La questione dei piani regolatori selle città è stata una delle più

UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI FIRENZE
FACOLTA' DI ARCHITETTURA – A.A. 2000/2001
FONDAMENTI DI URBANISTICA – CORSO B
PROF. FRANCESCO VENTURA
Camillo Sitte, “L’arte di costruire le città - L’urbanistica secondo i suoi fondamenti
artistici”, 1980.
Contenuto.
La questione dei piani regolatori selle città è stata una delle più scottanti del XIX
secolo. Sitte l’affronta mediante lo studio di alcune piazze e sistemazioni urbane del
passato, rapportandole a quelle più recenti, elogiando l’urbanistica moderna per le
buone realizzazioni in fatto di traffico, di utilizzazione dei terreni fabbricabili e di
igiene, e criticandola per gli insuccessi ottenuti dal punto di vista artistico.
La suo critica parte da un’analisi delle città italiane dalla bellezza classica
universalmente riconosciuta, le cui strade, case e soprattutto piazze, sono dettate da un
clima, uno stile di vita e un metodo costruttivo diversi da quelli dei paesi del nord, ma,
principalmente, da quelli dell’antichità.
L’opinione di Sitte riguardo alle differenze dell’origine della morfologia fra piazze
antiche e moderne scaturisce da una riflessione sulle modalità di formazione delle
piazze stesse e sulla distribuzione di opere d’arte e monumenti all’interno di esse. Sitte
sottolinea, infatti, la capacità degli antichi di sistemare le creazioni dei più grandi artisti
nel punto della piazza che poteva maggiormente valorizzarle. In proposito, cita
l’esempio del David di Michelangelo in piazza della signoria a Firenze: l’espressione
di un grande genio esaltata dal bugnato di Palazzo Vecchio e dalla posizione
apparentemente irregolare rispetto al contesto della piazza ma allo stesso tempo
prospetticamente perfetta.
L’autore, inoltre, oppone la “spontaneità” della piazza antica alla regolarità di quella
moderna, dovuta, in sostanza, più ad un “travisamento” dell’antico concetto di
“simmetria” che ad un’autentica riflessione sulla funzionalità e sulla buona fruibilità
(anche dal punto di vista scenografico) della piazza stessa. “Simmetria” era, infatti, per
i Greci, tutto ciò che risultava bene armonizzato col circostante e già di per se ben
proporzionato. Questo termine è stato via via cambiato di significato (nei cantieri
gotici prima e dagli urbanisti del rinascimento poi) in base alle specifiche esigenze
compositive. Un altro esempio di “simmetria”, nel senso più etimologico del termine, è
quello che riguarda piazze tra loro adiacenti. Sitte riporta gli esempi di piazza della
Signoria a Firenze e di piazza San Marco a Venezia. Di quest’ultima, in particolare,
sarebbe inimmaginabile una versione “moderna” senza perdere l’attuale effetto
scenografico, reso unico dalle molteplici possibilità visive offerte dai vari edifici e dal
modo in cui questi si rapportano fra loro.
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La differenza fra le costruzioni dell’antichità e quelle più recenti è notevole in Italia ma
soprattutto nei paesi del nord. Tale differenza si riscontra soprattutto nella maniera di
costruire le città e di disporre le piazze che la circondano. L’attenzione cade sulle
grandi città, dove le cattedrali e le chiese principali sono isolate, ovvero situate in
mezzo ad una piazza o circondate da uno spazio libero, mentre gli edifici di minore
importanza o comunque la maggior parte di essi sono addossati. Questa posizione
isolata è motivata generalmente con la precedente esistenza di un cimitero accanto al
santuario. In epoche più recenti i cimiteri non vengono più costruiti in mezzo alle città,
quindi la maggior parte delle chiese sono parzialmente incastrate. La posizione isolata
appare solo in alcuni casi e soprattutto nel periodo gotico, mentre molte delle chiese
delle città del nord sono generalmente respinte verso il lato della piazza. L’attenzione
dell’autore si sofferma, poi, su alcune chiese antiche come San Paolo a Francoforte o
Santo Stefano a Costanza, che non sono disposte con precisione al centro delle piazze,
ma che risultano ugualmente ben posizionate e studiate.
Dopo aver toccato alcune semplici forme di disposizione urbana, l’autore, per una
completa analisi delle differenze fra i criteri costruttivi antichi e moderni, studia un
complesso monumentale di grande stile: il Piano Regolatore di Vienna. Secondo
l’opinione di Sitte, questo appare come un’opera incompiuta. A suo parere, infatti, i
grandi edifici monumentali presenti nella città sono di grande effetto e molto belli, al
contrario delle piazze e delle strade che li circondano e che compromettono la bella
riuscita del contesto architettonico. Una diversa organizzazione del complesso e varie
necessarie trasformazioni apporterebbero perciò a Vienna numerosi vantaggi come la
fine dei conflitti di stile, la possibilità di erigere un gran numero di monumenti e un
sensibile aumento dell’effetto prodotto da ogni singolo edificio.
Il Sitte conclude affermando che, al giorno d’oggi, si costruisce accostando stili e gusti
diversi senza porsi il problema dell’effetto estetico che ne deriva, mentre si dovrebbe
guardare per un attimo al passato quando, pur ignorando i problemi di stile, gli edifici
si armonizzavano in maniera del tutto naturale.
Autori:
Alessia Bochicchio
Angela Bovino
Domenica Brunetti
Maria Grazia Caliandro
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UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI FIRENZE
FACOLTA' DI ARCHITETTURA – A.A. 2000/2001
FONDAMENTI DI URBANISTICA – CORSO B
PROF. FRANCESCO VENTURA
Camillo Sitte, “L’arte di costruire le città - L’urbanistica secondo i suoi fondamenti
artistici”, 1980
Biografia.
Camillo Sitte nasce a Vienna il 17 Aprile 1843, e resterà l’unico figlio dell’architetto
Franz Sitte (1818/1879) e di Theresia Schabes. La maggior parte delle biografie
insistono sull’indipendenza di spirito e sul carattere frondista della famiglia Sitte.
Il nome di Franz Sitte viene associato ad un gruppo di giovani architetti viennesi
contro il monopolio detenuto dagli Architetti della Corte, nel 1848. Per la prima volta
un progetto architettonico è oggetto di un concorso pubblico, che vince il giovane
Johann Georg Muller. Contro lo stile dominante ancora all’estero del Rinascimento
italiano, Muller impone il Rumdbogestil, che meglio corrisponde al diffuso
pangermanesimo.
Franz Sitte venne incaricato di eseguire i piani di Muller, e l’infanzia di Camillo è stata
certamente segnata da questi lavori che permettono ad un gruppo di artisti di ideare ed
eseguire un edificio dal piano d’insieme al minimo particolare della sua decorazione.
Dopo gli studi secondari Camillo Sitte entra alla scuola d’Architettura dell’Istituto
Politecnico, animata da Heinrich von Ferstel (futuro architetto della Chiesa Votiva),
che frequenta dal 1863 al 1869. Simultaneamente , segue i corsi di storia dell’arte e di
archeologia all’Università e corsi d’anatomia alla Facoltà di Medicina.
Terminati gli studi compie diversi viaggi in Germania e in Italia, e si interessa in
particolare all’arte rinascimentale. Nel 1863, suo padre gli affida la costruzione della
chiesa dei Mechitaristi a Vienna. Sitte concepirà l’idea lavorandovi per 25 anni,
disegnando ed eseguendo di persona gli affreschi, le sculture e le decorazioni di stucco.
