33TO - Diaconia

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XXXIII domenica del tempo ordinario
17 novembre 2002
Prima lettura
Dal libro dei Proverbi (Pro 31,10-13.19-20.30-31)
10
Una donna perfetta chi potrà trovarla? Ben superiore alle perle è il suo valore. 11In lei
confida il cuore del marito e non verrà a mancargli il profitto. 12Essa gli dà felicità e non
dispiacere per tutti i giorni della sua vita. 13Si procura lana e lino e li lavora volentieri con le
mani. 19Stende la sua mano alla conocchia e mena il fuso con le dita. 20Apre le sue mani al
misero, stende la mano al povero. 30Fallace è la grazia e vana è la bellezza, ma la donna che
teme Dio è da lodare. 31Datele del frutto delle sue mani e le sue stesse opere la lodino alle
porte della città. Parola di Dio.
Dal Salmo 127
Rit. Beato chi cammina nelle vie del Signore.
Beato l’uomo che teme il Signore
e cammina nelle sue vie.
Vivrai del lavoro delle tue mani,
sarai felice e godrai d’ogni bene.
La tua sposa come vite feconda
nell’intimità della tua casa;
i tuoi figli come virgulti d’ulivo
intorno alla tua mensa.
Così sarà benedetto l’uomo
che teme il Signore.
Ti benedica il Signore da Sion!
Possa tu vedere la prosperità di Gerusalemme
per tutti i giorni della tua vita.
Seconda lettura
Dalla prima lettera di Paolo apostolo ai tessalonicesi (1Ts 5,1-6)
Fratelli, 1riguardo poi ai tempi e ai momenti, non avete bisogno che ve ne scriva; 2infatti voi
ben sapete che come un ladro di notte, così verrà il giorno del Signore. 3E quando si dirà:
«Pace e sicurezza», allora d’improvviso li colpirà la rovina, come le doglie una donna incinta;
e nessuno scamperà. 4Ma voi, fratelli, non siete nelle tenebre, così che quel giorno possa
sorprendervi come un ladro: 5voi tutti infatti siete figli della luce e figli del giorno; noi non
siamo della notte, né delle tenebre. 6Non dormiamo dunque come gli altri, ma restiamo svegli
e siamo sobrii. Parola di Dio.
Alleluia, alleluia. (Mt 24,42.44)
Vegliate e state pronti, perché non sapete
in quale giorno il Signore verrà.
Dal Vangelo secondo Matteo
(Mt 25,14-30)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: 14«Un uomo, partendo per un
viaggioA, chiamò i suoi serviB e consegnò loro i suoi beniC. 15A uno diede cinque talenti, a un
altro due, a un altro uno, a ciascuno secondo la sua capacitàD, e partì. 16Colui che aveva
ricevuto cinque talenti, andò subito a impiegarli e ne guadagnò altri cinque. 17Così anche
quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. 18Colui invece che aveva ricevuto un
solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone. 19Dopo
molto tempo il padrone di quei servi tornò, e volle regolare i contiE con loro. 20Colui che
aveva ricevuto cinque talenti, ne presentò altri cinque, dicendo: Signore, mi hai consegnato
cinque talenti; ecco, ne ho guadagnatiF altri cinque. 21Bene, servo buono e fedele, gli disse il
suo padrone, sei stato fedele nel pocoG, ti darò autorità su molto; prendi parte alla gioia del
tuo padrone. 22Presentatosi poi colui che aveva ricevuto due talenti, disse: Signore, mi hai
consegnato due talenti; vedi, ne ho guadagnati altri due. 23Bene, servo buono e fedeleH, gli
rispose il padrone, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prendi parte alla gioiaI
del tuo padrone. 24Venuto infine colui che aveva ricevuto un solo talento, disse: Signore, so
che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso; 25per
pauraL andai a nascondere il tuo talento sotterra; ecco qui il tuo. 26Il padrone gli rispose: Servo
malvagio e infingardoM, sapevi che mietoN dove non ho seminato e raccolgo dove non ho
sparso; 27avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il
mio con l’interesse. 28Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. 29Perché a
chiunque ha sarà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha.
