi fiscali, il monitoraggio e controllo
dei flussi di capitali di provenienza sospetta. Nondimeno rappresenta un primo segno di
rinnovamento in questa direzione. Nessuno afferma che la Tobin Tax sarà in grado di eliminare la
speculazione o evitare le crisi finanziarie ma certo agisce preventivamente rendendo non
remunerative, o meno remunerative le operazioni di speculazione ordinaria che provocano
fluttuazioni del tasso di cambio e agisce quindi a monte rispetto al momento di crisi.
Le nuove tecnologie offrono alle autorità pubbliche strumenti più efficaci per rendere
obbligatorio il pagamento della tassa Tobin. Il mercato dei cambi è innanzi tutto un mercato
all’ingrosso, nel quale le banche da sole realizzano circa il 90% delle transazioni, mentre i privati
rappresentano una parte minima.
Le banche eseguono le loro transazioni attraverso un sistema di pagamento sottoposto ad
una severa regolamentazione, sotto il controllo delle banche centrali. Perciò non solo è
tecnicamente possibile identificare un’operazione di cambio e prelevare la tassa, ma la sua effettiva
applicabilità ha anche un costo molto basso, se non nullo.
Per quanto riguarda l’applicabilità della tassa, perché essa abbia un minimo di resa è
necessario che venga adottata da più paesi. E’ sufficiente che sia applicata almeno nei principali
mercati finanziari: i primi quattro, in termini di volumi trattati, scambiano il 65% delle transazioni
mondiali di cambio. Sulla piazza di Londra, la più importante col 33% del totale, le transazioni
effettuate dalle prime dieci banche sono il 50% del totale, contro l’80% di Parigi.
Attac propone che l’Unione Europea prenda l’iniziativa di creare ciò che potremmo
chiamare una “Zona Tobin”, facendo valere il suo peso economico pari a quello del Nord America e
che rappresenta circa la metà del mercato mondiale dei cambi. L’Europa quindi ha una dimensione
economica e politica sufficiente per introdurre la tassa e mettere in atto dinamiche di stimolo nei
confronti degli altri paesi.
Cap. 4 Fautori della tassa Tobin
La campagna in favore di una tassa del tipo Tobin, lanciata da Attac Italia e attivamente
supportata da gran parte del movimento che nello scorso luglio si è riconosciuta nel Genova Social
Forum, si muove in un clima internazionale favorevole. Già da qualche tempo si registrano
tentativi, ai livelli più diversi, di rompere l’intollerabile clima di chiusura preconcetta intorno a
proposte in favore di politiche economiche non ortodosse. Nel presente capitolo, pur non
pretendendo di essere esaustivi, si tenterà di tratteggiare questo clima internazionale.
23 Marzo 1999: il parlamento canadese approva con 164 voti a favore e 83
contrari una mozione che impegna il governo canadese a promuovere una tassa
sulle transazioni finanziarie di concerto con la comunità internazionale.
Canada
Nell’occasione il ministro canadese delle finanze e la maggior parte del Partito
Liberale (Liberal Party), al governo, hanno espresso parere favorevole, e votato di
conseguenza, alla mozione proposta dal New Democratic Party (Nuovo Partito
Democratico) all’opposizione.
19 Novembre 2001: l'Assemblea nazionale francese ha adottato un emendamento
alla legge finanziaria 2002 che introduce una tassazione sui mercati dei cambi
fino allo 0,1% (detta Tobin Tax). Il provvedimento entrerà in vigore se gli altri
Francia
paesi dell'Unione europea adotteranno una misura identica.
Il governo finnico ha preso ufficialmente posizione in favore della Tobin Tax,
impegnandosi a sostenerla in tutte le sedi internazionali.
