XXXIII domenica del tempo ordinario 17 novembre 2002 Prima lettura Dal libro dei Proverbi (Pro 31,10-13.19-20.30-31) 10 Una donna perfetta chi potrà trovarla? Ben superiore alle perle è il suo valore. 11In lei confida il cuore del marito e non verrà a mancargli il profitto. 12Essa gli dà felicità e non dispiacere per tutti i giorni della sua vita. 13Si procura lana e lino e li lavora volentieri con le mani. 19Stende la sua mano alla conocchia e mena il fuso con le dita. 20Apre le sue mani al misero, stende la mano al povero. 30Fallace è la grazia e vana è la bellezza, ma la donna che teme Dio è da lodare. 31Datele del frutto delle sue mani e le sue stesse opere la lodino alle porte della città. Parola di Dio. Dal Salmo 127 Rit. Beato chi cammina nelle vie del Signore. Beato l’uomo che teme il Signore e cammina nelle sue vie. Vivrai del lavoro delle tue mani, sarai felice e godrai d’ogni bene. La tua sposa come vite feconda nell’intimità della tua casa; i tuoi figli come virgulti d’ulivo intorno alla tua mensa. Così sarà benedetto l’uomo che teme il Signore. Ti benedica il Signore da Sion! Possa tu vedere la prosperità di Gerusalemme per tutti i giorni della tua vita. Seconda lettura Dalla prima lettera di Paolo apostolo ai tessalonicesi (1Ts 5,1-6) Fratelli, 1riguardo poi ai tempi e ai momenti, non avete bisogno che ve ne scriva; 2infatti voi ben sapete che come un ladro di notte, così verrà il giorno del Signore. 3E quando si dirà: «Pace e sicurezza», allora d’improvviso li colpirà la rovina, come le doglie una donna incinta; e nessuno scamperà. 4Ma voi, fratelli, non siete nelle tenebre, così che quel giorno possa sorprendervi come un ladro: 5voi tutti infatti siete figli della luce e figli del giorno; noi non siamo della notte, né delle tenebre. 6Non dormiamo dunque come gli altri, ma restiamo svegli e siamo sobrii. Parola di Dio. Alleluia, alleluia. (Mt 24,42.44) Vegliate e state pronti, perché non sapete in quale giorno il Signore verrà. Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 25,14-30) In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: 14«Un uomo, partendo per un viaggioA, chiamò i suoi serviB e consegnò loro i suoi beniC. 15A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, a ciascuno secondo la sua capacitàD, e partì. 16Colui che aveva ricevuto cinque talenti, andò subito a impiegarli e ne guadagnò altri cinque. 17Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. 18Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone. 19Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò, e volle regolare i contiE con loro. 20Colui che aveva ricevuto cinque talenti, ne presentò altri cinque, dicendo: Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnatiF altri cinque. 21Bene, servo buono e fedele, gli disse il suo padrone, sei stato fedele nel pocoG, ti darò autorità su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone. 22Presentatosi poi colui che aveva ricevuto due talenti, disse: Signore, mi hai consegnato due talenti; vedi, ne ho guadagnati altri due. 23Bene, servo buono e fedeleH, gli rispose il padrone, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prendi parte alla gioiaI del tuo padrone. 24Venuto infine colui che aveva ricevuto un solo talento, disse: Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso; 25per pauraL andai a nascondere il tuo talento sotterra; ecco qui il tuo. 26Il padrone gli rispose: Servo malvagio e infingardoM, sapevi che mietoN dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; 27avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. 28Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. 29Perché a chiunque ha sarà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha. 30 E il servo fannullone gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti». Parola del Signore. Note del testo La parabola delle vergini si conclude con un invito a vegliare. Il versetto seguente (inizio del vangelo di oggi), riprende: “Come infatti”. Ci deve essere un nesso tra le due cose, tra l’invito a vegliare e la parabola così introdotta. Che cosa significa “vegliare”? La parabola precedente conteneva già una risposta: sapersi equipaggiare per un tempo lungo. Ma da essa appariva già chiaro che “vegliare” non è solo stare svegli durante la notte: tutte quelle vergini si sono addormentate e questo non è un fatto che venga censurato. “Come infatti” allora vegliare? Matteo