30
E il servo fannullone gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti».
Parola del Signore.
Note del testo
La parabola delle vergini si conclude con un invito a vegliare. Il versetto seguente (inizio del
vangelo di oggi), riprende: “Come infatti”. Ci deve essere un nesso tra le due cose, tra l’invito
a vegliare e la parabola così introdotta. Che cosa significa “vegliare”? La parabola precedente
conteneva già una risposta: sapersi equipaggiare per un tempo lungo. Ma da essa appariva già
chiaro che “vegliare” non è solo stare svegli durante la notte: tutte quelle vergini si sono
addormentate e questo non è un fatto che venga censurato. “Come infatti” allora vegliare?
Matteo continua a porsi lo stesso problema anche nella parabola dei talenti, e la sua risposta è
questa volta che la vigilanza deve ispirare le nostre occupazioni quotidiane.
L’invito all’impegno operoso è presente anche nella prima lettura: l’elogio della donna forte
che conclude il libro dei Proverbi. Il libro ha delineato pian piano l’immagine della persona
saggia e ora raccoglie tutti i diversi elementi nel comporre il ritratto di questa donna ideale: è
laboriosa, misericordiosa verso il povero; ha la sua bellezza nel timore santo di Dio che
diventa impegno nelle opere buone. Non ha bisogno di altre lodi: quello che lei compie è esso
stesso una lode sincera.
(A): Ciò che giustifica la consegna dei beni è la partenza per un viaggio. Ci è dato di vivere la
ricchezza della misericordia di Dio nella consapevolezza che tutto ciò che ci è dato nasce da
quella condizione per cui un uomo è partito per un viaggio. La storia della salvezza ha spesso
fatto riferimento a dei viaggi: il viaggio di Abramo, il viaggio di Mosè con il suo popolo, il
viaggio di Gesù a Gerusalemme. Tutto ciò che siamo non ci deve fare dimenticare che se
abbiamo dei doni li abbiamo in virtù di quei viaggi che nella Scrittura sono viaggi di
salvezza. È il modo in cui prima di tutto Dio, e poi il suo popolo, ci descrivono cosa è
racchiuso in quei doni che lui ci ha fatto. Altrettanto i carismi e quindi i ministeri che
vengono esercitati all’interno della comunità cristiana devono sempre essere esercitati nella
consapevolezza di un disegno di salvezza, nella consapevolezza che devono esprimere un
evento di salvezza, anticipato nei grandi viaggi del primo Testamento e giunti al loro culmine
nel grande viaggio di Gesù a Gerusalemme.
(B): La condizione di coloro che si vedono destinatari dei beni dell’uomo che parte per un
viaggio è la condizione di servi. Il servizio è la realtà nella quale esprimiamo in modo sommo
ciò che Cristo ha compiuto nel suo viaggio verso Gerusalemme. In fondo, rispetto al viaggio
che Gesù ha compiuto, la nostra fedeltà per la nostra condizione di servi è ben poca cosa. Ma
è una realtà alla quale il Signore affida un valore immenso se vissuto nella consapevolezza
che tutto dovrà essere a lui reso.
(C): L’inizio della vita è la consegna di un patrimonio da parte di Dio a noi. Quel patrimonio
non ce lo siamo del tutto meritato ed in fondo non appartiene del tutto a noi, perché della vita
non possiamo fare ciò che vogliamo; essa appartiene al Signore ed è un dono che il Signore ci
fa.