Nel 1875, probabilmente su consiglio di Eitelberger, entra nella funzione pubblica e
fonda la Scuola di Arti Industriali di Salisburgo, di cui assumerà ben presto la
direzione. Nello stesso anno, sposa Leopoldina Blume, che gli darà due figli, Sigfried e
Heinrich.
A partire da questa data, la vita di Sitte è caratterizzata da un’attività frenetica e molto
diversificata. A Salisburgo dispensa degli insegnamenti e pubblica delle opere sugli
aspetti più vari delle arti decorative. Fonda il periodico Salzburger Gewerbeblatt, e
sviluppa un’intensa attività di giornalista e critico d’arte.
Eccellente violoncellista, nel 1876 intraprende il viaggio a Bayreuth, su invito del suo
amico, il direttore d’orchestra Hans Richter, è qui che forse ha conosciuto G. Semper.
Nel 1878, Sitte fa parte della giuria dell’Esposizione universale di Parigi. Nel 1883, è
chiamato a Vienna per crearvi la Scuola Imperiale e Reale delle Arti Industriali, di cui
assicurerà la direzione fino alla sua morte.
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L’anno in cui compare Der Stadtebau, ritroviamo Sitte in Grecia e due anni più tardi in
Egitto. Il successo del suo libro fa sì che venga chiamato per numerose perizie,
conferenze e pubblicazioni. Disegna anche diversi progetti d’estensione o di
sistemazione, spesso associati a realizzazioni architettoniche (chiese o municipi). I più
conosciuti sono quelli di Olmutz (1894), Lubiana (Slovenia ,1895), Marienthal (Bassa
Austria, 1896), Marienberg (Slesia, 1903), Ostrau (Moravia). Sitte muore a Vienna nel
1903, prima di aver potuto redigere la seconda parte del suo Stadtebau, di cui Sitte
aveva preparato la fondazione in collaborazione con l’amico Theodor Goecke.
Der Stadtebau si presenta come un piccolo volume di 180 pagine, abbondantemente
illustrato, scritto in uno stile vivace e incisivo. In esso l’autore sviluppa una critica
delle realizzazioni dell’urbanistica moderna, alle quali oppone i “principi estetici”
dedotte dall’osservazione delle sistemazioni del passato, dall’antichità all’epoca
barocca.
Ai piani moderni, Sitte rimprovera essenzialmente lo schematismo, che disprezza le
condizioni locali, e impedisce tutti gli effetti estetici mediante la riproduzione
all’infinito del blocco edilizio rettangolare.
Tutto quanto conferiva varietà e fascino alle sistemazioni antiche (parti aggettanti e
rientrate rispetto all’allineamento, disposizioni a ferro di cavallo, irregolarità degli
spazi pubblici) è bandito dai nuovi quartieri delle nostre città, nelle piazze la cui
cerchia è sventrata dalle strade, l’architetto tenta in vano di valorizzare gli edifici ed i
monumenti.
Del resto, il sistema moderno provoca degli ingorghi del traffico per via della quantità
eccessiva di crocevia ad angolo retto; esso nuoce all’igiene a causa dell’andamento
rettilineo delle vie e l’insufficiente recinzione dei giardini pubblici; sperpera i fondi
pubblici con la sistemazione di strade secondarie troppo larghe, e con edifici
monumentali posti in mezzo a delle piazze, il che obbliga a decorarne tutte le facciate.
Per altro Sitte propone un’applicazione delle proprie tesi ad un caso concreto, in effetti
l’ultimo capitolo mostra come bisognerebbe modificare i piani del Ring viennese,
affinchè le chiese, il Municipio e il Parlamento ottengano il massimo effetto
monumentale. I suoi principi rimangono tuttavia privi di influenza sull’evoluzione
spaziale di Vienna, e Sitte non ha nemmeno l’occasione di metterli in pratica se non in
realizzazioni modeste.
Nei piani di Olmuts (1894), Sitte sperimenta un nuovo tipo di blocco edilizio, molto
lungo (200 m) ma profondo soltanto due parcelle ( 40 m), allo scopo di ostacolare uno
sfruttamento eccessivo del terreno. Nel piano di Lubiana(1895), B. Gaberscik ha
osservato che il tracciato delle strade era determinato dai punti di vista che esse
sviluppano rispetto agli edifici esistenti.
Il piano di Marienberg (1903) presenta una sintesi delle concezioni di Sitte:
opposizione degli assi rettilinei e delle vie curve, gerarchia delle strade espressa dalla
loro larghezza, quantità molto limitata degli incroci a quattro rami ortogonali, piazze a
forma di turbina, luoghi dove socializzare e giardini pubblici situati all’interno dei
blocchi edilizi.
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A cento e un anno di distanza dalla pubblicazione di Der Stadtebau si celebrò questa
fortunatissima opera con un convegno intitolato “Camillo Sitte e i suoi interpreti”,
tenutosi a Venezia nei giorni 7, 8, 9, 10 novembre 1990.
La genesi di Der Stadtebau.
L’opera di Sitte è ancora ben lontana da divenire un’opera d’antiquariato, anche perchè
ad esso si ispirano tendenze dell’architettura contemporanea, nonostante ciò poco
sappiano della sua genesi.
La morte prematura dell’autore non ha poi consentito di sciogliere un dubbio cruciale:
se il libro, pubblicato nel 1889, costituisca la prima parte di una grande opera dedicata
a tutti gli aspetti dell’urbanistica o se ne esaurisca il suo punto di vista in proposito: tesi
implicitamente avvalorata da tutti coloro che vedranno in quest’opera il simbolo di
una concezione dei problemi urbani, unilateralmente fondata sulla valorizzazione degli
elementi storico-artistici, sulla percezione e fruizione degli spazi pubblici.
Traduzioni e rielaborazioni da parte degli interpreti costituiranno un’opera apocrifa a
più mani; tra il 1890 e il 1930 questo processo di riarticolazione teorica è alla base di un
movimento internazionale variamente denominato Stadtebaukunst, Art de batir les
villes, Civic art, Arte urbana, City beautiful, Art public, Arte di costruire la città. Il
libro pubblicato nel 1889 è stato successivamente tradotto in otto lingue.
I principi sittiani divengono così i punti fissi di una lingua “franca” che accomuna
differenti esperienze nei diversi contesti del mondo occidentale.
Ciò che si propone il suo saggio è di diffondere un nuovo modo di apprezzare i
paesaggi storici urbani, che deve coinvolgere tutti i sensi, ossia la completezza
dell’esperienza umana. Il suo riguardo per le memorie collettive che costituiscono
l’identità urbana riconosceva il carattere essenzialmente comunale della città,
incapsulata nei suoi spazi pubblici. In più, radicata in Sitte, è la convinzione che
l’apprezzamento intuitivo dei valori urbani non precluda le analisi razionali e
scientifiche, anzi ne risulti avvalorato.
La sua metodologia si potrebbe considerare di tipo teorico, anche se le analisi dei
complessi storici erano rivolte ad un pubblico non-specialistico oltre che
all’architetto-progettista. In qualità di educatore all’arte Sitte non dubitò mai dei
vantaggi che derivano dallo studio di esempi intuitivamente ammirati (Atene, Firenze,
Roma, ecc) ma comprese che la nostra percezione avrebbe dovuto essere informata ad
una comprensione razionale del bello.
