03.09.69. Discussione su documento di Balducci e lettera ai Vescovi riuniti a Roma. BA040
(Interventi di: Daniele Protti, Enzo Mazzi, Sergio Gomiti, Aldo De Santi, Urbano Cipriani, Vittoria
Garinei, Mauro Sbordoni, avv. Franco Pacchi, altre voci non identificate).
Daniele P. Allora anche stasera siamo qua. Dobbiamo stasera cercare di riflettere su alcuni
avvenimenti, non solo quello che è accaduto domenica, che abbiamo già analizzato domenica sera
nell’assemblea durante la quale furono prese alcune decisioni, soprattutto riguardo all’attività futura e
soprattutto per domenica prossima, noi oggi, come abbiamo potuto leggere sui giornali tutti quanti –
prova ad alzare il volume per favore.
Voci: Paolo; Paolo, Paolino, alza il volume.
Daniele P. Oggi sui giornali, dicevo, abbiamo trovato la notizia che il gruppo di Testimonianze e
padre Balducci hanno preso una posizione nei nostri confronti abbastanza a favore. Ora si tratta di
vedere, anche in concreto, il significato di questa presa di posizione, che cosa vuol dire per noi, che
cosa ha signifcato per noi e soprattutto quale sviluppo potrà avere. Poi c’è la presa di posizione dei
vescovi italiani riuniti a Roma e infine alcune altre notizie. Adesso se Enzo è pronto…
Voce: Si sente meglio ora, si sente meglio.
Daniele P. Sentite?
Voci: Sì! [Trascorrono 45 secondi senza che nessuno parli al microfono. Nell’assemblea tutti parlano a ruota libera tra di loro]
Enzo! Parlerà Enzo per cercare di vedere insieme il documento di padre Balducci. [Da diverse parti si chiede di
stare zitti, di fare silenzio perché già fino dall’inizio non c’è molta attenzione ma un brusio continuo anche mentre Daniele P. parla. Poi c’è un applauso
che è evidentemente rivolto a don Mazzi che sta andando al microfono].
Enzo M.: Da qui in avanti io non mi chiamo più don Mazzi ma don Pazzi [la gente ride della battuta] perché
hanno detto che io sono pazzo, figlio di pazzi, fratello di pazzi, insomma…Potrei cambiare il nome
anche in un altro modo: da Mazzi a Pazzi oppure da Mazzi a Matti. E’ la stessa cosa. Dunque io vorrei
rileggere un momento insieme a voi, vorrei rileggere insieme a voi il documento di padre Balducci.
Sarebbe stato molto bello se fosse venuto lui a leggercelo e a commentarlo stasera ma purtroppo non
c’è e quindi parlerò io. Dunque io, per quanto ho sentito un po’ a giro. mi sembra di poter – per quanto
penso io anche – di poter esprimere un giudizio molto positivo nei riguardi di questo documento,
positivo non tanto perché condanna il Vescovo ma in quanto è un documento obbiettivo. Finalmente
un teologo, un intellettuale, una persona che vive immersa nei propri pensieri in generi in genere, nei
propri scritti o nei pensieri e negli scritti degli altri, si cala nella realtà e prende atto di certi fatti
concreti e, solo basandosi su questi fatti concreti, trae delle conclusioni. Mi sembra importante questo
atteggiamento. E’ un atteggiamento che penso possa contribuire a una conversione di tutta la teologia,
di tutta la cultura alla realtà concreta, quella in cui si trovano immersi gli uomini. Accade troppo di
frequente che teologi e pensatori e scrittori pensano, scrivono rigirando intorno a delle idee senza
tener conto della realtà. Noi siamo immersi nella realtà pratica, che viviamo col problema del pane,
col problema del lavoro, col problema della sicurezza, col problema della casa, col problema della
famiglia, col problema dell’educazione dei figli, con tutti questi problemi concreti, pratici, terra terra,
fatti di stomaco, fatti di queste cose materiali, che poi sono cose materiali ma non sono meno nobili,
noi che viviamo in questa situazione sentiamo tante volte quanto coloro che parlano o scrivono da
posizioni elevate, dal di sopra insomma, quanto ci sono lontani, quanto i loro discorsi non incidono
nella nostra realtà, non ci dicono nulla, non ci portano quasi nessun contributo. In pratica sentiamo
come i loro discorsi servono soltanto a sancire e ad approfondire solo una superiorità, solo una
differenza. In questo caso, specialmente nella seconda parte, padre Balduccci, invece, ha fatto un
discorso concreto, calato nella realtà. Per questo diciamo che è un documento che a noi risulta
obbiettivo, positivo. Vorremmo che molte persone, che si trovano nella stessa condizione, nella stessa
sfera di azione di padre Balducci, avessero la stessa intelligenza, lo stesso coraggio anche e la stessa
volontà di calarsi finalmente nella realtà, nei fatti. Forse dico, anzi senz’altro, credo che abbia servito
a padre Balducci l’esser venuto in mezzo a noi e credo che gli servirebbe continuare ad essere un po’
più vicino alla gente che vive così intensamente la vita concreta di ogni giorno come la gente umile e
semplice del popolo. Dunque padre Balducci fa un primo discorso, la prima parte, nella quale
ribadisce il suo principio che il Vescovo è soprattutto colui che presiede l’eucaristia, lo spezzare del
pane, che presiede questo atto di amore attraverso il quale si fa presente Gesù, come sentiste che disse
anche qui in mezzo a noi. Non sto a rileggere questo discorso e dice che si riferisce all’accenno fatto
dal segretario del Vescovo alla delegazione che andò a parlare col Vescovo la notte. Si riferisce a quel
discorso di questo segretario. Infatti il segretario, don Ristori, aveva detto alla delegazione: anche
padre Balducci, vostro amico, ha criticato la vostra celebrazione della messa. Si riferisce a questo e
dice: non mi mette affatto in crisi questa affermazione, anzi “mi sento moralmente obbligato a
dichiarare che le mie convinzioni sul rapporto sacramentale fra Vescovo e eucaristia mi forniscono le
ragioni ecclesiali della mia indignazione” di fronte al gesto dell’arcivescovo nel venire a celebrare la
messa. Poi dice che “l’unità della Chiesa, secondo lui, non è frutto soltanto, né in primo luogo,
dell’opera della gerarchia ma è frutto di due dinamiche” – due dinamiche vuol dire due forze, di due
azioni, di due modi di essere, di esistere – sono due cose insomma che fanno l’unità della Chiesa. Da
una parte “la prima è quella della Comunità dei battezzati, liberamente raccolta e animata dallo
Spirito Santo”, la Comunità dei battezzati che dovrebbe essere una comunità libera. “Perché una
comunità cristiana sia tale”, cioè liberamente raccolta e animata dallo Spirito Santo, “non ha bisogno
del riconoscimento del ministero apostolico”, dice padre Balducci, il quale ministero apostolico, cioè
l’opera dei vescovi, praticamente, “ha il dovere di discernerla e di custodirla con riverenza in quanto
corpo visibile del Signore”. Questo è un primo fatto. “La seconda” cosa che è necessaria per l’unità
della Chiesa, “è il ministero apostolico”, cioè l’opera dei Vescovi, del papa dei preti, “i cui compiti
sono di significare che, a raccogliere i suoi in un corpo solo, è il Cristo capo della Chiesa e di
promuovere e garantire la comunione tra comunità e comunità”. Ora sono parole difficili queste. In
pratica dice padre Balducci che il compito del ministero apostolico, il compito del papa, dei vescovi e
dei preti dovrebbe essere quello di favorire l’unità nella Comunità e l’unità fra le varie Comunità,
significando, dando il segno, mostrando chiaramente che l’unione della Comunità cristiana deriva
soprattutto da Gesù Cristo. Ecco. Ora dice: queste due cose, la comunità libera dei credenti e il papa,
i vescovi e i preti devono mettersi insieme. E che cosa è che li mette insieme? L’eucaristia, dice.