(D): ‘A ciascuno secondo la propria capacità’: il termine usato è dynamin: che significa: a
ciascuno secondo quanto può fare. È il talento che mette in condizione le persone di essere
valorizzate. Il carisma non si sostituisce alla persona, ma si incarna. In fondo, è il dono di
essere figlio che dà al figlio di essere figlio, se così si può dire, applicandolo a Gesù. Il
termine dynamis è il termine usato a proposito dell’azione dello Spirito nella Chiesa, la sua
potenza. Il dono non si sostituisce alla persona. Proverei a pensare a una Chiesa nella quale la
presenza dei cristiani è presenza preziosa perché è la presenza di coloro che vengono resi, per
il dono dello Spirito Santo, capaci. La capacità è legata al dono dello Spirito. Ecco allora
l’importanza del discernimento dei doni dello Spirito. La dynamin, allora, è quella capacità
non intesa come capienza, ma come quella condizione che, in virtù del carisma, mette in atto
ciò che è, realizza ciò che è. Allora non ci stupiremmo più del poter mettere in atto la parola
da parte dei poveri, se è vero questo.
(E): Chi è Colui che viene e che vuole regolare i conti? Colui che viene è Colui che ha
donato. Il regolamento avviene con Colui che ha donato. Ci si deve aspettare il ritorno di
Colui che ha donato. L’incontro è con Chi ama. Bisogna trovarsi in comunione con Chi ha
donato.
(F): Viviamo del dono di Dio e della fiducia di Dio; siamo chiamati a rispondere a Dio con la
dedizione fedele. Non basta non fare il male per compiere il senso della nostra esistenza:
bisogna piuttosto trasformare quello che abbiamo ricevuto secondo i progetti di Dio.
(G): Attendere la venuta del Signore è un atteggiamento che ha un effetto oggi; La nostra vita
deve essere la vita di chi non si lascia sommergere dalle cose, pensando che le cose siano
tutto. Viviamo in mezzo alle cose, ma con quella riserva che sa che la propria vita non è
misurata dalla quantità di cose o dalla quantità di esperienze che riusciamo a fare. Teniamo
aperto allora il cuore alla comunione col Signore, alla visione della sua grazia e del suo
amore.
(H): È l’amore e la fedeltà che ha mosso i due servi. Questi si sono impegnati, perché non
hanno avuto paura, hanno saputo amare ed hanno avuto il gusto di poter dare al Signore il
patrimonio che avevano ricevuto arricchito con un di più messo dal loro impegno. Se uno
vuole trasformare la propria vita, deve partire non con un atteggiamento di paura verso Dio,
ma con un atteggiamento di fiducia, deve essere convinto che il Signore lo ami, deve
restituire amore per amore. È l’amore che ci porterà a fare ciò che piace a Dio, che ci spingerà
a trasformare la nostra vita secondo una forma che sia corrispondente al progetto di Dio.
(I): La logica del regno è dunque questa: all’inizio sta un dono di Dio che esprime la sua
fiducia nell’uomo e la sua attesa; al dono di Dio l’uomo è chiamato a rispondere col suo dono
e cioè utilizzando nel modo migliore tutto quello che ha ricevuto; infine a questo dono
dell’uomo risponderà l’ultimo, definitivo dono di Dio che porta l’uomo nella sua stessa gioia.
La ricompensa per i servi è soprattutto la partecipazione alla gioia del padrone.
(L): Il terzo servo confida di aver agito per paura: paura della durezza e della severità del suo
padrone. È sempre la natura del rapporto con il Signore che determina il comportamento
quotidiano.
(M): La malvagità è legata alla pigrizia. Don Dino, il fondatore dei Servi della Chiesa,
diceva: ‘Facciamo così fatica a viaggiare di notte, a fare le cose di notte, a fare le opere di
bene di notte, quando di notte c’è tanta gente che si dedica a cose che non sono sempre
necessariamente buone’.