Finlandia
20 Gennaio 2000: in sede di Parlamento Europeo in sessione plenaria un gruppo
misto di parlamentari propone una risoluzione tramite cui si impegni la
Commissione Europea ad intraprendere uno studio, da presentare entro 6 mesi
Parlamento
Europeo
dalla data di approvazione della risoluzione, sulle modalità con cui introdurre la
tassa di Tobin. La proposta non passa per 6 voti, pur ottenendo 220 voti
favorevoli.
28 Giugno 2000: lo stesso gruppo ha promosso il primo incontro
interparlamentare con rappresentanti del Canada e 13 paesi europei.
Ecco altri stati dove si sono attivati parlamentari a sostegno di questa campagna.
Regno Unito
Brasile
Stati Uniti
Aprile 2000: 101 parlamentari di tutti i partiti hanno chiesto e ottenuto un
dibattito parlamentare sull’argomento.
Novembre 2000: Nell’Irlanda del Nord, in occasione della propria 30esima
Conferenza Annuale, il SDLP (Partito Social Democratico del Lavoro) ha
adottato la promozione della Tobin Tax come prioritaria nella propria agenda
politica.
100 deputati hanno promosso un ‘Fronte Parlamentare in favore della Tobin Tax’.
Nel novembre 1999, durante una riunione internazionale presenziata anche da
Clinton, Blair, Jospin e D’Alema, il presidente Cardoso ha espressamente
sollecitato l’introduzione di una tassa del tipo Tobin.
Nell’Aprile 2000 e nel Maggio 2001 una risoluzione per l’introduzione di una
tassa sulle transazioni finanziarie internazionali è stata presentata al Congresso
degli Stati Uniti. La risoluzione è stata bocciata.
Nella scorsa legislatura proposte di legge per la tassa di Tobin sono state
presentate alla Camera e al Senato.
Italia
Nel Giugno e nell’Ottobre 2000, al Congresso dei Deputati e al Senato sono state
presentate proposte di legge per tassare i movimenti speculative di capitali.
Spagna
La Camera dei Rappresentati ed il Senato hanno adottato una risoluzione per
impegnare il governo all’introduzione della Tobin Tax.
Belgio
In entrambi i rami del Parlamento sono depositati progetti di legge per
l’introduzione della tassa di Tobin.
Argentina
Uruguay
Maggio 2001: una proposta di legge, stilata in collaborazione con ATTAC
Uruguay, dove si legge: “lo stato uruguayano si adopera ad ogni livello,
internazionale, bilaterale, regionale, continentale e mondiale, affinché una tassa
compresa fra lo 0.1% e l’1% venga imposta sulle transazioni finanziarie
speculative.”
Ed ancora: la presidenza di turno belga, in carica fino al Dicembre 2001, ha chiesto ed
ottenuto che il Febbraio successivo, in occasione della riunione di tutti i ministri delle finanze
(ECOFIN), si prenda atto e si discuta uno studio ufficiale dell’Unione Europea sulla tassa di Tobin,
di prossima pubblicazione.
Oltre a questo, altri 4 report ufficiali sono in arrivo. Due sono stati commissionati dalle
Nazioni Unite; uno dal Parlamento Europeo ed uno dal Ministero dello Sviluppo tedesco.
Centinaia di parlamentari ed economisti24 e centinaia di migliaia di cittadini in tutta Europa
e nel resto del mondo, sono convinti che la Tassa Tobin sia un atto di giustizia e un rimedio per la
stabilità dei mercati finanziari, dovuto ed attuabile. Gli unici limiti sono politici, consistenti nella
enorme massa d'interessi in gioco.
E' ora di promuovere il controllo dei governi e dei cittadini sulla speculazione finanziaria,
che sottrae risorse alla collettività e mina la solidarietà sociale a profitto di pochi squali del mercato.