Ecco: qui, “nell’eucaristia loro trovano la causa, il segno della proprio unità, è il sacramento del
Cristo che li trascende e, per mezzo del ministero apostolico, forma a se stesso in modo visibile un
corpo visibile”. Insomma l’eucaristia è l’atto, secondo padre Balducci, attraverso il quale la libera
volontà, la libera adesione dei cristiani si unisce con questo ministero apostolico in modo da formare
questa unità della Chiesa. Discorso teologico naturalmente. Comunque noi le si vivono queste cose
senza bisogno di tutti questi discorsoni. Ci vogliono anche i discorsoni a volte, specialmente quando
sono la premessa di discorsi pratici come quelli che farà dopo. Poi dice: “Una messa detta a dispetto
del vescovo è dunque in contraddizione col proprio significato”. Questo è un giudizio, il solito
giudizio di padre Balducci verso di noi perché padre Balducci forse pensa che noi ancora, che noi la
messa la diciamo a dispetto del Vescovo. Noi abbiamo cercato di farglielo capire e continueremo a
cercare di farglielo capire che noi la messa non la diciamo, a lui e a tutti gli altri, che noi la messa non
la diciamo a dispetto del Vescovo. Se volevamo dirla a dispetto non avremmo aspettato otto mesi.
Non avremmo aspettato tanto tempo se volevamo dirla a dispetto. Inoltre noi non la diciamo a
dispetto del vescovo la messa - e chi ha partecipato con una certa frequenza alle nostre assemblee, alle
nostre riunioni lo sa – perché non si fa a dispetto una cosa di cui si ha una esigenza fondamentale. Per
esempio, non si respira mai a dispetto, perché respirare è una esigenza talmente essenziale che uno
non può mai farlo a dispetto. A dispetto potrà respirare il gas per ammazzarsi a dispetto di qualcuno
ma non può respirare l’aria a dispetto. Come a dispetto, non so, non si può mangiare. Si potrà
mangiare troppo a dispetto, si potrà stramangiare a dispetto ma non mangiare il necessario. Padre
Balducci non ha capito ancora che per noi la messa era una esigenza fondamentale come il respirare e
il mangiare, cose che non si potrà mai dire che sono fatte a dispetto. E chi dice che sono fatte a
dispetto non ha capito nulla delle esigenze fondamentali dell’uomo, non ha capito gli uomini. Non ha
capito una comunità come questa. Una comunità come questa, dopo otto mesi, si è resa conto che non
poteva sopravvivere come comunità altro che riprendendo a celebrare la messa. E si è cercato di
farglielo capire. A qualcuno sembra che questi siano discorsi fatti così per giustificare un gesto così in
maniera diplomatica, tattica. Noi non siamo abituati ai gesti tattici o diplomatici, ai discorsi politici.
Non siamo abituati. Perché? Perché siamo una Comunità aperta. Se uno fa un discorso politico
quell’altro glielo smaschera subito. Non siamo capaci di farli i discorsi tattici. Noi abbiamo
veramente bisogno della celebrazione della messa come comunità cristiana perché lo dice padre
Balducci: “La comunità trova la causa e il segno della sua propria unità, la causa della sua unità la
trova nell’eucaristia”. Noi ne abbiamo bisogno come l’aria, come l’acqua, come il pane. E allora che
si fa? Si può chiamare, si può dire che questa messa è fatta a dispetto ancora? Io vorrei che padre
Balducci fosse qui, che fossero qui tutti coloro che pensano che noi si fa a dispetto. Noi non ne
possiamo fare a meno. E’ una esigenza fondamentale e l’esigenza fondamentale, come ripeto, non
avviene mai a dispetto. Anche un prete spretato, scomunicato, in caso di estrema necessità, può
celebrare la messa per dare la comunione per esempio a uno che sta per morire e non c’è barba di papa
o di Vescovo che possa impedirglielo, nessuno perché, quando ci troviamo in condizioni di estrema
necessità, tutte le leggi cadono e rimane unica legge la sopravvivenza, rimangono come uniche leggi
i bisogni essenziali dell’uomo. Quando uno è affamato ha diritto di prendere la roba degli altri per
sfamarsi. Quando uno è assetato ha diritto di prendere la bevanda che gli occorre anche se è degli altri.
E non ruba, perché tutte le leggi cadono, perché le leggi sono fatte per l’uomo e non l’uomo per le
leggi. Noi siamo una Comunità che si trova di fronte ad una estrema necessità, a un estremo bisogno
della messa per sopravvivere. Nessuno può chiederci di compiere un gesto di autodistruzione. Gesù
Cristo ha smesso di respirare quando i suoi polmoni non ce l’hanno fatta più a respirare e non un
minuto prima. Non è che abbia smesso di respirare di sua iniziativa per fare il martire. Ha continuato
a respirare finché gli è riuscito e non possiamo dire che lo ha fatto a dispetto di qualcuno. Quella
messa che è la crocifissione di Gesù, la croce di Gesù, Gesù non l’ha fatto a dispetto, (a dispetto) di
nessuno. Ecco qual’è la nostra posizione. E noi chiediamo sì ai sacerdoti, ai sacerdoti che sono vicini
a noi, ai sacerdoti che credono nella Chiesa come Comunità, che credono nella Chiesa come
Comunità di battezzati raccolti liberamente dallo Spirito Santo, che credono nell’unità della Chiesa
fondata sull’amore e non prima di tutto sulla legge, a questi preti, a tutti questi preti chiediamo di
venire a celebrare, a farci il dono dell’eucaristia, a spezzarci il pane, chiediamo di venire a spezzarci
il pane. Nessuno di loro è scomunicato o è ridotto allo stato laicale o è spretato: tanto più possono
celebrare la messa. Noi ci troviamo invece in uno stato di estrema necessità e nessuno può proibirci di
fare questo gesto, questo atto che ci qualifica come Comunità cristiana. Non c’è nessun papa, nessun
Vescovo che può proibircelo, perché siamo in stato veramente di estrema necessità. Dopo otto mesi
che siamo senza la messa, nessuno potrà dirci che noi non abbiamo veramente bisogno della messa.
Potranno dirci: ma la chiesa ora è aperta, potete andare dentro. Noi non ci troviamo in grado di entrare
nella chiesa a celebrare la messa perché abbiamo anzitutto dei limiti: il nostro fegato, il nostro cuore,
la nostra realtà psicologica non regge di fronte a quella chiesa dove sono risuonato così isterici
applausi, quella chiesa occupata da persone per la massima parte estranee all’Isolotto. Non siamo in
grado di entrare in quella chiesa in queste condizioni: è più forte di noi, veramente più forti di noi.
Bisogna che ci credano quelli che non ci conoscono. Quelli che ci conoscono lo sanno che è così.
Inoltre i preti che celebrano la messa, veramente la celebrano loro veramente a nostro dispetto,
affermando che noi non siamo una comunità cristiana. Quindi celebrano quella messa sulla nostra
pelle, celebrano quella messa per la nostra morte, per il soffocamento della nostra Comunità. Come
possiamo andare a quella messa che sancisce, consacra la morte della nostra Comunità in quanto
Comunità cristiana, quella messa che consacra questa affermazione fatta loro e convalidata dal
Vescovo? Come possiamo andare a quella messa diventando ad un tratto individui cristiani,
individualizzandoci? Purtroppo la messa spesso è un gesto, un rito che individualizza, dove ciascuno
assolve il proprio compito, dove ciascuno compera il proprio biglietto per il paradiso, lo sappiamo
bene, la salvezza individuale della propria anima, dove la persona, dove ciascuno non sa chi è quello
che sta accanto, dove le persone non si conoscono e non si guardano in faccia. Lo sappiamo che
spesso la messa è questo. Lo abbiamo sofferto anche noi, perché anche per noi inizialmente lo era. Poi
piano piano abbiamo cercato di superare questa situazione e per noi la messa è diventata veramente
un incontro comunitario, è diventata un momento dove la nostra Comunità si formava e si slanciava
verso sempre nuove mete di comunione e di amore. Ora noi, tornando lì, diventeremmo di nuovo
degli individui cristiani perché ci hanno detto: vi accogliamo come individui, non come Comunità
perché non siete una Comunità cristiana, al più sarete un gruppo spontaneo di cui ce ne sono tanti.
