1° gennaio
MARIA SS. MADRE DI DIO




Nm 6,22-27 - Invocheranno il mio Nome e io li benedirò.
Dal Salmo 66 - Rit.: Dio ci benedica con la luce del suo volto.
Gal 4,4-7 - Dio mandò il suo Figlio, nato da donna.
Canto al Vangelo - Alleluia, alleluia. Molte volte e in diversi modi Dio ha parlato ai
nostri padri per mezzo dei profeti; oggi, invece, parla a noi per mezzo del Figlio.
Alleluia.
 Lc 2,16-21 - I pastori trovarono Maria e Giuseppe e il bambino.
PER COMPRENDERE LA PAROLA
PRIMA LETTURA
Questa breve formula di benedizione (verosimilmente da mettere in relazione con Lv
9,22) era pronunciata sul popolo dai sacerdoti di Israele, al termine delle cerimonie di
culto. Nella sua limpidezza e sobrietà, essa offre una sintesi molto significativa del
pensiero religioso del popolo ebraico: quando Dio bene-dice (cioè: nomina e promette un
bene) nel medesimo tempo lo dona; la sua parola è pienezza di dono. Perciò il senso
profondo della benedizione cultuale è quello di far risalire a Dio, alla generosità e alla
gratuità del suo dono, tutti i beni e le ricchezze di cui è dato all’uomo godere. L’uomo
riconosce che da solo non potrebbe realizzarli e che vengono elargiti in forza di una vita
condotta in armonia con Dio (cf vv. 25a.26a); perciò nella benedizione è implicito anche
un senso di comunione (o riconciliazione) con Dio, e di riconoscenza da parte dell’uomo
stesso.
Questa pienezza di beni, pur evocando per la mentalità ebraica anche immagini di
prosperità materiale, al vertice è essenzialmente presenza di Dio nella vita dell’uomo; e
corrisponde a quell’insieme di realtà che il linguaggio e la mentalità biblica sintetizzano
nel termine «pace» (cf v. 26b). Ciò spiega perché i due termini benedizione e pace siano
sovente associati per esprimere un’idea di pienezza, di integrità e armonia.
Gesù Cristo è la benedizione di Dio per eccellenza: egli è il dono perfetto del Padre ai suoi
figli, e nel medesimo tempo è la perfetta azione di grazie dell’uomo a Dio. Questo mistero
si realizza pienamente nella celebrazione eucaristica.
SALMO
Il tono del salmo è in perfetta rispondenza con il contenuto della 1a lettura: il raccolto
dell’annata, particolarmente abbondante, ha rallegrato il cuore di tutti. Il salmista,
facendosi interprete dei sentimenti comuni, innalza un inno a Dio che si è dimostrato
generoso e benevolo verso il suo popolo; ed esprime nel medesimo tempo l’intima
soddisfazione di Israele nel sentirsi oggetto della «benedizione» di Dio (v. 2).
La benevolenza elargita a Israele faccia conoscere a tutti i popoli la via e la salvezza di
Iahvè (v. 3); e sia per loro un invito a rendere culto al vero Dio (vv. 5-6).
Facendo nostri i sentimenti dell’antico Israele, noi ringraziamo Dio per la pienezza di
benedizione che ci ha dato un altro «frutto della terra»: Gesù, Signore dell’universo e
salvezza di tutte le nazioni.
SECONDA LETTURA
Dopo una prima parte autobiografica (cc. 1-2) rivolta a dimostrare che il vangelo da lui
predicato è quello autentico di Gesù Cristo, Paolo entra in pieno argomento dottrinale. Il
Maria SS. Madre di Dio - “Omelie per un anno - vol. 1”, Elledici
1
contenuto di questa seconda parte della lettera si può così riassumere: ormai,
all’economia della legge – che teneva gli uomini in stato di minorità e di schiavitù – è
subentrata l’economia della fede (cap. 3) e della grazia (cap. 4), in forza della quale ogni
uomo ha la possibilità di diventare un figlio di Dio libero e adulto.
