LA MECCANICA QUANTISTICA ED IL PRINCIPIO DI INDETERMINAZIONE PREMESSA Fra le tante conquiste della scienza di questo secolo, la più importante è forse la meccanica quantistica. Formulata da un manipolo di fisici europei di straordinario talento, la scienza dell'atomo ci ha obbligato ad alcune profonde e controverse modificazioni della nostra visione della natura: a seconda di come si compiono le osservazioni, la materia si può presentare sotto forma di onde o di particelle e causa ed effetto non sono più intimamente legati. Questa interpretazione della meccanica quantistica (le regole su come e quando applicarla e ciò che essa ci dice del mondo fisico) fu formulata in maniera definitiva durante il Congresso di Copenaghen del 1927. Uno dei principali ideatori e più attivi sostenitori della interpretazione di Copenaghen fu Werner Karl Heisemberg, venticinquenne nel 1927, autore del principio di indeterminazione che costituisce un tassello fondamentale nel mosaico della interpretazione di Copenaghen. TEORIA DEI QUANTI L'esigenza di modelli fisici, che fossero in grado di spiegare i fenomeni di interazione fra le radiazioni luminose e la materia (ovvero l'assorbimento e l'emissione della luce in rapporto a corpi materiali), si era già manifestata negli ultimi anni dell'Ottocento. Infatti la fisica classica non era in grado di giustificare lo spettro (un insieme di radiazioni rivelabile con sistemi ottici e lastre fotografiche) emesso, per riscaldamento, da un corpo nero (un sistema cavo in grado di emettere ed assorbire, senza rifletterne alcuna, tutte le radiazioni che lo colpiscono). Il fisico tedesco Plank per primo ipotizzò che il corpo nero potesse assorbire ed emettere energia non in maniera continua ma secondo quantità discrete denominate "quanti". La sua equazione E=h esprime il fatto che l'emissione o l'assorbimento dell'energia dipende, per mezzo di una costante, dalla frequenza (che presenta valori finiti) di una radiazione. Plank non riuscì a provare sperimentalmente l'esistenza dei quanti ma la sua teoria fu di enorme importanza da punto di vista teorico e pratico. Questa teoria si innestava nella controversia secolare sull'interpretazione del fenomeno della luce. Alcuni di questi erano stati interpretati mediante l'ipotesi di un moto di propagazione per onde (ad esempio dall'olandese Huygens nella seconda metà del Seicento), mentre altri fenomeni erano stati interpretati mediante la teoria corpuscolare (ad esempio Newton nella prima metà del Settecento). Nella seconda metà dell'Ottocento, mentre sembrava prevalere, dopo una serie di esperienze, la teoria della luce vista come propagazione delle onde, un nuovo fenomeno fece riaprire la questione: si trattava del cosiddetto effetto fotoelettrico. EFFETTO FOTOELETTRICO Tale effetto consiste nel fatto che un metallo alcalino investito da una radiazione di piccola lunghezza d'onda (e quindi di grande energia) emette degli elettroni. La peculiarità del fenomeno dipendeva dal fatto che la variazione della intensità della radiazione influenzava il 1 numero ma non la velocità (e quindi l'energia) degli elettroni che uscivano dal metallo: questo fatto non era spiegabile con la fisica classica. In un suo saggio del 1905, che gli valse il Nobel, Einstein dimostrò che questo comportamento dipendeva dal fatto che la luce non è emessa in quantità variabili in modo continuo ma secondo quantità (o quanti) finite dette "fotoni". A questo punto l'indeterminazione sul duplice aspetto della luce (corpuscolare o ondulatoria) indusse ad ipotizzare un differente tipo di meccanica per il mondo macroscopico e quello microscopico. MECCANICA QUANTISTICA L'esistenza dei quanti, per quanto ampiamente provata, richiedeva, per acquistare il valore di teoria, un'opportuna formulazione matematica. Due trattazioni matematiche, formulate