continua a porsi lo stesso problema anche nella parabola dei talenti, e la sua risposta è questa volta che la vigilanza deve ispirare le nostre occupazioni quotidiane. L’invito all’impegno operoso è presente anche nella prima lettura: l’elogio della donna forte che conclude il libro dei Proverbi. Il libro ha delineato pian piano l’immagine della persona saggia e ora raccoglie tutti i diversi elementi nel comporre il ritratto di questa donna ideale: è laboriosa, misericordiosa verso il povero; ha la sua bellezza nel timore santo di Dio che diventa impegno nelle opere buone. Non ha bisogno di altre lodi: quello che lei compie è esso stesso una lode sincera. (A): Ciò che giustifica la consegna dei beni è la partenza per un viaggio. Ci è dato di vivere la ricchezza della misericordia di Dio nella consapevolezza che tutto ciò che ci è dato nasce da quella condizione per cui un uomo è partito per un viaggio. La storia della salvezza ha spesso fatto riferimento a dei viaggi: il viaggio di Abramo, il viaggio di Mosè con il suo popolo, il viaggio di Gesù a Gerusalemme. Tutto ciò che siamo non ci deve fare dimenticare che se abbiamo dei doni li abbiamo in virtù di quei viaggi che nella Scrittura sono viaggi di salvezza. È il modo in cui prima di tutto Dio, e poi il suo popolo, ci descrivono cosa è racchiuso in quei doni che lui ci ha fatto. Altrettanto i carismi e quindi i ministeri che vengono esercitati all’interno della comunità cristiana devono sempre essere esercitati nella consapevolezza di un disegno di salvezza, nella consapevolezza che devono esprimere un evento di salvezza, anticipato nei grandi viaggi del primo Testamento e giunti al loro culmine nel grande viaggio di Gesù a Gerusalemme. (B): La condizione di coloro che si vedono destinatari dei beni dell’uomo che parte per un viaggio è la condizione di servi. Il servizio è la realtà nella quale esprimiamo in modo sommo ciò che Cristo ha compiuto nel suo viaggio verso Gerusalemme. In fondo, rispetto al viaggio che Gesù ha compiuto, la nostra fedeltà per la nostra condizione di servi è ben poca cosa. Ma è una realtà alla quale il Signore affida un valore immenso se vissuto nella consapevolezza che tutto dovrà essere a lui reso. (C): L’inizio della vita è la consegna di un patrimonio da parte di Dio a noi. Quel patrimonio non ce lo siamo del tutto meritato ed in fondo non appartiene del tutto a noi, perché della vita non possiamo fare ciò che vogliamo; essa appartiene al Signore ed è un dono che il Signore ci fa. (D): ‘A ciascuno secondo la propria capacità’: il termine usato è dynamin: che significa: a ciascuno secondo quanto può fare. È il talento che mette in condizione le persone di essere valorizzate. Il carisma non si sostituisce alla persona, ma si incarna. In fondo, è il dono di essere figlio che dà al figlio di essere figlio, se così si può dire, applicandolo a Gesù. Il termine dynamis è il termine usato a proposito dell’azione dello Spirito nella Chiesa, la sua potenza. Il dono non si sostituisce alla persona. Proverei a pensare a una Chiesa nella quale la presenza dei cristiani è presenza preziosa perché è la presenza di coloro che vengono resi, per il dono dello Spirito Santo, capaci. La capacità è legata al dono dello Spirito. Ecco allora l’importanza del discernimento dei doni dello Spirito. La dynamin, allora, è quella capacità non intesa come capienza, ma come quella condizione che, in virtù del carisma, mette in atto ciò che è, realizza ciò che è. Allora non ci stupiremmo più del poter mettere in atto la parola da parte dei poveri, se è vero questo. (E): Chi è Colui che viene e che vuole regolare i conti? Colui che viene è Colui che ha donato. Il regolamento avviene con Colui che ha donato. Ci si deve aspettare il ritorno di Colui che ha donato. L’incontro è con Chi ama. Bisogna trovarsi in comunione con Chi ha donato. (F): Viviamo del dono di Dio e della fiducia di Dio; siamo chiamati a rispondere a Dio con la dedizione fedele. Non basta non fare il male per compiere il senso della nostra esistenza: bisogna piuttosto trasformare quello che abbiamo ricevuto secondo i progetti di Dio. (G): Attendere la venuta del Signore è un atteggiamento che ha un effetto oggi; La nostra vita deve essere la vita di chi non si lascia sommergere dalle cose, pensando che le cose siano tutto. Viviamo in mezzo alle cose, ma con quella riserva che sa che la propria vita non è misurata dalla