Il tradizionale paesaggio urbano, pittoresco e attraente, deve perciò essere valorizzato
da un esame analitico. In questo senso, Der Stadtebau appartiene ad una categoria a sé,
non è un manuale o un testo di prescrizioni, di risposte risolutive, ne è solo letteratura
di ispirazione. Sostenere che Sitte si sia opposto alla città pianificata eliminerebbe la
ragione dell’esistenza stessa del suo libro.
Egli si pone di fronte all’urbanista del suo tempo e al suo ruolo problematico
d’ingegnere, di esperto sanitario e dei trasporti e di fronte a loro Sitte cerca di dare un
fondamento teorico agli aspetti artistico-estetici della pianificazione urbana. Per
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dimostrare i suoi punti di vista Sitte traduce lo schema statico e geometrico della
cittadina in spazi d’esperienza multidimensionali, vivificati dall’umanità che ci abita.
Le piazze urbane ammirate da Sitte coprono un ampio arco di tempo e di spazio, ma
hanno in comune un’apertura alla libertà interpretativa, un’assenza di rigidità, così
prevalente invece in molte piazze progettate.
Come riconobbe Sitte cento anni fa, l’eccessiva predeterminazione urbanistica
compromette una partecipazione aperta e produce resistenza al cambiamento. La città
fiorisce dalla incompletezza e sulla flessibilità degli interni. Egli vede la metropoli e la
città come processi evolutivi.
Un altro aspetto del suo pensiero è la sua fede nella vitalità del centro cittadino, anche o
proprio perché la metropoli moderna si stava espandendo in senso centrifugo,
abbandonando il nucleo centrale. Da un lato l’estensione suburbana e vasti reti di
autostrade divoravano la campagna, dall’altro i centri delle città venivano abbandonati
fisicamente e spiritualmente, causando la perdita dell’identità urbana. I centri civili e
l’orgoglio civico sono scomparsi nell’oblio: e, come conseguenza diretta, il disegno di
piazze e monumenti è praticamente svanito dal repertorio del disegno urbano.
Carl Schorske, in un suo saggio, ha affermato:”...fu attaccando la Ringstrasse che i due
pionieri dell’urbanistica moderna, Camillo Sitte e Otto Wagner, formularono
concezioni della vita e dell’assetto urbani destinate ad esercitare ancora oggi una
precisa influenza”.
Benché si sia investigato nella sua vita, nella storia delle idee e dell’urbanistica nel
XIX secolo, non si sono trovati precisi riferimenti alle circostanze che lo hanno spinto
a scrivere la sua opera principale. Per altro si pensa che fino al 1889 appunto non si sia
interessato dei problemi di scala urbana, ma solamente abbia operato esclusivamente
come architetto e progettista di edifici religiosi. Solamente la conferenza da lui tenuta il
26 gennaio 1889 all’Associazione austriaca degli architetti e degli ingegneri civili,
intitolata “Sulla vecchia e nuova urbanistica in relazione alle piazze pubbliche e alla
ubicazione dei monumenti”, è direttamente correlata all’ubicazione del suo libro
nell’estate dello stesso anno. Lo stesso vale per la conferenza: “Sul sito scelto per il
monumento viennese a Goethe”, tenuta il 22 febbraio dello stesso anno.
Tra il 1875 e il 1883, Sitte impegna tutta la sua energia per erigere la k.k.
Staatsgewerbeschule (imperial regia scuola di arti e mestieri) a Salisburgo. Durante
questo periodo, trovandosi lontano dalla sua città, Sitte non può seguire direttamente le
questioni urbanistiche di Vienna, é probabile che se ne sia occupato immediatamente
dopo essere rientrato nella sua città natale nel 1883; proprio allora Vienna diventa un
laboratorio urbanistico per l’Europa orientale ed occidentale grazie al dibattito legato
alla progettazione e alla costruzione della Ringstrasse; a questo si aggiungono il
progetto per il quartiere limitrofo alla casa comunale, fra il 1878 il 1888, e la
canalizzazione del fiume Vienna, per mezzo di un tunnel sotterraneo, che permetterà di
acquisire una vasta area per la costruzione di una nuova Hofburg e di due grandi musei.
Con la proposta di riprogettare gli spazi pubblici di fronte alla cattedrale e al palazzo
comunale, oltre a quello del parlamento, Sitte voleva rendere possibile la creazione di
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un “gruppo di spazi pubblici caratteristici, dove sarebbe aumentato l’effetto di
monumentalità di ciascun edificio e sarebbero stati collocati i monumenti stessi”.
Tra i problemi affrontati da Sitte il più importante forse è la definizione degli spazi
pubblici compresi fra il parlamento e la cattedrale. Questo dovrebbe giustificare la sua
esclusione dal concorso internazionale di urbanistica del 1892/93 per il “progetto di un
piano regolatore generale per l’area metropolitana di Vienna”.
Così egli è invitato a giudicare i risultati del contemporaneo concorso di Monaco, fra i
vincitori figurò Otto Wagner.
Nel suo libro Sitte fa riferimento al testo di Rehinardt Baumeister considerandolo il
primo tentativo in tedesco di dare una guida”...un procedimento sistematico per
affrontare meglio gli sviluppi a lungo termine di un ambiente in trasformazione”.
Bisogna però considerare che Baumaister è però un ingegnere, inevitabile che dia
scarsa importanza alle problematiche artistiche, Sitte si sente dunque obbligato a
sottolineare (spesso in modo molto emotivo) gli aspetti artistici dell’urbanistica. Non
c’è dubbio che la più importante spinta alla stesura di Der Stadtebau gli venga dalle
continue, e talvolta accese, discussioni sull’adeguatezza del piano per la Ringstrasse.
Le diatribe sul fatto che “l’attrazione del paesaggio architettonico” potesse essere, o
meno, acuita dal “point de vue”, sulla pianificazione dello Strubbenviertel o sul
disegno della Schwarzenbergplaz di Heinrch von Ferstel sicuramente hanno
influenzato Sitte, perché Ferstel non solo progetta da architetto singoli edifici, ma è
anche interessato ai diversi aspetti della pianificazione urbana, di cui è ripetutamente
chiamato ad occuparsi.
Il libro di Sitte troverà un’adeguata eco internazionale solo dopo la fine della II Guerra
mondiale. Molte sue formulazioni sono legate al suo tempo, altre, come ad esempio
quella che auspica città non solo funzionali, ma anche belle, hanno validità universale;
secondo Sitte una città è bella quando ha un centro artisticamente studiato e, dal
momento che gli spazi pubblici sono il nucleo della vita urbana, egli analizzo
profondamente l’effetto spaziale degli spazi pubblici. Sitte afferma che solamente
quando scopriremo l’essenza dei luoghi significativi e riusciremo a riprodurla in modo
significativo nella situazione odierna, saremo in grado di pianificare le città. Per lui
nuove parti di città possono essere realizzate solo dopo che siano stati definiti gli
edifici e gli spazi pubblici necessari. Solo allora potremo fissare punti di vista artistici.
Questo pre-requisito indispensabile è pertanto un vero e proprio programma
urbanistico.
Ecco perchè Der Stadtebau, l’opera di Reinhard Baumeister e quella principale di
Joseph Stubben, appartengono alle pubblicazioni tedesche più importanti fino
all’inizio della I Guerra mondiale. Questi libri influenzarono specialmente
l’insegnamento dell’urbanistica nei politecnici. Sitte sottolinea l’attrazione/repulsione
esistente fra bellezza e funzionalità e, dal momento che le città devono la loro
creazione e sviluppo soprattutto a necessità pratiche, la sua appassionata richiesta di
bellezza viene perciò a rivaleggiare con la funzionalità, che, nella maggior parte dei
casi, prevale.