24
Per chi volesse seguire gli sviluppi internazionali delle attività parlamentari si può consultare il sito:
http:// tobintaxcall.free.fr
Maggiori informazioni sul manifesto degli economisti a supporto della tassa si possono trovare su:
http://www.waronwant.org/tobin/genevaf.htm
TOBIN TAX
FAQ
1. Che cos’è la Tobin Tax?
La Tobin Tax, che prende il nome dall’economista americano James Tobin, Premio
Nobel per l’Economia, è un’imposta sulle transazioni valutarie finalizzata a:
 disincentivare i movimenti speculativi a breve termine dei capitali;
 rilanciare l’autonomia della politica economica; ciò passa anche per il
ripristino della capacità di tassazione dei singoli paesi, deteriorata dalla liberalizzazione
dei mercati finanziari;
 ridistribuire in maniera più equa il gettito fiscale fra i diversi settori
dell’economia: allo stato attuale il fattore lavoro appare piuttosto penalizzato rispetto ai
rendimenti di capitali. Inoltre, permetterebbe di reperire risorse finanziarie da destinare,
a livello nazionale, alla lotta alla disoccupazione e all’esclusione sociale; a livello
internazionale, per attuare programmi di lotta alla povertà, di salvaguardia
dell’ambiente, di tutela dei diritti umani, di sviluppo sociale e sostenibile, di prevenzione
dei conflitti;
 monitorare i flussi di capitale per combattere l’evasione fiscale ed il
riciclaggio di denaro “sporco”.
2. Perché la speculazione è nociva?
La speculazione sulle valute consiste nel vendere una moneta e poi ricomprarla ad un
prezzo inferiore in modo da realizzare un profitto. Lo speculatore cerca di incrementare i suoi
guadagni moltiplicando acquisti e vendite nell’arco dello stesso giorno.
Così facendo, altera artificiosamente il tasso di cambio fra le valute: il suo valore sarà
scollegato da parametri oggettivi e ben più significativi, quali i fondamentali di una economia.
Questo ha delle ripercussioni su tutto il resto dei mercati, dato che il valore del tasso di cambio
dettato dalle manovre speculative si applica anche a tutte le altre operazioni di mercato.
3. In che modo funzionerebbe e potrebbe dimostrarsi efficace?
La tassa agisce come una commissione: si paga una certa aliquota, molto bassa, per ogni
operazione che comporta uno scambio di valute. Se lo speculatore, per ogni compravendita di
una valuta, dovesse pagare una tassa equivalente al profitto che immagina di ottenere, il gioco
non varrebbe più la candela: il numero di operazioni puramente speculative diminuirebbe
drasticamente.
D’altro canto, un’impresa che commercia con l’estero o che investe all’estero fa solo
pochi acquisti e vendite di monete, per cui non sarà penalizzata in alcun modo dalla tassa Tobin,
il cui obiettivo primario resta quello di penalizzare la speculazione ma non l’economia
produttiva.
4. Perché non si dovrebbe vedere la Tobin Tax come ingiusta e impopolare?
Proprio per l’eccessivo grado di tassazione che solitamente colpisce la grande parte dei
cittadini ma non esigue minoranze con le maggiori capacità di pagare, la popolarità e
l’apprezzamento per la Tobin Tax dovrebbero derivare dalla sua equità. Si tratta infatti di
un’imposta relativamente progressiva, se confrontata con quelle patrimoniali o sui consumi.
Inoltre, l’equità dell’imposta scaturisce dal fatto che “il prelievo su ciascuna operazione
di cambio estero rappresenta proprio la quota che ogni valuta nazionale ricopre nell’economia
mondiale” (Walker).
In altri termini si sortirebbero due effetti redistributivi: a livello interno, si eliminano
le categorie ingiustificatamente detassate. A livello internazionale, risulterebbero più colpiti
i paesi i cui operatori finanziari sono più attivi sul fronte speculativo.