Allora noi non ci troviamo in grado di andare lì a quella messa proprio per questi motivi molto
semplici, molto materiali direte ma molto veri, molto concreti che tutti noi sentiamo profondamente.
Li sentiamo nella nostra carne. Noi abbiamo bisogno di celebrare la messa insieme a coloro che ci
riconoscono come Ecclesia, come Comunità, che ci riconoscano come Corpo del Signore, come
Corpo visibile del Signore, altrimenti la nostra messa non avrebbe significato. Noi non siamo più
veramente in grado di andare a una messa dove diventiamo degli individui separati dagli altri, a una
messa che ci separa, che ci spezzetta., non siamo più in grado di andarci perché noi abbiamo
sperimentato la messa come fonte di comunione, come fonte di amore, come cammino verso la
comunione, come conversione verso l’unità. Quindi non possiamo tornare indietro, non possiamo
accettare di essere trascinati indietro: sarebbe la nostra morte. Dunque la nostra messa non è a
dispetto di nessuno, è un gesto essenziale, vitale, fondamentale del nostro essere insieme. Del nostro
essere Comunità . Scusate se mi sono dilungato un po’ ma questa frase di padre Balducci mi sembra
che meritasse questo discorso. “Ma anche una messa detta dal Vescovo a dispetto della Comunità è in
contraddizione col proprio significato”. Dovrei, a rigor di termini, dilungarmi quanto mi sono
dilungato sulla prima frase anche su questa seconda. Ma in realtà io non voglio dilungarmi su questa
seconda frase. Il giudizio di padre Balducci è anche il mio giudizio. Veramente per me il Vescovo non
aveva bisogno di venire a celebrare la messa, soprattutto non aveva bisogno così precipitosamente.
Non è stato per lui un gesto vitale, non è stato un bisogno di respiro, non è stato come il bisogno del
pane. Gli abbiamo chiesto di aspettare una settimana, una settimana per poter chiarire in una
settimana, insieme, il significato di questo gesto e invece il Vescovo non ha voluto aspettare
nemmeno una settimana. Questa precipitosità è, mi sembra, la chiara dimostrazione che è venuto qui
a celebrare la messa come dice padre Balducci. Veramente non riesco a vedere altro. Se qualcuno
riesce a vedere altro lo dice. E’ ben diversa la posizione del Vescovo da quella della nostra Comunità.
Lo ripeto: noi abbiamo celebrato, anzi domenica non si è nemmeno celebrato la messa, abbiamo fatto
digiuno e lo abbiamo significato anche attraverso il digiuno del cibo durante tutto il giorno.
Comunque il nostro dire la messa era un gesto vitale, quello del Vescovo invece un gesto tattico: c’è
molta differenza. Padre Balducci forse avrebbe dovuto mettere in evidenza questa differenza. “Che il
Vescovo sia il principio visibile dell’unità è una verità che si capovolge in errore quando viene
avvilita da una spregiudicata adozione giuridica e che in ogni caso lascia impregiudicato il problema
della legittimità ecclesiale della sua eucaristia. Quando la Comunità è convocata all’eucaristia in
esplicito contrasto con la volontà del Vescovo è bene che si astenga dal consumare quel pane che
diverrebbe segno di una comunione inesistente”. Ripete il concetto che noi dovremmo rinunciare a
mangiare quel pane, dovremmo morire di fame con un gesto piuttosto materializzato ma che esprime
appieno lo stato d’animo in cui noi ci troviamo. “Ma quando il Vescovo si reca a celebrare l’eucaristia
là dove esiste una Comunità in discordia con lui, senza aver tentato prima evangelicamente tutte le vie
della riconciliazione, allora nemmeno lui discerne il Corpo del Signore perché fa dell’azione
eucaristica un mezzo di affermazione e potere”. Ed è vero. Avrebbe potuto dire la messa nella sua
cappella: nessuno sarebbe stato a contestarlo. Noi non gli chiediamo di rinunziare alla messa, noi gli
chiediamo di non venire a dirla qui di fronte a una Comunità piena di ferite, sofferente in questo
modo, senza prima aver cercato di non meritare questa critica. Ecco, poi padre Balducci elenca una
serie di spunti, di momenti pratici dai quali trae alcune conclusioni.
“La messa del Vescovo all’Isolotto è avvenuta in circostanze che ne sottolineano la deformazione
strumentale: 1) il Vescovo ha annunziato la sua decisione all’improvviso e di sorpresa, traendo
vantaggio dallo smarrimento della Comunità e dal calendario dell’assemblea della Conferenza
Episcopale Italiana ormai notoriamente impegnata per bocca del suo Presidente a intervenire sul caso
Isolotto. E’ difficile prendere come fortuito il fatto che il Vescovo si è recato all’Isolotto proprio alla
vigilia di quella assemblea. 2) L’elemento sorpresa della decisione del Vescovo è rilevante anche
come ulteriore segno di una precisa volontà di escludere la Chiesa locale” – cioè la Chiesa fiorentina,
cioè i preti , i laici fiorentini, le parrocchie - “dalla soluzione del conflitto Vescovo-Isolotto. La
presenza del Vescovo nella chiesa parrocchiale, che per molti anni non aveva mai visto e che per
molto mesi era rimasta chiusa, se voleva essere reale elemento di pacificazione e di unità, avrebbe
dovuto avvenire con la partecipazione, ricercata e sollecitata, di tutto il Popolo di Dio pellegrino a
Firenze. Una decisione presa poche ore prima, senza alcuna notificazione ufficiale, dimostra invece
che una tale partecipazione non era desiderata. E’ qui, in questo persistente rifiuto di riconoscere che
la questione investe tutta la Chiesa fiorentina, che da parte di molti si indica il nodo da sciogliere”.
Cioè tutta la Chiesa fiorentina deve essere convocata per risolvere questo conflitto, questo problema.
3) Prima della celebrazione eucaristica il Vescovo non ha tentato nessun colloquio vero e proprio con
la comunità dell’Isolotto, né coi suoi tre preti, anzi ha dato segni espliciti di considerare per suo conto
definitivamente chiusa la vertenza manifestando così, indirettamente, il carattere tattico dell’invito da
lui precedentemente rivolto ai tre preti di recarsi ad abitare con lui in Episcopio”. 4) Il Vescovo si è
recato a celebrare il sacramento della Pace con una scorta consistente di poliziotti”, in divisa e in
borghese, aggiungo io, tanti in borghese. “ Anche supponendo che la triste iniziativa sia stata presa
unilateralmente dalla Questura per ragioni di sicurezza, resta il fatto che il Vescovo non ha espresso
in nessun momento la volontà di annunciare eucaristicamente la morte del Signore senza la presenza
della forza pubblica. 5) Mentre il Vescovo celebrava la messa in mezzo a una assemblea promiscua –
accanto a un certo numero di parrocchiani si faceva notare per il suo zelo un folto gruppo di agitatori
missini della città” – sono parole di padre Balducci – “nella piazza antistante una grande folla di
parrocchiani ascoltava la lettura della passione di Gesù Cristo”. Tra parentesi debbo dire che questa
lettura della passione non era preventivata. Noi avremmo dovuto rimanere in assoluto silenzio, però il
silenzio diventava veramente insostenibile di fronte a quegli applausi frenetici e a quei canti trionfali
e allora si è tentato di riempire questo silenzio attraverso la lettura della passione perché veramente il
nostro sistema nervoso e il nostro cuore strizzato come un lenzuolo non ce la facevano più. Qualcuno
può dire: “Ma potevate andar via allora”. Ecco noi siamo rimasti perché veramente abbiamo voluto
aspettare che uscisse il Vescovo per dargli l’occasione, se lui credeva e voleva, di venire in mezzo a
noi e di dirci una parola. Se andavamo via lui questa occasione non l’avrebbe avuta. “Nella piazza
antistante una grande folla di parrocchiani ascoltava la lettura della passione di Gesù Cristo.