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In ultima analisi la sua richiesta è un’utopia perché riceve troppo poca attenzione dalle
autorità locali.
In una conferenza del 26 dicembre 1894, intitolata “Sulla questione dell’espansione
della città”, Sitte afferma: “...che una cosa è scrivere un libro sull’urbanistica e un’altra
è pianificare una città”. Nel primo caso trattiamo affermazioni e ideali teorici; quando
invece pianifichiamo, ci interessiamo principalmente della realizzabilità del progetto.
La base di giudizio di tutta l’opera di Camillo Sitte non può essere solo il suo libro Der
Stadtebau perché il combattivo idealista del 1889 è molto diverso da Sitte del 1903,
all’epoca della sua morte; un Sitte indurito dalle vittorie ma anche dalle sconfitte, reso
più saggio dall’esperienza. Forse aveva imparato che i piani regolatori non possono
essere determinati solo da principi artistici, ma dipendono ancor più dalle necessità
economiche, sociali e culturali degli uomini.
Nel 1907 esce la prima traduzione del testo sittiano in Italia, ad opera di Monneret de
Villard, che diviene oggetto più di parafrasi e di trasposizioni parziali che non di una
traduzione vera e propria, alla quale più tardi farà da sfondo Milano.
Si potrebbe quindi poter delineare le prime tracce per l’arte di costruire la città, che
sicuramente non è codificabile e a partire dalla negazione dei principi igienisti risulta
dipendente dal solo architetto; non può più essere progettata per tipi definiti
astrattamente e decontestualizzati, ma diversamente attraverso un rigenerato ed
indefinito “sentimento” che pone l’architetto e il suo fare a sintesi del “genius loci”.
Il messaggio fondamentale di Sitte sarebbe da ritrovarsi nell’enfasi con la quale
analizza gruppi di edifici, intesi coma somma di pieni e vuoti. La sua straordinaria
efficacia sarebbe nell’aver posto l’accento su metodi “vecchi e ahimè dimenticati” di
localizzare le costruzioni nello spazio, le une rispetto alle altre.
Il concetto più importante è che, in una città che si modifica continuamente, i
monumenti architettonici e i complessi pubblici ne costituiscono i punti essenziali di
inerzia e di continuità simbolica. Questi gruppi di edifici sono considerati portatori
legittimi di un’estetica che li ancora ad un momento specifico della storia della loro
città e ne diviene rappresentativa. La divulgabilità del testo di Sitte sta nella sua triplice
attitudine a:
- declinare il suo pensiero in una serie di suggerimenti pratici;
- proporre un’accezione particolare del termine “urbanistica”, ad intenderla cioè
come “scienza degli accordi”, il che corrisponde ad un’idea nuova e ad una pratica
antica, ma dimenticata e riscoperta;
- considerare strade e piazze nelle loro tre dimensioni, oltre che in planimetria, cioè
con procedure di analisi urbana e di rilievo avente carattere globalizzante e con
tecniche di prefigurazione da architetto.
L’insistenza per un’estetica urbana metamorfizzata (trasformata) non si spiega se non
attraverso la profonda delusione per le trasformazioni urbane messe a punto nella sua
capitale a proposito della Ringstrasse.
Da questa disillusione prendono vita i postulati principali di Sitte che in effetti non
prende in considerazione i “sistemi urbani” che per provarne l’incongruità, per
svelarne gli aspetti spiacevoli, per rivelarne l’incompatibilità con un’utilizzazione
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giudiziosa dei suoli, o per far comprendere i valori della città storica attraverso la sua
opposizione all’espansione pianificata.
Fra l’altro si comincia a sentir parlare di un sorta di malattia strettamente legata
all’espansione della città o delle piazze, che prende il nome di agorafobia e colpisce
chiaramente l’uomo. Si tratta di una certa paura degli spazi aperti troppo ampi, così in
risposta anche a questa problematica Sitte propone la chiusura visiva e le dimensioni
ristrette delle piazze, che si contrappongano alle grandi spianate, alle prospettive a
perdita d’occhio e alle piazze di maggior traffico; l’introduzione della tersa dimensione
nel progetto urbano rompe i ponti con l’urbanistica dell’allineamento e la divisione in
lotti allora in vigore.
La grande città di fine ‘800, prodotta dall’industrializzazione e emblematica della
condizione moderna, è caratterizzata dalla rottura dell’equilibrio esistenziale sia a
livello individuale che sociale. La vita che ingloba la pienezza delle attività e del
pensiero umano, nella permanenza di riti stabiliti, si dissocia d’ora in poi in una serie di
comportamenti indipendenti.
Questa frammentazione comporta l’insicurezza, la perdita de4i valori collettivi e la
sparizione del senso rassicurante di comunità. Essa conduce allo specialismo e provoca
una frattura fra cultura, tecnica ed economia, da sempre congiunte nella produzione
edilizia.
Compito dell’élite culturale è trovare un ideale comune al fine di arginare l’angoscia
della modernità.
“L’arte di costruire la città” secondo il concetto di “bello” e secondo la storia.
Camillo Sitte tende verso una grande opera d’arte collettiva nel quale la coerenza delle
diverse espressioni artistiche funga da simbolo per la reciproca comprensione e la
comune aspirazione dei cittadini. Secondo questa interpretazione, solo il genio
dell’artista è adatto a proporre una nuova sintesi, il cui valore riunificatore potrà essere
compreso dalla popolazione. In ogni caso l’opera d’arte dovrà fare appello al senso
innato del bello, che è parte integrante della cultura di un popolo. Essa dovrà trovare le
sue origini nelle radici della tradizione e nei costumi locali per sublimarla in una
visione rassicurante e fiduciosa del progresso.
L’arte viene pensata quindi come radicata nel carattere di un popolo.
L’arte di costruire le città è così integrata in un processo didattico che fa appello alla
psicologia dello spazio: il messaggio è comunicato attraverso l’assimilazione intuitiva,
appoggiandosi sull’emozione che produce ai cittadini la giusta dimensione , la
coerenza e la proporzione dello spazio pubblico.
La forma e la disposizione dell’arredo urbano si configurano, in questo modo, come un
dispositivo pedagogico, il cui scopo è di promuovere un sentimento di appartenenza
culturale, e di costituire una base comune di fierezza civica.
Nel momento in cui le norme e i giudizi sono sconvolte dalle innovazioni tecniche e
commerciali i capifila del movimento pittoresco traggono alimento dall'autenticità
della cultura. S’inscrivono in questo percorso il ritorno alle origini, la ricerca
archetipica della morfologia urbana che caratterizzano l’approccio di Sitte e a cui
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s’inspirano altri rappresentanti del movimento estetico. Esso fornisce le ragioni di
fondo della loro opposizione ai “sistemi moderni”: gli rimproverano d’imporre una
logica a carattere universale, che misconosce gli imperativi di una razionalità di tipo
contestuale.
Nel caso di Sitte, questo attacco si dirige contro i tracciati regolari di Baumeister, e
l’estetica neo haussmanniana che li sottende. Sitte non si sofferma quasi mai su una
discussione di stile, accettando il principio di realizzare uno stile storico conveniente
alla destinazione dell’edificio.