5. Un’ imposta sulle transazioni finanziarie non distorcerebbe il mercato?
Accadrebbe l’esatto contrario: spunterebbe le armi della speculazione che, lei sì, distorce
il mercato. Secondo Brockway “il mercato verrebbe deformato dall’introduzione di un’imposta,
così come una proliferazione cancerosa sarebbe deformata dal bisturi del chirurgo”. L’intento
della Tobin Tax è quello di disciplinare un genere socialmente distruttivo di comportamento del
mercato. Lo stesso ‘inventore’ della tassa afferma che “è difficile vedere quanto questa lieve
imposta possa causare notevoli deformazioni. In realtà, se essa favorisce il formarsi di tassi di
cambio che meglio riflettono i fondamentali nel lungo periodo, finirà per aumentare la
ricchezza”.
6. Si può applicare ad un solo paese?
L’applicazione della tassa in un solo paese non sarebbe vincente nella lotta contro la
speculazione, anche se nell’immediato se ne ricaverebbe l’indubbio vantaggio del gettito. Per
ottenere risultati più significativi è opportuno che venga adottata da più paesi.
D’altra parte, non è necessaria un’applicazione simultanea su tutto il pianeta. Infatti, i
primi 8 paesi realizzano oltre l’80% delle transazioni mondiali di cambio, i primi 4 il 50% e la
sola Gran Bretagna il 33%. La proposta di un’applicazione a livello europeo della Tobin Tax è
determinata dal fatto che l’UE ha un peso economico pari a quello del Nord America e
rappresenta circa la metà del mercato mondiale dei cambi.
7. L’introduzione della Tobin Tax non rischia di generare frode e di favorire lo
spostamento dei capitali verso i paradisi fiscali offshore?
Per rendere più efficace la lotta contro i tentativi di aggiramento della Tobin sarebbe
opportuna l’applicazione da parte di tutte le amministrazioni statali. Si può considerare anche
l’ipotesi di applicare la tassa a qualsiasi trasferimento verso i paradisi fiscali offshore, come se
si trattasse di un’operazione in valuta estera.
Inoltre dal 1990 sono stati firmati accordi internazionali tra le banche centrali dei dieci
principali paesi chiamati “standard minimi Lamfalussy”. Questi accordi, confermati nel 1998,
offrono alle banche centrali di ogni paese la possibilità di rifiutare l’accesso al sistema nazionale
di pagamento, sul quale mantengono il controllo e la vigilanza, a tutti gli operatori, nazionali o
esteri, che non accettassero di sottoporsi alla regolamentazione nazionale. Questi accordi
autorizzano persino una banca centrale a sanzionare i privati presenti sul suo territorio.
Il pericolo della delocalizzazione all’estero è, quindi, un argomento piuttosto debole. Se
fosse altrimenti, perché i mercati dei cambi non sarebbero già tutti piazzati nei paradisi fiscali
visto che il fisco è quasi inesistente ed il segreto bancario è assoluto? Le ragioni che spingono
una banca a stabilirsi in paese preciso sono, evidentemente, anche altre.
8. La tassa Tobin rappresenta dunque una panacea?
No, è solo un mezzo tra gli altri. Per fare un esempio, non servirebbe molto raccogliere i
proventi della tassa Tobin se la destinazione del gettito facesse finire i fondi in tasca alle stesse
banche attive sul fronte speculativo.
La rivendicazione di questa tassa è complementare rispetto alla lotta ai paradisi fiscali.
Deve collegarsi alla lotta per una nuova regolamentazione del commercio internazionale ed alla
necessaria rifondazione delle istituzioni finanziarie internazionali. Ciò comporta, come
corollario, l’importanza di cominciare a riflettere sulla formulazione di alternative globali al
liberismo e sulla necessità di sancire il primato dell’economia sulla finanza e della politica
sull’economia.
9. Cosa pensano gli economisti della Tobin Tax?
Una petizione internazionale per promuovere la Tobin Tax ha raccolto l’adesione di 400
economisti di 32 paesi (professori, esponenti di governi e di organizzazioni internazionali) ed il
primo firmatario. Il dato significativo di questa proposta è che i 400 economisti dichiarano che la
tassa non ha problemi tecnici di applicazione, ma dipende esclusivamente da una scelta politica. In
breve, gli economisti sostengono che una tassa ragionevolmente bassa non comporterebbe alcun
problema per il commercio e la finanza internazionale, ma riuscirebbe nell’intento di dare maggiore
stabilità ai mercati ed evitare gli attacchi puramente speculativi sulle monete.