Supponiamo pure che quei parrocchiani peccassero della ostinazione del figliol prodigo: certo è che
questa volta il Padre ha consumato il banchetto pago degli applausi del fratello maggiore, onesto e
zelante. Così come è certo che questa volta, in maniera pubblica e solennissima, un Vescovo ha
deposto la sua offerta sull’altare mentre fuori della porta del tempio una vera folla di fratelli aveva
qualcosa contro di lui”. O meglio: si aspettava qualche cosa da lui. “E non è uscito a riconciliarsi anzi
ha lanciato contro di loro la minaccia di sanzioni estreme. Non vale a rendere meno gravemente
lesivo dell’autentica comunione cristiana, in questo contesto di circostanze, la considerazione che,
nell’attuale stato delle cose, la comunità dissenziente ha avuto e continua ad avere le sue
responsabilità. Su la più rilevante di esse – la messa in piazza – ho detto alla comunità durante due
assemblee, le uniche a cui ho preso parte, chiare parole di disapprovazione in nome dell’unità della
Chiesa. E resto personalmente convinto che quella Messa in piazza, pur restando degne di attenzione
le giustificazioni addette dalla comunità , aveva rischiato di assumere, almeno nell’opinione pubblica,
il senso di una dimostrazione di forza” Respirare, al solito, non è mai una dimostrazione di forza. “Ed
ecco che il Vescovo si è mosso nello stesso senso. E così, secondo le apparenze, ha vinto. Forse senza
volerlo, egli ha sottoposto a un duro ricatto chi è convinto che là dove è il Vescovo c’è la Chiesa. Ma
ha davvero vinto? L’eucaristia, celebrata in una situazione così visivamente e ostentatamente
irriducibile allo spirito di riconciliazione, si svuota dei suoi significati più ricchi e, a dir poco, perde di
credibilità in quanto segno della carità di Cristo. E insieme all’eucaristia resta gravemente menomato
agli occhi del Popolo di Dio il ministero apostolico proprio in un momento in cui viene da più parti
contestato quasi fosse niente più che una struttura di potere. Per l’imposizione delle mani il Vescovo
è preside dell’eucaristia e insieme preside della carità. Vilipesa in modo così pubblico la carità non
resta vilipesa anche l’eucaristia? E non resta avvilito il ministero apostolico?. I credenti
dell’Assemblea liturgica di Camaldoli, che, per mano mia e di altri, inviarono ai responsabili della
divisione della Chiesa di Dio che è in Firenze un così nobile e pressante messaggio di pace, non
potevano immaginare una risposta più in contraddizione con lo spirito di pace. Ormai la parola è alla
Chiesa italiana o a colui su cui pesa la sollecitudine di tutte le Chiese”. Questo il discorso di padre
Balducci. La risposta della Chiesa italiana – la chiesa italiana?! La Chiesa italiana non sono mica
soltanto i Vescovi, intendiamoci! – ma comunque la risposta dei Vescovi sembra essere venuta, una
risposta certamente prevedibile, ciò nonostante ugualmente deludente per noi, ma era chiaro che i
Vescovi non potevano sconfessare Florit. Dunque leggiamo questo comunicato, questo comunicato
dato dall’ANSA che verrà fuori sui giornali di domani.
“L’Episcopato italiano, riunito in assemblea straordinaria per l’esame dello schema all’ordine del
giorno del prossimo sinodo dei Vescovi, ha discusso le relazioni che sull’argomento erano state
presentate ieri sia dagli esperti che dagli esponenti delle varie Conferenze Episcopali. Il cardinale
Urbani ha pure accennato ad alcuni recenti sviluppi della vicenda dell’Isolotto di Firenze ribadendo,
come già in precedenza disse a coloro che gli chiedevano di intervenire nella questione, nella sua
qualità di Presidente della CEI, che riconosce la piena competenza sulla questione dell’Arcivescovo
locale. A questo punto il cardinale Urbani ha letto un comunicato nel quale l’episcopato toscano
esprime la sua fraterna solidarietà al cardinale Florit e al suo Vescovo ausiliare. I Vescovi della
Toscana, è detto nel documento, riuniti a Firenze per discutere gli argomenti..”. Sì c’è quello dei
Vescovi della Toscana. Questo è il comunicato del Vescovi della Toscana del 2/3 settembre. Il
cardinale Urbani lo ha riletto lì nell’assemblea generale a Roma. Capito? Ed è questo quel testo: “I
Vescovi della Toscana riuniti a Firenze per discutere gli argomenti che formeranno oggetto dei lavori
dell’assemblea plenaria dell’Episcopato italiano dal 2 al 3 settembre prossimo hanno preso atto di
quanto anche di recente è stato stabilito dal cardinale Arcivescovo di Firenze circa la cosiddetta
comunità dell’Isolotto. Esprimono piena, fraterna solidarietà al cardinale Florit ed al suo Vescovo
ausiliare, richiamano alla fedeltà e alla disciplina ecclesiastica i sacerdoti che hanno preso parte a
manifestazioni religiose del predetto gruppo, deplorano i tentativi di creare, sotto qualsiasi pretesto,
una comunità in aperto contrasto con la vera comunità ecclesiale. Invitano tutti, sacerdoti e laici, a
rispettare l’autentica comunione ecclesiale nella carità e nell’adesione ai legittimi pastori. Signor
cardinale - ha detto a questo punto il cardinale Urbani al cardinale Florit, facendo eco alla voce
dell’episcopato toscano - esprimiamo a lei e al suo Vescovo ausiliare la nostra fraterna solidarietà.
Alla loro sofferenza siamo a loro spiritualmente vicini nella preghiera ed a tessere la speranza che al
più presto sacerdoti e laici dell’Isolotto e quanti ad essi aderiscono comprendano che non può esistere
vera comunione ecclesiale se non nella sincera fedeltà e convinta disciplina con il proprio Vescovo.
Le parole del cardinale Urbani sono state più volte sottolineate dal generale applauso dell’Assemblea,
applauso che si è ripetuto al termine della comunicazione. Dopo il Presidente della CEI ha preso la
parola monsignor Mistrorigo di… eccetera, eccetera”. Ecco consumata la condanna del sinedrio.
Contro chi? A questo punto a noi, già come domenica scorsa abbiamo detto, non rimane altro che
rimanere inchiodati su questa croce, con un chiodo di qua e un chiodo di là, rimanere inchiodati su
questa croce e continuare a cercare di respirare fino a che ci sarà concesso dallo Spirito Santo, dallo
Spirito di Dio, da Dio Padre. Gli uomini cercano di toglierci il respiro, noi vogliamo continuare ad
esistere, vogliamo continuare a respirare, vogliamo continuare a volerci bene, vogliamo continuare ad
essere uniti, vogliamo continuare ad indicare la presenza di Cristo qui, in mezzo a noi, nella quale noi
crediamo in barba a tutti comunicati, in barba a tutte..[Gli applausi prolungati dell’assemblea coprono la voce di Enzo M.].