indipendentemente l'una dall'altra e successivamente unificate, denominate rispettivamente meccanica ondulatoria (sviluppata dal fisico austriaco Erwin Schrödinger) e meccanica delle matrici (sviluppata dal fisico tedesco Heisemberg) furono il nerbo della meccanica quantistica. La meccanica delle matrici (sostenuta da scienziati come Bohr , Heisemberg, Born, Pauli, Dirac) era basata sulla meccanica del calcolo delle matrici. Essa sosteneva l'esistenza di entità essenziali , come i salti quantici degli elettroni e la discontinuità all'interno dell'atomo e respingeva l'idea di modelli atomici visualizzabili. Questa teoria assecondava l'inclinazione degli autori a considerare le sole grandezze osservabili. Schrödinger, trentanovenne fisico viennese, che allora lavorava a Zurigo, affrontò i rompicapo della fisica atomica da una prospettiva e con fini affatto diversi. In una serie di memorie pubblicate nella prima metà del 1926, Schrodinger presentò un'equazione d'onda quantistica basata su una proposta avanzata dal francese Louis Victor De Broglie nella sua tesi di dottorato. L'idea, accolta favorevolmente anche da Einstein, era che tutta la materia in moto si poteva considerare composta da onde. Schrödinger sfruttò questa ipotesi per sostenere che "l'onda di materia" degli elettroni instaurava, all'interno dell'atomo, modi vibrazionali armonici. Questi modi sostituiscono gli stati atomici stazionari della teoria delle matrici ed i salti quantici discontinui diventano transizioni continue da un modo armonico all'altro. In particolare Schrödinger fece uso delle leggi della meccanica ondulatoria, tenendo conto del fatto che queste ultime non potevano essere applicate in maniera incondizionata ai sistemi microscopici, la cui peculiarità era quella di assorbire ed emettere quantità discrete di energie. De Broglie aveva avuto la grande intuizione che se il fenomeno della luce, oltre che ad essere descritta in maniera soddisfacente dalla ottica ondulatoria, presentava anche delle caratteristiche corpuscolari, allora era anche possibile che dei corpuscoli come gli elettroni potessero avere un comportamento del tipo ondulatorio cioè ad una massa in moto potesse essere associata una lunghezza d'onda (detta gravitazionale). De Broglie applicò l'equazione = h / mc (che esprime la duplice natura ondulatoria e corpuscolare della luce, legando la radiazione la massa del fotone m e la velocità della luce c , mediante la costante di Plank) ad un elettrone di massa m e velocità v ottenendo l'equazione = h / mv . Il comportamento ondulatorio degli elettroni fu provato ottenendo un fenomeno di diffrazione (tipico fenomeno della luce interpretato con la teoria ondulatoria) inviando un fascio di elettroni su un reticolo cristallino che fungeva da fessura. Naturalmente il moto della particella non era descrivibile dalla equazione: 2 Error!= Error! atta a descrivere l'andamento di una radiazione monocromatica. La modifica apportata da Schrödinger consisteva nell'introdurre al posto di espressione h / mv , ottenendo l' equazione, secondo l'asse delle x: d2 (x) - 8 2 m ( E - V) = dx 2 h2 la (x) Considerando l' equazione lungo le tre direzioni si ottiene d2 (x) dx 2 ed + d2 (y) dy 2 ancora + d2 (z) dz 2 + + 2 8 2 m ( E - V) (x) h2 - 8 2 m ( E - V) h2 =0 (x) = 0 (1) dove - 8 2 m ( E - V) detto operatore hamiltoniano, traduce in termini quanto h2 meccanici le somme delle energie cinetiche e quelle delle energie potenziali dell' elettrone. Un operatore è un costrutto matematico che definisce una serie di operazioni da eseguire su una funzione (operando) per trasformarla in un'altra funzione secondo Of(x) = g(x) dove O è l'operatore, f(x) è l'operando e g(x) l'altra funzione. I termini elettrostatici del' operatore Hamiltoniano sono di questo tipo. Nella meccanica quantistica per ogni operatore O