(N): Di fronte alla giustificazione di chi ha consegnato un solo talento e non gli aveva fatto
portare frutto, il servo dice: ‘sapevo che tu sei un uomo severo’. Quando il padrone gli
risponde, al v 26, non dice: ‘sapevi che io sono un uomo severo’, ma dice: ‘sapevi che io
mieto dove non ho seminato, raccolgo dove non ho sparso’. In fondo, donare vuol dire saper
mietere e raccogliere dove non si è seminato. In fondo, il Signore ci ha raccolto dove non è
stato Lui a disperdere. Questa non è severità. Altrimenti al v 26 Matteo avrebbe ripreso tutta
la frase del servo malvagio. Questa, dunque, non è severità. Questa è benevolenza da parte di
Dio. Pensiamo se il criterio delle nostre chiese fosse la necessità di vivere il rapporto con chi
appartiene a fedi diverse, come il vangelo sottolinea. Cioè, il sapere raccogliere e mietere
dove non si è sparso e seminato. Questa non è severità. È l’atteggiamento di colui che ha
donato, di colui che ci ha resi capaci della dynamis, della potenza dello Spirito. Il rapporto
con i popoli dell’Islam dovrebbe essere vissuto proprio in questo senso.
Prefazio suggerito: “Ogni giorno del nostro pellegrinaggio sulla terra è un dono sempre
nuovo del tuo amore per noi, è un pegno della vita immortale, poiché possediamo fin da ora
le primizie del tuo Spirito, nel quale hai risuscitato Gesù Cristo dai morti, e viviamo
nell’attesa che si compia la beata speranza nella Pasqua eterna del tuo regno” (prefazio VI del
tempo ordinario).
Padri della chiesa
Col padrone di casa (il Signore) indica se stesso. La durata del viaggio è il tempo della
penitenza, durante il quale, sedendo nei cieli alla destra di Dio, ha accordato a tutto il genere
umano il potere di credere e di agire secondo il Vangelo. Ciascuno quindi ha ricevuto
secondo la misura della propria fede il proprio talento, cioè l’insegnamento del Vangelo, da
colui che insegnava. Questo è il bene incorruttibile, il patrimonio di Cristo riservato ai suoi
eredi eterni (Ilario, Comm. a Matteo 27.6).
Non c’è dubbio che quest’uomo, questo padrone di casa, è il Cristo stesso, il quale, mentre si
appresta vittorioso ad ascendere al Padre dopo la Resurrezione, chiamati a sé gli apostoli,
affida loro la dottrina evangelica, dando a uno più all’altro meno, non perché vuol essere con
uno più generoso e con l’altro più parco, ma perché tiene conto delle forze di ciascuno
(l’Apostolo dice qualcosa di simile quando afferma di aver nutrito col latte coloro che non
erano ancora in grado di nutrirsi di cibi solidi, cf 1Cor 3.2). Infatti poi con uguale gioia ha
accolto colui che di cinque talenti, trafficandoli, ne ha fatto dieci e colui che di due ne ha fatto
quattro, considerando non l’entità del guadagno, ma la volontà di ben fare. Nei cinque, come
nei due e nell’unico talento, scorgiamo le diverse grazie che a ciascuno vengono date
(Girolamo, Comm. a Matteo 4.22.14).
Badiamo a noi stessi, fratelli, siamo vigilanti. Chi ci restituirà il tempo presente, se lo
perdiamo?… E questo ci accade perché il nostro cuore non è attento; se davvero volessimo
lottare un poco, non dovremmo soffrire né faticare a lungo. Anche se all’inizio infatti occorre
far violenza a se stessi, poi, poco per volta, perseverando nella lotta, si fanno progressi, e alla
fine si fa tutto con pace, perché Dio vede che ci siamo fatti violenza e ci porge il suo aiuto.
Anche noi dunque facciamo violenza a noi stessi, mettiamoci all’opera, cerchiamo per lo
meno di volere il bene, perché anche se non abbiamo ancora raggiunto la perfezione, già il
solo fatto di volere il bene è per noi l’inizio della salvezza. Perché dal volere giungeremo,
insieme a Dio, anche al lottare, e dalla lotta riceveremo aiuto per l’acquisizione delle virtù;
per questo uno dei padri dice: ‘Versa il tuo sangue e ricevi lo Spirito’, cioè lotta e giungerai
al possesso della virtù. (…) È impossibile, in effetti, restare sempre nella stessa condizione, si
cammina inevitabilmente verso il meglio o verso il peggio. Perciò chiunque vuol essere
salvato non solo deve astenersi dal male, ma deve anche fare il bene, come dice il salmo:
Allontànati dal male e fa’ il bene (Sl 36.27) (Doroteo di Gaza, Insegnamenti spirituali 104,
133).