Dico che veramente la nostra fede, in questo momento, è più grande di sempre. Noi non crediamo
contro qualcuno, certamente, perché credere è sempre credere per qualche cosa e per qualcuno, come
respirare serve per respirare per … [Salto di registrazione sul nastro] …di Cristo, sempre per amore di tutti. L
presenza di Gesù è sempre una presenza unificante anche se in questo momento può sembrare il
contrario. Questo è il nostro discorso. Noi continuiamo perché nessuno può chiederci di cessare di
esistere. Questo è il nostro discorso. Ecco. Allora nel momento in cui ci toglieranno completamente il
respiro, nel momento in cui troveranno il modo di disfarsi di noi, non so come, non so quando, allora
se Dio vorrà, tutti infondo dovremmo andare in una tomba fra l’altro, dovremmo separarci, in tombe
diverse, in cimiteri diversi, ma questo avverrà quando Dio vorrà ma fino a quel momento noi
continuiamo la nostra vita, le nostre vite. Non è che noi continuiamo il “nostro esperimento
pastorale”, non è che noi continuiamo a sostenere “le nostre ideologie”, non è che noi continuiamo “la
nostra intransigenza di carattere dottrinale o liturgico o pastorale”. Queste sono sciocchezze,
chiacchiericci che vengono detti nei nostri confronti. Noi continuiamo la nostra vita a livello
semplice, a livello vitale, a livello più elementare. Noi non abbiamo in fondo mai fatto grosse
modifiche, grosse innovazioni. Qualche veglia se mai poteva essere un po’ più nuova. Ma per il resto
cosa si è fatto!? Quello che fanno tutti, quello che stanno facendo tutti, anzi molto meno di quello che
fanno tutti. Non mi ricordo, non mi viene dove ma Bargellini ha fatto addirittura la predica durante la
messa, ad Assisi, in un incontro ufficiale.
Voce femminile: Ma era Bargellini, Enzo!
Enzo M.: Questo per dire che noi, nella nostra chiesa, durante la predica, mai nessuno ha parlato. Non
eravamo mai arrivati a quel livello lì. Non lo abbiamo fatto, non abbiamo ideologie grandi da portare
avanti. Non siamo teologi, non siamo liturgisti, non siamo nulla. Il catechismo, ecco, il catechismo.
Siamo della gente che ha davanti dei ragazzi, dei bambini, che ha davanti delle persone a cui vuol
bene e a cui non si sente di infilare dentro la testa delle nozioni che si sa benissimo che i ragazzi
rifiutano, rigettano come si rigetta la roba che avvelena lo stomaco. Non ci si sente di mettere dentro
a questi ragazzi questo e si è preferito presentare la figura di Gesù così come ce la presentano i
Vangeli. Ecco cos’è il nostro catechismo. Non è un catechismo: si è detto tante volte. Voglio dire: non
abbiamo da portare avanti nulla di precostituito, di preorganizzato, nessun programma a cui siamo
attaccati in maniera intransigente. Siamo pronti a tutti i controlli, siamo pronti a tutti i confronti,
siamo pronti a tutte le interazioni, siamo pronti a tutto. Noi vogliamo continuare soltanto a volerci
bene così come siamo. Vogliamo continuare ad essere aperti verso tutti, specialmente verso coloro
che soffrono. Vogliamo continuare a mantenerci vivi nei confronti dei problemi del mondo.
Vogliamo continuare a tenere in mano in una mano il Vangelo scritto dagli apostoli e nell’altra il
vangelo scritto dagli uomini di oggi. Questo vogliamo, questa che è la realtà della nostra vita.
Vogliamo continuare a spezzare insieme il pane perché lo spezziamo tutti i giorni nelle nostre case,
vogliamo continuare a spezzarlo anche insieme quando ci ritroviamo. Non vogliamo altro, non
chiediamo altro e non vogliamo discutere più. Chi vuole offrirci qualche gesto concreto che significhi
una partecipazione alla nostra sofferenza, chi vuole non dico medicare le nostre ferite ma insomma
chi vuole aiutarci a contribuire ancora meglio all’unità della Chiesa che venga, che ci offra qualche
cosa di concreto, di preciso, non discussioni teoriche, non ci faccia tanti discorsi, cose precise,
concrete. Allora noi siamo pronti a discutere con tutti: su le cose concrete e specifiche. A me sembra
che non ci sia da dire altro, non so. Un’ultima cosa. Un’ultima cosa e poi metto fine. Stasera ho fatto
un discorso troppo lungo. Scusatemi. Ormai non ero più abituato. Non eravamo più abituati. Vorrei
dire qualche cosa a proposito di alcuni che non c’entrano molto col discorso di padre Balducci. Vorrei
fare un altro discorso. Qualcuno che ha detto: “Mah! Potevate andare alla messa del cardinale”. Ecco
io penso che abbiamo fatto veramente molto bene a rimanere fuori. Per noi è stato un atto di onestà
prima di tutto, un atto di correttezza ma un atto anche di prudenza, perché se fossimo entrati dentro io
non so quale reazione avrebbe avuto il nostro intimo, non so come avremmo potuto resistere di fronte
a quel trionfalismo, a quei gridi di vittoria. Io credo che abbiamo fatto molto bene a rimanere fuori
non solo per l’onestà ma anche per la prudenza. Abbiamo fatto un atto di prudenza. Siamo stati
corretti anche in questo senso nei confronti dell’Arcivescovo. Siamo stati qualcuno di noi – ve ne
parlerà l’avvocato Pacchi – noi sacerdoti siamo stati denunziati perché abbiamo letto la passione del
Signore fuori. Immaginatevi se dentro uno solo avesse non dico fatto qualcosa di strano ma un grido
qualsiasi che cosa sarebbe accaduto con tutta quella polizia che c’era. Si può mettere un popolo a
rischio di essere incriminato nuovamente, a rischio di essere nuovamente colpito dai rigori della
legge? Era giusto far questo? Ecco io dico che credo di no. Anche per questo motivo abbiamo scelto
io credo che abbiamo scelto di rimanere fuori: per un motivo di prudenza oltre che di correttezza. Io
non ho altro da dire. [Applausi],
Sergio G.: Io voglio dire una cosa breve, breve. Siccome c’è il comunicato io lo rileggo. Sono dieci
righi e quindi faccio alla svelta. Dice qui il cardinale Urbani: “Signor cardinale – ha detto a questo
punto il cardinale Urbani al cardinale Florit facendo eco alla voce dell’Episcopato toscano –
esprimiamo a lei e al suo Vescovo ausiliare la nostra fraterna solidarietà alla loro sofferenza. Siamo a
loro spiritualmente vicini nella preghiera, nell’affetto e nella speranza che al più presto sacerdoti e
laici dell’Isolotto e quanti ad essi aderiscono comprendano che non può esistere vera comunione
ecclesiale se non nella sincera fedeltà e convinta disciplina col proprio Vescovo”. Io lo rivolgo in
un’altra maniera. E direi: Signor cardinale Urbani e signori Vescovi, facendo eco alla voce di tanta
parte del Popolo di Dio, esprimiamo a lei cardinale Urbani e a voi Vescovi la nostra delusione. Siamo
a voi spiritualmente vicini anche noi nella preghiera, nell’affetto e nella speranza che al più presto
aderiate anche voi, che altrimenti non può esistere comunione ecclesiale, che anche voi aderiate un
po’ di più al Vangelo e al Concilio [L’assemblea applaude]. Vi devo dire chiaramente che questa gente, che
hanno firmato gli Atti del Concilio e che ci propongono il Vangelo, non so se ci credono che bisogna
metterlo in pratica o se è tutta una fregatura e allora è tutto chiaro.[Applausi].