• La lettura odierna ci introduce nel vivo del parallelismo legge-grazia:
Quando venne la pienezza del tempo (v. 4a)
Dio mandò il suo Figlio (v. 4b)
nato da donna,
nato sotto la legge (v. 4c)
perché ricevessimo l’adozione a figli (v. 5b)
per riscattare coloro che erano
sotto la legge (v. 5a).
E che voi siete «figli»
ne è prova il fatto che Dio ha mandato
nei nostri cuori lo «Spirito del suo Figlio»
che grida: Abbà, Padre! (v. 6).
Troviamo qui evidenziati alcuni elementi interessanti:
– l’atto libero e gratuito di Dio il quale – nel momento da lui stabilito – manda il proprio
Figlio;
– la libera accettazione del Figlio il quale – rinunciando in un certo senso alle prerogative
di Figlio unigenito – si sottopone, nella sua condizione storica, alle leggi comuni per tutti
gli uomini:
legge della nascita fisica, per quanto riguarda la sua natura umana;
legge religioso-morale, per quanto riguarda la sua appartenenza al popolo ebraico (in
questa luce vanno letti anche i versetti di Lc 2,16-21 che fanno quasi da parallelo),
allo scopo di liberare gli uomini da tutte le esigenze negative della legge e farli passare
dalla condizione di schiavi alla condizione di figli;
– ciò si verifica in forza di una relazione nuova che viene a stabilirsi tra l’uomo e Dio:
relazione di amore filiale, animata dallo «Spirito del Figlio» ad opera del quale la volontà
del Padre è compiuta non più per imposizione della legge, ma per forza e impulso di
amore.
– Sotto questo profilo, ritroviamo la ragione ultima del mistero dell’incarnazione: il dono
di salvezza – la benedizione – di Dio, che si specifica come filiazione divina, ci viene dato
in Gesù Cristo; nel suo nome siamo salvati, se crediamo che sotto le apparenze umane
vive ed opera la potenza e la grazia divina contenuta nel nome di Gesù.
VANGELO
La presentazione di Gesù al tempio, la circoncisione e l’imposizione del nome esprimono
il mistero totale della sua persona: inserito come vero uomo nel popolo di Dio, egli
realizzerà il significato del suo nome e sarà benedizione e salvezza per tutti gli uomini.
Il Vangelo è sostanzialmente il medesimo della Messa natalizia dell’aurora; il presente
commento si limita al v. 21.
• La circoncisione rinnovava il rito dell’alleanza ed era segno dell’appartenenza al popolo
eletto e salvato da Dio; in questo caso, poiché il bambino presentato al tempio è lo stesso
Salvatore del suo popolo e dell’umanità, la sua circoncisione, come rito esteriore, si limita
ovviamente a significarne l’inserimento nel popolo di Dio in quanto uomo.
Il rito esteriore, tuttavia, era di per sé insufficiente se non corrispondeva a quelle
disposizioni interiori che, già secondo lo spirito dei libri profetici e del Deuteronomio,
costituiscono la vera circoncisione.
Maria SS. Madre di Dio - “Omelie per un anno - vol. 1”, Elledici
2
La circoncisione del cuore, intesa come amore di Dio e del prossimo (cf p. es. Dt
10,16-18; 30,6); questo concetto sarà ripreso e perfezionato da s. Paolo: dopo che Gesù
Cristo ha sancito nel suo sangue la nuova alleanza, in forza della quale tutti gli uomini
sono resi partecipi dei benefici e delle promesse di Dio, non hanno più valore né la
circoncisione né 1’incirconcisione; l’antico rito è superato e perfezionato nell’ordine nuovo
della fede e della carità (cf Gal 5,6; 6,15; 1 Cor 7,19; Rm 3,29-30).
