Omelie per un anno
Volume 1 - Anno “B”
Anno “B”
2ª DOMENICA DI PASQUA
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At 4,32-35 - Un cuore solo e un'anima sola.
Dal Salmo 117 - Rit.: Abbiamo contemplato, o Dio, le meraviglie
del tuo amore.
1 Gv 5,1-6 - Tutto ciò che è nato da Dio vince il mondo.
Canto al Vangelo - Alleluia, alleluia. Perché mi hai veduto,
Tommaso, tu hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto,
crederanno. Alleluia.
Gv 20,19-31 - Otto giorni dopo, venne Gesù.
Fede e condivisione
La 1ª lettura ci offre un quadretto ideale di comunità cristiana;
mentre il brano evangelico racconta i dubbi e le incertezze di fede di
Tommaso. Siamo tentati di definire il primo uno sguardo idealistico
sulla Chiesa, mentre il secondo è più realistico. In realtà, la fede e il
dubbio, la condivisione fraterna e i conflitti si mescolano nell'esistenza
della Chiesa, che è stata definita la «casta meretrix». Chissà in quale
dei due ritratti noi ci riconosciamo! Forse in ciascuno dei due.
Ma quel che vorremmo porre a tema della nostra riflessione
domenicale è l'interrogativo: è la fede pasquale, tribolata e sofferta ma
alfine vittoriosa, di Tommaso oppure la condivisione totale dei primi
cristiani che ci caratterizza? In altri termini, è l'amore del prossimo che
ci qualifica come cristiani oppure la fede nella risurrezione di Gesù? Per
insegnarci l'amore del prossimo non c'era bisogno che il Figlio di Dio si
facesse uomo; tutte le religioni insegnano l'amore del prossimo.
Invece la risurrezione di Gesù ci annuncia la vittoria sulla morte: ciò è
impensabile e sembra improponibile al di fuori della fede cristiana.
Come cristiani, non ci limitiamo a impegnarci nell'amore del prossimo.
Certamente ciò è buono e ragionevole, ma noi portiamo al mondo
l'annuncio che l'uomo Gesù di Nazaret ha vinto la morte ed ha aperto
per tutti gli uomini la possibilità di una vita eterna.
Ogni cosa era comune
2ª domenica di Pasqua “B” • © Elledici, Leumann 2005
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Il ritratto del sommario degli Atti degli apostoli è certamente un
quadro ideale e non una cronaca pura e semplice. Si tratta di una
comunità di amici e già Aristotele, nell'Etica Nicomachea, scriveva: «Le
cose agli amici sono comuni; infatti l'amicizia si manifesta nella
comunione». Il mettere in comune i beni è un modo di vivere
l'amicizia, che è non soltanto condivisione a livello economico ma
anche unione dei cuori: «Erano un cuore solo e un'anima sola». Per
questo ideale di vita, non c'era bisogno di una particolare rivelazione
divina: già i filosofi avevano proposto questo stile di vita. Platone,
descrivendo il periodo d'oro di Atene, diceva della classe dei guerrieri
che «nulla possedevano di proprio, ma stimavano tutto ad essi
comune» (Crizia, 110 e.d.)
Ciò che caratterizza il brano lucano degli Atti è l'affermazione
seguente: «Con grande forza gli apostoli rendevano testimonianza
della risurrezione del Signore Gesù e tutti essi godevano di grande
stima». I primi cristiani attingevano le motivazioni della condivisione
fraterna non dall'ideale filosofico dell'amicizia, bensì dalla fede nella
risurrezione di Gesù. Questa fede aveva loro insegnato che non i propri
beni possono salvare, che le proprietà terrene sono effimere e non
liberano dalla morte, che gli uomini sono uniti perché sono tutti redenti
dall'unica morte-risurrezione del Signore Gesù. Coloro che credono in
Gesù risorto danno origine a un mondo nuovo, a un nuovo modo di
vivere.