Beato il servo che rende tutti i suoi beni al Signore Dio; perché chi riterrà qualche cosa per sé,
nasconde dentro di sé il denaro del suo Signore, e ciò che crede di avere gli sarà tolto
(Francesco d’Assisi Ammonizioni 19).
Altri autori cristiani
Paolo, scrivendo a Timoteo, gli prescrive di custodire il deposito (1Tm 6.20). Il deposito è il
contenuto della fede, cioè la parola che ci è stata data mentre il padrone è impegnato in un
viaggio da cui ritornerà solo dopo molto tempo. I talenti affidatici, come testimoniato dal loro
immenso valore, non sono altro che il deposito della parola. (...) ‘Custodire’ può significare
anche osservare, eseguire… Custodire il deposito significa mettere in pratica la parola
affidataci, costruendo non sulla mobile sabbia, bensì sulla salda e stabile roccia (Mt 7.24-27).
La parola affidataci infatti non è lontana, non risiede nei cieli, né al di là del mare, al
contrario essa è molto vicina, è nella nostra bocca e nel nostro cuore, affinché la si metta in
pratica (Dt 30.11-14). Per costruire saldamente bisogna conservare e custodire (come fece
Maria) la parola nel proprio cuore e inculcarla nel cuore dei propri figli.(…) Custodire il
deposito significa trafficarlo, custodire il seme significa spargerlo. La parola tuttavia, come
toccò in sorte allo stesso Gesù, può anche venire rifiutata… Attraverso l’esperienza del
rifiuto, l’annuncio della parola viene così anch’esso legato all’economia, secondo cui bisogna
perdere la propria vita per ritrovarla (Mt 16.25); infatti è solo il chicco della Parola capace di
morire quello che riesce a dare molto frutto (P. Stefani, Sia santificato il tuo nome , App.
212-4).
Utilizzare il proprio dono è costruire la comunità. Non essere fedeli al proprio dono è nuocere
a tutta la comunità e ad ognuno dei suoi membri. Perciò è importante che ogni membro
conosca il proprio dono, lo eserciti e si senta responsabile della sua crescita; che sia
riconosciuto nel suo dono dagli altri e renda conto dell’uso che ne fa. Gli altri hanno bisogno
di questo dono e devono incoraggiare colui che lo ha ricevuto a farlo crescere, ad essergli
fedele. Seguendo il proprio dono ognuno trova il suo posto nella comunità. Non solo diventa
utile, ma unico e necessario agli altri. Soltanto in questo modo svaniscono le rivalità e le
gelosie. (...) Il dono più prezioso nella comunità si radica nella debolezza. È quando si è
deboli e poveri che si ha bisogno degli altri, che li si chiama a vivere e a esercitare i propri
doni. Nel cuore della comunità c’è sempre il piccolo, il povero, il debole. Chi si sente inutile,
il malato, il morente, chi è malato nelle sue emozioni e nel suo spirito, entra nel mistero del
sacrificio. Con le sue umiliazioni e l’offerta delle sue sofferenze diventa fonte di vita per gli
altri. Per le sue piaghe noi siamo stati guariti (Is 53.5) (J. Vanier, La comunità pp. 70, 296).
