Jacques Schlanger, Filosofia da camera

Jacques Schlanger, Filosofia da camera
Dalla premessa
Questo libro si compone di due saggi di filosofia da camera. Che cos’è la filosofia da camera? La
filosofia da camera sta alla filosofia sinfonica come la musica da camera alla musica sinfonica: un
modo privato, personale, intimo di filosofare, una filosofia di piccola portata, di piccolo formato
rispetto a un modo di filosofare pubblico, impersonale, una filosofia di grande portata e di grande
formato. Epitteto nelle sue Dissertazioni, Marco Aurelio nei suoi Colloqui con se stesso, Montaigne nei
suoi Saggi, Kierkegaard fanno, ciascuno a suo modo, della filosofia da camera. È a me che i filosofi da
camera si rivolgono, è con ciascuno di noi in particolare che vogliono condividere ciò che hanno da
dire, faccia a faccia, corpo a corpo, vita a vita. Mentre Platone, Aristotele, Cartesio, Spinoza, Kant,
Hegel, Husserl, virtuosi della filosofia sinfonica, ci parlano da spirito a spirito, da intelletto a intelletto,
e si rivolgono a un noi.
Così come il musicista da camera suona la propria musica in uno spazio ristretto e adatta la musica a
questo spazio, il filosofo da camera osserva il suo mondo dall’intimità della propria camera, punto di
vista fragile e tuttavia sufficientemente stabile. Ciò non significa che un filosofo da camera non abbia
idee sull’insieme di ciò che è e su ciò che deve essere, su ciò che si fa e ciò che si deve fare, ma le
esprime in modo diverso dal filosofo sinfonico, in un tono più privato, più personale, meno sicuro di sé
e della verità di quanto afferma, con meno risolutezza e più modestia.
Il filosofo da camera scopre ben presto che è proprio nella sua camera che si trova più a suo agio per
filosofare – la sua camera, cioè nell’intimità di se stesso. Una camera delle idee può essere confortevole
quanto una stanza ben riscaldata in inverno o ben aerata in estate, una stanza nella quale ci si sente a
proprio agio. Si ha troppo spesso l’impressione che la vita delle idee sia una vita difficile, ardua e
perfino ascetica e si dimentica quanto la vita delle idee possa essere piacevole, soddisfacente e
soprattutto appassionante; si dimentica quanto si possa stare bene e quanto ci si possa divertire in una
buona camera delle idee.
Dopo essersi impregnato di tutti i saperi della filosofia, essersi addentrato in tutti i giochi della
filosofia, essersi liberato da ogni contesa filosofica, il filosofo da camera si accorge che dentro di sé
resta un minuscolo spazio in cui si trova solo con se stesso, in cui suona per se stesso con il suo piccolo
flauto la sua aria preferita, note fievoli, nitide e talvolta profonde. Attento al suono della propria voce,
si lascia trasportare, perché gli pare di avere qualcosa da dire (dirsi) prima di prendere congedo. Parla a
se stesso a voce bassa, e questa mezza voce porta spesso più lontano di quanto si pensi, e capita perfino
che venga ascoltata con molta attenzione.
Una filosofia di piccolo formato non è infatti necessariamente una filosofia di piccola portata. Anzi,
una voce che non si impone con la forza, un tono trattenuto, un’espressione intima penetrano spesso
meglio, proprio per la loro minor prepotenza e la loro maggior apertura; vanno spesso più a fondo delle
cose, e più ancora a fondo delle persone. Il lettore critico, che non è alla ricerca di un maître à penser da
seguire ciecamente ma di un interlocutore che possa aprirgli nuovi orizzonti di idee, si riconosce meglio
in questo genere di filosofia, che non gli detta ciò che deve pensare ma lascia che decida da sé.
Il filosofo da camera è spesso, se non sempre, un moralista. Non un predicatore della morale buona, ma
uno che riflette sulla natura umana, sui costumi, sulla condizione umana. E il primo materiale della sua
riflessione, quello che gli è più vicino e di cui si occupa maggiormente, è innanzitutto se stesso. In
questo senso, la maggior parte dei filosofi da camera sono dei filosofi in camera.
Infatti, la loro camera non è soltanto il luogo da cui parlano, è prima di tutto il luogo di cui parlano, il
luogo che li interessa, il luogo che esplorano. Girano per la loro camera, osservano quello che vi
succede, ed è in questo spettacolo così vicino a loro che scoprono quello che hanno da dire. Ed è
soprattutto se stessi, al centro della loro camera, che scrutano con più attenzione, è soprattutto se stessi
che cercano di conoscere e capire, ed è di se stessi che parlano maggiormente, anche se non sempre
direttamente né espressamente.
Se il filosofo in camera si interessa a se stesso e si considera il proprio principale soggetto di
riflessione, non è perché si ritenga migliore o superiore, non è per narcisismo egotistico, ma perché il
fatto stesso di esistere, di essere ciò che è, di fare ciò che è in grado di fare, di sapere ciò che è in grado
di sapere, di sentire ciò che è in grado di sentire, questo fatto stesso lo appassiona e lo riempie di
stupore e meraviglia.
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