La vittoria è la fede
In un mondo dove l'egoismo e la violenza dominano sovrani, che cosa
può dare la forza di vivere controcorrente? S. Giovanni esclama:
«Questa è la vittoria che ha sconfitto il mondo: la nostra fede». La
fede in Gesù Figlio di Dio apre un orizzonte nuovo di valori e disegna
un progetto di vita radicalmente differente da quello del mondo. Il
mondo non può essere cambiato soltanto da buone azioni e da buone
intenzioni, ma dalla fede in Gesù. La fede, infatti, è adesione all'amore
che Dio ha per noi, è convinzione che Dio stesso è venuto a cambiare il
mondo. Soltanto chi crede che Gesù è il Figlio di Dio «vince» il mondo,
ossia ha in sé la forza divina che è capace di cambiare il mondo. E la
forza divina trasformatrice del mondo ci è data dal Cristo risorto, è
l'amore stesso di Dio riversato nei nostri cuori. E noi sappiamo che se
amiamo Dio, ossia se aderiamo a lui nella fede, l'amore stesso di Dio
sarà in noi e ci abiliterà ad amare i fratelli con la stessa forza di Dio.
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Il mondo ha dalla sua parte il potere, la violenza e la menzogna; noi
possiamo vincere il mondo soltanto se lo Spirito di Gesù risorto abita
nei nostri cuori e ci dona la verità di Gesù. Dalla «verità» di Gesù,
assimilata e fatta nostra, può scaturire una vita rinnovata e vittoriosa
del mondo. Dove Dio manifesta la forza vittoriosa del suo amore
meglio che nella risurrezione di Gesù? L'odio e la violenza umana
hanno condotto Gesù alla morte, ma l'amore di Dio Padre ha
risuscitato il suo Figlio. Credere che Gesù è il Figlio di Dio, significa
credere che l'amore di Dio è più forte della morte, che la dedizione
filiale assoluta di Gesù al Padre lo ha fatto rivivere per sempre a una
vita nuova.
«Mio Signore e mio Dio»
Tommaso era uno dei Dodici, cioè faceva parte di quelli che avevano
fatto l'esperienza della esistenza terrena di Gesù. Egli aveva aderito
alla persona di Gesù, ne aveva accolto l'insegnamento, aveva
«creduto» nei miracoli da lui compiuti. Ma non era arrivato a capire
che Gesù avrebbe vinto la morte. Restava in lui una fede più tipica
dell'Antico che del Nuovo Testamento. All'annuncio della risurrezione
egli è dubbioso: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non
metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo
costato, non crederò». Tommaso non accetta la testimonianza della
comunità cristiana, vuole una prova personale e Gesù gliela concede.
Ciò che Tommaso chiede e che Gesù concede è l'esperienza della
«continuità fisica» del Gesù risorto con il Crocifisso. Il corpo di Gesù
risorto non è un corpo nuovo, creato di nuovo, ma è lo stesso corpo
crocifisso nel quale permangono, anche se trasfigurate e gloriose, le
«cicatrici» del corpo crocifisso. Il corpo glorioso è pur sempre il corpo
terreno, crocifisso, di Gesù.
Otto giorni dopo, quando i discepoli erano di nuovo riuniti e con loro
c'era anche Tommaso, «venne Gesù, a porte chiuse». Il Risorto si
rende presente nella sua comunità ed è all'interno di essa che
Tommaso «scopre» il Risorto e proclama la sua fede: «Mio Signore e
mio Dio! ». Egli non aveva accolto l'annuncio della comunità, ma non
sarà al di fuori della comunità che Gesù si rivela a lui.
Tommaso ha veduto e creduto: il «vedere» riguarda soltanto i segni,
non è la «visione» diretta del Risorto. Per questo, Tommaso passa dai
segni alla fede. Gesù però dice: «Beati coloro che, senza aver visto,
giungono a credere». Ciò vuol dire: beati coloro che accoglieranno, a
differenza di Tommaso, la testimonianza verbale della comunità
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credente e, attraverso il messaggio-testimonianza della Chiesa,
giungeranno alla fede. Noi non siamo meno fortunati di Tommaso
perché ci è data la testimonianza viva della comunità credente nella
quale è presente Gesù risorto e che continuamente proclama la sua
risurrezione. Raggiungiamo allora la verità espressa dalla 1ª lettura
circa la primitiva comunità cristiana nella quale gli apostoli «rendevano
testimonianza della risurrezione del Signore Gesù».
E noi siamo veramente una comunità che testimonia la risurrezione di
Gesù? Forse diamo, almeno in qualche misura, la testimonianza
dell'amore del prossimo. Ma come cristiani ci è chiesto di offrire al
mondo non tanto la testimonianza del nostro amore, bensì dell'amore
di Dio che ha «salvato» Gesù dalla morte e così ha dischiuso anche a
noi un futuro nuovo.
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