10. E che ne pensano i politici?
I parlamenti di Canada e Francia si sono già espressi favorevolmente. Il governo della
Finlandia ha fatto altrettanto. Un gruppo parlamentare misto in sede di Parlamento Europeo si sta
muovendo nella stessa direzione. Progetti di legge, talvolta su iniziativa di singoli parlamentari
talaltra di gruppi ben più numerosi, sono stati presentati in paesi quali Italia, Spagna, Argentina e
Uruguay. Dibattiti parlamentari e richieste di risoluzioni per impegnare il proprio governo ad
introdurre una tassa sulle transazioni valutarie sono stati affrontati in Belgio, Brasile, Stati Uniti e
Regno Unito.
C’è quindi un interessamento generale e globale verso l’argomento. E’ il momento per un
movimento d’opinione che spinga forte nella stessa direzione.
Breve glossario economico
GATT: General Agreement on Tariffs and Trade/ Accordo generale su tariffe e
commercio
Nel 1947 a Ginevra 23 stati sottoscrissero il GATT con l’obiettivo di liberalizzare il mercato
tramite l’abbassamento delle tariffe doganali. In realtà il progetto originale dell’accordo di Bretton
Woods consisteva nella creazione di tre istituzioni, su cui doveva basarsi la struttura del
neoliberismo: FMI, BM e ITO ( International Trade Organization ) che non entrò mai in vigore a
causa della mancata ratifica degli USA e GB. Dalla rielaborazione ed integrazione del IV capitolo
(dedicato alla politica commerciale) dell’ITO nasce il GATT , formato da un Consiglio dei
rappresentanti degli Stati membri, il segretariato, che comprende il gabinetto del direttore generale e
la direzione amministrativa, comitati, gruppi di lavoro e gruppi di esperti.
Nei rounds, periodiche conferenze, che si sono susseguite dal 1947 al 1994, l’oggetto dei
negoziati riguardava dazi doganali e riduzioni di tariffe. Durante l’Uruguay round, iniziato nel 1986
e terminato nel 1994, l’accordo viene esteso alle barriere non doganali, ai servizi, alle proprietà
intellettuale, al settore tessile, all’agricoltura. Viene anche concordato un meccanismo di
regolazione delle dispute. Nell’arco di questi 7 anni, i 123 paesi partecipanti all’Uruguay round
danno vita a 28 accordi tra i quali il TRIPS (Trade-Related Aspects of Intellectual Property Rights diritti di proprietà intellettuale relativi al commercio), l’SPS ( trattati sanitari e fitosanitari), il GATS
(General Agreement on Trade in Service -accordo generale sui servizi da traffico e commercio), il
TRIMS (accordo relativo agli investimenti). Infine, istituiscono la World Trade Organization
(WTO).
WTO: Organizzazione Mondiale del Commercio
Nata il 15 aprile 1994 con il Trattato di Marrakesh, ha ereditato gli accordi conclusi negli 8
round di trattative dall’ istituzione del GATT. Dopo un periodo di transizione concluso nel 1995 il
WTO ha sostituito il GATT ed è divenuta la più potente organizzazione giuridica e legislativa del
mondo, il cui
obiettivo principale consiste nel favorire e promuovere il free trade (libero
commercio).
Dall’analisi dei suoi atti risulta inequivocabilmente che esso limita di fatto la sovranità
nazionale di legiferare: richiede l’abrogazione di ogni legge nazionale che possa contravvenire al
principio di efficacia economica, anche quando il perseguimento di quest’ultimo comporti degli alti
costi sociali e la non tutela dei diritti umani, sindacali e ambientali.