• L’imposizione del nome. All’epoca neotestamentaria, il rito della circoncisione si
concludeva con l’imposizione del nome al bambino. Secondo la concezione ebraica, il
nome esprimeva il destino, la vocazione di colui che lo portava; ancor più profondamente,
il nome si identificava quasi con l’essere stesso della persona che lo portava. Perciò,
quando Dio sceglie qualcuno per una vocazione particolare, gli cambia nome (cf p. es. Gn
17,4-5); e quando qualcuno è investito di una missione divina, il suo nome viene indicato
da un messaggero celeste (cf Lc 1,13.31.59-63; 2,21).
Il nome di Gesù, che viene imposto al bambino presentato al tempio da Maria e Giuseppe,
non era insolito nell’onomastica ebraica; tuttavia in questo caso sta ad indicare con
un’intensità unica l’essere di colui che lo porta, in tutta la sua pienezza e singolarità; la
sua missione e il rapporto che intercorre tra lui e Dio.
Il significato etimologico del nome Gesù: Dio salva, ci introduce in pieno nel mistero di
Cristo: dall’incarnazione, alla nascita, alla circoncisione, al compimento pasquale della
morte-risurrezione, Gesù è per noi in tutto il suo essere, la sua vita, la sua persona, la
perfetta benedizione di Dio, dono di salvezza e di pace per tutti gli uomini. Siamo salvati
nel suo nome (cf At 2,21; Rm 10,13), cioè quando entriamo in contatto con il suo mistero
di salvezza (cf Gaudium et spes, 22).
PER ANNUNCIARE LA PAROLA (piste di omelia)
La pace, dono e frutto
La pace è anzitutto dono di Dio: benedizione, vita, benessere, felicità. Ma è anche frutto
dell’uomo: rinuncia all’egoismo, alla violenza, all’odio e ricerca di giustizia, di servizio e di
fraternità. Maria, che ha donato al mondo il Signore della pace, è un modello di
realizzazione personale – come donna, come madre – nella risposta di amore alla
chiamata di Dio.
L’assemblea cristiana è segno e promessa di un incontro pacifico e fraterno degli uomini.
Colui che ci dà la pace ci manda anche ad annunciarla e a realizzarla. L’autenticità della
vita cristiana di una comunità si misura dal suo impegno nel costruire la pace.
La spiegazione del nome «Gesù» (= Dio salva) ci fa entrare in pieno nel tema della
salvezza. Essa è una realtà ricca, gioiosa, personale. Deve essere sviluppato l’aspetto
positivo della salvezza di Cristo: non venga vista solamente come liberazione dal peccato
e salvataggio dall’inferno, ma come alleanza con Dio, donazione sovrabbondante di vita.
La celebrazione della Giornata della pace deve far cogliere il nesso esistente fra pace e
salvezza, che diventano in Cristo un’unica identica realtà. Si metta da parte una troppo
facile retorica della pace, tutti siano incoraggiati all’impegno personale per la costruzione
di essa. L’adesione generosa a Cristo, che radica in noi il sentimento di giustizia, di
comprensione, di amore fino al sacrificio per gli altri, è lo strumento più efficace per
l’edificazione di una pace vera e duratura fra gli uomini. La pace, cristianamente intesa,
non è qualcosa di passivo, ma di estremamente attivo; non è fissità o inerzia, ma
progresso. La definizione spesso ripetuta della pace come tranquillità nell’ordine ha un
suo profondo significato, ma solo a patto che parliamo non di ordine statico, bensì di
ordine o equilibrio dinamico. Il cristiano sia guidato a scoprire una partecipazione vera
(anche se spesso inconscia) all’azione di pace promossa da Cristo sull’esempio di quegli
Maria SS. Madre di Dio - “Omelie per un anno - vol. 1”, Elledici
3
uomini, cristiani o no, che credono tanto nel valore della pace da essere disposti a dare la
loro vita per la realizzazione di essa.