Il suo obiettivo è di reintrodurre la perduta tradizione della piazza pubblica, non di
combattere l’eclettismo, o di privilegiare una qualunque espressione formale in virtù
della sua appartenenza al carattere nazionale.
Il foro, sembrerebbe a Sitte, l’autentico paradigma sul quale valutare e misurare gli
schemi urbanistici. Gli schemi proposti nella sua opera si presentano infatti come
varianti dello stesso archetipo.
Il libro dimostra così che ogni cultura ha fornito la propria interpretazione agli stessi
principi, e che la storia può essere presa in considerazione come “ une succession
d’époques dont chacun propose une version originale du modèle” (Wieczorek).
Per ogni periodo Sitte prende in considerazione più diffusamente due realizzazioni
ritenute esemplari, che segnano l’apogeo dello sviluppo, il “supreme épanouissement”
della piazza pubblica nella cultura in questione.
La storia appare come un’evoluzione civica, nella quale gli stessi principi direttori
continuano a manifestarsi sotto altre forme e a dominare ad intervalli regolari.
All’inizio del capitolo XII Sitte parla dell’abitudine di copiare gli edifici storici, e
sottolinea il fatto che nessuno poi li utilizza come spunti per progettare le piazze. Così
constata semplicemente che queste copie monumentali senza una precisa destinazione
e che non corrispondono ad alcun reale bisogno, sono costruite con grandi spese; ed
egli rimpiange il fatto che lo stesso “entusiasmo per lo splendore del passato” non si
applichi alla progettazione delle piazze.
Infine Sitte si rifiuta di accettare che lo sviluppo urbano sia determinato solo da
considerazioni economiche e tecniche.
Il concetto di Sitte è chiaramente una proposta alternativa alla città “in stile
Haussmann”, logica, efficiente, rappresentativa dell’autorità neoclassica o barocca
nella forma.
Il modello di Sitte è modesto, storico, nazionale, morale e organico: rappresentava un
universo semplice basato su valori convalidati, fondamentalmente di tipo
pre-industriale.
Le piazze asimmetriche, le componenti più rappresentative del paesaggio proposto da
Sitte, derivano dalla città del primo Rinascimento italiano, città da percorrere a piedi,
simboli di una cultura urbana completamente sviluppata a misura d’uomo e di
democrazia. Le statue rappresentano poi la cultura repubblicana dell’antica Grecia,
della Roma pre-imperiale e il Rinascimento delle prime città stato italiane: un mondo
di classi medie indipendenti e colte.
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Le piazze di Sitte, almeno nella loro forma originale, non hanno spazio per il verde, ma
sono complete in se stesse; ambienti attraenti per l’osservatore, che non ha dubbi sulla
loro correlazione con la città nel suo complesso.
I postulati della teoria dell’ ”arte urbana”.
Camillo Sitte ha in definitiva esposto la sua teoria basandosi su di una serie di postulati,
divenendo esempio ricorrente nella teoria dell’ ”arte urbana” del XX secolo.
Tali postulati in qualche modo hanno portato a definire questa disciplina operativa
analoga, ma separata, sia dall’architettura che dall’urbanistica. Possiamo adesso
sintetizzare questa sorta di suggerimenti in più punti nei quali si afferma che:
- un’analisi storica deve essere preliminare e necessaria a qualsiasi proposta di
pianificazione urbana; ne debba cioè costituire la prima fase conoscitiva;
- l’armonia sia un valore positivo da perseguire nella composizione di spazi urbani: la
si trova nelle realizzazioni del passato sotto forma di “sensibilità estetica”, più che in
una serie di numeri e di misure;
- zonizzazione morfologica, avvicinamento scalare dal generale al particolare,
concatenazione degli spazi vuoti, rapporti proporzionali, equilibrio tra i volumi
siano criteri rispetto ai quali l’armonia del proprio disegno può essere giudicata e
misurata;
- la monotonia sia invece un portato della grande città industriale del XIX secolo da
rifiutare.
- il passato sia spesso superiore al presente e che può quindi essere riguardato come
fonte, o come suggestione; la conoscenza storica permetterebbe infatti di dare
fondamento a principi di organizzazione spaziale;
- le idee di progetto possono essere spiegate attraverso una vasta raccolta di esempi, un
luogo inventario per fornire un metodo di prefigurazione;
- sia dunque opportuno muoversi alla ricerca dei propri riferimenti, all’interno di un
repertorio geografico e storico molto ampio;
- sia legittimo ed utile avvalersi delle stesse tecniche di rappresentazione anche quando
si abbia a che fare con soggetti differenti: la stessa scala, la stessa grafia, gli stessi
punti di vista; ovvero l’importanza di un vocabolario del disegno deve prevalere
rispetto a quella di altre forme di espressione;
- rompere la gabbia e i vincoli di regole architettoniche antiche o moderne non
significhi fare a meno di utilizzare delle regole; al contrario, anzi, regole nuove e
più complicate andrebbero gradualmente stabilite in sostituzione delle più semplici
e primitive, tenendo conto del continuo processo di arricchimento subito dal
linguaggio architettonico.
Ciò che l’urbanistica moderna richiederebbe in definitiva, per assumere essa stessa le
colorazioni dell’arte urbana, è un atteggiamento “vitruviano”; riassumibile nella
capacità di mettere sullo stesso piano preoccupazioni estetiche ed economico-sociali.
Bibliografia.
11
- “ Camillo Sitte e i suoi interpreti” a cura di Guido Zucconi Milano,1992 edizioni
Franco Angeli
- “Camillo Sitte e gli inizi dell’urbanistica moderna” Daniel Wieczork, 1982
- “La Ringstrasse- Vienna e le trasformazioni ottocentesche delle grandi città
europee” a cura di Giovanni Denti e Annalisa Mauri, 1998 officina edizioni
- “Vienna città capitale del XIX secolo” Gianni Fabbri, 1982 officina edizioni
- “Storia dell’architettura occidentale” David Watkin, 1986
- “Enciclopedia Garzanti dell’Arte” Aa. Vv. , 1973
Autore:
Budassi Elena
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FACOLTA' DI ARCHITETTURA – A.A. 2000/2001
FONDAMENTI DI URBANISTICA – CORSO B
PROF. FRANCESCO VENTURA
Camillo Sitte, “L’arte di costruire le città - L’urbanistica secondo i suoi fondamenti
artistici”, 1980.
Contenuto.
Il primo movente che indusse Sitte a raffrontare le manifestazioni ottocentesche, è il
bisogno di ristabilire i valori e le ragioni dell’arte nel campo urbanistico, animato
dall’idea della bellezza che non ha confini nel tempo. Si rivolge non soltanto ai tecnici
a agli artisti, ma a chiunque sia ancora sensibile ai richiami dello spirito. Parte da una
idea informatrice per ricercare quali fossero le cause della bellezza degli ordinamenti
del passato. Sostiene che una città deve essere costruita in modo da dare agli uomini
sicurezza e felicità e questo significa che il costruire la città non è soltanto una
questione tecnica ma soprattutto un problema d’arte. Nota le differenze e i mutamenti
del significato delle forme urbane, la diversità delle pubbliche piazze nel mezzo della
città. Nel medio evo e nel rinascimento le piazze avevano una pratica utilizzazione per
lo svolgimento della vita pubblica e presentavano una stretta concordanza con gli
edifici circostanti, mentre oggi servono tutt’al più come posteggi di veicoli e perdono
sovente ogni collegamento artistico con i fabbricati. Oggi si ritiene che il centro di una
piazza sia il luogo adatto per collocarvi un monumento. La vacuità di spazio intorno
un‘opera architettonica, impedisce il formarsi di quadri appropriati. Scompare ogni
vivo rapporto organico fra l’edificio e il suo intorno e si perde l’efficace richiamo degli
effetti della prospettiva. Si tende oggi ad aprire le piazze in tutti i versi. Sitte parla di
due tipi di forme di piazze cittadine ,una con forma allungata in estensione e una con
forma allungata in profondità. In architettura e nell’arte degli spazi, i rapporti di
proporzione assumono un importanza più grande delle dimensioni assolute.