esistono delle funzioni tali da dare luogo all' operazione O(x) = (x) cioè l'effetto è quello di riprodurre la stessa funzione moltiplicata per un numero Ciò significa che per questa equazione sono accettabili solo determinate soluzioni (x) per determinati valori di . Quindi l'equazione (1) ammette un numero finito di soluzioni . Questa funzione, detta orbitale , descrive ragionevolmente lo stato dell' elettrone. L' elettrone considerato come radiazione elettromagnetica ammette un numero finito di stati energetici quantizzati, dotati di valori discreti dell' energia (E - V). Se fosse stata vera, la formulazione di Schrödinger avrebbe vanificato le entità essenziali della meccanica delle matrici di Heisemberg. La maggioranza dei fisici accolse con favore la formulazione matematica di Schrödinger più consueta , ma non si sbilanciarono sulla sua interpretazione. Nel maggio del 1926 Schrödinger pubblicò una dimostrazione dell' equivalenza dei due formalismi matematici, nella quale attribuiva alla propria teoria un valore superiore all'altra, in quanto i metodi dell'algebra trascendente portava alla mancanza di visualizzabilità. Heisemberg rispose per le rime affermando che quanto scriveva Schrödinger sulla visualizzabilità probabilmente non era corretto, ma dovette constatare lo schiacciante favore 3 di cui godevano le idee del rivale nell'ambito degli scienziati tedeschi. Nell' ottobre 1926, a Copenaghen, si svolse il dibattito, intenso ma non decisivo fra Bohr e Schrödinger. L' esito fu che nessuna delle interpretazioni dei due formalismi della meccanica quantistica venne riconosciuto del tutto accettabile. Chiunque, da una parte o dall'altra, avesse trovato una interpretazione soddisfacente, avrebbe potuto realizzare i propri auspici per una fisica del futuro. Nel febbraio del 1927 Heisemberg credette di essersi imbattuto nella interpretazione cercata: il principio d' indeterminazione . Il percorso intellettuale che lo portò a questa idea tra la fine del 1926 e l'inizio del 1927 partiva dalle ricerche dei suoi collaboratori più stretti, Jordan e Dirac, che insieme formularono la "teoria della trasformazione" la quale riuniva i formalismi della meccanica ondulatoria e matriciale. Lo scopo di Heisemberg era quello di scoprire un modo inconfutabile per incorporare la discontinuità del suo metodo nel formalismo di Dirac e Jordan. Prendendo spunto da un lavoro di Pauli, Heisemberg elaborò il principio che prese il suo nome. Partendo da alcuni esperimenti teorici, fra i quali quello di un microscopio a raggi gamma che deve individuare un elettrone, Heisemberg affermò che non si può conoscere, con la precisione desiderata, contemporaneamente la posizione e la quantità di moto di un elettrone. Invece di parlare della posizione e della quantità di moto, si può parlare della probabilità che l' elettrone possa trovarsi in una certa posizione e di avere una certa quantità di moto. Il principio di Heisemberg afferma che non è possibile seguire la traiettoria di un elettrone ma ipotizzare, in termini probabilistici, che esso possa seguire una certa direzione e che possa trovarsi con una certa probabilità in zona di maggiore probabilità elettronica. In breve, il principio di indeterminazione asserisce che la misurazione di due variabili coniugate, come la posizione e la quantità di moto (o momento lineare) di una particella, si può effettuare solo con precisione limitata. Quanto più precisa è la misura della posizione, tanto più imprecisa è quella della quantità di moto e viceversa. Nel caso limite, una precisione assoluta per una delle variabili porterebbe all' imprecisione assoluta per l'altra. Questa indeterminazione non è attribuibile all' errore sperimentale, ma è una conseguenza fondamentale delle equazioni quantistiche e di qualsiasi esperimento quantistico. Inoltre dichiarò