Tu sei Pietro - Parrocchia S.Grato di Saluggia

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Tu sei Pietro (Mt 16, 18)
(celebrazione in cattedrale per il nuovo Papa Benedetto XVI)
(20 aprile 2005 )
Dopo i giorni intensi in cui il mondo è stato attraversato dal fremito di una commozione planetaria di fronte
a quel gigante della storia che fu Giovanni Paolo II, ora la Chiesa vive l’attesa di una nuova stagione e ne
scruta i segnali premonitori di futuro.
Più volte, nei dibattiti televisivi sono tornate con disinvoltura due domande: “Chi sarà il nuovo Papa? Come
dovrà essere?” E dai commenti dei maestri del pensiero è stato più volte tratteggiato l’identikit, il profilo
umano, spirituale e culturale del nuovo pastore universale. Con qualche sorpresa abbiamo constatato che
l’interesse per il nuovo pontefice ha ampiamente travalicato i confini della Chiesa.
Ma le due domande che noi ci poniamo stasera alla luce della Parola sono ben altre: “Qual è il volto del
Pastore universale della Chiesa secondo Gesù Cristo? Quale l’atteggiamento credente per accogliere e
seguire il pastore delle nostre anime sulle rotte della storia?”.
Il ministero di Pietro
nelle parole di Gesù
La pagina più rivelativa per intendere il ministero di Pietro ci porta al noto sondaggio di opinione provocato
da Gesù sulle contrade di Cesarea di Filippo all’estremo nord della Galilea. Non è vero dunque che i
sondaggi siano una moda dei nostri tempi per conoscere opinioni, correnti di pensiero o gusti condivisi. Il
primo sondaggio viene registrato da tutti e tre i sinottici e viene posto da Gesù stesso: “La gente chi dice che
sia il Figlio dell’uomo? (Mt, 16, 13).
La gente: è lo spazio delle opinioni in libertà. Il mistero di Gesù interroga e suscita reazioni diverse. Ma pur
sempre dentro l’orizzonte dell’umano: Gesù è un profeta, solo un uomo.
Poi la domanda-sondaggio di Gesù si restringe e diventa dialogo con i discepoli: “Ma voi chi dite chi io sia”,
sino a diventare dialogo a tu per tu con Pietro; il quale è il solo a interpretare, nella fede, il mistero di Gesù:
“Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente” (v 16).
La dinamica del dialogo è chiara: Pietro riconosce la missione di Gesù, il Figlio di Dio; Gesù riconosce a
Simone la singolare missione di roccia della Chiesa. Pietro intuisce in Gesù la novità di Dio; Gesù cambia il
nome a Simone e lo chiama Pietro, con un destino che attraversa la storia del mondo. Davvero Gesù Cristo è
il progetto dell’uomo; davvero la Cristologia è il fondamento dell’antropologia.
Il ministero petrino si staglia con tre metafore, di sapore semitico, seguite da una sorta di commento.
Pietro è la roccia, su cui Cristo edifica la sua Chiesa, il nuovo popolo di Dio. Nel Nuovo Testamento la
roccia-fondamento è Cristo (Atti 4, 11); ma anche Pietro viene misteriosamente associato a Lui, partecipe
della solidità della sua presenza. Questa è l’identità cristocentrica di Pietro.
C’è poi una seconda immagine, più dinamica, la quale evoca il rapporto Chiesa-mondo: “Le porte degli
inferi non prevarranno”(v 18). Le forze della morte nulla potranno contro la comunità di salvezza. Come
annota acutamente il Manzoni, Gesù non ha detto alla Chiesa vincerai i tuoi nemici, ma non sarai vinta da
essi nella storia.
E in terzo luogo Gesù fa pure una consegna a Pietro: le chiavi. Non solo la Chiesa può resistere allea forze
tenebrose della morte, bensì è chiamata a operare efficacemente nella storia del mondo. Pietro non è solo la
roccia, ma è delegato al governo del nuovo popolo di Dio. Egli riceve le chiavi del Regno e ha il potere di
insegnare e reggere la Chiesa come anticipo del Regno compiuto, con decisioni che saranno ratificate nel
cielo.