Non la nostra, ma la sua pace
Due grossi problemi stanno di fronte alla comunità cristiana oggi: il problema della pace
nel mondo e il problema della ricerca di un modulo di esistenza nuova da offrire come
testimonianza e come possibilità di vita a tutti coloro che chiedono ragione della nostra
fede. I due problemi sono connessi. Le testimonianze sulla pace che conosciamo (Gandhi,
Schweitzer, ecc.) scandiscono un modo di essere cristiani fondato sull’amore, sulla
negazione della violenza, sullo stile di fraternità. Modello di questo stile di vita va senza
dubbio considerata Maria madre di Cristo. La sua esperienza è stata infatti una esperienza
di pace: sia perché ha vissuto fino in fondo la sua vocazione, sia perché ha offerto al
mondo il figlio della pace, Cristo Signore. Nel primo caso essa ha scoperto nella sua vita
un modo per realizzarsi come donna, nel secondo caso essa ha ubbidito a un disegno più
grande di lei, oggi ancora da perfezionare attraverso l’opera di evangelizzazione. La
grandezza di Maria è tutta qui: aver trovato un posto importante e responsabile nel piano
stabilito da Dio (e pertanto Maria è veramente una donna realizzata), facendosi serva del
Vangelo.
La parola di Dio oggi va letta proprio in questo senso: Maria è la parola di pace tradotta in
esistenza quotidiana.
• In effetti la pace del Signore non è mai stata una prerogativa astratta. Essa ha
accompagnato il popolo d’Israele nelle sue principali vicende, non solo come semplice
augurio (shalom), ma come tipica condizione di vita.
Per l’antico ebreo la parola shalom (1a lettura) indicava una condizione di vita personale
e corporativa più ampia che non l’assenza di conflitto armato qual è designata dal nostro
termine «pace», e più ampia pure del recente vago concetto di «pace della mente» o
«pace dell’anima». Non è una cosa così individualistica, immateriale o insulsamente
spirituale. Shalom è una condizione positiva di pace, gioia, reciprocità umana, armonia
sociale, esaltazione della giustizia. Significa abbondanza, buona salute, vicinanza. Per gli
ebrei shalom era qualcosa che si diffondeva sull’intera vita della comunità; voleva dire
danzare nelle strade e battere le mani.
Ma shalom era qualcosa che solo Dio poteva dare, perché è la caratteristica della nuova
età portata dal Messia. Egli è il portatore dello shalom, il principe della pace.
• La pace del Signore non è oggi soltanto più una promessa e quindi un saluto di augurio.
È un’indicazione, poiché la pace di Dio è stata vista, sperimentata, consegnata nelle
nostre mani. Maria è la prima e singolare testimone di questa novità. Ha visto come
madre, e quindi come stretta congiunta, l’esperienza di pace che è in Cristo. Ha dato a noi
il primo frutto della pace, con la fede che essa ha cresciuto nel suo cuore di fronte al figlio.
Infatti:
– Maria per prima ha ricevuto ascolto da parte di Dio. Dio l’ha fatta sua. La vera
riconciliazione è questa accoglienza di Dio nei nostri confronti. Se Dio non ci accoglie, noi
non possiamo vivere in pace.
– Maria ha vissuto questa pace facendosi essa stessa strumento di pace, accogliendo i
fratelli come ha accolto il suo Figlio. La pace è un regime di universale accoglienza.
– Maria ha vissuto la sua esperienza nella speranza, riponendo fiducia e fedeltà in Dio.
Essa ha giocato la sua esistenza non sulla violenza o sull’egoismo, ma sulla qualità
dell’amore di suo Figlio. «Voi – annuncia Paolo – avete ricevuto lo Spirito di adozione a
figli» (Rm 8,15). L’adozione a figli è la nostra vera condizione di pace.
Maria SS. Madre di Dio - “Omelie per un anno - vol. 1”, Elledici
4