La risoluzione delle dispute è la funzione più importante del WTO. Il comitato per la
risoluzione delle controversie (Dispute Settlement Body) ha tra i vari compiti quello di creare i
panels, giuria di esperti formata da 3 burocrati che si riuniscono a porte chiuse e the Appellate
Body, giuria di appello formato da 7 membri. Le sentenze sono vincolanti per gli stati membri
condannati, ai quali resta la possibilità di modificare le proprie leggi per conformarsi alle norme del
WTO o pagare delle compensazioni permanenti al vincitore della causa o subire sanzioni
commerciali (esempio: caso della carne agli ormoni).
Le sue decisioni in realtà hanno ampliato la povertà soprattutto nel sud del pianeta,
concentrato e aumentato la ricchezza e il benessere nelle mani di pochi, accentuando così sempre
più il divario tra ricchi e poveri.
Contro la mancanza di democraticità e trasparenza del WTO, per garantire la tutela dei diritti
umani, civili, ambientali e sindacali, vaste e differenti aree della società (ONG, sindacati,
associazioni, movimenti, etc) si sono date appuntamento a Seattle, Praga, Davos, Nizza, Genova per
affermare che “ UN ALTRO MONDO E’ POSSIBILE”.
Bilancia dei pagamenti:
Insieme dei conti nei quali vengono registrate tutte le operazioni economiche che
attraversano le frontiere di un paese e che sono effettuate dagli operatori residenti, enti ed istituti
internazionali. Essa dà una visione sintetica e completa dei rapporti economici internazionali di un
paese, in un dato periodo di tempo.
Si compone di diverse parti: bilancia delle partite correnti
bilancia dei movimenti di capitale
riserve ufficiali
errori ed omissioni
Bilancia delle partite correnti: Questo conto si suddivide a sua volta in diverse componenti
delle quali la principale è la bilancia commerciale, che registra tutte le importazioni (entrata) ed
esportazioni (uscita) di merci. Il saldo della bilancia commerciale è importante per due motivi: esso
indica il grado di competitività di un paese rispetto agli altri; alternativamente può indicare il grado
di dipendenza di un paese dall’economia degli altri.
Il conto analogo per i servizi è intitolato conto delle partite invisibili.
Altra componente fondamentale della Bilancia dei pagamenti è il conto dei movimenti di
capitale. Questo registra tutti i flussi di valuta necessari per realizzare degli investimenti all’estero.
In particolare si possono avere investimenti esteri diretti (per esempio, per la costruzione di una
fabbrica all’estero) o investimenti finanziari (acquisto di titoli obbligazionari ed azioni, prodotti
derivati). In entrambi i casi occorre trasferire dei capitali da una nazione all’altra.
Questa voce è tanto fondamentale quanto la bilancia commerciale perché indica la capacità
di un paese di attrarre capitali nazionali e stranieri, per finanziare la crescita economica. In
particolare un segno negativo dei movimenti di capitale indica che c’è un deflusso di denaro verso
l’estero (e questo è quanto accade in Italia, per esempio, negli ultimi anni), mentre un segno
positivo registra un afflusso di risorse finanziarie dall’estero, e quindi anche un’accresciuta
dipendenza degli investimenti interni da operatori stranieri. Una più dettagliata scomposizione delle
risorse finanziarie in debiti di breve e lungo termine permette di valutare la stabilità degli
investimenti realizzati all’interno del paese.
Tralasciando la componente di natura prettamente tecnica di errori ed omissioni, un’altra
parte importante è costituita dalle riserve ufficiali. Queste sono costituite dalle attività (valute o
altre attività finanziarie) estere detenute dalle banche centrali a salvaguardia dell’economia
nazionale. La variazione delle riserve ufficiali corrisponde al saldo algebrico delle altre tre parti;
perciò il saldo della bilancia dei pagamenti indica la differenza dei pagamenti che deve essere
coperta dalle operazioni della Banca Centrale, e quindi il grado di esposizione delle Autorità
monetarie nazionali rispetto ai mercati internazionali.