L’espressione “legare e sciogliere”(v 19) è una formula rabbinica per indicare il compito di interpretare la
legge. Così Pietro ha il mandato di interpretare autorevolmente la legge divina per la comunità ecclesiale:
quella legge che trova il suo centro vitale in Gesù di Nazaret, suprema epifania dell’agape di Dio.
L’atteggiamento credente nella Chiesa
Quando ci troviamo di fronte a uomini che hanno il destino di scandire le stagioni della storia come un Papa,
siamo tentati come la gente a Cesarea di Filippo, di fare confronti, di vedere solo gli aspetti umani, la carica
di simpatia, la capacità di comunicazione, tutte doti che si impongono immediatamente allo sguardo degli
uomini.
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Oppure di fronte al Papa, siamo tentati di interpretarne il magistero solo in base alle sintonie con l’attualità o
con le mode.
Oppure, ancora, siamo tentati di essere selettivi: quando il Papa parla di giustizia, di pace, di valori sociali
siamo d’accordo; quando invece parla dei valori esigenti del vangelo che toccano la coscienza cristiana,
attinenti alla vita, alla sessualità o alla famiglia esprimiamo riserve o prese di distanza
Ma il ministero di Pietro, di Benedetto XVI, alla scuola di Gesù, chiede due precise fedeltà:
la fedeltà a Cristo: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”.
Il Papa è il primo credente; egli fa corpo con il Signore. E’ impressionante quella figura di Giovanni Paolo
II, abbracciato e sostenuto dalla croce del pastorale; quasi a formare una sola drammatica immagine; quasi a
voler dire una sorta di identificazione con il Cristo crocifisso, sino a diventare un’icona dell’offerta viva del
Signore.
Mi torna alla mente l’espressione di Gilson a riguardo del sacerdote: “Posto fra Dio e il mondo, egli deve
fare meno ombra possibile”. Il Papa, il primo credente, è la visibilizzazione del pastore invisibile che è il
Cristo.
Ma c’è una seconda fedeltà nelle parole di Gesù a Pietro lassù a Cesarea di Filippo: la fedeltà all’uomo, in
una storia insidiata dal furore delle “porte degli inferi”.
Oggi i venti che soffiano contro la fede sono impetuosi: basti pensare al ritorno di neopaganesimo nella
concezione della vita, dell’amore, della sessualità, della famiglia; basti pensare alla “dittatura del relativismo
etico” come ha detto il cardinal Ratzinger la vigilia del suo pontificato; basti pensare al culto del presente,
povero di speranza e di futuro.
La fedeltà all’uomo significa dire e testimoniare l’esigente verità dell’evangelo sulla vita, sull’amore, sulla
giustizia, sul dialogo, sulla pace e sull’intera famiglia umana.
Al Papa tocca l’arduo compito di questa drammatica missione, umanizzante e impopolare insieme; al papa
tocca comunicare questa fedeltà che fa essere più uomini e più donne entro l’affascinante orizzonte di un
umanesimo planetario; al papa tocca la missione di dare voce ai senza voce, dare una speranza agli ultimi e
ai primi della terra.
Per questo l’atteggiamento di attesa nei confronti del nuovo Papa a guida del gregge, della Chiesa
universale, non è solo la “curiositas”, forse per fare confronti, talora con qualche nostalgia di passato; ma è
l’atteggiamento credente, la fede, nella sua testimonianza di Cristo; è la fede accogliente del suo magistero; è
la fede riconoscente del suo carisma; è la condivisione del suo difficile discernimento dentro una storia
complessa in cui non solo la Chiesa, ma l’umanità ha bisogno di luce, di speranza e di misericordia. Senza
dimenticare che il ministero petrino non è solo un servizio alla nostra fede; ma ha bisogno di essere servito
dalla nostra preghiera. Senza dimenticare che nella fede sarà possibile scoprire in questo Papa, oltre il noto
ruolo del servizio alla verità, il carisma della sua umanità, della sua paternità e il suo dono originale per la
nuova stagione che verrà.
Abbiamo conosciuto un grande teologo, conosceremo un grande pastore. Abbiamo conosciuto un acuto
indagatore della verità; conosceremo un coraggioso testimone della carità.
Sta qui l’affascinante avventura dei credenti in Cristo: noi tutti siamo chiamati a costruire, insieme, con i
pastori che ci guidano, la speranza del mondo.
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