Passi paralleli
Lc 19,11-27 Mentre essi stavano ad ascoltare queste cose, Gesù disse ancora una parabola
perché era vicino a Gerusalemme ed essi credevano che il regno di Dio dovesse manifestarsi
da un momento all’altro. Disse dunque: “Un uomo di nobile stirpe partì per un paese lontano
per ricevere un titolo regale e poi ritornare. Chiamati dieci servi, consegnò loro dieci mine,
dicendo: Impiegatele fino al mio ritorno. Ma i suoi cittadini lo odiavano e gli mandarono
dietro un’ambasceria a dire: Non vogliamo che costui venga a regnare su di noi. Quando fu di
ritorno, dopo aver ottenuto il titolo di re, fece chiamare i servi ai quali aveva consegnato il
denaro, per vedere quanto ciascuno avesse guadagnato. Si presentò il primo e disse: Signore,
la tua mina ha fruttato altre dieci mine. Gli disse: Bene, bravo servitore; poiché ti sei mostrato
fedele nel poco, ricevi il potere sopra dieci città. Poi si presentò il secondo e disse: La tua
mina, signore, ha fruttato altre cinque mine. Anche a questo disse: Anche tu sarai a capo di
cinque città. Venne poi anche l’altro e disse: Signore, ecco la tua mina, che ho tenuta riposta
in un fazzoletto; avevo paura di te che sei un uomo severo e prendi quello che non hai messo
in deposito, mieti quello che non hai seminato. Gli rispose: Dalle tue stesse parole ti giudico,
servo malvagio! Sapevi che sono un uomo severo, che prendo quello che non ho messo in
deposito e mieto quello che non ho seminato: perché allora non hai consegnato il mio denaro
a una banca? Al mio ritorno l’avrei riscosso con gli interessi. Disse poi ai presenti:
Toglietegli la mina e datela a colui che ne ha dieci Gli risposero: Signore, ha già dieci mine!
Vi dico: A chiunque ha sarà dato; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha. E quei miei
nemici che non volevano che diventassi loro re, conduceteli qui e uccideteli davanti a me”.
v.14 Mc 13,33 State attenti, vegliate, perché non sapete quando sarà il momento preciso. È
come uno che è partito per un viaggio dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai
servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vigilare.
v.21 Mt 8,11-12 Ora vi dico che molti verranno dall’oriente e dall’occidente e sederanno a
mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli, mentre i figli del regno saranno
cacciati fuori nelle tenebre, ove sarà pianto e stridore di denti.
Mt 19,28-29 E Gesù disse loro: “In verità vi dico: voi che mi avete seguito, nella nuova
creazione, quando il Figlio dell’uomo sarà seduto sul trono della sua gloria, sederete anche
voi su dodici troni a giudicare le dodici tribù di Israele. Chiunque avrà lasciato case, o fratelli,
o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà
in eredità la vita eterna”.
v.23 Gv 15,11 Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho
osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Questo vi ho detto perché
la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena.
Gv 17,24 Padre, voglio che anche quelli che mi hai dato siano con me dove sono io, perché
contemplino la mia gloria, quella che mi hai dato; poiché tu mi hai amato prima della
creazione del mondo.
Gv 14,1-4 “Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me.
Nella casa del Padre mio vi sono molti posti. Se no, ve l’avrei detto. Io vado a prepararvi un
posto; quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, ritornerò e vi prenderò con me,
perché siate anche voi dove sono io. E del luogo dove io vado, voi conoscete la via”.
Ef 1,4: In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al
suo cospetto nella carità.
Nella parabola oltre ad essere ribadito (cfr. racconto della vergini) il tema della
vigilanza, si aggiunge il motivo complementare dell’impegno per far fruttare i dono
ricevuti da Dio.
Mt 7,21-27 Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che
fa la volontà del Padre mio che è nei cieli. Molti mi diranno in quel giorno: Signore, Signore,
non abbiamo noi profetato nel tuo nome e cacciato demòni nel tuo nome e compiuto molti
miracoli nel tuo nome? Io però dichiarerò loro: Non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da
me, voi operatori di iniquità. Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, è
simile a un uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia. Cadde la pioggia,
strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa non cadde,
perché era fondata sopra la roccia. Chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in
pratica, è simile a un uomo stolto che ha costruito la sua casa sulla sabbia. Cadde la pioggia,
strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa cadde, e la sua
rovina fu grande.
Mt 21, 41.43 Gli rispondono: “Farà morire miseramente quei malvagi e darà la vigna ad altri
vignaioli che gli consegneranno i frutti a suo tempo”.
Perciò io vi dico: vi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che lo farà fruttificare.
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