Proporzione e simmetria sono presso gli antichi la medesima cosa con la sola
differenza che per proporzione si intende semplicemente un certo rapporto gradito alla
vista mentre simmetria si intende lo stesso rapporto espresso per mezzo di numeri.
Oggigiorno caratteristica dell’urbanistica è la regolarità mentre per gli antichi tale
concetto si considerava su una base completamente diversa.
Lo stile di vita e finanche il modo di costruire tra paesi del nord e del sud Europa è in
sostanza diverso, ma ci sono analogie nel modo di costruire gli edifici. Nei paesi
nordici le chiese non sono situate nel centro delle piazze, ma poste in modo decentrato
e quasi sempre in zone isolate; questo perché anticamente in tali zone sorgevano
cimiteri. Si suole perle chiese solo parzialmente, lasciando libere le facciate. Tale
criterio impone che il centro della chiesa non coincida con il centro della piazza.
Queste piazze presentano composizioni assai meglio inquadrate delle nostre attuali,
grazie alle linee curve delle strade che escludono le geometrie delle linee dritte del foro
13
romano. L’arte urbanistica appare povera di motivi artistici, impoverita dagli enormi
blocchi edilizi che la nostra epoca ha prodotto. Noi, oggi, diamo più spazio alle
superfici libere che inquadrano le superfici costruite dove lo sguardo si perde nel vuoto
a differenza del passato che invece lo intrappolava in piazza tutte circondate da
palazzi, e strade che creavano una sorta di gabbia. Nostro scopo primario, oggi, la rete
stradale che implica un modo di costruire regolare, intersezioni ortogonali di linee
rette, infatti elemento essenziale di questa concezione è un freddo isolato rettangolare,
tali strade alle loro intersezioni danno vita alle piazze “moderne”. Nella città, un ruolo
importante assume il giardino, gli spazi verdi chi sono classificati in due tipi, il
giardino purificatore e il giardino decorativo. Il primo è un giardino isolato, quasi una
realtà parallela alla città, è un giardino sanatorio. Il giardino decorativo ha invece la
funzione di decorare la freddezza delle strade e delle piazze che l’era moderna ha
prodotto. Questo perché il nostro concetto di bellezza delle città si è modificato nel
tempo. Purtroppo ormai non siamo più in grado di capire gli ordinamenti degli antichi,
ma possiamo però esaminare le loro creazioni e capire cosa può essere ripreso ed
adattato alle moderne concezioni mediare tra antico e nuovo, realizzare cosi qualcosa
che abbia anche un valore artistico. Tutto questo deve essere coordinato nei PRG.
Dovremmo capire quali erano le cose che hanno determinato tali bellezze estetiche,
per poter codificare dei principi estetici che regolarizzino le nostre città. Bisogna in
prima analisi avere un‘idea piuttosto precisa di ciò che si vuole realizzare, fissare gli
edifici civili importanti, tenere conto dello sviluppo della popolazione ed in base a
questi criteri iniziare la stesura del piano di ampliamento, cercando di non eliminare
quelle irregolarità che rendono vario lo scenario evitando una ripetizione all’infinito di
un solo procedimento. Cercando cosi di realizzare un piano che abbia anche un profilo
artistico.
Autori:
Caolo Michele
Peristeropoulou Elpida
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FACOLTA' DI ARCHITETTURA – A.A. 2000/2001
FONDAMENTI DI URBANISTICA – CORSO B
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Camillo Sitte, “L’arte di costruire le città - L’urbanistica secondo i suoi fondamenti
artistici”, 1980.
Introduzione.
- Camillo Sitte (1843 - 1903) inizia la sua attività di architetto e studioso durante gli
anni dell’avvento industriale e del fenomeno dell’urbanesimo.
- L’ordine geometrico diventa uno strumento dell’urgente espansione periferica delle
città, con quartieri sbrigativamente lottizzati.
- Sitte sente il bisogno di ristabilire i valori e le ragioni dell’arte in campo urbanistico
raffrontando gli antichi esempi alle manifestazioni ottocentesche. Si chiede quindi
se la necessità debba forzatamente escludere o sommergere le leggi dell’armonia.
- L’intento dell’autore è quello di studiare gli ordinamenti urbani del passato e
ricercare le cause della loro bellezza, per farne delle regole da applicare alle città del
tempo, e ottenere così risultati analoghi a quelli degli antichi.
Contenuti.
- Anche se in Italia le piazze principali delle città sono rimaste per molti aspetti fedeli al
tipo degli antichi Fori, la loro funzione non è più quella di luogo dedito alla vita
collettiva; esse sono oggi fonte di aria e luce, punto di rottura della monotonia dei
viali, mezzo di valorizzazione di un edificio.
- La loro antica funzione implicava una stretta concordanza con gli edifici circostanti
tanto che fra di essi si inserivano anche le chiese, le quali risultavano così di
maggiore effetto.
Fontane e monumenti venivano poi inseriti in punti appartati dalla circolazione.
- Per valorizzare gli scorci visivi da e verso le piazze, si dovrebbe porre molta
attenzione all’ampiezza e alla direzione delle strade che si aprono su di esse.
L’ampiezza e la forma delle piazze dovrebbero essere proporzionate
alle dimensioni dell’edificio principale in essa contenuto e la posizione di
quest’ultimo dovrebbe dettare l’orientamento della piazza.
- Le piazze antiche si presentano talvolta con forme irregolari, percepibili però solo
sulla carta, grazie ad opportuni accorgimenti costruttivi e compositivi.
- Si possono incontrare anche gruppi di piazze vicine, fra loro armonicamente
composte.
- Le antiche piazze dei paesi del Nord Europa non differiscono da quelle italiane per
forme e dimensioni; molte di esse contengono chiese isolate (mai in posizione
baricentrica) un tempo circondate dal relativo cimitero.
15
- L’urbanista di oggi è diventato spaventosamente povero di motivi artistici. Abusa
pericolosamente della linea retta e crea strade troppo aperte venendo così a mancare
l’unità compositiva delle nostre fronti stradali. Ritaglia i lotti fabbricativi come
figure regolari chiuse e quel che rimane è strada o piazza.
- I sistemi odierni di costruire le città hanno un valore artistico nullo; il loro scopo
esclusivo è quello della regolazione della rete stradale, quasi sempre attraverso un
tracciato ortogonale.
- Il massiccio sviluppo delle nostre città, ha fatto sì che gli interessi economici
prevalessero sull’ “amore del pittoresco”, facendo scomparire il senso dell’arte dalle
realizzazioni urbanistiche.
- Il piano regolatore di una città deve determinare effetti artistici ed è perciò esso stesso
un’opera d’arte, non un semplice atto di amministrazione. Deve seguire un
programma scrupoloso riguardante forma dimensione e collocazione di ogni singolo
edificio e deve essere frutto di studi sulla dinamica e le esigenze della popolazione e
sulle caratteristiche del territorio.