Aldo D.S.: Io volevo dire solo una cosa breve: Sergio e Enzo tutt’e due i preti stasera ci hanno letto il
comunicato della CEI e forse perché loro sono più vicini, sono stati più vicini ai Vescovi di noi, hanno
cercato così di commentarlo in forma piana di una certa tristezza magari anche per tirarci un po’ su
per questo colpo che ci arriva. Io dico a loro, a loro due in particolare, che non si devono preoccupare
di questo, perché, anche se noi col Vescovo non siamo mai stati così a contatto come sono stati loro
anche prima, noi del popolo si è sempre saputo che queste cose vanno sempre così, si è sempre saputo
che il più piccolo paga sempre anche per il più grosso. C’è anche un vecchio proverbio che dice: ‘cane
non magia cane’, perciò, per noi perlomeno, era scontato (il finale di) questa faccenda, anche se il
cardinale Urbani a me personalmente e ad altri ci dette un immagine di Papa Giovanni con scritto che
‘La pace è dono di Dio; dobbiamo meritarla e conquistarla con l’impegno della nostra vita,
nell’esercizio della carità e giustizia e nel rispetto della verità e della libertà’. Alle CEI
evidentemente… Queste sono solo vuote parole. Lo vorrei dire tanto volentieri al cardinale Urbani
perché poi, quando si tratta di parlare con verità e libertà, si fa un discorsino, si legge un comunicato
e, siccome si tocca un Vescovo, tutta la categoria dei vescovi insorge, batte le mai e dice viva il
Vescovo, come fanno gli industriali che leticano fra di loro, si fanno una concorrenza spietata ma se
poi c’è uno sciopero sono tutti solidali tra di loro perché si va a toccare i loro interessi [Applausi].
Daniele P.: Oggi anche il papa ha avuto l’occasione di dire. Il papa a Castelgandolfo, la villa estiva, ha
ammonito a superare la tendenza ad affrancarsi gradualmente e ostinatamente dall’autorità e dalla
comunione della Chiesa, tendenza che alla fine può costituire una fuga, una rottura e perciò uno
scandalo e una rovina. Concludendo il papa ha ricordato l’esaltazione [sta per esortazione] di Ignazio di
Antiochia: ‘Nulla fate senza il Vescovo’ il cui insegnamento sottolinea che il Vescovo è il principio e
il fondamento della Chiesa locale come il papa lo è della Chiesa intera. Paolo Sesto ha quindi
brevemente riassunto in francese, inglese, tedesco e spagnolo i concetti da lui espressi rivolgendo i
saluti particolari a un gruppo di industriali, rappresentanti di fabbriche europee produttrici di
materiale sanitario, oltre ad altri pellegrini. Ora sono arrivati i nostri amici da Roma che forse ci
vogliono dire qualcosa.
Urbano C.: La Vittoria c’è qui? La Vittoria Garinei. Avevo piacere che parlasse lei perché se no si
parla sempre i soliti. Io dico qualche cosa ma vorrei che lei dicesse da donna semplice le cose che ha
sentito, i sentimenti che ha provato e se c’è… nel frattempo io dico semplicemente questo: s’era in
sei. Siamo partiti stanotte col treno delle tre virgola zero due. Siamo arrivati alle sette e diciotto a
Roma, si è preso il taxi e siamo andati a Monte Mario. C’è l’Università cattolica e lì c’erano i
Vescovi. Noi siamo andati là un po’ con la testa nel sacco, senza sapere l’indirizzo di nessuno e via
ma credeva che lì ci fosse la possibilità di informarsi dove si possono trovare, in quali ore si possono
eventualmente cercare. Si è telefonato su alla segreteria, si è detto che s’era noi, si aveva delle lettere
da consegnare, è arrivato giù un segretario, ci ha detto che le lettere le avrebbe consegnate, (gli) si è
fatto capire che era una cosa urgente. Le lettere non sono state consegnate. Voglio dire: non sono state
consegnate a tutto il tempo che è spiegato qui in questa comunicazione dell’ANSA, quando qui i
Vescovi hanno sentito queste poche parole di Urbani e c’è stato l’applauso. A testimonianza di quanto
abbiamo potuto sapere, (è stato) un applauso… così. Per esempio qualche Vescovo era assente. E
stato dopo che dice: “Allora siete dell’Isolotto!?” Ma dice: “Bene, bene, così non c’ero”. Voglio dire
non è stato un applauso di tutti. Ma ora io non voglio rimpicciolire il discorso sul dire (di Urbani). Io
voglio semplicemente fare una constatazione. I Vescovi sono stati trattati un po’ come siamo trattai
noi. Praticamente i Vescovi non hanno avuto il modo di dire né sì né no. Non c’è stato un Vescovo
che ha preso la parola o l’ha chiesta quando il cardinale Urbani ha accennato all’Isolotto. C’è stata
questa lettura e l’applauso. L’applauso più o meno così. Non totale. Per esempio qualche Vescovo
non c’era. Sarà stato assente per caso. Insomma è risultato chiaro questo, se io poso sbagliare qui c’è
Mauro, ci sono altri che possono poi completare, che era stato stabilito ad alto livello di non discutere
dell’Isolotto e l’assemblea dei Vescovi non se l’è sentita di discutere dell’Isolotto. Evidentemente
quelli che sono contrari non se la sono sentita di ribadire la loro contrarietà, quelli che sono favorevoli
non se la sono sentita di esprimerla, quelli che sono in dubbio non se la sono sentita di esprimere un
dubbio e quindi hanno accettato come dato di fatto questa situazione posta dalla direzione, da quel
gruppo che li dirige, che li chiama a Roma e in un giorno e mezzo hanno discusso di tante cose. Se
hanno discusso di tutto come dell’Isolotto semplicemente non hanno discusso. Dell’Isolotto non c’è
stata discussione. Evidentemente i Vescovi non si sono sentiti come assemblea ancora in grado di
affrontare questa discussione dell’Isolotto perché hanno preoccupazione, non lo so, di doversi così
manifestare in divergenze di opinioni come forse non sono abituati a fare o non so che cosa. E’ chiaro
che aspettano tempo. Noi si è parlato. Si è parlato con poche persone però da quello che insomma si è
capito… per esempio, noi a un certo punto si è detto ad un Vescovo. “Ma perché nessuno ha alzato la
mano e chiesto la parola, semplicemente per fare una discussione sull’Isolotto?”. Poi gli abbiamo
detto anche questo: “Il non avervi dato la lettera. Noi siamo venuti apposta in atto di fiducia verso di
voi. Evidentemente volevano, qui c’è una volontà così, era stabilito che non si discutesse”. Ecco, io
ormai mi sto ripetendo, la fo lunga: non si è discusso dell’Isolotto. Quindi non si è deciso proprio così
dopo un colloquio a fondo. E io posso dire anche l’impressione che noi abbiamo, tanto noi si dice
tutto quello che si pensa, l’impressione è questa: di voler dare modo all’Arcivescovo Florit, così,
lasciando tutto in sospeso, appellandosi semplicemente ai Vescovi toscani che hanno trovato
l’unanimità, non all’assemblea che non ha discusso e non avrebbe probabilmente trovato l’unanimità,
dandogli questo atto formale di adesione e di solidarietà, preparare insomma una calma sufficiente in
modo che, a cose non calde, lui possa anche decidere di ritirarsi da Firenze. I dico questo.
L’impressione nostra, perché sul treno poi si è parlato, se Mauro poi pensa diversamente lo dica, è
questa: i Vescovi non accettano il discorso che si è fatto noi che la questione tra l’Isolotto e la Curia
non è una questione tra un prete e un Vescovo che hanno due caratteri diversi e contrastanti. Noi si è
detto che è una questione che riguarda la Chiesa, la frattura tra la Chiesa e il mondo dei poveri. Se si
facesse la pace a livello di persona tra don Mazzi e Florit, tra l’Isolotto e la Curia non si risolverebbe
nulla. Si rischierebbe di fare la fine di Erode e di Pilato che si fecero la pace nel giorno in cui Gesù
Cristo andava sulla croce. Fecero la pace proprio perché si erano messi d’accordo sul fare andare
Cristo in croce. Fare la pace così, non dicendo nulla di tutto quello che succede nel mondo,
continuando così a fare quello che si fa e a dire quello che si dice, significherebbe tradire i poveri. I
Vescovi non se la sentono a tutt’oggi, così come gruppo, di accettare questa analisi che noi facciamo.