quantità di cose o dalla quantità di esperienze che riusciamo a fare. Teniamo aperto allora il cuore alla comunione col Signore, alla visione della sua grazia e del suo amore. (H): È l’amore e la fedeltà che ha mosso i due servi. Questi si sono impegnati, perché non hanno avuto paura, hanno saputo amare ed hanno avuto il gusto di poter dare al Signore il patrimonio che avevano ricevuto arricchito con un di più messo dal loro impegno. Se uno vuole trasformare la propria vita, deve partire non con un atteggiamento di paura verso Dio, ma con un atteggiamento di fiducia, deve essere convinto che il Signore lo ami, deve restituire amore per amore. È l’amore che ci porterà a fare ciò che piace a Dio, che ci spingerà a trasformare la nostra vita secondo una forma che sia corrispondente al progetto di Dio. (I): La logica del regno è dunque questa: all’inizio sta un dono di Dio che esprime la sua fiducia nell’uomo e la sua attesa; al dono di Dio l’uomo è chiamato a rispondere col suo dono e cioè utilizzando nel modo migliore tutto quello che ha ricevuto; infine a questo dono dell’uomo risponderà l’ultimo, definitivo dono di Dio che porta l’uomo nella sua stessa gioia. La ricompensa per i servi è soprattutto la partecipazione alla gioia del padrone. (L): Il terzo servo confida di aver agito per paura: paura della durezza e della severità del suo padrone. È sempre la natura del rapporto con il Signore che determina il comportamento quotidiano. (M): La malvagità è legata alla pigrizia. Don Dino, il fondatore dei Servi della Chiesa, diceva: ‘Facciamo così fatica a viaggiare di notte, a fare le cose di notte, a fare le opere di bene di notte, quando di notte c’è tanta gente che si dedica a cose che non sono sempre necessariamente buone’. (N): Di fronte alla giustificazione di chi ha consegnato un solo talento e non gli aveva fatto portare frutto, il servo dice: ‘sapevo che tu sei un uomo severo’. Quando il padrone gli risponde, al v 26, non dice: ‘sapevi che io sono un uomo severo’, ma dice: ‘sapevi che io mieto dove non ho seminato, raccolgo dove non ho sparso’. In fondo, donare vuol dire saper mietere e raccogliere dove non si è seminato. In fondo, il Signore ci ha raccolto dove non è stato Lui a disperdere. Questa non è severità. Altrimenti al v 26 Matteo avrebbe ripreso tutta la frase del servo malvagio. Questa, dunque, non è severità. Questa è benevolenza da parte di Dio. Pensiamo se il criterio delle nostre chiese fosse la necessità di vivere il rapporto con chi appartiene a fedi diverse, come il vangelo sottolinea. Cioè, il sapere raccogliere e mietere dove non si è sparso e seminato. Questa non è severità. È l’atteggiamento di colui che ha donato, di colui che ci ha resi capaci della dynamis, della potenza dello Spirito. Il rapporto con i popoli dell’Islam dovrebbe essere vissuto proprio in questo senso. Prefazio suggerito: “Ogni giorno del nostro pellegrinaggio sulla terra è un dono sempre nuovo del tuo amore per noi, è un pegno della vita immortale, poiché possediamo fin da ora le primizie del tuo Spirito, nel quale hai risuscitato Gesù Cristo dai morti, e viviamo nell’attesa che si compia la beata speranza nella Pasqua eterna del tuo regno” (prefazio VI del tempo ordinario). Padri della chiesa Col padrone di casa (il Signore) indica se stesso. La durata del viaggio è il tempo della penitenza, durante il quale, sedendo nei cieli alla destra di Dio, ha accordato a tutto il genere umano il potere di credere e di agire secondo il Vangelo. Ciascuno quindi ha ricevuto secondo la misura della propria fede il proprio talento, cioè l’insegnamento del Vangelo, da colui che insegnava. Questo è il bene incorruttibile, il patrimonio di Cristo riservato ai suoi eredi eterni (Ilario, Comm. a Matteo 27.6). Non c’è dubbio che quest’uomo, questo padrone di casa, è il Cristo stesso, il quale, mentre si appresta vittorioso ad ascendere al Padre dopo la Resurrezione, chiamati a sé gli apostoli, affida loro la dottrina evangelica, dando a uno più all’altro meno, non perché vuol essere con uno più generoso e con l’altro più parco, ma perché tiene conto delle forze di ciascuno (l’Apostolo dice qualcosa di simile quando afferma di aver nutrito col latte coloro che non erano ancora in grado di nutrirsi di cibi solidi, cf 1Cor 3.2). Infatti poi con uguale gioia ha accolto colui che di cinque talenti, trafficandoli, ne ha fatto dieci e colui che di due ne ha fatto quattro, considerando non l’entità del guadagno, ma la volontà di ben fare. Nei cinque, come nei due e nell’unico talento, scorgiamo le diverse grazie che a ciascuno vengono date (Girolamo, Comm. a Matteo 4.22.14). Badiamo a noi stessi, fratelli, siamo vigilanti. Chi ci restituirà il tempo presente, se lo perdiamo?