- Sitte espone poi il suo progetto per la sistemazione del Ring di Vienna, consistente in
un’applicazione teorica dei principi sostenuti e divulgati appassionatamente
dall’autore.
- L’inserimento del verde all’interno della città è indispensabile, in quanto ne
costituisce il polmone. Può essere di due tipi:
-verde sanitario: situato all’interno degli isolati e protetto dalla cortina di case;
-verde decorativo: situato in luoghi movimentati per essere guardato.
Autore:
Laura Angelini
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FONDAMENTI DI URBANISTICA – CORSO B
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Camillo Sitte, “L’arte di costruire le città - L’urbanistica secondo i suoi fondamenti
artistici”, 1980.
Introduzione.
L’urbanistica ci viene presentata in questo libro come l’elemento base costituente le
nostre città, del passato, del presente e immancabilmente del futuro. Sotto questa
chiave di lettura Sitte ci mostra come i progetti e piani edilizi si siano trasformati nei
secoli, spiegando come dalla “sicurezza e felicità” delle città antiche, siamo passati alla
fredda e dispersiva progettazione moderna.
Sitte tratta tutte le argomentazioni con ironia, dando al testo un tono piacevole ed una
forma scorrevole.
Rapporti tra edifici, monumenti e piazze.
La nostra epoca moderna affronta il problema dell’urbanistica solo dal lato puramente
tecnico trascurando forse l’aspetto più importante: la sua valenza artistica, di
conseguenza l’effetto che l’organizzazione urbana avrà nella vita quotidiana.
Attraverso l’analisi delle città antiche è possibile capire come erano costruite e
confrontarle con i procedimenti odierni. Sitte focalizza il suo studio sulle piazze, la
loro forma, i rapporti con i palazzi principali paragonando sempre il passato con il
presente per capire le differenze e come migliorare.
Perché l’urbanistica è cambiata? La risposta è data dal mutamento della vita stessa
attraverso i secoli. Le piazze in passato erano il centro della vita politica e
commerciale, mentre oggi si sono svuotate di questi valori. Nel passato era la
tradizione a dare “la forma” a questi luoghi pubblici, nel presente solo “la fredda
geometria, la riga e il compasso”.
Bisogna precisare che Sitte nel suo libro non vuole criticare in assoluto tutta la
progettazione moderna, riconosce ad esempio i successi in campo igienico, ma non
deve essere sacrificato completamente il lato artistico, per questo lo studio degli
elementi artistici usati dagli antichi può aiutare l’urbanistica moderna.
Spazio libero al centro delle piazze.
Per descrivere la struttura delle piazze antiche Sitte utilizza un paragone, la piazza è
come la più bella stanza di un palazzo, per definirsi tale, vuota o piena che sia, deve
essere chiusa: viene introdotta così la principale differenza tra passato e presente.
Nell’antichità si cercava sempre di non interrompere i fronti perimetrali, poche strade
arrivavano alla piazza, oggi ne vengono progettate di smisurate dimensioni con
17
continui blocchi di case divisi ed enormi strade. Diretta conseguenza di questa
organizzazione è la sistemazione delle statue e delle fontane. Nel passato il luogo
ideale per le opere d’arte era fuori dal centro delle piazze e sistemate in punti vicino ai
palazzi e fuori dalle zone di passo, oggi all’opposto degli antichi le statue vengono
sistemate nel centro geometrico, così spesso intralciano la vista degli edifici.
Continuando il paragone con la stanza, Sitte dice che i monumenti sono l’arredo della
piazza, la posizione centrale sminuisce l’effetto delle statue.
Ciò che avviene per le statue accade anche per le chiese. In passato venivano addossate
ad altri edifici , mentre oggi vengono isolate al centro. Sitte si pone sempre nello spazio
in un unico punto da cui osservare palazzi e monumenti, per questo un edificio isolato
perde d’imponenza. Per dare un senso di chiusura della piazza gli antichi utilizzavano
anche colonnati o porte con aperture per permettere la circolazione, ottimo esempio è
la struttura realizzata agli Uffizi (lato corto che guarda l’Arno).
Dimensione e forma delle piazze.
Il rapporto fra tutti i volumi della piazza è molto importante per il senso di armonia ed
equilibrio che deve rendere. Oltre alla larghezza (o profondità), si deve tener conto
dell’altezza dell’edificio più importante e le dimensioni dei monumenti. Una piazza
troppo piccola non rende il dovuto effetto monumentale delle statue, mentre una troppo
grande annulla completamente la grandiosità dell’edificio principale o di un
monumento. I dimensionamenti devono tener conto anche della grandezza delle strade,
oggi per rendere questo rapporto si hanno piazze smisurate (piazze d’armi).
Per quanto riguarda la forma possiamo dire che gli antichi luoghi pubblici erano
strutturati dal passare del tempo, mentre nel presente i canoni sono una assoluta
regolarità e l’allineamento delle facciate. Il barocco presenta molti caratteri moderni
nella progettazione, con una fondamentale differenza, lo studio preliminare del luogo
prima della progettazione del piano.
Come migliorare i sistemi moderni.
Per creare nuove piazze con parte del fascino di quelle antiche, l’urbanistica deve
concepire se stessa non solo come materia tecnico-amministrativa, ma anche come
campo delle arti. La realizzazione di un nuovo piano deve essere preceduta da una serie
di studi preliminari, da una previsione di crescita della popolazione allo studio storico
del luogo. Inoltre è necessaria una valutazione di quanti e quali edifici pubblici sono
necessari e la loro migliore collocazione. Le piazze non devono essere pensate come
“luoghi avanzati dalla divisione del terreno in lotti”, devono avere una loro precisa
identità, gli edifici ad uso abitativo o per istituzioni non devono essere progettati
separatamente, ma in correlazione alle strade ad ai gruppi di piazze.
Autore:
Ilaria Barnini
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Camillo Sitte, “L’arte di costruire le città - L’urbanistica secondo i suoi fondamenti
artistici”, 1980.
Cenni biografici sull’autore.
Camillo Sitte, architetto,urbanista e saggista austriaco (Vienna 1843 - 1903). Aperto ad
interessi diversi, viaggiatore instancabile, venne progressivamente concentrando il suo
pensiero e la sua attività sul problema della forma della città nella sua opera
fondamentale, ”L’arte di costruire la città” (1889). Egli contrappose alla
schematizzazione e povertà della città ottocentesca l’organizzazione e la ricchezza
della città antica, particolarmente di quella medioevale. La visione di Sitte, importante
per aver richiamato l’attenzione sul degradamento in atto nell’ambiente urbano, fu
peraltro incapace di cogliere la dialettica connessione tra le componenti economiche,
sociali e culturali che è alla base del processo di continua trasformazione della città.
Meno importante la sua attività operativa di cui si ricordano la chiesa di Vienna e
numerosi progetti per l’ampliamento o sistemazione di città.
Differenza tra la sistemazione delle piazze antiche e quella delle piazze moderne.