I Vescovi considerano ancora questo fatto un fatto personale, quasi un caso, successo a Firenze
perché noi toscani, come ci ha detto il segretario che ci ha accolto, siamo un po’ troppo vivi, si mette
un po’ di troppa acqua sul fuoco, ma insomma, via, su, fate i bravi! Pensano che sia un caso. Quindi
col ritiro di Florit, venendo un altro Vescovo, tutto si risolve perché è una questione tra persone. C’è il
rifiuto, la paura io dico, di riconoscere la frattura che c’è, dimostrata nel mondo, tra la Chiesa, tra chi
rappresenta Cristo e i poveri. Questo, secondo me, è il discorso di fondo. Questo non è più un discorso
che riguarda le polemiche personali. Con questo discorso noi non si fa più la polemica a Florit. Anzi,
addirittura noi si rischia di diventare i difensori in un certo senso. Capito? Questo è importante,
perché noi non dobbiamo cadere nel pettegolezzo. Se nella foga della lotta siamo anche pettegoli, noi
abbiamo sempre detto che noi abbiamo tutti i difetti di questo mondo, che ci devono essere perdonati,
intendiamoci. Però il nostro discorso deve essere chiaro. E’ un discorso veramente così: è
sinceramente umano, che speriamo, che noi si crede profondamente cristiano.[Applausi].
Alcune voci: Garinei! C’è la Garinei? Eccola là! [E’ l’invito a Vittoria G. a parlare che però forse sembra negarsi con gesti che
suscitano risate, battute e inizio di plauso per farle coraggio da parte dell’assemblea. Ma la signore pare irremovibile].
Urbano C.: Allora dico io alcune impressioni che insieme si sono avute tutti. [Gli applausi e gli inviti alla signora
Vittoria G. si fanno più pressanti da parte dell’assemblea. La signora finalmente decide di parlare].
Vittoria G.: Non c’è proprio nessuna ragione di battere le mani quando non ho fatto proprio niente di
particolare. Io mi sono trovata di fronte a questo Vescovo, così si può chiamare o era cardinale, non lo
so insomma. Ah! vescovo! E quindi ho chiesto insomma, gli ho fatto notare che il mio prete è stato un
uomo che non c’è nulla da toccare, ineccepibile. Quindi se la Chiesa rifiuta queste persone allora
come si fa ad aver fiducia degli altri, tanto più che quando incontro un prete ora mi dà noia incontrarlo
perché la Chiesa non deve rifiutare le persone che fanno bene. Secondo me quello ha abbassato il
capo e non ha risposto più. E’ chiaro: se non accettano le persone che fanno del bene allora come si fa
ad aver fiducia nella gente, ad aver fiducia nei preti, ad aver fiducia di tutti quelli che vanno vestiti
così e colà, vestiti di nero e buonanotte che intendono solamente fare le prediche e basta?! Insomma
quello che ho da dire è questo.
Urbano C.: Poi quell’altra impressione che veramente lì si vedono tutte queste macchine che arrivano,
si vede magari una bella mercedes…
Vittoria G.: Sì, è il grande mondo lì, per me è un grande mondo perché arrivano tutti con gli autisti, le
belle macchine, tante belle cose e noi seduti in terra a guardare loro. Io ero a sedere in terra e guardavo
le macchine che arrivavano, le macchine che partivano e ci hanno pregato anche di non star lì, di
andare un po’ più in giù.
Urbano C.: Si sente proprio, si è sentito veramente (che) questo è un altro mondo. Ecco, intanto io
pensavo: tanto torno a casa, ci ho i miei due bambini, gli riparlo dei loro fatti, poi si sta all’Isolotto.
Veramente, se l’ho provato io, la Vittoria ancora di più e gli altri (hanno provato) questo senso della
Roma un po’ capitale, della Roma dove ci sono tutti quelli che hanno il potere lì magari concentrati.
In effetti io dico questo: che se non ci si libera da noi e se noi non aiutiamo questa gente perché io mi
immagino… io non vorrei essere Vescovo, non vorrei certamente essere papa, perché ve
l’immaginate un tipo qualsiasi di noi, messo là dentro, tutto quel po’ po’ di roba, i moschetti, con i
vestiti antichi e le alabarde là in Vaticano, tutti quei cerimoniali, veramente si perde la testa, si perde
il senso di quella che è la vita così, pratica, non so del supermercato, delle parolacce che scappano alla
gente quando perde la pazienza, dei figlioli che fanno la cacca. Io penso ai miei: hanno un anno e
mezzo e tre e non si finisce tra marito e moglie a raccattarla. In effetti quando si è parlato con almeno
un Vescovo - Mauro ti ricordi? - a un certo punto ci siamo trovati a fargli la predica a quest’uomo ma
proprio ci è venuto spontaneo perché c’è certa gente anche tra i vescovi ma buoni, non riescono
imbarazzati di fronte a noi.
Mauro S.: Lo abbiamo trattato male.
Urbano C.: Sì, ma la polemica sparisce davvero, a parte perché ci si vede lì proprio la buona volontà,
ma ci si vede proprio, come si può dire, l’impotenza. Dice: “Io ti voglio tanto bene, non sono in grado
di fare niente”. Perché? “Perché se fossi un semplice laico potrei dire quello che come Vescovo non
posso dire perché come Vescovo sono più schiavo di te”. Quando noi si dice che si vuole liberare il
papa da quella prigione in cui è tenuto non è mica uno scherzo!. Ma non si dice mica noi! Noi si copia
da tutto quello che dicono gli altri. Veramente chiunque di noi, ma io penso anche Enzo se ci stesse..
e si diceva tornando in treno – sì o no? Lo diceva mi pare Fabio – papa Giovanni è apprezzabile
proprio per questo: c’è stato cinque anni ed è rimasto veramente così, uguale, uguale ai suoi fratelli
contadini in tutto l’atteggiamento e via. Perché veramente è un miracolo stare lì dentro e rimanere
così semplici. Allora vedete: la polemica delle persone sparisce, si riconosce che è il sistema che
rende le persone così e questo sistema bisogna che tutti insieme ma soprattutto noi, soprattutto noi
perché noi siamo qui a discutere in semplicità e loro sono presi da tutti questi giri. Questo sistema
farlo saltare o tutto insieme o pian pianino. La Vittoria queste cose le dice meglio di me quando si
parla a quattr’occhi. Bisogna che tu riesca tu riesca a dirle al microfono e tutte le donne e tutti noi,
perché quando don Borghi dice: parlate sempre voi e gli stessi, ha ragione.
Voce femminile: Non ci riesce.
Urbano C.: Non ci riesce? Non è vero![Si odono voci confuse di donne che discutono la risposta di Urbano C.].
Daniele P.: Ci sarebbe una insegnante, una professoressa che vorrebbe venire ad abitare all’Isolotto e
cerca una stanza in affitto con uso di cucina. Se qualcuno ha qualche informazione o una stanza si
rivolga in segreteria. Ora abbiamo saputo questa mattina dai giornali anche della denuncia rivolta da
Ughi, fascista, ai preti per domenica scorsa. Siccome questa sera c’è qui l’avvocato Pacchi addirittura
gli chiediamo che cosa riguarda questa denuncia [Dall’assemblea un applauso per l’avvocato]
avv. Pacchi: Io non vi poso fare certamente un discorso di carattere teologico perché è chiaro che non
lo saprei fare.