Tasso di cambio:
quotazione della valuta di un paese espressa in termini di valuta di un altro. Esso è fissato
sul mercato dei cambi sulla base della domanda ed offerta delle valute; queste a loro volta
dipendono dal saldo della bilancia dei pagamenti dei vari paesi, che abbiamo visto essere costituita
dalla bilancia commerciale e dai movimenti di capitale. Quindi, in definitiva, il tasso di cambio
dipende dal volume delle transazioni internazionali e dal tasso d’interesse di un paese rispetto a
quello degli altri, nonché dalle aspettative di cambio degli stessi.
Prodotti derivati:
Sono dei contratti di Borsa a termine (con differita individuazione e consegna delle azioni,
nonché pagamento del prezzo), aventi come oggetto strumenti finanziari. La quotazione di questi
dipende da un valore mobiliare (azioni, obbligazioni, indici di borsa, valute, tassi di interesse)
sottostante.
Sono nati allo scopo di proteggere gli strumenti sottostanti da un’eccessiva variazione di
prezzo. Sono però spesso stati utilizzati solo per fini speculativi, grazie al fatto che richiedono un
versamento iniziale limitato o nullo: impegnando realmente una quota minima rispetto al totale
dell’investimento nominale, si prestano a sfruttare differenze di prezzo tra un mercato e l’altro.
Ne esistono di tre tipi essenzialmente: futures, options, swaps. Qui per semplicità
consideriamo solo quelli aventi come valore sottostante una valuta.
Futures: con questo contratto gli operatori si impegnano a vendere o a comprare una valuta
ad un dato prezzo con scadenza futura. Il valore del contratto è determinato giorno per giorno ed i
contratti vengono rivalutati secondo domanda ed offerta di mercato.
Uno swap è un’operazione di scambio nella quale due parti si scambiano in un determinato
periodo differenti valute, ad esempio lo scambio di un pagamento in dollari contro uno in marchi.
Un’opzione è un contratto tra due parti, in cui il compratore ha il diritto ma non l’obbligo di
comprare (opzione d’acquisto) o di vendere (opzione di vendita) un determinato volume di valuta,
ad un prezzo predefinito all’atto del contratto (prezzo d’esecuzione) ad una certa data futura.
Tali contratti derivati possono essere negoziati in Borsa o in un mercato apposito (in Italia
nel mercato dei derivati, Idem), dove sono liberamente negoziati tra le parti. Per quelli negoziati in
Borsa, la controparte è la Camera della Compensazione della Borsa che provvede, per un
determinato contratto, a far coincidere domanda ed offerta. In altri termini la camera di
compensazione agisce in veste di intermediario che cerca le controparti per ogni contratto.
In definitiva le caratteristiche che rendono appetibili i prodotti derivati, di norma non
accessibili per i piccoli investitori, sono: i) standardizzazione del tipo di contratto; ii) ricorso ad un
intermediario che trova la controparte con cui chiudere il contratto; iii) impegno minimo di capitale
rispetto all’importo nominale previsto dal contratto.
Fondi comuni d’investimento:
I fondi comuni d’investimento sono fondi istituiti nell’interesse dei soci partecipanti e
gestiti da società specializzate in tale attività e dotate di specifici requisiti (società di gestione del
risparmio). Le somme versate dai partecipanti sono investite da dette società di gestione in
strumenti finanziari, crediti ed altri beni mobili od immobili, secondo quanto specificato da un
apposito regolamento del fondo. Tra questi strumenti finanziari rientrano anche i prodotti derivati.
In Italia sono stati istituti con una legge del 1983 e hanno contributo ad accrescere il volume
di investimenti da parte di speculatori propensi a rischiare molto per guadagnare di più.
Capital gain (guadagno in conto capitale):
Guadagno derivante dalla cessione o dalla vendita di azioni, titoli o diritti a queste
riconducibili. Anche i guadagni dei prodotti derivati rientrano in questa categoria.