… E questo ci accade perché il nostro cuore non è attento; se davvero volessimo lottare un poco, non dovremmo soffrire né faticare a lungo. Anche se all’inizio infatti occorre far violenza a se stessi, poi, poco per volta, perseverando nella lotta, si fanno progressi, e alla fine si fa tutto con pace, perché Dio vede che ci siamo fatti violenza e ci porge il suo aiuto. Anche noi dunque facciamo violenza a noi stessi, mettiamoci all’opera, cerchiamo per lo meno di volere il bene, perché anche se non abbiamo ancora raggiunto la perfezione, già il solo fatto di volere il bene è per noi l’inizio della salvezza. Perché dal volere giungeremo, insieme a Dio, anche al lottare, e dalla lotta riceveremo aiuto per l’acquisizione delle virtù; per questo uno dei padri dice: ‘Versa il tuo sangue e ricevi lo Spirito’, cioè lotta e giungerai al possesso della virtù. (…) È impossibile, in effetti, restare sempre nella stessa condizione, si cammina inevitabilmente verso il meglio o verso il peggio. Perciò chiunque vuol essere salvato non solo deve astenersi dal male, ma deve anche fare il bene, come dice il salmo: Allontànati dal male e fa’ il bene (Sl 36.27) (Doroteo di Gaza, Insegnamenti spirituali 104, 133). Beato il servo che rende tutti i suoi beni al Signore Dio; perché chi riterrà qualche cosa per sé, nasconde dentro di sé il denaro del suo Signore, e ciò che crede di avere gli sarà tolto (Francesco d’Assisi Ammonizioni 19). Altri autori cristiani Paolo, scrivendo a Timoteo, gli prescrive di custodire il deposito (1Tm 6.20). Il deposito è il contenuto della fede, cioè la parola che ci è stata data mentre il padrone è impegnato in un viaggio da cui ritornerà solo dopo molto tempo. I talenti affidatici, come testimoniato dal loro immenso valore, non sono altro che il deposito della parola. (...) ‘Custodire’ può significare anche osservare, eseguire… Custodire il deposito significa mettere in pratica la parola affidataci, costruendo non sulla mobile sabbia, bensì sulla salda e stabile roccia (Mt 7.24-27). La parola affidataci infatti non è lontana, non risiede nei cieli, né al di là del mare, al contrario essa è molto vicina, è nella nostra bocca e nel nostro cuore, affinché la si metta in pratica (Dt 30.11-14). Per costruire saldamente bisogna conservare e custodire (come fece Maria) la parola nel proprio cuore e inculcarla nel cuore dei propri figli.(…) Custodire il deposito significa trafficarlo, custodire il seme significa spargerlo. La parola tuttavia, come toccò in sorte allo stesso Gesù, può anche venire rifiutata… Attraverso l’esperienza del rifiuto, l’annuncio della parola viene così anch’esso legato all’economia, secondo cui bisogna perdere la propria vita per ritrovarla (Mt 16.25); infatti è solo il chicco della Parola capace di morire quello che riesce a dare molto frutto (P. Stefani, Sia santificato il tuo nome , App. 212-4). Utilizzare il proprio dono è costruire la comunità. Non essere fedeli al proprio dono è nuocere a tutta la comunità e ad ognuno dei suoi membri. Perciò è importante che ogni membro conosca il proprio dono, lo eserciti e si senta responsabile della sua crescita; che sia riconosciuto nel suo dono dagli altri e renda conto dell’uso che ne fa. Gli altri hanno bisogno di questo dono e devono incoraggiare colui che lo ha ricevuto a farlo crescere, ad essergli fedele. Seguendo il proprio dono ognuno trova il suo posto nella comunità. Non solo diventa utile, ma unico e necessario agli altri. Soltanto in questo modo svaniscono le rivalità e le gelosie. (...) Il dono più prezioso nella comunità si radica nella debolezza. È quando si è deboli e poveri che si ha bisogno degli altri, che li si chiama a vivere e a esercitare i propri doni. Nel cuore della comunità c’è sempre il piccolo, il povero, il debole. Chi si sente inutile, il malato, il morente, chi è malato nelle sue emozioni e nel suo spirito, entra nel mistero del sacrificio. Con le sue umiliazioni e l’offerta delle sue sofferenze diventa fonte di vita per gli altri. Per le sue piaghe noi siamo stati guariti (Is 53.5) (J. Vanier, La comunità pp. 70, 296). Passi