Enzo M.: Bene, ci mandano dentro!
avv. Franco P.: Se continui non è mica difficile che tu vada anche te dentro [Nell’assemblea si ride per queste
battute]. Mentre farò, è chiaro, perché ho approvato sotto questo profilo il discorso che ha fatto don
Mazzi stasera in un punto, né vi farò certamente un discorso politico perché altrimenti voi avreste
tutto il diritto di polemizzare con me. Né vi farò un discorso di carattere tecnico perché credo che
questa non sia la sede. Farò alcune considerazioni che sono il frutto di una brevissima meditazione,
conseguente alla lettura di quella denunzia che stamani è apparsa sul giornale, neppure a farlo
apposta, integralmente sul giornale ‘Il Secolo d’Italia’ organo del Movimento Sociale Italiano, quella
denunzia che è stata sporta contro Mazzi, Gomiti, Caciolli, Rosadoni, Masi, Bartalesi, Del Zanna, e
Roberto Bonifacio per il reato, si dice, per turbativa di funzione sacra, offese alla religione di Stato e
per tutti gli altri reati che il Procuratore della Repubblica attraverso l’inchiesta potrà accertare. Io so
una cosa, ed è un dato di fatto inoppugnabile, che la riunione di domenica scorsa sulla piazza
dell’Isolotto era stata regolarmente preavvisata alle autorità di Pubblica Sicurezza. Quindi era una
riunione per la quale non era assolutamente intervenuto il divieto dell’autorità di Pubblica Sicurezza,
unica competente, come autorità civile, a vietare la riunione di cui era stato dato regolarmente il
preavviso ai sensi della legge di Pubblica Sicurezza che il denunciante ben conosce in quanto trattasi
della legge di Pubblica Sicurezza che fu emanata e pubblicata nel 1931[Parte un bell’applauso dall’assemblea],
quando nel nostro Paese evidentemente vigeva un regime che meglio confaceva a quelle che
potevano essere le aspirazioni, a quelle che potevano essere, diciamolo pure, le affinità elettive del
denunziante. Una prima considerazione è sorta in me allorquando mi è stato segnalato da quale fonte
veniva questa denunzia. Me la consentirete, non è una considerazione politica, non è una
considerazione teologica, è semplicemente una constatazione di fatto. Pensate quale triste destino
colpisce colui o coloro che a ogni piè sospinto si vedono difesi da persone che nel 1930, guarda caso,
venivano condannate da Pio Undicesimo allorquando costui, dopo aver sottoscritto i Patti
Lateranensi, denunziava all’opinione pubblica mondiale la formula di un giuramento con la quale si
imponeva ai giovani di eseguire senza discutere allo scopo di credere, allo scopo di obbedire, allo
scopo di combattere; quando sulla base di quel giuramento coloro che sono quantomeno i
predecessori legittimi del denunziante invadevano le sedi delle organizzazioni cattoliche e le
devastavano. [Applausi]. Mi appello esclusivamente alla storia. E’ ben vero, me lo ricordo anch’io. Me lo
ricordo anch’io quando studente ginnasiale, studente liceale e studente universitario, ho partecipato
alle famose adunate, quando ho visto anch’io che a un certo momento si invocava, unitamente a
quella che era, vorrei dire, la idea trionfalistica di allora, il ritorno e la reminiscenza della grandezza
romana che ha fatto tanto male al nostro Paese, quando addirittura si invocava la benedizione e si
invocava Iddio perché potesse proteggere le nostre armate che portavano la civiltà, si diceva, ai popoli
che ne avevano bisogno. E io, sulla base di queste considerazioni modestissime, che ci richiamano
esplicitamente a quella che è una storia vissuta dalla maggio parte di noi, ho detto: ma quale triste
destino essere difesi da simili persone. E poi l’autorità alla quale è diretto questo esposto ha la
possibilità di acquisire certe notizie non in base su carta libera come si dice oggi o su carta bollata. Le
può acquisire attraverso l’immancabile rapporto delle autorità di Pubblica Sicurezza che, a quanto mi
si dice, erano presenti, quella mattina, all’interno e all’esterno della chiesa dell’Isolotto. C’è un altro
documento d’altra parte sul quale eventualmente l’autorità competente avrebbe avuto ed ha tuttora la
possibilità di acquisire la notizia, quella che si chiamerebbe in latino, ma ve lo dico in italiano, la
notizia criminis, la notizia del delitto. A Firenze, grazie a Dio, ci abbiamo anche La Nazione [Risate
dell’assemblea alla battuta sul giornale non ben visto dalla stragrande maggioranza dei presenti]. Ve lo immaginate, ve lo
immaginate voi l’assurdità di una denunzia di questo genere? Voi mi potete dire: è una opinione
soggettiva del vostro amico Pazzi. E’ una opinione soggettiva, d’accordo, ma io sono convinto che
gran parte di voi, se non la totalità di voi, domenica scorsa eravate presenti sulla piazza dell’Isolotto.
Ecco allora, se io dovessi a un certo momento trasformarmi in un giudice, per poter giudicare, avrei
bisogno di testimoni per poter accertare la violazione di una legge che per l’appunto anche questa è
del 1931. E allora avrei davanti a me tanti testimoni e li vorrei sentire tutti e vorrei poter domandare a
loro se davvero c’è stato quel reato che è stato denunciato: la turbativa della funzione religiosa,
perché i denunziati sono quelli che risultano dal foglio di carta che sarà pervenuto all’autorità
competente. Ci saranno anche i testimoni. Ci saranno anche coloro che in silenzio hanno ascoltato la
lettura di quei passi del Vangelo e loro potranno dire o quanto meno esprimere quella che è la realtà di
quella mattina. Potranno dirci quello che realmente si è verificato. Ora io ricordo – ed ecco la seconda
riflessione e prego Enzo, prego Gomiti, prego Caciolli di non rimproverarmi, dopo a quattr’occhi,
quello che sto per dire – io mi ricordo d’aver fatto dei comizi politici in molte piazze della Toscana e
soprattutto nei paesi ho parlato sulla piazza principale del paese dove di regola, solitamente c’è la
chiesa. Ed è, vorrei dire, una tattica dell’oratore politico, qualunque sia la tendenza, il colore e
l’opinione, è tattica dell’oratore politico di andare nella piazza dove c’è la chiesa, proprio o
nell’imminenza o durante o immediatamente dopo la celebrazione della messa, perché così abbiamo
la possibilità di far sentire anche qualche cosa a chi non è disposto ad ascoltarci o non è disposto a
sentirci. Potrebbe anche darsi che qualcuno potesse cambiare opinione, potesse avere una certa
simpatia per la persona che parla, non si sa mai. Ebbene i casi sono due. Siccome voi sapete che le
manifestazioni di carattere politico, soprattutto quelle elettorali, si svolgono nella primavera o
addirittura nella primavera inoltrata vicino all’estate, le porte delle chiese sono aperte. Ora nessuno si
è mai sognato di denunciare l’oratore politico che ha continuato il suo comizio mentre nell’interno
della chiesa e cioè nel recinto sacro, dove si svolge il sacro rito, al di fuori di questo recinto, dicevo,
un oratore politico, certamente non a bassa voce, tanto più che oggi esiste anche questo infernale
aggeggio del microfono e dell’amplificatore che fa sì che, anche chi ha la voce bassa, anche chi è
disposto a parlare quasi sottovoce, sente riprodotta, centuplicata la forza della sua voce. Nessuno si è
mai sognato di incriminare un oratore politico di turbamento di funzione religiosa per avere tenuto un
comizio all’esterno della chiesa mentre nell’interno della chiesa veniva celebrata la messa. C’è un
altro fatto: che proprio sul più bello, quando l’oratore politico sta per tirare le sue conclusioni, quando
sta per fare scattare la piazza, come suol dirsi, perché tira fuori l’argomento ad effetto con l’illusione,
poveretto, di poter attirare sul suo partito eventualmente qualche voto in più, ecco che viene interrotto
il pubblico comizio elettorale (col suono delle campane).
[Dopo le parole “comizio elettorale” termina di fatto la registrazione dell’assemblea anche se questa forse è continuata su alcune frasi dello stesso
tono e i saluti per l’ora tarda come altre volte avvenuto, “Col suono delle campane” è opera del trascrittore al quale sembravano le parole possibili per
concludere la frase. La registrazione dello 03.09.69 termina quindi al giro 555 della prima parte della BA040]