In Italia, il regime tributario del capital gain prevede solo un’imposta sostitutiva con due
aliquote del 12% o 27%. Ma con una particolarità: chi opera direttamente sul mercato valutario non
è sottoposto a tassazione; se, invece, lo fa per conto di un fondo di investimento, i detentori di una
quota del fondo vedranno i propri guadagni tassati.
Gettito fiscale :
Per gettito fiscale si intende l’ammontare delle risorse che lo Stato raccoglie con imposte e
tasse. Tali risorse sono poi utilizzate, tra le altre cose, per la spesa pubblica.
Una caratteristica importante del sistema tributario è la progressività: un’imposta si dice
progressiva quando la sua aliquota media (il rapporto tra quanto il contribuente è tenuto a pagare e
la base imponibile) è crescente al crescere della base imponibile. La progressività è uno degli
strumenti tramite i quali lo Stato può ridistribuire ricchezza, soprattutto con la tassazione diretta.
Tuttavia nel corso del tempo in Italia la situazione si è evoluta in maniera poco chiara, perché è
notevole lo squilibrio tra l’eccessiva imposizione sui redditi e il troppo lieve trattamento dei
patrimoni e capital gains, con effetti disincentivanti per le attività produttive. Infatti una percentuale
di poco superiore al 6% del totale del gettito proviene dalla tassazione dei redditi finanziari, quali
appunto capital gains ed interessi.
Bibliografia Essenziale
Questa sezione vuole semplicemente consigliare il lettore interessato ad ulteriori approfondimenti.
Il materiale raccolto non pretende di essere esaustivo o onnicomprensivo.
LIBRI
 AA.VV, Umanizzare l’economia. La sfida della globalizzazione, Ed. Monti 2000.
 Arrighi G., Il lungo XX secolo, il Saggiatore, 1996.
 Bastasin C. e O. De Paolini, Crack in borsa, Ediz del sole 24 ore 1987
 Bourdieu P., Controfuochi: argomenti per resistere all’invasione neoliberista, I libri di Reset
1999.
 Chesnais F., Tobin or not Tobin ?, Sankara, 2001.
 Chossudovsky M., La globalizzazione della povertà: l’impatto delle riforme del FMI e BM,
E.G.A., 1999.
 Eichegreen B., La globalizzazione del capitale. Storia del sistema monetario internazionale,
Baldini & Castoldi, Milano, 1998.
 Forrester V., Una strana dittatura, Ed. Ponte alle Grazie, 2000.
 Krugman P., Un'ossessione pericolosa. Il falso mito dell'economia di mercato, Etas libri, 1997.
 Michalos A. C., Un’imposta giusta: la Tobin tax, E.G.A., 1999.
 Salimbeni A. P., Il grande mercato: realtà e miti della globalizzazione, B. Mondadori 1999.
 Strange S., Denaro impazzito. I mercati finanziari: presente e futuro, Edizioni di comunità,
1999.
 Thuillier P., La grande implosione. Rapporto sul crollo dell’occidente 1999-2002, Asterios,
2001
DOCUMENTI – RIVISTE
 ALTRAFINANZA N.3 Aprile 1995 – da F. Terreri – “I sommersi e i salvati nella tempesta
valutaria”
 ALTRAECONOMIA N.4 Settembre – Ottobre 1998
 Rivista milanese di economia N71-72 p.34-36 Bellofiore R. 1999. Portata e limiti della
TOBIN TAX
SITI WEB
In Italiano
 www.tassatobin.it
 www.attac.it
 www.manitese.it
 www.focsiv.it
 www.lomb.cgil.it/ext/mai/index.htm
 www.carta.org
In Inglese
 tobintaxcall.free.fr
 www.globalpolicy.org
 www.halifaxinitiative.org
 www.ceedweb.org/iirp
 www.oxfam.org.uk
Scarica