che finché la meccanica quantistica fosse stata valida, il principio di indeterminazione non sarebbe stato mai violato. Era la prima volta dalla rivoluzione galileiana che un fisico eminente proclamava l' esistenza di limiti nella comprensione scientifica. Heisemberg aveva cercato di incorporare in questo principio la discontinuità e le particelle. Questa ridefinizione era strettamente legata alla ridefinizione di certi concetti classici come posizione, velocità e traiettoria di una particella atomica in termini delle operazioni sperimentali effettuate per misurare le grandezze suddette: una forma di operazionismo. Solo ciò che il fisico può misurare ha un significato reale ed in queste misurazioni si manifestano sempre le relazioni di indeterminazione. Inoltre sosteneva Heisemberg, benché la fisica quantistica contenga un elemento statistico fondamentale, questo elemento non è proprietà intrinseca: esso si manifesta a causa della perturbazione provocata dallo scienziato nel tentativo di osservare la natura. Inoltre Heisemberg fece un'altra affermazione esplicita su una delle conseguenze più profonde dell'indeterminazione: una sfida alla causalità. Heisemberg si spinse a negare il principio di causalità: "se conosciamo il presente possiamo conoscere il futuro" cioè se la posizione e la quantità di moto di una particella sono noti con precisione in un certo istante, allora, conoscendo tutte le forze agenti sulle particelle, il suo moto è completamente determinato in tutti gli istanti successivi dalle equazioni della meccanica. Per Heisemberg non è sbagliata la conclusione bensì la premessa, cioè i valori delle quantità di moto e delle posizioni non possono essere misurati simultaneamente con precisione. Quindi per ogni 4 istante futuro si può calcolare soltanto un intervallo di valori possibili della posizione e della quantità di moto delle particelle. Il legame fra il presente ed il futuro è perduto e le leggi e le previsioni della meccanica quantistica assumono una natura puramente probabilistica ossia statistica. Tuttavia, secondo lo stesso maestro di Heisemberg, Nils Bohr, le relazioni di indeterminazione non scaturivano solo dal formalismo, dalla ridefinizione di concetti fondamentali e dalla preminenza della discontinuità e delle particelle sulle onde continue. L' errore riguardava l' eccessiva fiducia che Heisemberg accordava alla discontinuità ed alle caratteristiche corpuscolari dei quanti di luce in uno dei suoi fondamentali esperimenti concettuali, quello cosiddetto del microscopio a raggi gamma. Erano di cruciale importanza anche il dualismo onde-particelle. Il principio di indeterminazione riflette una indeterminazione che è nella natura stessa: la realtà della meccanica quantistica non corrisponde alla realtà macroscopica ed il punto non è che non si possa conoscere simultaneamente quantità di moto e posizione di una particella, quanto il fatto che la particella non possiede nemmeno una quantità di moto ed una posizione precisa. Dopo un duro contrasto con Bohr, Heisemberg riconobbe le ragioni del suo maestro, che nel convegno Internazionale di Fisica, tenutosi nel settembre del 1927 a Como, illustrò la complementarità delle due teorie: la rappresentazione ondulatoria e quella corpuscolare, pur essendo complementari, ossia mutualmente esclusive, apparivano congiuntamente essenziali. Nel lustro che seguì il convegno di Como, nonostante le perduranti obiezioni di maestri come Einstein e Schrödinger, Heisemberg ed altri riuscirono a fare accettare la loro interpretazione, formulando importanti teorie quantistiche sullo stato solido cristallino, sulla struttura molecolare, sulla diffusione delle radiazioni da parte dei nuclei e sulla struttura nucleare degli atomi. Nel 1933 Heisemberg ottenne, insieme a Schrödinger e Dirac il premio più ambito: il Nobel. 5