paralleli Lc 19,11-27 Mentre essi stavano ad ascoltare queste cose, Gesù disse ancora una parabola perché era vicino a Gerusalemme ed essi credevano che il regno di Dio dovesse manifestarsi da un momento all’altro. Disse dunque: “Un uomo di nobile stirpe partì per un paese lontano per ricevere un titolo regale e poi ritornare. Chiamati dieci servi, consegnò loro dieci mine, dicendo: Impiegatele fino al mio ritorno. Ma i suoi cittadini lo odiavano e gli mandarono dietro un’ambasceria a dire: Non vogliamo che costui venga a regnare su di noi. Quando fu di ritorno, dopo aver ottenuto il titolo di re, fece chiamare i servi ai quali aveva consegnato il denaro, per vedere quanto ciascuno avesse guadagnato. Si presentò il primo e disse: Signore, la tua mina ha fruttato altre dieci mine. Gli disse: Bene, bravo servitore; poiché ti sei mostrato fedele nel poco, ricevi il potere sopra dieci città. Poi si presentò il secondo e disse: La tua mina, signore, ha fruttato altre cinque mine. Anche a questo disse: Anche tu sarai a capo di cinque città. Venne poi anche l’altro e disse: Signore, ecco la tua mina, che ho tenuta riposta in un fazzoletto; avevo paura di te che sei un uomo severo e prendi quello che non hai messo in deposito, mieti quello che non hai seminato. Gli rispose: Dalle tue stesse parole ti giudico, servo malvagio! Sapevi che sono un uomo severo, che prendo quello che non ho messo in deposito e mieto quello che non ho seminato: perché allora non hai consegnato il mio denaro a una banca? Al mio ritorno l’avrei riscosso con gli interessi. Disse poi ai presenti: Toglietegli la mina e datela a colui che ne ha dieci Gli risposero: Signore, ha già dieci mine! Vi dico: A chiunque ha sarà dato; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha. E quei miei nemici che non volevano che diventassi loro re, conduceteli qui e uccideteli davanti a me”. v.14 Mc 13,33 State attenti, vegliate, perché non sapete quando sarà il momento preciso. È come uno che è partito per un viaggio dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vigilare. v.21 Mt 8,11-12 Ora vi dico che molti verranno dall’oriente e dall’occidente e sederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli, mentre i figli del regno saranno cacciati fuori nelle tenebre, ove sarà pianto e stridore di denti. Mt 19,28-29 E Gesù disse loro: “In verità vi dico: voi che mi avete seguito, nella nuova creazione, quando il Figlio dell’uomo sarà seduto sul trono della sua gloria, sederete anche voi su dodici troni a giudicare le dodici tribù di Israele. Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna”. v.23 Gv 15,11 Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena. Gv 17,24 Padre, voglio che anche quelli che mi hai dato siano con me dove sono io, perché contemplino la mia gloria, quella che mi hai dato; poiché tu mi hai amato prima della creazione del mondo. Gv 14,1-4 “Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molti posti. Se no, ve l’avrei detto. Io vado a prepararvi un posto; quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, ritornerò e vi prenderò con me, perché siate anche voi dove sono io. E del luogo dove io vado, voi conoscete la via”. Ef 1,4: In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità. Nella parabola oltre ad essere ribadito (cfr. racconto della vergini) il tema della vigilanza, si aggiunge il motivo complementare dell’impegno per far fruttare i dono ricevuti da Dio. Mt 7,21-27 Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli. Molti mi diranno in quel giorno: Signore, Signore, non abbiamo noi profetato nel tuo nome e cacciato demòni nel tuo nome e compiuto molti miracoli nel tuo nome? Io però dichiarerò loro: Non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me, voi operatori di iniquità. Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, è simile a un uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa non cadde, perché era fondata sopra la roccia. Chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica, è simile a un uomo stolto che ha costruito la sua casa sulla sabbia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa cadde, e la sua rovina fu grande. Mt 21, 41.43 Gli rispondono: “Farà morire miseramente quei malvagi e darà la vigna ad altri vignaioli che gli consegneranno i frutti a suo tempo”. Perciò io vi dico: vi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che lo farà fruttificare.