Per capire come nasce una città bisogna risalire ai motivi che spingevano i nostri
antenati a costruirle. Si deve tenere presente che nel medioevo e nel rinascimento,le
piazze urbane avevano una pratica utilizzazione per lo svolgimento della vita pubblica
e presentavano peraltro una strana concordanza con gli edifici circostanti, mentre oggi
le piazze hanno un fine del tutto pratico: servono, infatti, tutt’al più come zone per il
parcheggio dei vari veicoli, ecc. In altre parole è andato perduto ciò che contribuiva
allo splendore delle piazze antiche. È cambiata la decorazione figurativa, la
sistemazione di statue e sculture. Ad esempio, un tempo le statue venivano collocate
sui lati delle piazze, come per lo stesso David di Michelangelo, quasi per creare uno
sfondo, uno scenario, oggi invece si pensa che l’unico luogo adatto alla collocazione di
un qualsiasi monumento, sia il centro di una piazza.
Alla regola dell’antichità classica di porre i monumenti ai lati delle piazze, segue
l’analoga regola mediante la quale si collocano i monumenti e in particolar modo le
fontane, nei punti morti della circolazione. Queste due regole sono seguite sia per
evitare correnti di traffico troppo intense, sia per conseguire effetti artistici.
Rapporto tra piazze e chiese e palazzi civici.
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Per quanto riguarda le chiese, di solito, in passato erano affiancate da altri edifici,
mentre oggi, vengono generalmente costruite nel mezzo delle piazze: così facendo,
però, viene negato ogni minimo rapporto organico con lo spazio circostante.
In genere le piazze possono avere due forme: una allungata in estensione e una
allungata in profondità. Quello che definisce la forma di una piazza è la posizione
dell’edificio principale. Di solito le piazze caratterizzate dalla presenza di una chiesa
sono considerate allungate in profondità, mentre quelle in cui si alza un palazzo civico,
sono allungate in estensione. Anche l’ampiezza delle piazze,come la forma, è
normalmente in rapporto con gli edifici dominanti. Ma comunque ci deve essere una
buona proporzione fra la dimensione della piazza e quella degli edifici che sono
presenti in essa. Infatti, la dimensione eccessiva di una piazza, può esercitare
un’influenza nefasta sugli edifici circostanti.
Sistemazione delle piazze nei paesi nordici.
Ritornando al ruolo delle chiese nelle piazze, si può dire che nei paesi nordici queste
vengono isolate. Ciò accade soprattutto per le cattedrali, che sorgono in genere nel
luogo in cui in passato esisteva un cimitero, con al centro un santuario. Inoltre la
facciata di queste cattedrali è preceduta da una piazzetta piuttosto ampia, che sottolinea
la parte dove è situato l’ingresso, per guidare le folle di fedeli.
Gli architetti nordici non seguirono come modello il Foro Romano, perché i loro
progetti nascevano da un diretto contatto con i luoghi, generando così, soluzioni
sempre diverse e naturali. In questi casi il centro della piazza non coincideva quasi mai
con il centro dell’edificio (chiesa o palazzo), al contrario di quanto accade con gli
architetti moderni, che non studiando prima di tutto il luogo, danno vita ad architetture
banali, che hanno sempre o quasi, il centro geometrico coincidente con quello della
piazza in cui sorgono.
Gli architetti moderni, per il loro progettare a tavolino, possono essere accomunati a
quelli dell’età barocca, però con l’unica differenza che le architetture barocche furono
grandi opere ,perché i loro architetti pur non studiando a fondo il luogo, facevano in
modo che gli schemi geometrici adottati non rimanessero fini a loro stessi, cosa che
invece accade nelle architetture moderne.
Differenze nell’urbanistica moderna rispetto ai tempi antichi.
L’urbanistica moderna è ricca di schemi geometrici ,angoli e linee rette, che usati in
modo banale (come nell’allineamento delle case), non creano altro che piani regolatori
privi di “sentimento”.
Ma non è detto che per avere creazioni originali, bisogni abbandonare linee ed angoli
retti, anzi al contrario, come facevano gli antichi, bisogna utilizzarli tenendo presente il
legame tra causa ed effetto.
Un tempo ad esempio, si cercava di costruire la città, creando spazi aperti liberi, di
forma regolare e commisurata ad un determinato effetto. Oggi invece, sono i lotti
fabbricativi, ad essere di forma ben definita e ciò che rimane libero tra essi, spesso di
forma del tutto irregolare, diventa piazza o strada.
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Tutto questo accade per la pigrizia degli architetti moderni, che sembra abbiano paura
di operare su lotti fabbricativi di forma irregolare, cosa che magari li porterebbe anche
a soluzioni meno banali.
Conclusione di questo modo di costruire è la creazione di piazze in cui è impossibile
erigere un qualsiasi edificio o monumento, che possa essere messo in risalto.
Gli schemi dell’urbanistica moderna.
Oggi i costruttori sembra facciano coincidere la regolarità, unicamente, con gli schemi
circolari, centrici. Così facendo, non si rendono conto che, queste piazze circolari, pur
colpendo sulla carta, contengono molti punti di fuga, a causa dei quali, attraversando la
piazza si ha l’impressione di avere sempre lo stesso spettacolo davanti agli occhi. Ecco
perché gli antichi cercavano di evitare tali soluzioni: secondo loro la regolarità doveva
essere pensata come soluzione dei problemi di circolazione in città, ma nello stesso
tempo doveva essere sostenuta dall’arte.
Un altro errore in cui non devono cadere gli urbanisti moderni è la cattiva sistemazione
del verde pubblico. Infatti esso svolge prevalentemente due funzioni: decora gli spazi e
contribuisce alla purificazione dell’aria. L’urbanista, dunque, se desidera creare uno
spazio verde che abbia funzione depurativa per l’aria e non soltanto decorativa, deve
prevedere un ampio spazio che contenga più alberi raggruppati, evitando, per esempio,
di disporli uno lontano dall’altro, come avviene spesso lungo i viali: in questo caso
avrebbero solo funzione decorativa.
Rapporto tra arte e tecnica.
L’urbanistica moderna ha fatto enormi progressi nel campo dell’igiene, ma spesso ciò è
accaduto a discapito dell’aspetto esteriore della città. Ma è possibile che questi
miglioramenti si possano ottenere solo ad un prezzo così alto? No, perché il rinunciare
ad innumerevoli bellezze per tener conto dei nuovi metodi di costruire delle esigenze
igieniche, non deve scoraggiare a tal punto da dover rinunciare alla soluzione artistica
dei problemi e quindi accontentarsi di soluzioni puramente tecniche, si deve cercare di
conciliare, anzi, arte e tecnica.
Soluzioni per il miglioramento dell’urbanistica moderna.
Nell’antichità la sistemazione della città non era lasciata al caso, bensì era eseguita in
base alla tradizione del popolo e alle circostanze locali. Quindi anche l’urbanistica
moderna, per essere funzionale, non deve affidarsi al caso, ma deve seguire
determinate regole, anche riprese dal passato.
I quartieri devono essere costruiti in base a ciò che devono diventare, per cui
l’architetto deve indagare, deve fare un calcolo delle probabilità per rendersi conto del
compito da assolvere.
Dopodiché deve essere tenuto presente un vero e proprio programma, in cui, come
prima fase, si ha un calcolo approssimativo dell’accrescimento della popolazione del
quartiere da progettare e come seconda fase, si devono fissare gli eventuali edifici
pubblici da costruirvi.
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Ciò fatto, si tratta di raggruppare questi diversi edifici nel miglior modo possibile e di
fissare la rete viaria che li mette in comunicazione.
Bibliografia.
“L’arte di costruire la città”,Camillo Sitte, a cura di Luigi Dodi, A. Vallardi Editore,
Milano 1953.
Autori:
Giulia Brutto
Martina Becuzzi
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